Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

Cronaca di una battagliola con le formiche 26-02-2021 – Testo di Franco Simula


Era da tanto che non scendevo in giardino . L’occasione mi fu offerta casualmente dalla necessità di dover assistere l’autista che guida la macchina per il rifornimento periodico del gasolio per il riscaldamento.

Concluse le operazioni, in mezzo all’erba già cresciuta, l’erba della primavera ormai alle porte, vidi per terra, mezzo sepolti nel verde, dei bei mandarini che il vento dei giorni scorsi aveva stracciato dai rami con violenza ne raccolsi alcuni in una ciotola senza curare di verificare la loro integrità.
Dopo un controllo più accurato notai che le forti folate di vento avevano sbattuto violentemente per terra i mandarini e ne avevano squarciato le bucce. Naturalmente io volevo gustare i mandarini del giardino, quest’inverno non li avevo ancora assaggiati, provai a sbucciane qualcuno e con grande sorpresa li trovai invasi di formichine che, attraverso gli squarci nelle bucce, avevano trovato un varco comodo per insediarsi all’interno sicure di trovare vitto e alloggio gratis a portata di bocca. La mia reazione istintiva fu quella di schiacciarne una, due: .dio ne scampi! Fu un istantaneo passa-parola fra i piccoli insetti che cominciarono, quasi impazziti, a cercare le più svariate vie di fuga. Le formichine che si trovavano raggruppate per “famiglie” in punti diversi, si sparpagliarono immediatamente sul tavolo dove avevo deposto i mandarini facendomi presagire una possibile invasione per tutta la casa. In fretta e furia spostai i mandarini dentro un lavandino per poter dominare meglio l’invasione ma il risultato non migliorò di molto: le formiche continuavano a scappare dappertutto, disperate, alla ricerca di una via di fuga liberatrice . Cercavano di aggrapparsi alle pareti lisce del lavandino ma inesorabilmente scivolavano giù e quindi dovevano ritentare la risalita, più e più volte, ma sempre con lo stesso risultato. Un supplizio di Tantalo adattato alle formiche. L’idea di schiacciare le formichine non mi stava più bene, mi sembrava una soluzione facilona e poco dignitosa, allora pensai di aprire il rubinetto dell’acqua in modo da poterle convogliare nel canale di scolo e farle scomparire. Ma in questo modo – pensai – non è che evito di ucciderle ma addirittura finisco col praticare un’ecatombe di formichine colpevoli soltanto di esser penetrate incautamente dentro una possibile nuova abitazione provvista di tutti i confort. Tuttavia non mi sentivo responsabile di tanta malvagità perché – pensai – costruiscono le loro tane sotto terra, al buio, dove addirittura raccolgono le provviste, quindi se io le faccio scivolare attraverso un canale di scolo non solo gli risparmio una morte violenta e immeritata ma fornisco loro una inaspettata riserva di acqua che in certi periodi di siccità può anche far comodo e inoltre le rituffo al buio, sotto terra, in un habitat che già conoscono.
La storia iniziata in maniera violenta finisce con un sostanziale armistizio: loro cercando di adottare una sorta di resilienza (che in tempi di corona virus non fa male neppure alle formiche) ed io cercando di ricuperare qualche spicchio residuo di mandarino da gustare. Che, a dirla tutta, potevo cogliere comodamente dall’albero a portata di mano: invece no, mi ero impuntato ostinatamente a voler assaggiare uno, due spicchi dei mandarini trascurati dalle formiche per confrontarli con quelli che alla fine colsi dall’albero. Le formiche avevano scelto meglio: erano più dolci.
( f.s.)


Tempo di ….iniezioni – Testo di Egle Farris

Si esercitava su qualche vecchia mela, che poi mangiava comunque perchè sapeva che non ne avrebbe avuta un’altra . Lei diceva di no ma lo sapevano tutti e sorridevano con imbarazzo quando  magnificava la sua preparazione ed esperienza nel settore infermieristico .

Si era inventata un lavoro,per sopravvivere , in tempi in cui le pensioni sociali erano latitanti e di  lavoro ce n’era meno di adesso . Un lavoro a causa del quale tutti  i bambini del paese la odiavano e sentire che   “tia Marì  ” con le nocche stava bussando alla porta era un rumore che aggrinciava volto e capelli .                             

