Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

La forza del Coro – testi di Romano Murineddu


La forza del coro

La bellissima e affettuosa lettera che Eleonora Corveddu ci ha dedicato in occasione della recente visita a Pattada è una carezza e un incoraggiamento per coltivare questo tipo di incontri. Sono parte importante delle nostre attività e alimentano la voglia e il piacere di stare insieme.

Sono occasioni che aiutano noi e “gli altri” a guardare la nostra malattia sotto una luce diversa da quella buia e triste che comunemente si immagina. Purtroppo il Parkinson, malattia tutt’altro che rara e spesso molto invalidante, evolve in forme diverse per varietà e gravità e la scienza, allo stato attuale, non riesce a fornire cure risolutive. In parole povere, non si può guarire ma si possono lenire gli effetti più angoscianti. La stravagante brigata che organizza e anima questi incontri si propone questo scopo. In pratica, non pretende di pubblicizzare e stupire il mondo con le meravigliose conquiste conseguite dall’Associazione, ma di raccontare il cammino percorso che, alla luce dell’esperienza, appare valido e percorribile per chi lo volesse o dovesse intraprendere.

E’ certo che se lo scopo fosse limitato alla divulgazione della nostra esperienza, l’invito ad unirsi alla comitiva non susciterebbe grida entusiaste di partecipazione. Il parkinsoniano è sempre molto disponibile verso il prossimo ed è sempre pronto ad aiutare chi ne ha bisogno. Però, se deve sobbarcarsi lunghi viaggi in bus, col tormento degli acciacchi e senza possedere più il vigore giovanile di tempi ormai lontani, solo allo scopo di fare opera di proselitismo, valuterebbe la cosa poco attraente. Nell’immaginario collettivo possiamo anche essere visti come pigri e sfaccendati vecchi pensionati, ma nella realtà siamo tutti pieni di impegni: aiutare figli e nipoti a disbrigare certe pratiche, lavori casalinghi inderogabili, snervanti appuntamenti ambulatoriali (e questa purtroppo non è una scusa, ma è motivo verosimile!). L’evento allora, grazie all’opera paziente della dirigenza dell’Associazione è associato ad attività più leggere e svaganti. Tenendo ben fermo il concetto che l’obiettivo vero è quello missionario di cui sopra, se non si vuole essere inceneriti dalla folgore della Presidente.

E allora ecco lo svolgimento tipico della giornata. Dell’aspetto divulgativo si occupa la Presidente: chi siamo, perché siamo qui, cosa rappresentiamo …. Ama volare alto, in coerenza col motto dell’Associazione, spargendo parole di saggezza ed esperienza vissuta. Ricorda aneddoti e illustra, con minuziosa dovizia di particolari, la storia dell’Associazione: le difficoltà operative, i vari progetti che è riuscita a realizzare, la rete degli specialisti che collaborano per mantenere nel migliore stato di forma i diretti interessati. E non solo quelli. Ama la precisione e il dettaglio. Rivolgendosi con appassionato calore alla mente e al cuore degli ascoltatori si propone di stimolare nell’uditorio lo stesso spirito di iniziativa e la volontà di ricalcare le stesse orme. E anche se qualcuno, come può succedere, all’apparenza tradisse qualche segno di estraniamento al discorso (Luca qualche volta lo fa, in modo inequivocabile), non allenta o abbandona la presa e insiste sui concetti senza battere ciglio.

