Volare si Può, Sognare si Deve!

Archivio mensile: Giugno 2015

Lettera ad una amica di Salvatore ed Anna Faedda

Cara amica,
forse non ci crederai ma, mai e poi mai, avevamo pensato che un giorno noi saremo stati vicini di casa, così pure di Marco mio cognato, di Davide mio nipote, della sorella di mia cognata….che bello…ancora ci sembra un sogno!!!
Ci sentiamo fortunati perché avere delle persone speciali come voi e su cui contare in caso di bisogno, non è concesso a tutti.
Purtroppo, cara amica, nel momento in cui assaporavi le gioie della vita per aver risolto alcuni problemi personali, una normale visita di routine ti ha fatto precipitare nel baratro. Ti è stata diagnosticata una patologia piuttosto importante che ti ha costretto ad affrontare quelle cure che nessuno vorrebbe mai affrontare.
Ma tu, anziché nasconderti, come verrebbe spontaneo fare, stai affrontando la realtà con il supporto amichevole e affettuoso delle persone che ti circondano e che ti vogliono bene. Non possiamo non citare le tue care colleghe Lucia e Silvia, Anna, Maria, Piera e tante altre che non conosciamo.
Nel periodo cruciale della terapia, ci siamo resi conto che per te era difficile il contatto con le persone e noi, nel rispetto della tua dignità, abbiamo sempre assecondato i tuoi desideri.
Al di là di tutto questo, amica cara, sappi che noi abbiamo eretto una grande muraglia per difenderti e, insieme, sconfiggere il grande nemico.
Già all’inizio della malattia, alcuni amici che hanno avuto gli stessi problemi (Piera, Anna sorella della moglie di mio cognato, Giuseppe di Oleggio) ti sono stati utili nella scelta del tuo comportamento su come affrontare la quotidianità.
Questo, secondo noi è positivo come sono positive le belle camminate che facciamo sul lungomare di Portotorres e le passeggiate in città….per un buon caffè.
Salvatore e Anna

Lu muccaroru  (il fazzoletto) di Salvatore Faedda


Oggi no lu soggu cos'aggiu

dugna cosa chi abbaiddu e fozzu

soggu sempri cu lu muccaroru in manu.

Tandu mi digu: sarà la primavera

chi fazzi chisthi buffunaduri

oppuru so li pasthigli chì ni pigliu assai

Stha di fattu chi l'emozione è sempri prisenti

e si mi pongu a sunà lu sunettu

di muccarori vi ni boni una duzzina

Me muglieri si n'è subidu abbizzada

e m'ha dumandadu cosa m'era suzzidendi

e acchì abia lu muccaroru in manu.

Candu m'intendu di gussì l'aggiu dittu

non soggu nè carri e nè pesciu

e aisettu soru chi passia la zurradda.

Si puru soggu abituadu a chisthu andazzu

isperu chi l'indumani sia un'altra dì

senza muccaroru in manu e senza pignì

Salvatore Faedda
Oggi non lo so che cos'ho

ogni cosa che guardo o faccio

sono sempre col fazzoletto in mano.

Allora mi dico: sarà la primavera

che fa di questi scherzi

oppure sono le pastiglie che prendo...e che son tante.

Sta di fatto che l'emozione è sempre presente

e se mi vien voglia di suonare

di fazzoletti ce ne vogliono almeno una dozzina.

Mia moglie se n'è subito accorta

e mi ha chiesto cosa mi stava succedendo

e perché avevo il fazzoletto in mano.

Quando mi sento così...le ho risposto,

non sono né carne e né pesce

e aspetto solo che passi la giornata.

Anche se sono abituato a tutto questo,

spero che il giorno dopo sia un altro giorno

senza fazzoletti in mano e senza pianti

Salvatore Faedda

 

La giornata del Parkinson (29 11 2014) di Salvatore Faedda

Sabato 29 Novembre 2014, in occasione della giornata nazionale del Parkinson, il nostro Dott. Paulus con la collaborazione di Franco, Piero, Graziella e tutti gli altri dell’associazione, ha organizzato, un convegno interessantissimo di scienza all’interno del Teatro Civico di Sassari

Grazie alle persone coinvolte in questo settore, in primis il Prof. Giampiero Sechi (che ha introdotto il dibattito e che da oltre 30 anni ne studia l’evoluzione), tutti noi, ammalati e non, ci siamo sentiti gratificati per l’attenzione che il mondo della ricerca ha per questa patologia.

