Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

Pillola nr. 7: Vincere la “brutta bestia” di Kai S. Paulus

Brutta bestia’ la chiama Piero Faedda (in: “Il Parkinson: brutta bestia”, pubblicato sul nostro sito il 3 novembre 2015), ‘un rapace infingardo appollaiato sul trespolo della coscienza, il male oscuro, una muta di cani latranti pronta ad affondare i denti digrignanti’ si scaglia contro di esso il nostro G.B. in “Parkinson che sorpresa!” (26 novembre 2015), insomma, quel “su nemigu” come lo ha schedato più volte Peppino Achene. Ecco, lui è lì e non mi fa fare nulla, mi impedisce di vivere una vita degna di essere vissuta, è lì, presente in ogni istante, mi trasforma, mi tortura, mi procura immobilità, contratture, tremori, dolori, ansia, insonnia. Mi rende …
Stop, fermi, halt!
In questi ragionamenti manca qualcosa: dove è la vita, la famiglia, gli altri?
Per vincere la brutta bestia, per gestire il Parkinson quotidianamente non bastano le medicine e neanche la fisioterapia, ci vuole un altro elemento fondamentale: la disciplina. Forse il termine è un po’ forte, allora chiamatelo buon senso e rispetto verso se stessi e verso gli altri.
Se guardiamo la vicenda dal punto di vista del parkinsoniano potrebbe esserci la tendenza a pensare che tutta la mia esistenza si gira intorno al mio disagio, i miei problemi, la mia assistenza. Ma la vita non è certo questa! Uno degli errori principali che facilmente si possono commettere è quello di dare troppa importanza al ‘nemigu’, talmente tanta che la propria vita è completamente assorbita dal ‘rapace infingardo’. D’accordo, c’è il Parkinson, ma non per questo spariscono i propri cari, gli affetti, le emozioni di tutti i giorni.
Ovviamente non è facile affrontare la giornata quando la si deve iniziare già da subito al risveglio cercando di vincere la rigidità dopo una notte insonne; stordito dal mal di testa resto in attesa che le pastiglie facciano effetto, chiedo aiuto per essere alzato, lavato, vestito, voglio colazione, pranzo e cena pronti alla stessa ora, devo prendere le pillole alle ore 8, 9, 10, ecc., e che sempre ci sia qualcuno con me perché non si sa mai. In questo modo, però, il ‘portatore sano di Parkinson’ (come ama definirsi Tonino) sarà sempre meno sano e da partner, familiare, e persona amica, viene degradato ad infermiere, assistente personale, maggiordomo, donna delle pulizie, servo, ecc.
Come dice sempre dott. Giovanni Carpentras, non ci sono regole universali, ma penso che una persona che sfortunatamente si è ammalata di Parkinson va aiutata, non servita. Sto facendo questa riflessione perché vorrei che la persona malata non si arrenda e che non scivoli in una condizione di passività ed immobilità più per preoccupazione e tristezza che non per i reali limiti posti dalla malattia. E vorrei invece che la persona reagisca, non conceda spazio al ‘nemigu’ e che cerchi di conservare e di ampliare le proprie autonomie; in questo modo la ‘muta di cani latranti’ retrocede e fa passare la persona determinata e volenterosa. Quasi miracolosamente i sintomi diminuiscono e magari si potrà togliere qualche mezza pastiglia di qua e di là. Mi viene in mente lo spirito del padre di Adelaide Sanna in “Fra di noi è nata una bella amicizia” (15 ottobre 2015), e le parole di Nicoletta Onida “bisogna andare avanti senza paura” in “Così è la vita” (5 luglio 2015).
Dall’altro lato ci sono i ‘portatori sani’ che accudiscono il Parkinsoniano in maniera totale, perfetta, 24 ore su 24. Questo può succedere per tanti motivi: per la convinzione che “l’altro” è malato e ne abbia bisogno, per un possibile senso di colpa per non riuscire a fare di più, o magari semplicemente perché i servizi vengono pretesi dall’altra parte. Ma facendo così nascono tensioni che comportano fraintendimenti e malumori, nervosismo fino allo sfiancamento ed esaurimento, con il risultato che il clima in casa non è più buono e ci sarà una escalation tra richieste di continua assistenza e lamentele di affaticamento, in parole povere: litigi. Anche qui non esiste un vademecum universale che possa essere applicato ad ogni situazione, ma la disciplina, il buon senso, può aiutare a migliorare le condizioni generali: l’ammalato deve trovarsi degli impegni propri, siano essi degli hobby, attività lavorative, impegni in parrocchia oppure in una associazione (la nostra!) oppure lo sbrigare di commissioni, e comunque deve partecipare alle attività quotidiane domestiche, mentre il familiare si deve ritagliare degli spazi suoi per i propri svaghi, se non altro per ricaricare le pile; in questo modo si conserva l’armonia domestica e la serenità, e ci sarà spazio per vivere tutti insieme le emozioni importantissime per una vita degna di essere vissuta. Penso alla ‘quarta candela’ dedicata a tutti noi della Parkinson Sassari dalle Sorelle della colonia di San Pietro in “La tenerezza è la forza più umile” (15 ottobre 2015).
Non si deve dimenticare che la malattia di Parkinson è sì una patologia neurodegenerativa che inesorabilmente peggiora continuamente – quando non si fa nulla per impedirlo. Ma con il giusto atteggiamento, la disciplina, i farmaci e le attività sia intellettuali che fisiche si può notevolmente modulare la progressione della malattia, oserei dire rallentarla, bloccarla, ed anche ridurla, e quindi gestire il quadro clinico conservando molte autonomie funzionali fino a tarda età. Ricordatevi l’articolo pubblicato sul nostro sito: “Il divertimento come fonte di dopamina”, ma più di tutto tenete sempre in mente il motto della nostra Parkinson Sassari: Volare si può, sognare si deve! in cui ‘Volare si può’ sta per lo spirito di non mollare mai, e ‘Sognare si deve’ esprime l’imperativo di avere obiettivi e desideri, e di vivere le emozioni.