Si presentava eternamente con uno stinto vestitino  felpato a fiorami , cui aggiungeva uno scialle di bouclè in inverno , e con due occhi così  intensamente  celesti da parere  bianchi , che già questo ti inquietava peggio che se avessi visto un alieno. E una centenaria borsa , di cartone pressato e tutta screpolata che , quando pioveva, veniva riparata contro il petto . Conteneva i ” ferri del mestiere”, ” temutissimi da tutti i bambini e non mi si venga a dire che per gli adulti non fosse lo stesso .                                                                                                                       

Perchè tia Maria di mestiere girava per il paese praticando iniezioni . Zanzarina la chiamavano e mai nome fu meno appropriato, perchè, al suo confronto, chiunque praticasse un’iniezione  , un dilettante era stato . Piano piano , apriva la vetusta borsa sul tavolo, tirava fuori il bollitore d’alluminio , quelli d’acciaio sarebbero arrivati dopo , con un manico rovesciabile per aprirne il coperchio , e ai malcapitati si presentava una siringa giallognola di vetro spesso un dito ed un ago spuntato che più che ago era un residuato della prima guerra mondiale , una baionetta  in pratica.

Solo a questa vista immaginavi sciagurate conseguenze sul tuo bel giovane sederino . Perchè quelli erano i tempi post-bellici , quando il rachitismo e l’anemia la facevano da padrone . Quando si pensava che i famosi ” estratti epatici ” rosso sangue dentro una fiala da 5 cc ti avrebbero raddrizzato le gambe ed aumentato i globuli rossi . Che poi io capivo che erano estratti simpatici e non comprendevo come mai potessero esserlo  .  E cercavi di scappare, di nasconderti in soffitta, sotto un letto o dentro uno di quegli enormi armadi ma , loro , ti trovavano sempre ,come cacciatori sulle tracce della preda .                                                                                         

Piangente e tremebonda imploravi un fazzoletto da stringere fra i denti e vedevi intanto quelle mani aggrinzite che brandivano l’arma letale . Anche quel piccolo batuffolo  di cotone con un goccio di alcool ,era già un tormento  .

Il  trauma e l’urlo che seguiva la puntura mi risuonano ancora qui e quella siringa ci metteva un’eternita a svuotarsi e mi rivedo, dopo , a saltellare per tutta la camera gridando contro la malefica . E dopo un centinaio di salti e una caramella i lacrimoni finivano e per il giorno era andata ,sino all’indomani ,quando la  “majalza ”  rifaceva il suo consueto giro ,stringendo al fianco quella malefica borsa .  Chissà quante volte quegli arnesi non erano stati disinfettati o sterilizzati , chissà per quale oscuro ed incomprensibile motivo venivo sottoposta a quella sevizia .   Perchè di pura sevizia si trattava  , roba da telefono azzurro .      Ma allora vuoi mettere ,  in quei poveri tempi  ,pensare che tua figlia stava faceva una cura di estratti epatici ( o simpatici?) per combattere l’anemia allora imperante e raddrizzare le gambe  …….     E io  comunque pensavo che  mai ero stata anemica e  le gambe manco  una virgola storte  , dritte come un fuso  le avevo sempre avute….

Una signora col rossetto                                                                Egle Farris

 

In un testo del 1966 si parla di Parkinson

Testo tratto da Manuale di Medicina di Ulrico di Aichelburg. Pubblicato nel 1966.
Dopo aver letto la pagina sul Parkinson ho commentato ironicamente : vogliamo provare anche noi questa terapia?
Francesco Simula

 

Preannunciata donazione all’Associazione Parkinson

Vorrei informare tutti gli amici Park che è stata preannunciata una donazione all’Associazione Parkinson da parte del sig. Marco Fancellu presidente dell’Associazione “Orgoglio Bianco Blu” che prevede la vendita di sciarpe coi colori della Dinamo Basket. Il ricavato verrà devoluto interamente alla nostra Associazione. La vendita inizierà fra qualche giorno e si protrarrà sino a luglio. Prossimamente conosceremo le modalità di acquisto.
                          Franco Simula

Il senso della vita – testo di G.B.