Molto interessanti gli interventi del Prof. Serra, del Dott. Clemente e della Dottoressa Bellu ma, quando è stato il momento della nostra fisioterapista Pinuccia Sanna, il fragore degli applausi…meritati (dico io) ha riempito la sala. Questa donna straordinaria, nel giro di poco tempo, ha rimesso in piedi persone che non riuscivano nemmeno a trascinare le gambe….il tutto senza intascare un euro….e questo le fa onore!!!

Anche il nostro amico Franco Enna ha potuto dimostrare che coinvolgere i pazienti in attività di gruppo, questo serve ad esorcizzare la solitudine e l’apatia che solitamente colpisce gli ammalati di parkinson. Ed è per questo che egli ha costituito una schiera di attori e attrici (si fa per dire) per portare in teatro la tragedia di “Giulietta e Romeo” di Shakespeare, da lui rielaborata in tono ironico.

Le prove attualmente si svolgo presso il teatro dei “Salesiani” nel quartiere del “Latte Dolce”; i nostri amici Piero e Graziella si sono impegnati personalmente per ottenere questo privilegio.

Naturalmente ci vorrà del tempo per organizzare il tutto perché, fra le varie difficoltà del morbo, c’è anche quello della memorizzazione….ma noi ce la mettiamo tutta per non fare brutta figura.

E che dire della palestra di via Monte Grappa, dove ogni mercoledì ci ritroviamo???? E’ tutto molto bello e noi la frequentiamo con tanto entusiasmo.

I relatori sono stati molto chiari; ciascuno di loro ha ribadito che la migliore terapia per tutti noi è quella di vivere serenamente e dormire bene perché solo così si potrà eliminare qualche pastiglia….intanto la ricerca va avanti!!!!

Per ritornare alla giornata del Parkinson, molto interessanti le domande che alcuni partecipanti hanno posto ai medici: alcune hanno avuto risposte soddisfacenti altre, invece, sono state un po’ evasive data la difficoltà della patologia. 

Dopo un esauriente dibattito e l’intervento piuttosto interessante della nostra psicologa Jole Sotgiu, si fa spazio per un piccolo spuntino che gli amici dell’associazione hanno organizzato con grande entusiasmo.
Bisognava esserci per apprezzare la bellezza e la sostanza con le quali erano state allestite le grandi sale del Civico. C’era di tutto, panini, pizzette, pasticcini, insalate di riso, fatti fritti, torte di ogni forma e colore, patatine fritte e tanto altro ancora. E le bevande? Beh….oltre alle solite bibite il vino del nostro amico Peppino ha colpito nel segno. Durante il rinfresco sono state raccolte tante adesioni e questo ci permette di continuare il nostro percorso.

Come negli anni passati, anche quest’anno abbiamo visto i soliti assaggiatori di passaggio che, anche stavolta, hanno mangiato a sbaffo.
E dopo questa bella giornata di sodalizio, sento il dovere di ringraziare tutti, nessuno escluso, con l’obbligo di un particolare ringraziamento alla pizzeria “Da Bruno” che, per l’occasione, ha messo a disposizione 50 sedie e 10 tavoli….il tutto senza alcun tornaconto. Mi sembra doveroso ipotizzare che una sera, tutti noi, vi andremo a mangiare una pizza.