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Il logo della nostra Parkinson Sassari voluto dal presidente Franco Delli: le pietre apparentemente dure ma che invece contengono delle storie, la quercia forte che resiste alle intemperie, ed il gabbiano che nell’aria perde pesantezza e rigidità. Volare si può…

 

Avevo scritto questa Pillola n. 7 qualche settimana fa e stavo per consegnarla al nostro webmaster Gian Paolo Frau, quando l’intensa ed emozionante riunione dei familiari del 26 febbraio scorso mi ha fermato per una ulteriore riflessione. Non ho cambiato il senso dei miei appunti, ma la riunione, convocata da dott. Giovanni Carpentras insieme alle psicologhe dott.ssa Lidia Spanu e dott.ssa Angela Merella, questa volta nella prestigiosa biblioteca dell’Istituto di Scienze Radiologiche, mi ha portato a sottolineare alcuni aspetti quali il punto di visto dell’ammalato, quello del familiare e caregiver, e la consapevolezza della malattia per quello che è e non quello che noi temiamo possa essere. La riunione, sicuramente la più sentita ed utile di tutta la serie, è stata carica di forti emozioni, ma anche di cordiale divertimento. L’insieme di Dora, Nanna, Giannella, Anna, Graziella e Tonino si è rivelata una miscela scoppiettante che dopo importanti testimonianze ha suscitato risate e buon umore in tutti i presenti. Oltre all’ormai collaudato gruppo c’erano anche diverse ‘new entry’ che sin dall’inizio si sono trovati a loro agio. Questa riunione sarà sicuramente ricordata da tutti i partecipanti come quella più proficua in un clima amichevole e simpatico che ha fatto divertire anche gli psicologi del Servizio di Psicologia Clinica della Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari.

