Volare si Può, Sognare si Deve!

Cultura

COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI)

 

 

Quando le medicine tradizionali non riescono a controllare i sintomi parkinsoniani, perché pastiglie, capsule o cerotti non bastano più oppure non vengono tollerati, allora ci si offrono altre strategie, seppur invasive, spesso con soddisfacenti benefici.

 

Pompa di iniezione sottocutanea continua di apomorfina

Da oltre dieci anni, prima in Clinica Neurologica ed ora al Poliambulatorio della ASL in via Tempio, propongo la terapia con l’apomorfina in pompa o in penna.

L’apomorfina è un dopaminoagonista come quelli che abbiamo visto nel capitolo precedente, ma con la particolarità che agisce esattamente come la levodopa, e pertanto non possiede molti degli effetti collaterali dei farmaci della sua classe. Purtroppo, essa ha un grande difetto: ha una breve emivita, cioè il suo effetto dura poco, circa venti minuti, e per questo andrebbe assunto continuamente, il che non è proponibile. Ecco perché l’apomorfina viene proposta in pompa di iniezione sottocutanea continua di facile manualità e con modesto ingombro e disagio potendo essere rimossa facilmente in qualsiasi momento (notte, doccia, mare, ecc.). L’apomorfina può essere anche iniettata con una penna al bisogno per vincere un blocco motorio, o per diminuire altri sintomi, in caso di fine dose della levodopa. La pompa dell’apomorfina è molto indicata per migliorare fluttuazioni motorie e per ridurre gli insopportabili blocchi motori, oltre che diminuire notevolmente il numero di assunzioni dei farmaci. Delle terapie avanzate è sicuramente la meno invasiva e non necessita di ricovero. Le controindicazioni sono poche, ma per mia esperienza i suoi vantaggi perdurano per circa tre-quattro anni, dopodiché perde efficacia. Ma quel lasso di tempo è sufficiente per l’arrivo di nuove terapie.

 

 

Pompa di iniezione digiunale di duodopa

Questa pompa necessita di un breve ricovero per il posizionamento di una PEG/PEJ per far arrivare la sonda fino al tratto iniziale dell’intestino, il digiuno, dove la duodopa (gel di levodopa) viene assorbita. Questa metodica è utilissima per vincere le fluttuazioni causate dall’assunzione orale della levodopa perché garantisce un costante livello di farmaco in ogni momento della giornata riducendo notevolmente i sintomi del Parkinson: Gli svantaggi di questa utilissima metodica possono essere discinesie da eccesso di farmaco, che vanno minimizzati di volta in volta, ed una possibile polineuropatia periferica per la continua presenza in circolo di dopamina nel tempo.

 

 

Stimolazione cerebrale profonda

Una specie di pacemaker del Parkinson, con cui vengono introdotti degli elettrodi nel cervello fino ai nuclei della base, i circuiti interessati nel Parkinson, ed in particolare nel nucleo subtalamico e nel globo pallido interno. A determinate frequenze questi elettrodi riescono a ripristinare i circuiti dei nuclei della base ed a ridurre i sintomi parkinsoniani. La particolarità della DBS è che durante l’intervento neurochirurgico, che può durare molte ore, la persona rimane sveglia per poter verificare il corretto posizionamento degli elettrodi, raggiunto con il miglioramento sintomatico (per es., scomparsa del tremore) che sotto anestesia non sarebbe possibile. La stimolazione cerebrale profonda permette una notevole riduzione dei farmaci anti-parkinson, ma la selezione dei soggetti operabili è molto severa e solo poche persone posso sottoporsi a questa procedura medica avanzata.

 

 

Ultrasuoni focalizzati

Per poter ‘mirare’ precisamente si utilizza la Risonanza magnetica durante la terapia con gli Ultrasuoni

Fondamentalmente questa metodica è un aggiornamento della radioterapia con Gammaknife utilizzata soprattutto in chirurgia oncologica. Fino ai circa 50 anni fa esisteva la chirurgia ablativa come terapia molto invasiva per curare il Parkinson, sostituita successivamente dalla radioterapia che però nel Parkinson non ha mai preso piede per l’evento della terapia orale dopaminergica. Attualmente sta tornando in auge una vecchia metodica, quella degli ultrasuoni, che non sono raggi ma onde acustiche ad alta frequenza. La loro particolarità è che possono essere indirizzati, focalizzati, verso un target anche molto piccolo dentro il cervello, dove producono un calore poco superiore ai 40°C ma sufficiente a ‘cuocere’ le strutture proteiche interessate dei nuclei della base ottenendo una micro-ablazione con riduzione dei sintomi. Questa metodica, guidata tramite la risonanza magnetica, trova attualmente maggiore applicazione nella cura del tremore essenziale farmaco-resistente, e rappresenta una tecnologia emergente nel Parkinson. Inoltre, ci sono studio che sperimentano gli ultrasuoni per favorire l’ingresso degli anticorpi anti-Parkinson dentro il cervello; ma di questa incredibile procedura parleremo sicuramente nei prossimi mesi.