 

 

 

 

 

Il vecchio Thimor ,

nella sua lunga vita ha molto

viaggiato così come ha amato.

Ora a riposo,

nella casa che affaccia sul porto

guarda le barche ormeggiate;

altre che passano,

solcano  onde spinte dalla brezza di ponente,

verso destinazioni ignote,

al nocchiero ricordano i suoi viaggi,

che la memoria silenziosa gli riporta.

Il suo sguardo ferito  dai

bagliori di fuoco del tramonto

trova quiete sul mare di perla.

lontano, nel tepore salmastro della sera

lontano qualcuno canta,

e il pensiero riflesso

rincorre i timori dell’anima;

cirri  mutevoli,

impetuosi in  mare aperto

dilatano la sofferenza.

Rigato è il volto di pietra

che la bruma avvolge con

innocente carezza.

Scevro di coscienza

è il dilemma

che rovista l’arcano .

La vita rivive nella memoria

di ciò che è stato,

o il senso della vita è altra cosa ?!.

G.B.

La deposizione del Venerdì Santo – testo di Franco Simula


Da alcuni anni ormai il numero dei confratelli incaricati di provvedere all’adempimento dei riti previsti per la Settimana Santa si riduceva sempre più di numero; ne erano rimasti solo due, vecchietti, pieni di acciacchi e di dolori e pertanto impossibilitati a compiere in sicurezza tutte le operazioni che il rito pasquale richiedeva, compresa la salita e la discesa dalla scala appoggiata alla croce del Cristo crocifisso. Già da alcuni giorni il parroco, in ambasce, ci parlava del problema prospettando anche l’eventualità di un Venerdi Santo senza la classica e tanto attesa cerimonia de “s’iscravamentu”. D’altronde una Confraternita non si poteva improvvivare da un giorno all’altro: occorrevano le vesti , i nastri, i cappucci adatti per ciascuno e soprattutto un’adeguata preparazione della cerimonia che doveva procedere in sintonia con la narrazione della passione del Cristo che il predicatore raccontava dal pulpito rispettando anche lui alcuni passaggi obbligati. A questo punto il parroco azzardò una proposta tanto inaspettata quanto improbabile: chiese a me e a Mario Faedda ( che qualche anno dopo diventò il Notaio M. Faedda) se eravamo disposti a interpretare la parte di almeno due dei discepoli che assistevano Gesù nelle tragiche ore della sua Passione e cioé Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo. Secondo il racconto evangelico i due raccolsero il corpo esanime di Cristo e lo deposero nel sepolcro. La proposta ci colse di sorpresa perché conoscevamo, si, il racconto evangelico ma ci mancava un minimo di coordinamento col predicatore del venerdi santo. Che era il giorno successivo. Eravamo due ventenni giovani e disinvolti e con incoscienza giovanile decidemmo di interpretare la sacra rappresentazione.
Ci presentammo qualche ora prima della cerimonia perché dovevamo prendere un minimo di confidenza con gli abiti di foggia completamente diversa dagli usuali, lunga tonaca bianca tipica delle confraternite, copricapo simile a una mitra vescovile, folta barba applicata al mento ed esposti su un ampio bancone logorato dall’uso e dal tempo tutti gli attrezzi (martello, tenaglie, chiodi, corona di spine) che avremmo dovuto maneggiare di lì a qualche ora per la deposizione del Cristo: Mario avrebbe impersonato Giuseppe D’Arimatea, io Nicodemo. La cerimonia avrebbe avuto inizio all’imbrunire. Il venerdi santo le campane rimangono mute, solo i crepitacoli annunciano l’inizio della cerimonia col loro rumore gracchiante.
La chiesa, come tutti gli anni, era gremita da una folla delle grandi occasioni.
A interrompere il bisbiglio diffuso che si percepiva nella chiesa, ieratica, comparve sul pulpito la figura di un sacerdote che cominciò a raccontare la storia della passione, crocifissione e morte di Gesù. Da questo momento i due nuovi confratelli, seduti ai piedi della croce collocata per l’occasione, dovevamo stare attentissimi allo svolgimento della narrazione perché a un certo punto saremmo diventati gli esecutori materiali della deposizione dalla croce del Cristo morto.
Il sacerdote riferì con grande partecipazione, a tratti con parole che inducevano alla commozione, momenti particolari della vita di Gesù e infine la dolorosa salita al Calvario, la Crocifissione, la Morte. Finalmente era arrivato il momento della nostra partecipazione attiva alla cerimonia. Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo cominciarono a salire le scale appoggiate ai due bracci della croce. Il sacerdote, rivolgendosi alternativamente ai due confratelli, li invitava a liberare Gesù dagli attrezzi che erano stati strumento atroce di morte. “ Tu Giuseppe D’Arimatea, libera dal chiodo la mano destra di Gesù che tanto bene ha dispensato durante la sua vita terrena”. “E tu Nicodemo togli dal volto del Salvatore quella corona di spine che gli era stata conficcata come scherno per ché si era dichiarato Messia e Re Universale”.
Il medesimo invito fu rivolto ai due confratelli affinché togliessero i chiodi che avevano trapassato la mano sinistra e i piedi che avevano attraversato la Galilea dispensando un nuovo Verbo di pace e amore. “ Mostrate questi strumenti di morte al popolo pietoso e deponeteli nel grembo della Madre Addolorata che tante sofferenze ha dovuto patire assistendo alla crocifissione e morte del Figlio. Adesso deponete il corpo esanime di Cristo nel sepolcro-lettiga per Lui preparato e trasportiamolo tutti insieme nella chiesetta che lo ospiterà e dove rimarrà esposto al culto dei fedeli sino al prossimo anno quando riproporremo le celebrazioni religiose della Settimana Santa”.
Si era conclusa in maniera soddisfacente per tutti la nostra estemporanea partecipazione come improvvisati confratelli ai riti della Settimana Santa. Avevamo tenuto viva una tradizione che rischiava di interrompersi per mancanza di “attori”; avevamo risolto le ansie del parroco che non sapeva più che santo invocare; infine anche Mario ed io avevamo goduto di un imprevisto momento di notorietà che ci aveva fatto trascorrere una Pasqua ancor più felice.