Il Ragazzo di Koblenz ha perso la Bussola di Kai S. Paulus

Stamattina rientro a casa da una guardia notturna in Clinica, e siccome non riesco a dormire, cerco di sbrigarmi delle commissioni. Tutto fila liscio ed in breve tempo riesco fare tutto e, visto che sono in giro, decido di andare a Baddimanna per visitare la Basilica del Sacro Cuore.Bussola 0 Qualche giorno fa il nostro amico Salvatore Faedda ha pubblicato sul nostro sito un articolo molto interessante, in cui racconta come lui da giovane, quando lavorava in una falegnameria, ha avuto “l’onore e l’onere” di collaborare ai lavori degli interni della Basilica Sassarese.
Penso che non vi sia sfuggita la mia ammirazione per Salvatore, persona umile e silenziosa che continua a sorprendermi con i suoi talenti e la sua storia. Prima mi ha stupito con le sue doti musicali che mi hanno portato ad iniziare a strimpellare l’armonica a bocca (lo so che il termine “strimpellare” si usa per strumenti a tasti oppure a corde, ma proprio ieri nostra figlia mi ha chiesto cosa significhi e quindi mi è rimasto in testa), poi continua ad affascinarmi con i suoi racconti di viaggi, della sua famiglia, in cui riportando la sua storia ci propone ogni volta un piccolo tassello della Sassari che fu (leggete proprio in questi giorni “La notti di Fribagiu di lu ‘56” pubblicato qualche tempo fa sul nostro sito: Sassari sessant’anni fa – fa un certo effetto); ma Salvatore tocca le corde di tutti noi quando parla della sua esperienza con il Parkinson, dove per me i suoi pezzi, quali “L’eredità”, e le poesie “Lu Parkinson” e “Lu muccaroru”, sono dei veri capolavori. Poi si distingue anche per i suoi divertenti reportage sulle nostre attività associative.
Quindi, questa è la mia stima nei confronti di quest’uomo. Ora potete immaginarvi quanto io sia rimasto di stucco leggendo il suo “La Bussola del Sacro Cuore”: conosco la Basilica, ci sono andato diverse volte, ma, confesso, non mi ricordo della Bussola. Avevo fatto delle ricerche in internet, dove si legge: “di notevole pregio sono anche le opere di falegnameria che arredano gli interni” (www.geoplan.it).
Ecco, visto che stamattina ho tempo, decido di andare alla ricerca della Bussola di Salvatore. Il suo racconto diventa intrigante quando menziona che nello stesso tempo ci lavorava anche Costantino Spada e che lui ottenne regolarmente del vino, mentre per Salvatore ed i suoi colleghi non era permesso neanche dell’acqua. Che ingiustizia! Ora vado a scoprire l’opera del nostro musicista!
C’è un acquazzone (finalmente l’inverno si è deciso a fermarsi anche sulla Sardegna) ed entro di corsa nella navata. Dopo essermi scrollato di dosso un bel po’ di acqua piovana faccio il giro tra i banchi, ammiro, come anche le volte precedenti, gli affreschi di Spada, l’organo, il bellissimo altare, sempre di falegnameria, dedicato a Mons. Pala, l’allora parroco e datore dei lavori; è una chiesa bellissima che ogni volta mi piace di visitare. E la bussola? Non la trovo. Faccio un secondo giro, scendo anche nella cripta dedicata alla Madonna di Lourdes, ma niente. Consulto il nostro sito e rileggo le righe di Salvatore per capire dove si possa trovare la sua opera, ma niente da fare (col senno di poi Salvatore dà indicazioni precise ma io non ho colto). Allora telefono a Piero Faedda, lui dovrebbe saperlo, ma anche lui in quel momento non ha idea. Allora, da vero amico che è, scomoda la gente che ha in casa in visita (quasi mi vergogno) e fa un sondaggio tra di loro, ma comunque non riesco ad avere indicazioni precise. Che faccio adesso? Mica me ne posso andare. Sono qui, oltre che come curioso anche come giornalista: voglio trovare la bussola e fotografarla per mettere le foto sul nostro sito. Chiedo a qualche turista (a febbraio a Sassari?) ma figurati. Inizio a diventare nervoso (e qui il libro di Westendorp presentato recentemente da Nicoletta Onida non c’entra niente!). Temo che devo arrendermi per il momento; forse posso tornare dopodomani con Peppino Achene visto che dobbiamo vederci con il nostro webmaster Gian Paolo Frau per parlare del libro sulla nostra associazione. Quasi sconfitto me ne sto andando quando intravedo entrare in chiesa un tipo non rasato, un po’ così; no, a quello non ha senso chiedere, e gli passo accanto. Ma proprio nel mentre, in una frazione di secondo il mio cervello cambia idea (altro che Westendorp!) e presento allo sconosciuto la mia disperazione. “Buongiorno a Lei” risponde gentilmente l’uomo, “sono il sacrestano, certo, la bussola, venga, gliela faccio vedere.” L’uomo non rasato è fantastico e mi salva la giornata.Bussola 1

Bussola 3Finalmente mi trovo davanti all’oggetto delle mie ricerche, cioè ‘davanti’ non è il termine esatto, ‘sotto’ è meglio visto che la bussola troneggia sopra l’ingresso centenato a oltre quattro metri. La bussola, spiega il sacrestano, riporta il simbolo papale essendo questa una basilica. La guardo con grande rispetto. Ho trovato finalmente l’opera del giovane falegname Salvatore. Sono molto contento; la ammiro e faccio delle foto. Il falegname non deve disperare perché ci rifacciamo alla prossima occasione con i “Petali di rose” di Peppino (alla faccia di Costantino).
Fuori piove ancora tanto e corro alla macchina. Mi riposo e contemplo gli scatti, forse non bellissimi perché non sono un bravo fotografo, ma anche per le condizioni di luce e la difficile angolatura. Per la gioia del successo della ricerca, il ragazzo di Koblenz tira fuori dalla tasca la sua armonica…

Ricordi….. di Dora Corveddu

     Ricordi……….

Qualche giorno fa, invitata da delle amiche per un pomeriggio di chiacchiere e per  un buon tè, si è parlato della vita,  delle nostre esperienze, dei nostri problemi, delle nostre gioie e , come spesso accade, delle nostre mamme.