 

 

Per la vastità del tema del trattamento medico, questa colonna del nostro Tempio necessitava di una netta sintesi, seppur divisa in due parti, ma torneremo su terapie specifiche quando erigeremo le colonne portanti, quali la genetica, ed i disturbi del sonno, del tratto gastrointestinale e del tono dell’umore.

Ma adesso preparatevi perché seguirà a breve l’importante “Colonna del Parkinson: La Famiglia”. Che dite, meriterà due o anche tre parti? Attendo i vostri suggerimenti e contributi, i vostri “mattoni” per “familiare e caregiver”.

COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI di Kai S. Paulus

(seguito di “STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2“)

tempio grecoUn importante capitolo della gestione globale della malattia di Parkinson, di cui ci occupiamo in questo progetto “Il Tempio Greco – Le sei colonne del Parkinson”, spetta ovviamente alla terapia medica, che per la mole dell’argomento ho diviso in due parti; la prima parte tratterà i comuni farmaci che conoscete tutti (Dopamina, Dopaminoagonisti e Inibitori enzimatici) ricordando brevemente il loro utilizzo e la loro funzione. Nella seconda parte, invece, vi illustrerò le attuali possibilità per le situazioni più complicate, in cui con la tradizionale terapia orale non si riesce più a gestire i sintomi, accennando alle terapie infusionali sottocutanea della Apomorfina ed intradigiunale della Duodopa, la stimolazione cerebrale profonda, DBS (Deep Brain Stimulation), e l’ultilizzo degli ultrasuoni con la tecnologia della MRgFUS (Magnetic Resonance guided Focalized Ultra Sound). Più avanti, quando discuteremo la genetica del Parkinson si parlerà anche delle affascinanti terapie farmacologiche avanzate e quella genica.

Iniziamo il nostro viaggio, ponendo una prima colonna del nostro Tempio, con la famigerata dopamina, cioè il neurotrasmettitore la cui riduzione e/o mancanza causa i classici sintomi del Parkinson (tremore, rigidità, rallentamento, ecc.).

Quindi, nella malattia di Parkinson viene a mancare la dopamina (vedi anche Il Divertimento come fonte di Dopamina) e logica vuole che “riempendo il secchio” il sistema riprende a funzionare ed i sintomi della malattia diminuiscono. Tutto qui!

Dopo le fondamenta stiamo ponendo la prima colonna.

Fosse così facile, non saremmo qui a discuterne. Intanto, la dopamina introdotta come farmaco non arriva, o solo in minima parte, a destinazione, per cui si usa uno dei suoi precursori biochimici, la levodopa (L-dopa), che, superando la barriera ematoencefalica entra nel cervello dove raggiunge i neuroni dopaminergici, viene trasformata in dopamina disponibile per la trasmissione dell’informazione neuronale ripristinando il circuito. Questa levodopa viene introdotta nell’organismo tramite compresse o capsule (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo) oppure gel (pompa della Duodopa). Tutte le persone affette da Parkinson trovano sollievo quando iniziano la terapia con levodopa, stanno decisamente meglio e spesso tornano alla loro vita abituale. Questa è la famosa “luna di miele” in cui va tutto bene ed anche il medico fa un gran figurone. Ma, come sapete benissimo, questo fortunato periodo non dura molto, forse 12-18 mesi, poi il rapace infingardo (cit. G.B.), su nemigu (cit Peppino Achene) si riprende la scena ed anche con gli interessi: gradualmente la singola dose diventa meno efficace e duratura, per cui si necessitano maggiori dosi. E qua inizia una delle più brutte cose nella terapia del Parkinson: infatti, compaiono le complicazioni della terapia: anziché migliorare, i farmaci contribuiscono a peggiorare la malattia. Incredibile ma vero! Una sfida costante per tutti (paziente, famiglia, operatori sanitari). Gli effetti negativi vanno da fluttuazioni motorie non controllabili fino ad ansia, insonnia, allucinazioni, comportamenti disinibitorie, deliri e psicosi.

Per fortuna, ci vengono in aiuto gli inibitori enzimatici (Jumex, Azilect, Aidex, Roldap, Rasabon, Xadago, Comtan, Tasmar, Ongentys), cioè farmaci che riducono la degradazione della levodopa, che pertanto rimane più a lungo in circolo, permettendo un risparmio della levodopa e minimizzando il rischio delle complicazioni sopraelencate. Ma non siamo salvi, perché non tutte queste sostanze vengono tollerate o aiutano solo parzialmente.

Tante pastiglie, capsule, compresse. Troppe?