La visita o la gita o il viaggio comunque si voglia chiamare, avviene a bordo di un bus, di solito abbastanza grande per ospitarci tutti e forse poco adatto alle strettoie di certe località. Richiama l’attenzione e la curiosità dei cittadini locali. Forse qualche giovanotto si aspetta di veder scendere giovani e bionde fanciulle: se così fosse, la delusione sarebbe immediata. Non tanto immediata, perché l’operazione di sbarco, tra indolenzimenti di tipo reumatico e manipolazione di carrozzelle, richiede un certo tempo per essere portata a termine e anche una certa calma. Calma che non c’è: un po’ perché si verifica una gara di corsa per mettersi in fila per accedere al bagno del bar più vicino e un po’ perché intorno alle carrozzelle si forma un assembramento di persone, tutte ben intenzionate a offrire la propria generosa assistenza. Spesso nella calca avviene che si pestino i piedi di qualcuno, che ingenerosamente si lamenta, e nei casi più gravi si rimedia anche qualche frattura. Dopo il doveroso ristoro e un frettoloso giretto nel paese, a generale richiesta si decide di andare a prendere posto nel ristorante prenotato. Quindi, nuovo imbarco. Operazione altrettanto laboriosa quanto lo sbarco precedente. Qualcuno, con fare prudentemente circospetto, borbotta che sarebbe stato più opportuno partire un po’ più tardi e sbarcare direttamente sulla porta del ristorante, saltando direttamente i preamboli precedenti.

Alla fine siamo tutti sistemati a tavola, pronti ad apprezzare le specialità della cucina. Il tutto è perfettamente organizzato e il menu, a parte rare intolleranze verso qualche tipo di cibo, peraltro preventivamente segnalate, accontenta tutti. Del resto le pietanze concordate non consistono in brodini e verdurine delicate, come potrebbe far pensare l’età media dei commensali, ma sono nel pieno rispetto della cultura sarda: maialetto in primis, salumi, formaggi pasta tipica locale. E per finire, filuferru, mirto, limoncello.

Dopo alcune ore arriva il momento di spostarsi nel luogo deputato alle cose serie, ai discorsi. Bisogna farlo col bus, e quindi nuovo imbarco e conseguente sbarco. Magari con l’aggiunta di una digestiva camminata in salita, necessaria per raggiungere la sede, e utile per favorire la digestione. Siccome è prevista l’esibizione del coro, quello dell’Associazione ovviamente, il nostro Fabrizio, maestro di canto e direttore dello stesso, si dà da fare per sistemare fili, microfoni e altoparlanti per il concerto. E’ sempre pieno di impegni e attività legate alla sua arte, eppure non  ci abbandona al nostro destino, anche se deve caricare il proprio furgone di pesanti e voluminosi strumenti musicali e percorrere parecchia strada per raggiungere la località.

Siccome faccio parte del coro, e insieme a me i miei familiari, e sono ben consapevole delle capacità artistiche della famiglia, ogni volta mi chiedo se Dora, che è molto orgogliosa delle nostre doti canore, si renda conto del materiale che ha a disposizione: con tutto il rispetto per i tanti che il canto lo sanno fare e con tutta la comprensione per chi cerca di imboscarsi vocalmente e si limita a sussurrare badando a non farsi sentire. Bisogna riconoscere il grande merito del maestro se lo spettacolo è generalmente bene accolto e anche omaggiato di calorosi applausi. Voglio sperare che ciò avvenga per sincero apprezzamento e non per dovere di ospitalità.

In realtà il gradimento dell’esibizione, a parte sicuramente la buona predisposizione all’ascolto del pubblico, penso sia dovuta al coinvolgimento spontaneo naturale che si crea col canto corale. Dopo i primi attacchi tutti sentono di unirsi al canto, lasciandosi trascinare in piena sintonia. Mi ha colpito, in occasione dell’ultima esibizione la richiesta da parte del pubblico di un brano non previsto nella

scaletta programmata. Dopo una breve consultazione tra maestro e coristi abbiamo accettato la sfida e il brano è stato cantato da tutti, pubblico compreso.

Credo che, la funzione del canto sia proprio questa e sia occasione molto valida per sentirsi legati e solidali.

Romano Murineddu

In Memoria di Piero Faedda – testo di Franco Simula

All’inizio eravate in quattro: Franco Delli, Peppino Achene, tu Piero Faedda e tu moglie Graziella Manchia.