Salvatore Faedda

Una lezione di vita di Nicoletta Onida

– Non tutti i casi sono uguali – disse il neurologo, cercando di tranquillizzarmi, nel vedermi scoraggiata. Nella sala d’aspetto mi era, più volte, capitato d’ incontrare pazienti con difficoltà ma, quella mattina, mi ero trovata accanto una giovane donna con problemi così pesanti da rimanere turbata. Nonostante fossi consapevole che il mio stato di salute non sarebbe cambiato e quella difficile condizione mi avrebbe accompagnata per sempre, uscii dallo studio medico un po’ rinfrancata. Il neurologo che mi aveva in cura oltre ad essere un professionista serio e preparato, era sempre cordiale e disponibile, ascoltava tutti dimostrando amicizia, infondendo coraggio e fiducia nelle terapie. Quel suo modo di fare così affabile, così umano riusciva a far assumere ai pazienti un atteggiamento positivo, a far nascere la speranza che le cose sarebbero cambiate. La medicina mi diceva, senza perdere l’atteggiamento fiducioso che lo caratterizzava, avrebbe scoperto sicuramente il modo per debellare o, quantomeno, bloccare la malattia. Forse era questa la ragione che mi portava ad evitare di parlare con gli altri dei miei problemi, a cercare, in qualche modo, di nasconderli pur avendo la consapevolezza che, col tempo, erano diventati sempre più evidenti. Così, tra difficoltà di ogni genere, cercavo di vivere le mie giornate uguali a prima che la malattia mi aggredisse. Mi occupavo della casa, mi recavo in banca, alle poste, facevo con calma le mille cose che una volta, quando insegnavo, avevo i figli da seguire e genitori anziani da aiutare facevo sempre di corsa. Sembrava, allora, che il tempo non bastasse a fare tutto ciò che dovevo, necessariamente, fare. A fine giornata ero stanchissima e, talvolta, mi dicevo < questo è .. il logorio della vita moderna..> cercando il conforto nelle parole di un famoso spot televisivo. Già, proprio così, il logorio, lo stress. Dopo la comparsa della malattia, più volte, mi sono chiesta se la causa dei miei problemi si potesse attribuire allo stress, alla fatica fisica e mentale che per anni non avevo potuto tenere a freno. Ora, invece, a frenarmi era la lentezza e, sebbene mi imponessi di non lasciarmi andare curando il mio aspetto e cercando di essere sempre in ordine, mi rendevo conto d’impiegare, in queste operazioni, più tempo del necessario. Nonostante i propositi di essere più veloce, facevo tutto con grande lentezza. Per questo motivo, per esempio, arrivavo al supermercato all’ora di punta. Nella confusione generale, mi dirigevo subito alla ricerca del primo carrello a portata di mano. Quel trabiccolo era la mia ancora di salvezza, il sostegno più valido per la mia insicurezza. Era indispensabile per muovermi tra i banchi con tranquillità, infatti, richiamata dai cartelli colorati che proponevano, anche, l’acquisto del superfluo,mi trattenevo nel grande magazzino più del necessario.
– Ciao, anche tu qui?- Qualche vecchia conoscenza, un lontano parente, un ex collega richiamava, spesso, la mia attenzione. A volte qualcuno si fermava per scambiare quattro chiacchiere o, solamente, per chiedere l’opinione su un prodotto da acquistare. Spesso, però, capitava di sentirmi osservata e, pur senza ricevere alcuna domanda sulla mia salute, provavo un certo disagio sentendomi commiserata, a quel punto, facendo finta di aver fretta mi allontanavo dopo aver salutato cordialmente Quel disagio era causato da una mia sensazione oppure da un’indiscrezione reale, tanto evidente da crearmi imbarazzo? Per questo motivo, forse, presi l’abitudine di trattenere lo sguardo sulla merce esposta evitando, in quel modo, occhi indiscreti. Seguendo la voce di un altoparlante mi incanalavo nelle corsie e, come tutti, mi lasciavo facilmente convincere all’acquisto di alimenti sani come i prodotti freschi della nostra terra.

-Che profumo questi limoni!-

D’istinto mi voltai, poco più in là, due bellissimi occhi azzurri incrociarono il mio sguardo

– Buongiorno professoressa- una giovane donna rivolgendosi a me timidamente mi sorrideva e dopo un attimo :

– Si ricorda di me?-

-..Letizia… sei Letizia?-domandai titubante

– Che bello rivederla e, soprattutto, sentire che ricorda ancora il mio nome!-

– Mi hanno aiutato i tuoi occhi, anche se, allora eri una ragazzina e oggi sei una donna, certo mi ricordo di te –

Mi strinse la mano calorosamente e subito mi raccontò di sé, dei suoi genitori ormai anziani preoccupati per lei che, a trent’anni, non aveva ancora iniziato un percorso autonomo di vita per la mancanza di un lavoro sicuro. Per non pesare sul bilancio familiare si prendeva cura della nonna vecchia e malata che, ogni fine settimana, le dava una piccola ricompensa. Parlò poi dei vecchi compagni di scuola con i quali era ancora in contatto; alcuni erano stati più fortunati di lei.