Allora abbiamo a nostra disposizione i cosiddetti dopaminoagonisti (Mirapexin, Pramipexolo, Requip, Ropinirolo, Neupro), cioè farmaci che agiscono come se fossero dopamina. Il loro vantaggio è la preparazione a rilascio prolungato e quindi di lunga durata riducendo pertanto le fluttuazioni on-off, anche il temuto blocco post-prandiale. Il loro svantaggio sono possibili effetti collaterali che vanno da ipotensione e sonnolenza (specialmente in estate) fino ad allucinazioni, disinibizioni (gioco d’azzardo, shopping, punding, ipersessualità), allucinazioni e psicosi. Quindi anche queste sostanze, pur molto vantaggiose, vanno usate con criterio.

Nel tentativo di ridurre i blocchi motori si è costretto ad aumentare le dosi di levodopa, il che può portare ad un altro problema: le discinesie da picco dose, cioè movimenti involontari di parti del corpo associati spesso a sudorazioni ed agitazione. Per questa evenienza, si può aggiungere un farmaco antivirale, l’amantadina (Mantadan) che non comporta accentuazioni dei blocchi motori, che invece si riscontrerebbero con una riduzione della dose di levodopa.

Infine, possiamo inserire farmaci chiamati anticolinergici (Akineton, Disipal) per ridurre alcuni sintomi specifici quali tremore e scialorrea, sempre usati con cautela per possibili effetti collaterali cognitivi.

Abbiamo finito?

No. Troppi farmaci fanno male, possono interferire tra di loro, e non ci sono solo i farmaci anti-Parkinson, ma molto spesso si assumono pastiglie cardiologiche, oncologiche, internistiche, oltre ad antibiotici, antiinfiammatori ed antidolorifici (Franco Simula dicet). La parola d’ordine deve essere: ottimizzare tutte le terapie in atto per prenderne il meno possibile e per garantire complessivamente una soddisfacente qualità di vita. Cioè, sarebbe il colmo non potendo apprezzare il buon controllo dei sintomi parkinsoniani se a causa di una ipoglicemia si rischia di svenire, di una pressione troppo alta si soffre di cefalea, di una artrite si lamentano troppi dolori, oppure se a causa di una sindrome ansiosa non si riesce a dormire.

E con lo stesso spirito, in modo mirato ed efficace, vanno trattati i problemi strettamente legati al Parkinson, quali i disturbi del sonno, del tratto gastrointestinale e del tono dell’umore.

(segue con COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE)

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO 2

 

da: 1.bp.blogspot,com Architettura Greca Antica

(seguito di TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO)

Vedo con piacevole sorpresa che vi state rivelando davvero ottimi architetti e grandi esperti di edilizia: stanno giungendo tanti commenti ed idee tramite questo sito ma anche con email e chiacchierate in ambulatorio, che fanno sperare in un Tempio davvero magnifico.

Per tale motivo si è reso necessario l’ampliamento del piano della nostra opera come segue:

Infine, per facilitare la consultazione di rimandi e articoli precedenti, ho inserito direttamente il link (in celeste) sul quale basta cliccare per arrivare subito (senza dover cercare nell’archivio) alla fonte citata.

Iniziamo allora subito con CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 

E continuate a discutere e commentare per arricchire il nostro Tempio, per una nostra guida verso una dignitosa gestione globale della malattia di Parkinson.

KP

CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di  TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO 2)

Iniziando a costruire il nostro imponente palazzo dobbiamo ovviamente partire da fondamenta ben solide, senza le quali non può reggere l’edificio. Per la mole dell’argomento ho diviso le fondamenta in Crepidoma (basamenti a gradini su cui sorge il tempio) e Stilobate (ultimo gradino del Crepidoma e su cui basano le colonne).

 

Quando si deve affrontare una malattia così complessa e difficile, degenerativa e progressiva, come la malattia di Parkinson, la prima cosa che viene richiesta dalla persona ammalata, ma anche dai suoi famigliari, è l’accettazione.

L’accettazione è la chiave per sopportare i disagi e tollerare i cambiamenti, e rappresenta l’unica via che può portare verso una buona gestione del Parkinson, che significa poter proseguire la propria vita dignitosamente, preservando una soddisfacente qualità di vita.

Inizialmente può sembrare impossibile “accettare l’inaccettabile”, e molte persone dopo la diagnosi si sentono disorientati, ed i cambiamenti fisici sono accompagnati da preoccupazioni, paura, si sviluppano rabbia, tristezza, ansia ed anche depressione. La prima domanda alla quale si cerca disperatamente una risposta è quella ricordata da Franco Simula, “PERCHE PROPRIO IO?”  che in fin dei conti non aiuta a trovare vie d’uscita: la risposta non è scontata e spesso non la si trova, però occuparsi di questa domanda può rappresentare un inizio. E’ difficile intervenire in questa fase che ognuno/a affronterà a modo suo ed in base al proprio carattere e cultura, ma importante è di non rimanere soli e di essere gradualmente accompagnati verso la “metabolizzazione” dei cambiamenti e quindi verso l’accettazione, come abbiamo riassunto in “Accettare la malattia di Parkinson”.