I quattro entusiasti erano caricati nella giusta misura da quel generoso “visionario” che è il dottor Kai Paulus, da sempre aperto a nuove ricerche e conoscenze. L’entusiasmo di questo modesto manipolo diventò presto un gruppo numeroso, in grado di organizzare esercizi di fisioterapia guidati da Pinuccia Sanna; resta memorabile la rappresentazione teatrale “Romeo e Giulietta, quarant’anni dopo”, rivisitazione di Shakespeare scritta da Franco Enna, alla cui rappresentazione avevano partecipato attivamente molti nuovi iscritti che nel frattempo avevano aderito con grande disponibilità alla Associazione Parkinson che era ormai una realtà consolidata.

Piero era di carattere gioviale ed estroverso, un esperto elettrauto in grado di soddisfare i clienti più esigenti accompagnato sempre da un sorriso smagliante e coinvolgente, che non negava a nessuno.
Nonostante la malattia lo avesse colpito precocemente, è rimasto al suo posto fino alla pensione, e sempre sorretto da una profonda fede si è poi dedicato insieme a Graziella al volontariato presso i Salesiani nella chiesa del Latte Dolce.

Circa un mese fa, Piero ci ha lasciato, come molti altri prima di lui; oggi, dopo lunghe sofferenze, si trova oltre le stelle nella gioia della Luce Eterna.

           Franco Simula

A Tonino Marogna – testo di Franco Simula


A TONINO MAROGNA

          Una folla di parenti, amici e soci dell’ Associazione Parkinson ha partecipato commossa al rito funebre di Tonino Marogna, celebrato mercoledì 30 ottobre 2024 nella chiesa della Sacra Famiglia.

Sin dalla fondazione dell’Associazione, Tonino è stato una colonna portante, dimostrando passione, dedizione, impegno e generosità.

Tonino Marogna è stato una roccia polimorfa, che è andato man mano sgretolandosi solo in questi ultimi mesi, ormai aggredito da un male incurabile, mai domo pur dopo aver superato un intervento chirurgico di notevole gravità.

Da sempre innamorato della moglie Adelaide, suo  personale caregiver o come lui stesso scherzando si definiva, portatore sano di Parkinson, da sempre amico di Giuseppe Cossu col quale condivideva la passione per il calcio. Tonino fu dipendente attento al Petrolchimico di Porto Torres, dove teneva un occhio vigile alla salvaguardia del territorio dallo smaltimento delle scorie di lavorazione fino a quando,  dopo l’esperienza turritana, venne assunto al Banco di Sardegna dove in breve divenne  “la chiave” della cassaforte del Banco perché gli vennero affidate le mansioni di manutentore delle casse di sicurezza della Banca, ancora una volta come riconoscimento di dedizione e affidabilità.

Nella sua ormai non più breve storia l’Associazione Parkinson è stata ospitata in spazi diversi ma prevalentemente nelle scuole. Attualmente l’Associazione ha una sua sede propria, nella quale opera ormai da alcuni mesi e svolge le sue attività: ma lo spazio che Tonino ha vissuto, curato e frequentato più a lungo e con maggiore attenzione è stata la Casa di Via Rolando, avuta in affitto dall’Orfanotrofio. Lì ogni angolo reca la firma di Tonino, o per avere ripreso un pezzo di muro o per avere imbiancato o curato il giardinetto esterno, rifatti i serramenti, o per avere sempre, instancabilmente svolto il ruolo di custode e manutentore dei locali.

L’Associazione Parkinson è stata la passione più coinvolgente, da lui curata fin dalla fondazione originaria insieme ad Adelaide; grazie alla loro estesa rete di conoscenze sono riusciti a farci ottenere degli inaspettati benefici come ad esempio il Pullmino e svariate altre attrezzature d’ufficio.