Con nostalgia e con dolce rimpianto non ho potuto fare a meno di ricordare la vita vissuta con il mio babbo e con la mia mamma che da quasi tre anni non è più con noi; ho ripercorso le fasi della mia vita: la mia infanzia,  l’adolescenza,  gli anni degli studi, l’università, l’età adulta e tanto altro ancora.

Ma  prima di parlare della mia esperienza di vita , ho sentito il desiderio  di riportare uno dei testi che mia mamma ha scritto per raccontare episodi che hanno caratterizzato la sua giovinezza, ma soprattutto per mettere nero su bianco quanto amava raccontare ai figli ed ai nipoti, che adoravano stare seduti intorno alla loro nonna ad ascoltare con meraviglia e curiosità i racconti della vita da lei  vissuta.  Nel racconto – memoria  che vi proporrò  narra del periodo della guerra, quando fratelli amici e parenti si trovavano lontani per combattere quelli che venivano considerati nemici, ma che poi col tempo sono, nella sua mente, diventati giovani che condividevano un’esperienza simile ma su fronti bellici diversi.  A questo punto mi piace inserire lo  scritto   della mia mamma per ricordarla  e per farla , per così dire, conoscere agli amici che avranno voglia di leggere questa testimonianza,  tesoro per noi figli incomparabile, che lei ha voluto lasciarci e che rappresenta quasi  una finestra su quel mondo forse  piccolo, ma ricco di esperienze, persone e  valori umani straordinari che caratterizzavano il nostro paese di origine,  Pattada, così come  tanti paesi della Sardegna. Mia mamma ha scritto queste , che noi consideriamo memorie di famiglia,  nel 2008 quando aveva ormai 86 anni.

1940    Pattada

Sono passati ormai 68 anni, ma anche se tanto vaghi i ricordi di allora tornano alla mente e ogni tanto ne parliamo insieme  e riviviamo un po’ di quei tempi un po’ difficoltosi ma allo stesso tempo importanti per una serie di avvenimenti che hanno avuto il loro seguito. Era l’anno dell’inizio della seconda guerra mondiale. Io ero tanto giovane, ma ricordo ancora come il mio paese si spogliò di tanti giovani che dovettero andare in guerra perché richiamati tutti a fare il servizio militare e, oltre a vivere quel momento con tensione e  paura,  dovettero abbandonare famiglie e lavoro. Tra i tanti amici che conoscevo ce n’era uno in particolare perchè era amico di mio fratello. Questi ragazzi che erano lontani da casa sicuramente si sentivano un po’ soli, ma  ebbero l’idea che, attraverso la corrispondenza, potessero scegliere ognuno la propria madrina di guerra per ricevere notizie del paese  e sentirsi un po’ in compagnia di coloro che avevano lasciato.   Da questo mio amico ricevetti questa proposta che mi fece tanto piacere e divenni quindi la sua madrina di guerra.  In una delle tante lettere c’era scritta una bellissima poesia nel dialetto tipico della mia Pattada.  Iniziò allora una sincera e amichevole corrispondenza.

POESIA

Pro madrina e gherra ti domando

Si nde tenes tue piaghere,

daghi a Pattada già bi ando

tando già ti domando pro muzere.

Como eo so inoghe cumbattende

E sa patria nostra servende

Ca este unu dovere sacrosantu

E de salvare sa patria mi anto.

1944   Dopo quattro anni di sofferenze e privazioni la guerra finì….   Tornarono allora in paese tanti giovani , anche se molti mancarono all’appello.  Tornarono tanti amici fra i quali il mio figlioccio di guerra.   Ci ritrovammo allora tra feste e scampagnate che nel 1945 si susseguirono per festeggiare la fine dell’incubo bellico.

Ebbe inizio  così la nostra storia che da una semplice amicizia si trasformò in un autentico sentimento profondo e che si consolidò dopo quattro anni. Ci sposammo e fu un matrimonio bellissimo da festeggiare con tanti amici e parenti fra i quali tutti i reduci di guerra.  Abbiamo avuto quattro splendidi figli e otto nipoti ai quali vogliamo un mondo di bene. Ora siamo vecchi ma loro ci aiutano a vivere sereni e ci fanno tanta compagnia in questa ultima fase della nostra vita.

POESIA

Sa nostra istoria bos amus contadu

Ca piaghiada a Andrea de l’ischire.

Como sun sos ammentos a rifiorire.

Dae tando tantu tempus c’ha passadu

Nos torran a sa mente cussos tempos

Chin unu pagu de difficultade

Como nois amus una zelta edade

Ma de custa già semus cuntentos.