Franco Simula


UNO SPLENDIDO PESCE D’APRILE di Franco Simula

Il 14 marzo 2018 segna una svolta nell’annosa questione dell’ambulatorio Parkinson. Convocati dal dott. Pintor e dal dott. Licheri, in rappresentanza dei direttori generali dott. Moirano e dott. D’Urso, al presidente e alla vicepresidente della nostra Associazione viene data lettura della convenzione intercorsa tra Ats Sardegna e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari per assicurare la gestione di un percorso clinico assistenziale a favore dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson e malattie correlate. La convenzione prevede anche che l’Aou di Sassari metta a disposizione, a supporto dell’attività dell’Azienda Tutela della Salute, un dirigente medico neurologo, identificato nella persona di Kai Stephan Paulus, che da anni si occupa della malattia di Parkinson e pertanto rappresenta un punto di riferimento per i pazienti e le relative famiglie.

Si tratta, finalmente, di un ambulatorio dedicato esclusivamente al Parkinson e ai disturbi del movimento, mettendo fine allo stillicidio degli appuntamenti rimandati, quando si era fortunati, da un mese all’altro, e in mancanza di un intervento tempestivo, intasando il Pronto Soccorso o ricorrendo al ricovero. Con i costi umani ed economici che purtroppo molti di noi hanno dovuto sperimentare.