Sergio Carmelita riferisce che la sua difficoltà sta nel dover affrontare lo stress quotidiano che la nuova situazione comporta. Lo stress di per sé è un fattore positivo che ci spinge a far bene ed è una fase di tensione equilibrata dallo sforzo a superarla. Lo stress ci conferisce la giusta spinta, la forza e la determinazione, che poi vengono compensati dal superamento della difficoltà. Invece, quando la difficoltà appare insormontabile, la tensione non si risolve ed anzi, accresce, e ci troviamo in uno stato di conflitto ingravescente, il cosiddetto distress, che ovviamente è un fattore negativo e può diventare patologico ed ampliare a dismisura l’originale problema e non risolvibile individualmente; da ciò scaturiscono paure, ansia e depressione. Ci si sente sconfitti, scoraggiati, apatici, e sì, pietrificati.

La malattia di Parkinson causa cambiamenti fisici che comportano disagio personale ma anche sociale: si cerca di evitare a stare con altri, ci si vergogna, come ammette Giuseppina Grina Manca. La vergogna può incidere molto nell’isolamento delle persone ammalate. E’ significativo, che questo importante aspetto di disagio venga suggerito da una “Sig.ra Parkinson” sottolineando importanti differenze di genere e diversità tra Parkinson femminile e maschile, che abbiamo già più volte trattate, vedi Parkinson: differenze di genere.

La situazione diventa difficile e mal sopportabile non solo per la persona con Parkinson ma anche per il familiare che si prende carico e quotidianamente deve consolare, incitare e motivare, ma anche riportare all’ordine, a volte ammonire. Il familiare vuole aiutare, assistere, facilitare, e per questo è continuamente a rischio di cadere nella trappola di scivolare nel ruolo di genitore, con l’alterazione dell’armonia e dell’equilibrio familiare, che inevitabilmente porta a incomprensioni, tensioni ed, appunto, stress.  Il peso del familiare caregiver diventa enorme ed alla fine il sistema famiglia va in crisi: incomprensioni, nervosismo, disperazione e/o indifferenza sono il risultato; un familiare disperato, in cosiddetto ‘burnout’, sfinito, non vive bene e non può essere di aiuto per l’ammalato/a, perché necessita di aiuto egli/ella stesso/a.

Gian Paolo Frau non solo conferma le difficoltà del ‘caregiver’ familiare con tutto il peso di responsabilità e la sensazione di solitudine, e che spesso si smarrisce nella sanità sarda, ma lamenta la mancanza di supporto per le famiglie da parte delle istituzioni, in piena sintonia con Glauco Di Martino, l’autore del libro ‘IL MIRACOLO DI MARI)

Per vivere una malattia neurodegenerativa ci vuole coraggio, tanto coraggio. Antonello Soro è stato inizialmente preso da “tristezza, malinconia e tremenda paura del futuro”, sensazioni che paralizzano e quasi non consentono di trovare soluzioni.

 

(segue con STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2)

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2 di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA)

“L’accettazione della malattia è molto difficile ed in molti casi ricusata”, aggiunge il nostro G.B. precisando che le difficoltà aumentano con il passare del tempo aggravando ulteriormente la difficilissima impresa. Infatti, compiere il faticoso percorso di accettazione, diciamo come esempio, di un tremore, si spende tantissimo in termini di risorse psicologiche e personali; poi, appena riusciti nell’impresa ed abituati a malapena al tremore, ecco che già si presenta il prossimo ostacolo in forma di rigidità, freezing oppure rallentamento, e si deve ricominciare il lavoro daccapo. Questo continuo dover ricominciare logora tantissimo, e G.B. avverte “sapendo e sentendo dentro l’anima il rapace rimane a galleggiare nel dormiveglia del quotidiano, senza soluzione di continuità”.

Franco Simula concorda con quanto detto sinora ed aggiunge un elemento da non trascurare, le comorbidità, cioè spesso non si deve lottare solo col ‘rapace infingardo’ (cit. G.B.), ma anche con altre patologie (diabete, ipertensione, patologie ortopediche, ecc.) che altro non fanno che aggravare ulteriormente disagi e disabilità. Per non parlare dei disastri causati dal covid-19 con lockdown, isolamento, interruzione delle prestazioni assistenziali e marcata debolezza anche mesi dopo aver riscontrato il covid, come raccontato in (Il bersaglio mancato), (Parkinson e covid-19) e (Parkinson e resilienza covid-19).