Amus chin nois fizos e nebodes

Chi nos pienan su coro de allegria

Pro issos su Signore bi siada

Ca de su sou gialdinu sun fiores.

Issos vivan a chentu e pius annos

Chin amore, armonia e chena affannos.

Questi i primi  ricordi che mia mamma ha voluto mettere per iscritto su richiesta di mio figlio Andrea, che ascoltava sempre i nonni raccontare insieme la loro giovinezza, la loro storia d’amore. Voglio far notare che la prima poesia è stata scritta da mio babbo; questa viene considerata la sua quasi prima  dichiarazione per la sua futura moglie, e  che ancora, alla veneranda età di 96 anni, babbo ama recitare. La poesia finale, invece,  è stata composta da mia mamma ed  è diventata una sua abitudine concludere ogni suo scritto con una poesia, anche se lei continuava a  sottolineare  di non avere velleità poetiche. Da allora sollecitata da noi figli continuò a scrivere le sue memorie, pur professando sempre le  sue scarse capacità, in realtà sentendosi sempre un po’ lusingata. Ed allora comprava i fogli protocollo perché , diceva lei, le cose importanti si scrivono su fogli importanti. E allora iniziava a raccontare emozionandosi sempre per i ricordi dei tempi andati.  Mia mamma aveva una certa facilità nella scrittura anche perchè  ha sempre amato la lettura…….si vantava perfino di aver letto per quattro volte “ I Promessi Sposi” . Leggeva sempre, soprattutto nell’età avanzata, quando aveva ormai tanto tempo da dedicare ai suoi interessi. E lo scambio ,con figli e nipoti, di libri da leggere era ormai diventata un’abitudine. Ha letto tanto nella sua vita , nonostante la sua istruzione si sia fermata alla quinta elementare. Ha fin da giovane esercitato la sua professione di sarta, circondata dalle sue sartine che imparavano il loro futuro mestiere e l’aiutavano nel suo quotidiano lavoro. Questo è uno dei tanti aspetti della personalità di mia mamma che ha vissuto nel grande amore per suo marito,  per i suoi figli e nipoti che, diceva lei, le rendevano la vita  gioiosa e ricca di soddisfazioni.

26 febbraio 2016                                             Dora Corveddu

Recensione di: “Come invecchiare senza diventare vecchi di Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

“Come invecchiare senza diventare vecchi: la scienza della longevità felice”  Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

foto libro

Recensione di Nicoletta Onida

Il saggio del medico danese Westendorp prende le mosse da una considerazione molto semplice: poiché in Occidente, rispetto al passato, l’aspettativa di vita è notevolmente cresciuta, oggi tutti noi vorremmo vivere meglio la nostra vita da “vecchi” e godere più a lungo l’età pensionabile. Se un tempo, dopo aver cresciuto e indirizzato i figli ad una vita autonoma, si aveva la tendenza a mettersi in disparte, oggi la terza età appare sempre più come una nuova e – per certi versi – entusiasmante fase della vita. Una frontiera da esplorare e godere appieno e non un crepuscolo in cui ritirarsi spegnendosi lentamente. Perché questo avvenga, tuttavia, dovrebbero variare ancora molte cose nel modo di vivere e pensare della società. A cominciare dalle giovani generazioni. Quando si è molto giovani, infatti, carichi di curiosità ed inventiva, il desiderio più grande è entrare a far parte del mondo degli adulti pensando di poter compiere tutto ciò che fino ad allora ci è stato vietato. Si guarda, pieni di speranza, al futuro, che rappresenta più o meno ciò che ognuno si attende. Raramente a quell’età si pensa ai problemi legati alla vecchiaia, si spera anzi di invecchiare in buona salute e morire senza soffrire troppo, magari all’improvviso. E con questa spensieratezza si è portati a trascurare la propria salute, ad assumere uno stile di vita che non disdegna gli eccessi, confondendo il bisogno di divertimento “a tutti i costi” con abitudini dannose le cui conseguenze, purtroppo, arriveranno presto o tardi a farsi sentire.

Da adulti la vita cambia: si ha più libertà, ma anche maggiori responsabilità e preoccupazioni. Capita, così, che nei momenti di stanchezza e insoddisfazione, quando sembra che la vita voglia metterci alla prova, i nostri pensieri tornino indietro nel tempo. Risvegliando ricordi torniamo alla giovinezza e, con nostalgia, ripensiamo alla spensieratezza e all’allegria di allora. Malgrado le difficoltà lottiamo con coraggio e determinazione per portare avanti i nostri progetti, non ci arrendiamo, ma nei momenti di stanchezza e apprensione, istintivamente, pensiamo fiduciosi ad una vecchiaia tranquilla in cui potremo godere il meritato riposo. Già, chi non desidera invecchiare serenamente? Tutti noi lo vorremmo, ma senza diventare vecchi, bensì conservando inalterate la nostra mente e il nostro corpo, vivendo in autonomia e senza limitazioni, senza pesare sugli altri.