Il 14 marzo, dunque, ci viene annunciata la data di partenza del nuovo ambulatorio al 1° aprile. Possibile, proprio il 1°aprile ? che, guarda caso, è il giorno di Pasqua ? Non sarà un pesce d’aprile, o uno scherzo feroce? Nei vari incontri tra una nostra rappresentanza e i massimi dirigenti della Sanità della Sardegna, questi si sono mostrati sempre sensibili e disponibili ad affrontare e risolvere il disagio connesso alla mancanza dell’assistenza sanitaria continuativa indispensabile a pazienti cronici e con malattie neurodegenerative come la nostra. Tale disagio si era manifestato in svariate occasioni in conferenze stampa, articoli sui principali quotidiani e su alcune tv locali. Le assicurazioni dei Dirigenti Sanitari, però, non trovavano una concreta attuazione in tempi secondo noi ragionevoli, ma considerando tuttavia che il provvedimento che ci riguardava era solo uno delle centinaia di delibere da adottare, abbiamo tenuto viva la fiammella della speranza…e poi, ecco, finalmente l’ambulatorio Parkinson: veramente uno splendido pesce d’aprile.

Pasca ‘e Abrile – testo di Egle Farris


Cozzula con l’uovo

Così la chiamavano, per distinguerla da quella che allora veniva consacrata come Pasca ‘e Nadale nel mio piccolo, indimenticato paese.

Le immagini sgranate sono quelle della casa del pane, così chiamavano quelle due stanze in terra battuta, col cortile, il pozzo e la legna  accatastata e lingue di rosso fuoco nel forno…e le “luscie” piene di grano con le trappole per topi tutt’attorno e le pannocchie, prese per i capelli e appese alle travi …e mani che impastavano farina e secchi d’acqua tirati con affanno …e campane legate e slegate che non capivo mai cosa dicessero gli adulti a questo proposito e il giovedì a vedere nelle due chiese i “sepolcri”, parola evocante misteri incomprensibili ed inaccessibili a noi piccini , alti verdi fili  attorniati da nastri colorati e il  bianco tenero dei germogli del grano o delle lenticchie dritti ed incolonnati, che li volevo sempre accarezzare, ma non si poteva, non era riguardoso … ci dicevano.

E noi non toccavamo anche se non capivamo cosa fosse riguardoso…

E la Madonna nel suo simulacro sempre nero e addolorato, portata in giro per le strade sibilanti solo di vento, strette e silenziose ,e donne nero-vestite coi capelli sciolti che riempivano quei silenzi di pianti ed implorazioni….e i bambini  vestiti da angeli, addobbati di lustrini e catenine d’oro cucite abilmente  a scanso di lunghe mani e che gli usciva l’alluce dal buco della scarpa troppo piccola …e le pulizie pasquali con l’unico detersivo esistente marca  “olio di gomito “, che si sciorinava tutto ai primi soli dalla finestra  finalmente aperta ….e la benedizione di quelle povere, lustre case col prete in cotta e i chierichetti tronfi con il paniere delle offerte dove qualche uovo aveva già fatto la frittata e la bisaccia per i dolci e il sacchetto ,piccolo ,per i soldini …che pochi ne venivano elargiti e la veglia della notte del sabato, tutto al buio col solo chiarore di una candela e una fiammella ,perché doveva rinascere, ma chi? mi chiedevo, chi? …..e poi la domenica quello scampanio che riaccendeva sorrisi e auguri e felicità….e poi tutti quei giorni di confusi, 000 intrecciati avvenimenti, persone, silenzi e misteri  e candele e Madonne in processione allora si perdevano e fuggivano e non mi facevo più domande, dimenticavo tutto di fronte  a quelle “cozzule ‘e s’ou” con innumerevoli forme di biondo pane frastagliato come ricamo, con un uovo sodo al centro ed un nastro bianco attorno, che era la cosa più bella mai uscita da quella casa del pane …….

Una signora col rossetto                                                       Egle Farris


Racconto breve – il tram n° 77 testo di G.B.


Sei precipitata nel mio cuore prima ancora di conoscerti, con l’ irruenza del destino;

il tuo il sorriso, lo sguardo, l’incedere,  erano già  parte di me, mancava la tua figura, la tua presenza ; sapevo che saresti arrivata e ti  avrei riconosciuta al primo sguardo del nostro primo incontro.

Così pensava Emiliano nel suo intimo, < ” la sua donna  l’avrebbe  riconosciuta tra mille ” > ,  doveva  aspettare,  doveva solo aspettare.