L’accettazione della malattia promuove la motivazione e predispone alla volontà di ‘lottare contro su nemigu” (Peppino Achene). La battaglia potrà essere vinta solo se riusciamo ad attenerci alle precise indicazioni architettoniche del Tempio, che, tradotto in termini pratici, significa seguire certe linee guida con una buona dose di disciplina, cioè la consapevolezza della propria condizione e quindi la determinazione a voler cambiare il decorso della malattia e proseguire la propria vita familiare e sociale. Se riusciamo in questo, e soprattutto se riusciamo a non perdere di vista la nostra vita ed i nostri affetti, e non ci facciamo dominare dai pensieri e preoccupazioni, allora abbiamo creato buone basi per affrontare tutte le altre problematiche. Questo vale ovviamente per chi ha appena ricevuto la diagnosi o comunque sta ancora all’inizio della ‘battaglia’. Ma anche chi è più avanti con l’età e con la malattia, dovrebbe cercare di vivere con motivazione, conscio dei limiti ma anche delle proprie possibilità, potendosi ancora rendere utile, in famiglia come nonna/nonno, e nella società aiutando e motivando i più giovani (di malattia) con la propria storia e la propria esperienza.

Ed allora, G.B. propone, per evitare in tutti i modi l’isolamento, l’anticamera della depressione, di affidarsi alla ricerca scientifica.

Antonello Soro trova la soluzione e chiama “Dora ed il Frank, chiedo una canzone al nostro DJ” [Fabrizio Sanna], ‘cazzeggia’ sulla chat “perché la vita è bella, avere amici è bello e far parte della Family Park è bellissimo e, nonostante il Parkinson, il mio polso pulsa ed il mio cuore batte.”

Dora Corveddu aggiunge tre ottimi ‘mattoni’: un supporto psicologico per ammalato/a e familiare, maggiore coinvolgimento dei ‘caregiver, e maggiore informazione su malattia e terapie, e concorda con Antonello e Franco sull’importanza delle attività associative. E tutti si trovano pienamente d’accordo che l’unica via può essere solo l’accettazione, cioè affrontare attivamente le difficoltà. Franco Simula, in particolare, sottolinea che “piangere su se stessi genera pianto e depressione cioè non fa che accelerare la fine”, e vede nella volontà di ognuno l’elemento essenziale della gestione della malattia.

Porre queste indispensabili fondamenta del nostro Tempio dorico non è per niente scontato e per alcune persone può sembrare impossibile; in questi casi è consigliabile un supporto psicologico che aiuti nella accettazione. Mi raccomando, l’accettazione della malattia è il passo più importante, più delicato e forse anche quello più difficile, però, una volta compiuto questo primo passo cruciale, quelli successivi diventeranno comprensibili e superabili.

In questo sito si trovano molte storie e testimonianze di donne e uomini affette da Parkinson e dei loro famigliari, veri eroi, che non posso citare tutti ma che vale la pena di leggere spulciando ogni tanto il nostro archivio mese per mese, magari iniziando con (Custa est s’istoria de Peppino Achene) e (Profumo di Gelsomino – di Nicoletta Onida) per arrivare infine a (Il mio Parkinson – testo di G. B.) e (Il mio Parkinson – tra realtà e ironia. testo di Franco Simula). Vi dico che la lettura di questi, come i tanti altri contenuti in questo nostro sito, fanno riflettere e forse saranno di conforto e di aiuto per tanti; scritti teneri ed emozionanti, incoraggianti. A me hanno aiutato ad imparare il mestiere.

(segue con COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI) E mi raccomando, continuate a commentare e suggerire idee e quesiti; per il nostro Tempio ci vogliono ancora tantissimi mattoni.

 

Opera “Il Tempio Greco – Le sei colonne del Parkinson“.

Sinora pubblicati:

LE SEI COLONNE DEL PARKINSON

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO 2

CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2

Settembre – testi di Egle Farris

E , improvvisamente , agosto scivola in settembre , con alcune gocce di pioggia .

Un flash d’autunno . Con alcune gocce di pioggia .

La luce si arrende ,donandoci la dolcezza dell’uva , dei fichi  ,delle pere. Pure qualche castagna , sfuggita ad un riccio ribelle .

Oggi il clima è malinconico ,il fresco sfiora appena il caldo . Un fascino misterioso ed infinito, uno charme ed una grazia così profondi ….Questi giorni hanno una luce differente , poco accentuata ,non basterà tutto settembre per dimenticare il mare e la sabbia .

Dimenticare il sole che si specchiava e diveniva anch’esso verde e azzurro .

Anche i ricordi scivolano e se ne vanno ,forse resta in me solo l’ansia di una ragazza che non terminava mai di innamorarsi dei colori delle foglie .

Promesse e musiche e canzoni che si perdono nella memoria e nelle notti .

Passeggiare in un viale tranquillo ,chiudere un attimo gli occhi e sentire la prima foglia secca che scricchiola solo per te.

Una signora col rossetto Egle Farris

 

La MORTE di don Mario Simula testi di Franco Simula

Don Mario Simula

La cerimonia funebre in onore di Mario, celebrata nella Chiesa di S. Pietro in Vincoli a Ittiri, è stata un’intensa solenne preghiera.