Purtroppo, ci dice Westendorp, non esiste una ricetta per invecchiare senza diventare vecchi; ogni cosa si logora: le piante, gli animali, gli oggetti… ed anche per noi arriva il momento in cui l’organismo arriva all’esaurimento e le minacce al nostro benessere diventano più concrete. Dato che non possiamo rimanere inermi in attesa che cali il sipario, ci adoperiamo per difendere la nostra salute. Finalmente guardiamo in faccia il presente e decidiamo di cambiare. È troppo tardi? Forse no, ci rassicura lo studioso: l’importante è saperlo fare nel modo giusto, dopo aver individuato le abitudini e i comportamenti dannosi che ci trasciniamo dietro da anni. Dopo aver fatto, insomma – da soli o con l’aiuto di medici e altre figure che possano affiancarci –, un bilancio accurato del nostro stile di vita.

È questo, secondo me, l’aspetto più interessante del saggio, una lettura che aiuta ad orientarsi meglio nella fase della vita che personalmente mi trovo ad attraversare. Ma una volta concluso il libro, mi è venuto spontaneo domandarmi: se tutto ciò lo avessimo fatto fin da giovani, se già allora avessimo assunto comportamenti salutari, saremmo arrivati a vecchiaia in condizioni migliori, evitando certe patologie?

Westendorp, pur non fornendo una risposta matematicamente certa, lascia pensare di sì. Ed è per questo che consiglierò caldamente la lettura di questo saggio non solo alle mie amiche e a quanti, come me, si trovano alle soglie della terza età, ma soprattutto ai figli e ai nipoti, che forse sono ancora in tempo a correggere le proprie abitudini per garantirsi una vecchiaia più sana. Come diceva quella vecchia réclame? “Prevenire è meglio che curare”.

La bussola del Sacro Cuore di S. Faedda

Fin da ragazzo ho sempre lavorato in una falegnameria artigianale e, fra i vari lavori eseguiti, ho avuto l’onere e l’onore di costruire la bussola (porta d’ingresso centinata) della chiesa del “Sacro Cuore”
Il progetto fu ideato da Mons. Antonio Piga ma la costruzione, in legno di noce “Daniela”, è da attribuire solo ed esclusivamente al sottoscritto. Era tanto grande la mia soddisfazione che per consolidarla scrissi, all’interno delle placche incollate, il mio nome e cognome quale unico artefice di quell’opera.


Una volta terminata la bussola, la portammo presso l’ingresso principale e grande fu la soddisfazione quando la presentammo nell’incavo con la parte superiore centinata; Mons. Piga, per la contentezza, non stava nella pelle. In concomitanza con i nostri lavori il noto pittore, Costantino Spada, stava pitturando l’interno della chiesa affiancato da un buon “boccione” di vino che il reverendo puntualmente gli procurava.
Quello stesso giorno consegnammo anche un mobile per la sacrestia e due porte d’ingresso, rigorosamente controfirmate dal sottoscritto nelle parti non visibili.
A lavoro concluso Mons. Piga invitò me e i miei colleghi a recarci al più vicino bar, da lui precedentemente avvertito, per ringraziarci e gratificarci di ciò che avevamo fatto con tanto impegno.
Avevamo appena preso posto attorno ad un tavolo quando una voce, poco gradevole ed a noi ben nota, ci incitò a lasciare immediatamente il locale per fare rientro nello stabilimento….dato che non eravamo pagati per oziare!!!
Ovviamente andammo via dal locale con tanta delusione e amarezza per la mancata colazione gratuita.
Ora, dopo aver lavorato per più di 50 anni nella stessa ditta e tanti anni di pensione, ricordo quell’episodio con tristezza per la mancanza di fiducia nei confronti di tutti noi.