– Com’ero ingenua allora , credevo che superate le difficoltà scolastiche tutto sarebbe stato più semplice, invece, la vita mi ha presentato problemi più difficili, preoccupazioni più serie!-

Subito dopo ritrovando, insieme alla fiducia il sorriso iniziale, aggiunse:

 – Voglio essere ottimista, non bisogna arrendersi mai – e, dopo avermi abbracciata con particolare affettuosità, si allontanò confondendosi fra la gente. Commossa la seguii con lo sguardo finché non scomparve. Dopo aver inutilmente tentato di sentirne il profumo, con la mano traballante, infilai nella busta alcuni limoni.

Quella giovane donna, inconsapevolmente, mi aveva dato una lezione di vita.

 “ Non bisogna arrendersi mai “ .

Tornai casa pensando a quell’incontro, alla gioia di vivere di Letizia e la mia mente corse indietro nel tempo, alla mia giovinezza spensierata, ai miei compagni di scuola, ai sogni fantastici che speravo di riuscire a realizzare. Ripensai ai giorni felici delle vacanze nel piccolo paese dov’ero nata, alla vita semplice e dignitosa della nonna dalla quale ritornavo ogni estate. Rividi in un baleno la sua esile figura e, d’un tratto, nelle sue mani tremanti, nei suoi movimenti insicuri, nei suoi gesti ripetuti vidi me stessa.

                                                                                 Nicoletta Onida

CONVEGNO PARKINSON (La settimana dopo) dì Salvatore Faedda

Il nostro amico Peppino, grande produttore di vini di tutti i colori e sapori, ci ha proposto una mangiata di quelle che non si dimenticano, ad un prezzo accessibile a tutti.

Il luogo scelto si chiama “Troppu Ilde” alla periferia di Sassari in località Caniga, una ridente collina alberata e ben soleggiata che Peppino ci mostra con orgoglio nonostante l’ora…..(lo stomaco reclama sigh…sigh).
Prendiamo posto nella sala da pranzo e, con impazienza, aspettiamo l’arrivo del Dott. Paulus; naturalmente l’attesa viene smorzata dagli assaggini fatti di nascosto per non offendere la sensibilità del nostro amico/medico curante.
Ecco che subito inizia la corsa agli antipasti, ottimi e abbondanti, con diverse specialità dal gusto eccezionale.
Tra gli antipasti e i primi piatti l’amica Dora legge con grande maestria il riassunto che ho scritto, per la “Giornata del Parkinson”, con la collaborazione di Anna che l’ha riportato sul computer. A detta degli amici parkinsoniani il resoconto è stato apprezzato e questo mi riempie di gioia.
Dopo i primi piatti ci diamo da fare con i secondi e, tra una portata e l’altra con la mia fisarmonica e con la collaborazione di tutti, cantiamo a gran voce le solite canzoni sassaresi che, come si sa, danno un certo tono a tutta la compagnia.

Salvatore Faedda alla fisarmonica

Salvatore Faedda alla fisarmonica

Ci sembra doveroso onorare il nostro medico ed è per questo che, con voce pacata e decisa, intoniamo “Lilly Marlene”. Lui, con un certo imbarazzo, tenta di seguire la nostra esecuzione con un organetto a bocca. Come tanti parkinsoniani mi commuovo nel vedere e sentire (stonature incluse) tutta quella partecipazione, soprattutto quando mi rendo conto che il dott. Paulus utilizza lo strumento che io gli ho consigliato. Ancora una volta mi convinco che il nostro amico medico è una persona buona e sensibilissima perché, secondo il mio punto di vista, chi suona uno strumento musicale, anche se principiante, ha l’animo sensibile e poi….la musica aiuta a star bene!!!
Grazie Peppino e grazie Nanna per la vostra disponibilità e amicizia e grazie ancora a tutti quelli che hanno contribuito alla buona riuscita di questa festa anche se…..mi è costata qualche lacrima d’emozione.
Salvatore Faedda

LE MIE IMPRESSIONI (sul Parkinson) dì Salvatore Faedda 

“Il dolore nutre il coraggio

…non puoi essere coraggioso

se ti accadono cose bellissime”

Da quando frequento l’associazione del Parkinson mi sembra di vivere in un’altra dimensione; tutto quello che prima mi sembrava scontato ora non lo è più, soprattutto quando vedo i miei amici parkinsoniani cambiare i loro movimenti giorno dopo giorno.