Uno di quegli eventi che Mario aveva tante volte organizzato per la Chiesa: oggi la Chiesa ha voluto rendere a Lui un omaggio di riconoscenza dovuto a un fedele servitore.

La Messa funebre, celebrata dall’Arcivescovo di Sassari Mons. Gianfranco Saba, concelebrata da otto tra Vescovi operativi ed “emeriti” e oltre 40 presbiteri e diaconi, accompagnata dai cori di Ittiri e della parrocchia di Cristo Redentore è stata la rappresentazione vivente della grandiosità della Chiesa: una manifestazione di fede solenne e sentita, celebrata da quell’Istituzione che il linguaggio ecclesiale definisce ”Chiesa militante” e “Chiesa Trionfante”. (Congregazione dei fedeli che sono già nella gloria). Il presbiterio che ospita l’altare, centro sacrale della cerimonia, era perfino troppo piccolo per contenere lo stuolo di concelebranti disposti in ordine gerarchico.

P. Salvatore Morittu nella ricostruzione di un breve profilo biografico su Mario si sofferma sul dono della Parola che spesso sapeva trasformare in Verbo; a questo proposito P. Morittu ricorda un’omelia, quasi ispirata, fatta da Mario sul monte delle Beatitudini in Terra Santa: “Un pezzo di cielo irruppe nel nostro cuore lasciando tracce indelebili della Parola di Dio. Ricca ed efficace come lo è di per sé ma ancora di più attraverso la mediazione di don Mario”.

Uno degli obiettivi del suo Ministero era educare i giovani ad una fede libera, non imprigionata nei dogmi, ma sofferta e accettata dalla ragione. Una parrocchiana tormentata dai dubbi, fra le tante scoperte “guidate” da don Mario, in una riflessione-confessione dice: “Con lui la fede era qualcosa di ragionato, era un seme che aveva continuamente bisogno di nutrimento… poi i miei studi mi hanno portato altrove e la mia fede si è trasformata insieme a me, ma lui è rimasto una guida, perché non era solo un prete cattolico, lui era un padre, un uomo di altissimo valore, un esempio di vita da seguire.”. E ancora: “Ieri ci siamo incontrati di nuovo, credenti e non, per l’ultimo saluto…”, e inoltre “Ciao don Mario per essere passato nella mia vita. La certezza che porto dentro di me, da atea, è che tu non morirai mai perché ti porto con me… coi valori che mi hai trasmesso, e con cui spero di continuare, nel mio piccolo, a renderti testimonianza.”.

Questo era il rapporto di Mario con i giovani, difficile da gestire perché spesso avaro di risultati attesi, ma onesto nel trasmettere, spesso con sofferenza – da sacerdote –  valori obiettivi non sempre integralmente condivisibili.  Con i ragazzi di P. Morittu aveva instaurato un naturale e cordiale rapporto di amicizia e confidenza, tale che ogni minimo pretesto serviva per condurlo a s’Aspru per approfondire insieme ai ragazzi i loro problemi. Erano infatti una tradizione, per Natale e per Pasqua, gli incontri fra i ragazzi di s’Aspru e quelli della Parrocchia.

L’Arcivescovo nella sua omelia ha ripercorso a grandi linee le tappe sacerdotali e gli incarichi diocesani ricoperti da Mario. Fra questi ultimi, fiore all’occhiello per il Vescovo era la gestione dell’Ufficio catechistico diocesano, che trasmette la Dottrina della Chiesa. Era stato anche Vicario Generale del Vescovo.

Il fatto che don Mario sembrava non reggere il peso degli incarichi curiali determinò l’esonero da essi per raggiunti limiti di età.

In realtà negli ultimi quattro anni ha pubblicato due testi sulla catechesi della Chiesa che sono stati diffusi attraverso la CEI che ne rappresenta la fonte autentica . E ancora, poco prima di morire, aveva ricevuto le ultime bozze di un testo sulla Catechesi che avrà come titolo ”Dio si può vedere”, senza considerare i preziosi rapporti intrattenuti con le centinaia di persone contattate attraverso gli incontri  CAD (Catechesi A Distanza).

La CEI gli aveva chiesto di poter utilizzare le omelie della domenica dal suo sito internet per  diffonderle in tutta l’Italia attraverso il canale “Qumran”: l’ultima omelia l’ha pubblicata domenica 31 luglio 2022. Tutto ciò per dimostrare che il quasi ottantenne, ancora molto giovane nell’intelletto e nello spirito, era in grado di pensare, di creare, di essere fedele a quella comunità ecclesiale di cui era stato sempre al servizio. E’ stato per 6 anni responsabile a livello Regionale della Catechesi settore disabilità, tanto che aveva deciso di mettersi ancora in gioco reinvestendo l’esperienza maturata qualche anno dopo, quando, frequentando la Pontificia facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” ha incentrato la ricerca su “La partecipazione dei bambini e dei ragazzi con disabilità nella pastorale ecclesiale” e ancora ”L’inclusione dei bambini e dei ragazzi con disabilità nella catechesi e nella liturgia”.