          Grazie,Tonino, vola verso le stelle nella luce eterna

Franco Simula

Il coro Volare si Può si esibisce a Tissi


Tissi, Piazza del Comune, 27/06/2024</p

2024© Maria Vittoria Tortu

2024© Isabella Soriga

2024© Isabella Soriga

2024© Isabella Soriga

2024© Isabella Soriga

2024© Isabella Soriga

Che c’entra F. Kafka? testo di Romano Murineddu

Che c’entra F. Kafka?

Ho visto un bambino gattonare da solo. Avanzava, si fermava, si voltava a guardare il padre dietro di lui, e poi riprendeva senza paura. Così, diverse volte, fino ad allontanarsi tanto che molti erano in apprensione, ma non lui né il padre.

Non ho potuto resistere a questa immagine. Forse perché mi sono sentito come quel bambino oppure per la curiosità di vedere dove l’autore voleva andare a parare. Ho subito avvertito che la cosa poteva riguardarmi. In prima battuta magari come padre, perché anch’io ho un figlio che “gattona” e non è né sarà mai capace di affrontare la vita senza paura. Ma, posso essere stato io, e sarò, il padre rassicurante che gli dà la forza e la spinta per proseguire nella sua strada? Il mio deficit neurologico è compatibile con questa funzione che il destino mi ha assegnato, coinvolgendo tutto me stesso al massimo delle mie capacità?

L’autore dello scritto (Alessandro D’Avena, cura una rubrica del Corriere di lunedì) è un professore-scrittore-sceneggiatore particolarmente impegnato nell’analisi dei disagi adolescenziali e nell’esplorazione delle strade per aiutare a superarli. Normalmente non sono molto attratto da questo tipo di argomenti, perché adolescente non sono più da un bel pezzo e il mio spazio nel mondo è chiuso in un orizzonte sempre più ristretto e ingrigito da nubi minacciose, e perché sono tendenzialmente portato a cercare verità e ristoro in altri campi di interesse più concreto e pertinente. Quindi un lettore della rubrica per caso.

Lo scritto ha per titolo “kafkiano” e, facendo riferimento alla ricorrenza del centenario della morte di Franz Kafka, espone il contenuto di un libro intitolato “Conversazioni con Kafka” di Gustav Janouch. Costui, da adolescente, conobbe lo scrittore e lo ebbe come amico e mentore.

Il fatto sorprendente è che il contenuto di queste Conversazioni, citate nell’articolo, ha subito richiamato alla mente le recenti ammonizioni del nostro mentore e terapeuta che, in pubblico e in privato, non perde occasione per richiamarci al massimo impegno e alla massima saggezza nell’uso dei mezzi di cura per il nostro male: che sono di tipo farmacologico innanzitutto ma anche, e in modo rilevante, di motivazioni che toccano la sfera emotiva e il sentimento.

La lettura di Kafka ha attratto l’attenzione di adolescenti, per lo meno così era ai miei tempi, per le tinte forti, surreali e fuori dell’ordinario dei suoi scritti. La sua visione della vita votata alla rassegnazione e al cupo pessimismo sono sempre stati cibo quotidiano di cui si nutre voracemente la mente giovanile. Cibo però di certo poco appetibile ed entusiasmante per le persone sofferenti di Parkinson le quali, in misura più o meno marcata, vivono nell’angoscia di un domani che può essere tragico e che comunque sarà greve di difficoltà. Eppure, sentite un po’:

Kafka lo spiega così a Janouch che aveva definito pieno d’amore un suo racconto: «“L’amore non è nel racconto, bensì nell’oggetto della narrazione, nella gioventù”, … “Sono i giovani a essere pieni di sole e di amore. La gioventù è felice, perché possiede la facoltà di vedere la bellezza. Quando si perde questa facoltà, comincia la vecchiaia, la decadenza, l’infelicità”. “La vecchiaia esclude dunque ogni possibilità di essere felici?”. “No. È la felicità che esclude la vecchiaia: chi mantiene la facoltà di vedere la bellezza non invecchia”

Dr K. Paulus docet…

Non so e forse non è dato sapere se Kafka abbia mai conosciuto la malattia di Parkinson, ma il suo acuto modo di mettere a nudo gli affanni dell’animo umano fa quasi pensare che stia parlando di noi: che i pensieri, che ci angustiano e addebitiamo al nostro stato di malati, non sono altro che le stesse angosce che sopravvengono quando si diventa vecchi.