Nell’attesa, nel suo girovagare di  giovane pubblicista “freelance” di un giornale sportivo, non aveva disdegnato amicizie con colleghe e altre amiche occasionali; ma erano state storie sentimentali di poco conto, relazioni superficiali, prive  di veri sentimenti amorevoli  e nessuna  sopravviveva all’usura  del tempo; rapporti, per così dire,  vissuti e consumati in fretta, senza pretese ne rimpianti.

Il suo lavoro, nella scala dei valori , era al primo posto; era così importante da decretare la fine di un rapporto prima ancora che lo stesso mettesse radici.

Le relazioni , semplicemente finivano,  senza “lacrime” ,  e di loro rimaneva solo uno sbiadito ricordo, poi dimenticato.

Poi, fu l’incontro galeotto, nel tepore di una primavera  incipiente, alla fermata  dei  tram  n° 19 – e  n° 77 – di piazzale Loreto.

<Quando sono arrivato, lei era già in attesa del tram, lo sguardo fisso  sul cellulare, estraniata da tutto,  si distingueva da quanti gli erano intorno>.

Una figura snella, decisamente alta,  ben proporzionata nel jeans attillato; mocassini,  camicetta in tinta , e blazer  poggiato sul braccio completava la sua  “mise minimalista”;  la sola concessione alla civetteria  femminile era la  borsa firmata che teneva a  tracolla.

Nel vedere la sua figura così appropriata, d’istinto, mi sono rivolto a lei chiedendole  < ” il  – 77 – è già passato ?! ” ( …. )>  lei,  sempre confinata sul suo  cellulare non dava ascolto , perciò , schiarendomi la voce, in modo da attirare la sua attenzione, ho ripetuto la domanda con tono più alto  – dopo  un tempo che a me  è sembrato lunghissimo, disinvolta, ha rivolto il suo viso al mio.

Nel voltarsi,  con gesto naturale, i suoi capelli  castani  si sono scomposti e lei li ha ravviati intrecciandoli tra le dita, così da rivelarmi  il suo volto (….) !!

In quel preciso momento un tumulto di sentimenti mi è esploso dentro, – non ho  sentito la sua risposta – ,  ma uno  scossone che mi percuoteva l’anima !!.

L’ incarnato del viso esaltava il sorriso aperto,  la voce flautata,  che  in quel momento poteva aver detto qualunque cosa, mi giungeva come una musica che stordiva i sensi,  e il suo sguardo diretto, color ambra,  penetrava il cuore artigliando i battiti  che acceleravano senza ritegno.

Era Lei ( ….. )!! a conferma,  il raffinato e semplice modo di porsi, che denotava una personalità decisa  e tenera al contempo, mi aveva già conquistato.

Comicamente confuso,  <ho solo occhi per il suo viso radioso > ,  mi rendo  conto  che mi guarda con espressione divertita , (….) < mi scuoto > , e la sola cosa che riesco a farfugliare dopo essermi ripreso é : < ” in attesa del prossimo tram, posso offrirle un caffè ” ?! >  lei,  sempre più divertita annuisce chinando la testa di lato !!  così , con sguardo complice ci  avviamo  al bar dell’angolo  (…..)  incontro al nostro caffè e la nostra storia !!

Epilogo:

Non è dato sapere se la storia tra Emiliano e Ludovica, questo è il nome di LEI, sia sbocciata  e loro siano le due anime gemelle  che la storia promette.

Il lettore può dare il seguito che preferisce;  a me resta il gusto del racconto e il sottile confine confuso  tra realtà e sogno.

g.b.


Vi narrerò di tre secoli, due donne, un sogno – testo di Egle Farris


Vecchia .  Vecchia e rassegnata .