In contatto con la diocesi di Livorno per cui era redattore di una rivista per giovani educatori 15/17 anni intitolata “Sentieri”, a maggio 2022 ha tenuto gli incontri di formazione a distanza per giovani educatori.

Alla cerimonia funebre erano presenti due Alpini con gagliardetto: rappresentavano un circolo di alpini presente a Carbonazzi che tutti gli anni, in occasione dell’Epifania organizzava, per i meno abbienti e per le persone sole, un pranzo e una giornata di svago in un salone dell’oratorio.

Nell’ambito della Folk Festa che da 37 anni Ittiri propone alla comunità sarda, Mario aveva pensato e realizzato la Messa dei Popoli, la preghiera cosmopolita del ballo e del canto di carattere biblico, “un volo a passo di danza”.

Un ultimo rilievo notato durante l’esecuzione dei canti religiosi previsti per le varie parti della Messa che avevano una monastica, coinvolgente, evocazione del canto gregoriano: una delle ragazze incaricate di dirigere i cori cantava, dirigeva e accennava una sua intensa partecipazione attraverso un lieve dondolio del corpo, ancora “un volo a passo di danza”.

Franco Simula

 

 

SU PULLMAN CUN SU FREEZING – Poesia di Franco Simula

SU PULLMAN CUN SU FREEZING

Dadu chi Maschu mi l’ad’ammentada
mi custringhet a mantenner sa prommissa
sa gita eallu già nos est costada
de ogni colore nos ‘ndat capitadu
Abba a trainu falaiat da-e chelu
randine mannu chi pariat ninzola
e nois che maccos sutta sa ranzola
chilchend’e nos coberrer cun giornales.
Invece ‘e istare in fila che crabolos
intrados esseremus a su pullman
a su mancu a-i custhu esserat selvidu.
Su pullman – betzu – no cheriat connottu
su motore andaiat toppi-toppi
e pariat chi aeret peldidu su motu. (Culpidu da-e Freezing improvvisu))
12 de Lampadas 2022
IL PULLMAN COL FREEZING

Dato che Marco me l’ha ricordata
mi costringe a tenere la promessa
ecco la gita già ci è costata
di tutti i colori ne son capitate
Acqua scendea dal cielo a catinelle
chicchi di grandine che parean nocciole
e noi qual matti sotto le gragnuole
cercavam di coprirci col giornale.
Più che restare in fil come caproni
entrare dovevamo sul pullmino
almeno a coprirci sarebbe servito
Il pullman - vecchio – non voleva visto
procedea zoppiccando il suo motor
sembrava avere perduto il bel fragor.
( Colpito da improvviso Freezing.)
12 giugno 2022

Franco Simula

P.S. Sia il testo italiano che quello sardo-logudorese sono scritti in rima sciolta, molto sciolta ...quasi liquida per poter rigustare meglio la fifa e le
risate dei giorni della gita del 28 maggio 22.

E CHE TREMORE SIA di Kai S. Paulus

Nei primi anni adolescenziali mi trovavo spesso sdraiato per terra insieme ai miei fratelli Patrick e Urs ad ascoltare le divertenti trasmissioni radiofoniche di Radio Luxembourg con Frank Elstner, che negli anni sarebbe diventato uno dei più famosi moderatori della televisione tedesca e ideatore di tanti programmi di successo, tra cui “Scommettiamo che…” molto noto anche in Italia.

Avevo perso le tracce di Frank Elstner, finché una settimana fa Patrick mi ha mandato una presentazione del libro “Dann zitter ich halt. Leben trotz Parkinson” (‘E che tremore sia. Vivere nonostante il Parkinson’), edito da Piper Verlag (Monaco di Baviera), in cui ho scoperto la malattia della star televisiva, oggi, ad oltre 80 anni, ancora in attività nonostante otto anni Parkinson.

Il libro è costruito in forma di intervista tra Elstner ed il suo neurologo prof. Jens Volkmann, ed i due passano in rassegna tutti i principali sintomi della malattia di Parkinson, dal tremore alla rigidità, dal freezing a sbandamenti e cadute, dalla micrografia alle discinesie, alla scialorrea e disfagia, fino al rallentamento motorio, ed i due si soffermano molto anche sui sintomi non motori, quali insonnia e disturbi del sonno, la depressione, i dolori, la stitichezza, la riduzione dell’olfatto. Tutti gli argomenti vengono trattati in modo sufficientemente approfondito ma in maniera comprensibile e spesso autoironica e simpatica.