Salvatore Faedda

Il portaombrelli di Salvatore Faedda

Il freddo di questi giorni mi ha ricordato quello del 1956 prima della grande nevicata. All’epoca lavoravo in un negozio di mobili con piano terra adibito ad esposizione e primo piano a deposito di mobili e cianfrusaglie. Tutte le mattine, alle ore 8,00, dovevo aprire il negozio mentre la commessa arrivava un’ora dopo.
Sarà stato colpa del freddo ma una mattina sento la necessità impellente di entrare in un bagno. Il locale, purtroppo, non era dotato di servizi igienici ed io mi sentivo intrappolato dai forti dolori al basso ventre.
Preso dalla disperazione corro al piano superiore, prendo il primo portaombrelli che mi capita per le mani e lì do sfogo ai miei bisogni corporei. Finalmente mi sento libero ma…con tanti sensi di colpa!!!
Per qualche giorno non ci penso più finché una mattina, dal momento che pioveva, la commessa mi chiede di portare giù il portaombrelli per collocarlo vicino all’ingresso principale.
Preso dal panico per il ricordo di ciò che avevo fatto e per la vergogna d’essere scoperto, salgo al piano superiore e con titubanza prendo il portaombrelli. Guardo all’interno e…..miracolo, il portaombrelli era vuoto. Annichilito ma contento per la mancata vergogna, eseguo l’ordine ricevuto. Dopo qualche giorno di ripensamenti ed assoluto stupore, mi rendo conto che chi mi aveva salvato dalla vergogna era stato un topolino che aveva consumato quel “lauto pasto”.

Salvatore Faedda

Lu rappresentante – Il rappresentante di Salvatore Faedda


Candu sthaziami in via Principessa Maria babbu trabagliaba in comune; eddu all’una vinia a magnà e subidu z’iscia pa cuntrullà l’operai chi trabagliabani sottu la so direzione.

Una dì veni a casa un rappresentante di libri pa zischa di vindì a mamma un’enciclopedia ma edda zi l’ha mandadu cun la schusa chi edda non pudia dizidi nudda acchi li dinà l’avia lu mariddu.

Dugna dì era la matessi sthoria e cussì, gandu babbu l’ha sabudu, ha dittu a mamma chi si era juntu candu vera eddu, zi l’avia lampadu da li scari.

Mancu a fallu appostha l’indumani, candu babbu s’era lavendi li denti pa andà a trabaglià, sonani lu campaneddu; sigumenti mamma sabia chi era lu rappresentante, candu ha aberthu la janna l’ha dittu: “si accomodi che mio marito viene subito”. Mamma non sabia mancu in di era e ha aggiuntu: “se mio marito la prende a voci non ci faccia caso…lui è sempre nervoso”.

Candu mamma è andada da babbu e l’ha dittu chi vera lu rappresentante, eddu ha subidu ischuminzadu a impricà: “abà l’acconzu eu, non ti preoccupà” e cumenti è isciddu da lu bagnu, noi chi erami trimurendi, intindimmu: “buongiorno signor Faedda” e babbu: “Oh…buongiorno geometra”, noi non v’abemmu cumpresu nudda. E babbu: “Ameliaaaaaaa pigliari tuttu chissu chi voi dabboi già m’arrangiu eu cu lu geometra” e z’è isciddu pa andà a trabaglià.

La sera, candu è giuntu da trabagliu z’ha dittu: “chissu è lu geometra chi lu manzanu trabaglia in comune e la sera vendi libri…cumpresu m’hai?” E mamma s’ha posthu l’animu in pazi.

Salvatore Faedda
Quando abitavamo in via Principessa Maria babbo lavorava presso il Comune di Sassari; all’una veniva a pranzare e subito dopo usciva di casa per controllare gli operai che lavoravano sotto la sua direzione.

Un giorno venne a casa un rappresentante di libri per cercare di vendere a mamma un’enciclopedia. Lei, però, lo mandò via con la scusa che non poteva decidere perché i soldi li gestiva il marito.

Tutti i giorni era la stessa storia e così, quando babbo ne venne a conoscenza, riferì a mamma che se quel rappresentante si fosse presentato quando lui era a casa, l’avrebbe fatto ruzzolare per le scale.

Manco a farlo apposta il giorno dopo, mentre babbo si lavava i denti prima d’andare al lavoro, suonarono il campanello. Siccome mamma sapeva bene che era il rappresentante, quando aprì la porta disse: “si accomodi che mio marito viene subito”. Mia madre era molto imbarazzata ed aggiunse:”se mio marito la prende a voci non ci faccia caso…lui è sempre nervoso”.

Quando mamma andò da babbo per riferirgli che c’era il rappresentante, lui iniziò subito ad imprecare: “ora lo aggiusto io, non ti preoccupare” e, come uscì dal bagno, noi figli che stavamo tremando per lo spavento sentimmo a gran voce: “buongiorno signor Faedda” e babbo “Oh…buongiorno geometra”…e così non capimmo più nulla. E ancora: “Ameliaaaaaa, compra tutto quello che vuoi, dopo mi aggiusto io con il geometra” e uscì di casa per rientrare al lavoro.