Già vecchia e rassegnata lo nacque ,la mia prozia ,circa venti anni prima della fine dell’ottocento                

Sempre così arrendevole, ignorata ,vecchia e rassegnata . Labbro superiore con neri baffetti d’ordinanza , come imponevano le regole di allora , un rosario dai grani  di legno consunti sulla sinistra, snocciolato continuamente e la destra impegnata a servire . Perché allora le figlie zitelle ,chiamate  solo zia col loro cognome, come  dalle convenzioni sociali  e verbali ,assolutamente da rispettare, a quello erano destinate ,servire il resto della numerosa famiglia.   E lei trascorreva gli anni in quella cucina col pavimento scuro ,con una finestra così in alto che ci voleva una sedia per aprirla e il cielo era sempre troppo lontano . Stagioni ,inverni , estati passate tra due guerre ,il fuoco sempre acceso in un camino ad angolo,un tripode troppo nero ed infernale, che accoglieva una padella esagerata . E io mi saziavo di quelle frittelle infinitamente lunghe, morbide e spugnose ,di quelle “origliette” intorcinate e tuffate nel biondo miele ma…..in cambio lei pretendeva  e mi insegnava , nonostante la mia ritrosia, con fermezza e convinzione, una preghiera  sarda sugli angeli ,che dopo oltre settant’anni , ricordo ancora ….     E fu così che , un giorno , il più impaziente dei nipoti , trovò nel minestrone  un crocifisso alto un palmo , caduto, ovvio ,dal suo rosario. La scena ,tragicomica, fu lunga e feroce e lei che sempre aveva abbassato la voce e la testa ,la alzò un’unica  volta quella testa ,guardò tutti,uno ad uno ,e non volle più fare niente, chiusa in un silenzio che solo lei sentiva assordante e in giorni senza speranza , sino a che se ne andò, qualche attimo prima della mezzanotte del 31 dicembre di un anno immemorato ,come se anche quello nuovo ,che galoppava veloce,  l’avesse rifiutata ………                                                                                                               

E quando , perso tutto per me nella memoria , venti anni fa ,mi arrivò per vie traverse ed imperscrutabili, l’ unico tesoro materiale da lei mai posseduto ,ho cercato in ogni luogo dove sono stata, le statuine di un angelo .  Non mi chiedo il perché ,ma il primo gesto che compio al ritorno è   sempre quello di aprire la “sua” credenza ed aggiungerne altri , come fossi stata invitata e destinata a vivere nel terzo secolo  .

E mi accade allora qualcosa di immaginario ed illusorio  , che non ritorna  , stimolante e rigenerante di tutti i miei sensi .Inizio a provare sensazioni ,nelle quali mi smarrisco e tento di tornare in me ,ma vengo trascinata in silenzi abissali e luci all’infinito ,nei silenzi più profondi e velocità che noi non siamo in grado di quantificare . Mi smarrisco e mi anniento  in sogni ritrovati, dopo averli perduti. Con lo sguardo pronto al  silenzio, nella solitudine spaventosa degli spazi e tempi inesplorati. Spazio e tempo che non esistono più. E così ,lasciandomi trascinare per prima,  come lei nata vecchia ,  nata io inguaribilmente, irreparabilmente , inesorabilmente  agnostica , assisto però in quel preciso momento ad una esplosione di luce che mi divampa negli occhi e nel cuore facendomi tremare ogni singola cellula . Sento dappertutto che quegli atomi di lei ,che viaggiano alla velocità della luce in algidi luoghi e spazi  atemporali  e silenziose stelle che iniziano e terminano in  mondi che non capiamo e  che non ci è dato sapere , fuggiti alla gravitazione , si fermano un nanosecondo di un tempo eterno ,perpetuo ed inestinguibile e “sentono” che una donna ancora la ricorda e può aspettarla ed invitarla ad esplorazioni inimmaginabili  a mente umana  .Solo che abbia voglia  di trasformarsi in lucenti e sfavillanti  atomi come lei ,donna  che dai conformismi  sociali dei suoi tempi , da un fato e da una vita ingrata, arrogante  ed avarissima non ebbe neppure la gioia di essere chiamata col solo  dono che ebbe ,il  magnifico nome  che portava .

LEONTINA

Una signora col rossetto                                                Egle Farris

Lawrence Maxwell Krauss .      Ispiratore dei miei sogni .

“La cosa sorprendente è che ogni atomo nel tuo corpo viene da una stella che è esplosa.

E gli atomi nella tua mano sinistra vengono probabilmente da una stella differente da quella

corrispondente alla tua mano destra.

È la cosa più poetica  che conosco della fisica .

Tu sei polvere di stelle ” .