La conversazione si snoda scorrevolmente, spesso intercalata con piccoli paragrafi su argomenti imparentati con il Parkinson, quali la sindrome delle gambe senza riposo, il tremore essenziale, i parkinsonismi, ed altri; molta attenzione viene dedicata anche ai cosiddetti segni prodromici, cioè quei sintomi con cui subdolamente e mascherato ha inizio tutto, molto prima delle prime manifestazioni motorie tipiche (rallentamento, rigidità, tremore), quasi all’insaputa della vittima che solo anni dopo, ripercorrendo la propria storia, coglie le avvisaglie nascoste (disturbi del sonno, stitichezza, depressione, ecc.).

Il libro non è un testo scientifico e presenta i disagi ed i problemi del Parkinson nella quotidianità della vita. E si parla dei familiari, dei caregiver, dei terapisti e dei medici, e per la prima volta ho letto delle raccomandazioni su come comportarsi davanti al medico che ho trovato una perspettiva insolita, visto che noi ci occupiamo solitamente solo del comportamento degli operatori sanitari e non anche viceversa.

Elstner e Volkmann discutono i vantaggi di una corretta dieta, le terapie con le loro possibili complicazioni, e soprattutto parlano del modo migliore per affrontare la malattia: rimanere attivi, dormire bene e affrontare il rapace infingardo (cit. G.B.) con decisione. Ma proprio qui il libro mostra, a mio avviso, il suo aspetto migliore, quando la star televisiva ogni volta si lamenta che gli viene difficile seguire tutti i buoni consigli a causa dei dolori, della lentezza dei movimenti, della fatica e dell’insoddisfazione generale, ed il professore ogni volta trova il modo di rasserenare il suo assistito.

Ho letto tanti libri scritti da persone che lottano contro su nemigu (cit. Peppino Achene), e penso che questo dialogo sia un ulteriore arricchimento. Speriamo che “Dann zitter ich halt” venga tradotto in italiano perché è ricco di situazioni che ogni persona affetta da Parkinson vive quotidianamente ma a volte non riesce a gestire nel modo migliore.

I mestieri scomparsi: il ciabattino – Testo di Egle Farris

Il ricordo sfilacciato e smagliato è un incrocio tra il Quasimodo di Notre-Dame e il più vecchio degli gnomi  delle leggende scandinave di un tempo lontano . Anche sciancato era , come se i cromosomi si fossero radunati tutti li , per l’occasione e senza alcuna possibilità di  plasmare almeno un modesto fisico . Solo il nome era quello di un grande  e famoso  e lui invece  , dalla nascita ,sempre piccolo era stato  .  Michelangelo era stato chiamato, e mai nome, in qualsivoglia persona  , fu così fuori luogo .  Ad ogni ora lo cercavi e trovavi in quel sottano in cima alla salita ,eternamente buio,una lampadina da 15 candele pendente da un nudo filo sul desco , sempre avvolto da un odore affumicato ed incancellabile di dozzinali sigarette .  Perchè Michelangelo , per avere un tozzo di pane  e sbarcare il lunario ,quando ancora non esistevano stracci di pensione ,faceva il ciabattino .  Sul davanti , un grembiule di pelle unto e bisunto ,dall’età misteriosa  e ragguardevole , Michelangelo sedeva su una bassa seggiola impagliata  ,gambe disposte in  parallelo , per accogliere il pesante piede di ferro che usava per risuolare e rattoppare scarpe dozzinali, immerso inesorabilmente in un miscuglio di odori di colla ,pece greca e cera turca . Il deschetto era diviso in scomparti , che accoglievano nell’ordine lesina ,forbici, martello ,trincetti di qua, “semenze”  d’acciaio di misure diverse di là ,tutti simboli del mestiere .    Era così misera la bottega che non aveva “dischentes”, apprendisti senza alcuna ricompensa che dovevano imparare in  un triennio  il mestiere ,rubandolo più con gli occhi che con le mani . Scarpe nuove  ne faceva raramente,un paio allora passava di padre in figlio , riparato sino all’estremo limite e “ferrato”.  (Ed ecco perchè al mio paese non si mettevano le scarpe al caro estinto ! )  Infatti sulla suola venivano inchiodate al tacco “sas bullittas” e alla punta “su puntale”, aggeggi di ferro dalla superficie arrotondata che frenavano l’usura della suola e scivolavano e schioccavano  “in s’ impedradu” , promettendo pericolosi  scivoloni ed impedendo a qualunque passo di restare anonimo e silenzioso .     Passò anni ,decine di primavere e gelidi  inverni   grami ,  ad inchiodare, rattoppare e pensare ,perchè cosa poteva fare se non pensare ,sempre solo con con le sue vecchie ,fruste scarpe ,sin quando se ne andò,  Michelangelo ,liberato infine da un corpo sgraziato che doveva aver odiato tutta la vita e da un immeritato ergastolo ,a cui lo aveva condannato  , lui innocente, una sorte , ria e perversa  , in un luogo buio ed umido  che era stato sempre la sua sola ,unica, tristissima immagine di casa.

Una signora col rossetto               

Egle Farris