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CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di  TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO 2)

Iniziando a costruire il nostro imponente palazzo dobbiamo ovviamente partire da fondamenta ben solide, senza le quali non può reggere l’edificio. Per la mole dell’argomento ho diviso le fondamenta in Crepidoma (basamenti a gradini su cui sorge il tempio) e Stilobate (ultimo gradino del Crepidoma e su cui basano le colonne).

 

Quando si deve affrontare una malattia così complessa e difficile, degenerativa e progressiva, come la malattia di Parkinson, la prima cosa che viene richiesta dalla persona ammalata, ma anche dai suoi famigliari, è l’accettazione.

L’accettazione è la chiave per sopportare i disagi e tollerare i cambiamenti, e rappresenta l’unica via che può portare verso una buona gestione del Parkinson, che significa poter proseguire la propria vita dignitosamente, preservando una soddisfacente qualità di vita.

Inizialmente può sembrare impossibile “accettare l’inaccettabile”, e molte persone dopo la diagnosi si sentono disorientati, ed i cambiamenti fisici sono accompagnati da preoccupazioni, paura, si sviluppano rabbia, tristezza, ansia ed anche depressione. La prima domanda alla quale si cerca disperatamente una risposta è quella ricordata da Franco Simula, “PERCHE PROPRIO IO?”  che in fin dei conti non aiuta a trovare vie d’uscita: la risposta non è scontata e spesso non la si trova, però occuparsi di questa domanda può rappresentare un inizio. E’ difficile intervenire in questa fase che ognuno/a affronterà a modo suo ed in base al proprio carattere e cultura, ma importante è di non rimanere soli e di essere gradualmente accompagnati verso la “metabolizzazione” dei cambiamenti e quindi verso l’accettazione, come abbiamo riassunto in “Accettare la malattia di Parkinson”.

Sergio Carmelita riferisce che la sua difficoltà sta nel dover affrontare lo stress quotidiano che la nuova situazione comporta. Lo stress di per sé è un fattore positivo che ci spinge a far bene ed è una fase di tensione equilibrata dallo sforzo a superarla. Lo stress ci conferisce la giusta spinta, la forza e la determinazione, che poi vengono compensati dal superamento della difficoltà. Invece, quando la difficoltà appare insormontabile, la tensione non si risolve ed anzi, accresce, e ci troviamo in uno stato di conflitto ingravescente, il cosiddetto distress, che ovviamente è un fattore negativo e può diventare patologico ed ampliare a dismisura l’originale problema e non risolvibile individualmente; da ciò scaturiscono paure, ansia e depressione. Ci si sente sconfitti, scoraggiati, apatici, e sì, pietrificati.

La malattia di Parkinson causa cambiamenti fisici che comportano disagio personale ma anche sociale: si cerca di evitare a stare con altri, ci si vergogna, come ammette Giuseppina Grina Manca. La vergogna può incidere molto nell’isolamento delle persone ammalate. E’ significativo, che questo importante aspetto di disagio venga suggerito da una “Sig.ra Parkinson” sottolineando importanti differenze di genere e diversità tra Parkinson femminile e maschile, che abbiamo già più volte trattate, vedi Parkinson: differenze di genere.

La situazione diventa difficile e mal sopportabile non solo per la persona con Parkinson ma anche per il familiare che si prende carico e quotidianamente deve consolare, incitare e motivare, ma anche riportare all’ordine, a volte ammonire. Il familiare vuole aiutare, assistere, facilitare, e per questo è continuamente a rischio di cadere nella trappola di scivolare nel ruolo di genitore, con l’alterazione dell’armonia e dell’equilibrio familiare, che inevitabilmente porta a incomprensioni, tensioni ed, appunto, stress.  Il peso del familiare caregiver diventa enorme ed alla fine il sistema famiglia va in crisi: incomprensioni, nervosismo, disperazione e/o indifferenza sono il risultato; un familiare disperato, in cosiddetto ‘burnout’, sfinito, non vive bene e non può essere di aiuto per l’ammalato/a, perché necessita di aiuto egli/ella stesso/a.

Gian Paolo Frau non solo conferma le difficoltà del ‘caregiver’ familiare con tutto il peso di responsabilità e la sensazione di solitudine, e che spesso si smarrisce nella sanità sarda, ma lamenta la mancanza di supporto per le famiglie da parte delle istituzioni, in piena sintonia con Glauco Di Martino, l’autore del libro ‘IL MIRACOLO DI MARI)

Per vivere una malattia neurodegenerativa ci vuole coraggio, tanto coraggio. Antonello Soro è stato inizialmente preso da “tristezza, malinconia e tremenda paura del futuro”, sensazioni che paralizzano e quasi non consentono di trovare soluzioni.