La mia esperienza della malattia non è più vecchia di circa 4/5 anni e vale ben poco, e non sono certo in grado di suggerire a nessuno neppure un utile consiglio di valido comportamento. Quanti possono esserlo? Eppure una piccola esperienza  – in realtà grande nella sua tragicità – l’ ho vissuta: la dolorosa perdita di un amico, ammalato di Parkinson, avvenuta nel giro di pochi anni. Non so se ciò è avvenuto per la particolare gravità con cui la malattia ha colpito o per la concomitanza di altre complicazioni: il ricordo che resterà per sempre impresso è lo sguardo spento e la postura inerte che facevano trasparire quello che già all’interno era sopravvenuto. L’isolamento, l’abbandono e la rinuncia alla vita.

L’immagine del bambino che gattona richiama riflessioni che tutti conosciamo bene. Quando mi sono aggregato e ho conosciuto i compagni di viaggio dell’Associazione mi ha subito colpito un aspetto. Cosa ci fanno tutte quelle persone che la frequentano senza averne titolo, nel senso che non hanno la fortuna di godere della malattia di Parkinson? Molti sono famigliari o accompagnatori, necessari per il sostegno fisico dei malati che ne hanno bisogno, ma molti sono solo persone, generalmente anziane, che hanno piacere e desiderio di stare insieme.

Il genitore che osserva e vigila sul bambino in pratica è quella rete invisibile che ci unisce tutti e ci impedisce di cadere o di perderci. Ci spinge a comunicare tra noi, rivolgendoci l’un l’altro col nome di battesimo, accompagnando il discorso col contatto fisico di un braccio o di una spalla per far sentire anche fisicamente la vicinanza e l’empatia che ci lega. Far sentire la propria voce è una manifestazione di vita, il presupposto per non “morire dentro”. Che non riguarda solo il Parkinson, ma l’umanità tutta.

Le Fraccette – testo di Franco Simula

Le Freccette

Finalmente sono arrivate le freccette. Dott.Paulus ce ne aveva parlato tanto tempo fa, quasi favoleggiandone, ma poi per lunghi periodi era calato quasi l’oblio, non se ne parlava più.

Aiuta l’equilibrio, stimola l’attenzione, contrasta le emozioni:ma allora perché non arrivano le freccette? Chi le blocca? E’ bastata una telefonata “clandestina” e le freccette sono comparse come per incanto presentate dall’intero Direttivo del DART CLUB 4 MORI.

Daniele Muroni, presidente, Gian Mario Coghene e Pietro Gaiglia dirigenti, accompagnati da una torma di bambini “freccettari” sono arrivati in gruppo, festanti, a presentare lo sport delle freccette agli incuriositi soci dell’Associazione Parkinson Sassari. Ed è stata un’autentica festa.

Dopo aver montato due bersagli, gli ospiti hanno dato qualche dimostrazione dei lanci spiegando nel contempo le regole del gioco.

Era arrivato, intanto, anche per i parkinsoniani, il momento di misurarsi con le freccette.

Dopo qualche momento di titubanza qualcuno si fa avanti a provare: l’esperimento sembra essere gradito, in men che non si dica davanti al bersaglio si forma una fila, poi si dichiarano sfide fra coppie e in poco tempo…”si accettano scommesse”! L’atmosfera appare gioiosamente surriscaldata.

Si accende il tifo. Il decano ultranovantenne azzecca una tripla di settore mentre una signora che ci ha preso gusto centra il Bull Rosso da 50 punti. C’è un’euforia dilagante. Insomma il gioco delle freccette è piaciuto e il DART CLUB 4 MORI ha centrato il suo obiettivo.

Franco Simula