Quella stessa sera, quando rientrò dal lavoro, babbo ci comunicò che quel geometra di giorno lavorava con lui in comune e la sera vendeva libri.
E così mamma, finalmente, si mise l’animo in pace

Salvatore Faedda

 

Sognare si deve di Nicoletta Onida

Faceva un freddo pungente anche nelle giornate splendide quand’ero giovane; gli inverni erano diversi da quelli attuali e neppure le case erano riscaldate in modo adeguato come oggi. Al mattino, sentendo il vento soffiare o la pioggia battere sul tetto, era piacevole restare al calduccio sotto le coperte rinviando in qualche modo l’inizio della giornata. Io ero una gran dormigliona e, mentre fuori infuriava il temporale, nonostante il rumore dei tuoni, riprendevo a dormire senza difficoltà. Se non mi alzavo al suono della sveglia e mi trattenevo a letto qualche minuto in più, mia madre aprendo la finestra della camera che dividevo con mia sorella, cercava di scacciare il sonno ripetendo ogni giorno la medesima cantilena: “Su.. su..sveglia..l’ozio è il padre dei vizi !”A volte, fingevo di non sentire e, senza tener conto dell’ora e del profumo di caffè che giungeva dalla cucina, trascinavo cautamente le coperte sulla testa e mi crogiolavo nella pigrizia lasciando fuori preoccupazioni e difficoltà di ogni giorno. Così lei ritornava alla carica con tono fermo e deciso:“Chi ha da fare non dorme!”.Oppure:“Chi dorme non piglia pesci”.Già, mia madre, aveva la mania di citare i proverbi. Li conosceva tutti! Arrivai a pensare che durante la notte non dormisse per inventarne di nuovi. Di tanto in tanto, non capendo quei modi che mi sembravano troppo rigidi e assurdi provavo a ribellarmi:“Ma oggi è domenica! Che male c’è se dormiamo un’ora in più?”. Lei, pronta, rispondeva:“Dormire troppo fa male”.“Ma chi l’ha detto!”- pensavo. Poi mi arrendevo e, facendo appello a tutta la mia buona volontà, mi allontanavo a malincuore dal calduccio del letto e, ad occhi aperti, sognavo che da grande avrei potuto decidere ogni cosa della mia vita ad iniziare dalle ore di sonno. E’ proprio strana la vita: da giovani si guarda pieni di speranza verso il futuro, mentre, da adulti si ripensa con rimpianto al passato. Ora, infatti, la mia invincibile insonnia mi porta a ripensare con nostalgia a quegli anni, alla voce di mia madre che mi incalzava benevolmente, come se, l’inizio di un nuovo giorno mi trovasse impreparata ad affrontare la vita pratica. Ormai al mattino non c’è più bisogno di qualcuno che mi metta premura, che spalanchi la finestra per costringermi a svegliarmi: infatti, quando spuntano le prime luci, il sonno mi ha già abbandonato spontaneamente ed ogni tentativo di richiamarlo indietro è inutile. Se provo a tirarmi la coperta sulla testa come facevo da ragazzina, tenendo gli occhi chiusi nella speranza di riassopirmi, nessuno mi rimprovera o mi dà della pigrona: semplicemente, rimango sveglia. Per rilassarmi e riuscire a dormire ho provato ad allontanare le preoccupazioni, i pensieri negativi, ma con scarsi risultati. Nel silenzio della casa ripenso con affetto a mia madre e qualche volta, esercitando la mia fantasia, ho ricostruito la mia casa di allora ricollocando utensili, mobili ed oggetti al loro posto, ma la dolcezza dei ricordi non mi ha aiutato a riprendere sonno. Da qualche parte ho letto: < Chissà perché da giovani ci manca il tempo per dormire e da vecchi ci manca il sonno! > Già, proprio così, la mia insonnia mi porta, molte volte, a star sveglia fino all’alba col solo vantaggio di poter dedicare più tempo alla lettura. Purtroppo il giorno dopo mi sento fiacca, di cattivo umore e questo mi rende apatica, indifferente verso ogni progetto. Rannicchiata sul divano ripenso alla vivacità del mio carattere di una volta, alla vitalità , all’entusiasmo che ora non ho più e mi chiedo se tutto ciò possa essere attribuito, semplicemente, all’insonnia. Considerando, però, che l’ottimismo, il buonumore aiutano ad affrontare la vita più serenamente sono portata a credere che dormire, come avveniva quand’ero giovane, faccia proprio bene alla salute. Il sonno, infatti, aiuta a rilassarsi, abbassa il livello di irritabilità e tiene alto l’umore, per cui, voglio sperare che la Medicina trovi presto una cura risolutiva a questo problema che, come me, tormenta moltissime persone. Pensare al passato è inutile; è avanti che si deve guardare e se < la speranza è un sogno ad occhi aperti > mi pare proprio il caso di dire che sognare si deve!