 

(segue con STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2)

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2 di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA)

“L’accettazione della malattia è molto difficile ed in molti casi ricusata”, aggiunge il nostro G.B. precisando che le difficoltà aumentano con il passare del tempo aggravando ulteriormente la difficilissima impresa. Infatti, compiere il faticoso percorso di accettazione, diciamo come esempio, di un tremore, si spende tantissimo in termini di risorse psicologiche e personali; poi, appena riusciti nell’impresa ed abituati a malapena al tremore, ecco che già si presenta il prossimo ostacolo in forma di rigidità, freezing oppure rallentamento, e si deve ricominciare il lavoro daccapo. Questo continuo dover ricominciare logora tantissimo, e G.B. avverte “sapendo e sentendo dentro l’anima il rapace rimane a galleggiare nel dormiveglia del quotidiano, senza soluzione di continuità”.

Franco Simula concorda con quanto detto sinora ed aggiunge un elemento da non trascurare, le comorbidità, cioè spesso non si deve lottare solo col ‘rapace infingardo’ (cit. G.B.), ma anche con altre patologie (diabete, ipertensione, patologie ortopediche, ecc.) che altro non fanno che aggravare ulteriormente disagi e disabilità. Per non parlare dei disastri causati dal covid-19 con lockdown, isolamento, interruzione delle prestazioni assistenziali e marcata debolezza anche mesi dopo aver riscontrato il covid, come raccontato in (Il bersaglio mancato), (Parkinson e covid-19) e (Parkinson e resilienza covid-19).

L’accettazione della malattia promuove la motivazione e predispone alla volontà di ‘lottare contro su nemigu” (Peppino Achene). La battaglia potrà essere vinta solo se riusciamo ad attenerci alle precise indicazioni architettoniche del Tempio, che, tradotto in termini pratici, significa seguire certe linee guida con una buona dose di disciplina, cioè la consapevolezza della propria condizione e quindi la determinazione a voler cambiare il decorso della malattia e proseguire la propria vita familiare e sociale. Se riusciamo in questo, e soprattutto se riusciamo a non perdere di vista la nostra vita ed i nostri affetti, e non ci facciamo dominare dai pensieri e preoccupazioni, allora abbiamo creato buone basi per affrontare tutte le altre problematiche. Questo vale ovviamente per chi ha appena ricevuto la diagnosi o comunque sta ancora all’inizio della ‘battaglia’. Ma anche chi è più avanti con l’età e con la malattia, dovrebbe cercare di vivere con motivazione, conscio dei limiti ma anche delle proprie possibilità, potendosi ancora rendere utile, in famiglia come nonna/nonno, e nella società aiutando e motivando i più giovani (di malattia) con la propria storia e la propria esperienza.

Ed allora, G.B. propone, per evitare in tutti i modi l’isolamento, l’anticamera della depressione, di affidarsi alla ricerca scientifica.

Antonello Soro trova la soluzione e chiama “Dora ed il Frank, chiedo una canzone al nostro DJ” [Fabrizio Sanna], ‘cazzeggia’ sulla chat “perché la vita è bella, avere amici è bello e far parte della Family Park è bellissimo e, nonostante il Parkinson, il mio polso pulsa ed il mio cuore batte.”

Dora Corveddu aggiunge tre ottimi ‘mattoni’: un supporto psicologico per ammalato/a e familiare, maggiore coinvolgimento dei ‘caregiver, e maggiore informazione su malattia e terapie, e concorda con Antonello e Franco sull’importanza delle attività associative. E tutti si trovano pienamente d’accordo che l’unica via può essere solo l’accettazione, cioè affrontare attivamente le difficoltà. Franco Simula, in particolare, sottolinea che “piangere su se stessi genera pianto e depressione cioè non fa che accelerare la fine”, e vede nella volontà di ognuno l’elemento essenziale della gestione della malattia.

Porre queste indispensabili fondamenta del nostro Tempio dorico non è per niente scontato e per alcune persone può sembrare impossibile; in questi casi è consigliabile un supporto psicologico che aiuti nella accettazione. Mi raccomando, l’accettazione della malattia è il passo più importante, più delicato e forse anche quello più difficile, però, una volta compiuto questo primo passo cruciale, quelli successivi diventeranno comprensibili e superabili.

In questo sito si trovano molte storie e testimonianze di donne e uomini affette da Parkinson e dei loro famigliari, veri eroi, che non posso citare tutti ma che vale la pena di leggere spulciando ogni tanto il nostro archivio mese per mese, magari iniziando con (Custa est s’istoria de Peppino Achene) e (Profumo di Gelsomino – di Nicoletta Onida) per arrivare infine a (Il mio Parkinson – testo di G. B.) e (Il mio Parkinson – tra realtà e ironia. testo di Franco Simula). Vi dico che la lettura di questi, come i tanti altri contenuti in questo nostro sito, fanno riflettere e forse saranno di conforto e di aiuto per tanti; scritti teneri ed emozionanti, incoraggianti. A me hanno aiutato ad imparare il mestiere.

(segue con COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI) E mi raccomando, continuate a commentare e suggerire idee e quesiti; per il nostro Tempio ci vogliono ancora tantissimi mattoni.

 

Opera “Il Tempio Greco – Le sei colonne del Parkinson“.

Sinora pubblicati:

LE SEI COLONNE DEL PARKINSON

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO 2

CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2