Inizialmente, osservando le varie manifestazioni di questa patologia, pur essendo cattolico, mi sono sempre chiesto come mai Dio poteva chiederci questo sacrificio… a cosa poteva servire!!! Non sono mai riuscito a darmi una risposta.

Se penso poi ai familiari dei pazienti che senza alcun insegnamento si vedono costretti a gestire questo “pacco” 24 ore su 24 (sì, avete letto bene, ho scritto pacco perché di pacco ingombrante si tratta),         allora mi vengono i brividi e il mio umore precipita…precipitevolissimevolmente.

I nostri amici medici ce la stanno mettendo tutta per farci vivere una vita migliore ma a volte non basta. I medicinali la fanno da padrona e così siamo in balia di essi; un farmaco che funziona viene smentito da un’ altro che non funziona mettendo in crisi la nostra stabilità. Perciò, quando siamo insieme, ci incoraggiamo a vicenda cercando di non stare mai soli per non dare spazio alla malattia.

Al momento stiamo tentando di portare in scena la commedia “Giulietta e Romeo 40 anni dopo”, rielaborata in tono scherzoso dal nostro amico Franco Enna e, nonostante le varie difficoltà, penso che alla fine riusciremo a fare un buon lavoro.

Salvatore Faedda

L’eredità di Salvatore Faedda

Dopo la morte di mamma l’avvocato ha chiamato tutti noi perché doveva leggere il testamento.
Siamo cinque figli: Salvatore, Giovanni, Annalisa, Piero e Antonello. A Giovanni, Annalisa e Antonello mamma non ha lasciato niente mentre a me e a Piero….il morbo di Parkinson.
Io pensavo che “Parkinson” fosse la marca di una penna stilografica ma l’ho capito dopo che Piero ha fatto le visite sanitarie e gli hanno detto che si trattava di un regalo di mamma.
Intanto, sotto sotto, indagavo perché tanti miei disturbi erano uguali a quelli di Piero. Infatti, quando andavo al bar con gli amici, non prendevo mai nulla perché mi tremava la mano ed io mi vergognavo.
A casa mi chiedevano il perché del mio malumore: io alzavo le spalle e dicevo che non avevo nulla ma…le lacrime scendevano copiose.
Un giorno Piero mi dice: “ti prenoto una visita con Dott. Paulus che è molto bravo”. Così con mia moglie andiamo all’appuntamento e lui, dopo aver confermato la patologia con un modo di fare molto rassicurante mi dice: “iniziamo la lotta…sei d’accordo?” Ho iniziato la terapia ed i risultati si sono visti subito. Ora entro al bar con più tranquillità perché la mano non trema più ed anche perché sono decisamente più allegro….tranne qualche volta.
Ogni tanto mi chiedo: con Piero ci somigliamo moltissimo, siamo precisi a babbo (che è morto a 94 anni ed era sano come un pesce),  mentre gli altri tre fratelli somigliano a mamma e allora…come si spiega questo incrocio???.
Ora che ne ho la possibilità voglio dire al dottore che quando sono di malumore reagisco scrivendo tutto quello che mi passa per la testa. Ho anche la fortuna di suonare qualche strumento musicale che mi fa cambiare l’umore perché la musica mi fa compagnia.

Speriamo che la scienza riesca a trovare una soluzione più che soddisfacente…soprattutto per i nostri figli.

Prima di chiudere questo argomento voglio raccontare un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Sono andato in clinica oculistica, presso la stecca  bianca, per una visita di controllo. Dopo che sono entrato nell’ambulatorio il medico mi ha fatto un’intervista e, dopo avermi fatto sedere davanti ad uno strano apparecchio, mi ha fatto appoggiare la fronte ed il mento. Così di punto in bianco ha iniziato a dirmi a gran voce: “stia fermo…stia fermo…guardi che la mando fuori…ha capito???” Allora la tremarella aumentava ancora di più e lui: “vada fuori così impara”.
Ho avuto una crisi di pianto e mi sono rinchiuso in bagno finchè non mi è passato. Lui, comunque, è stato di parola perchè alle due mi ha detto: “venga dentro e mi raccomando…!!!”
Non l’ho nemmeno guardato, ricordo solo che era alto e magro e, se mi avesse ancora minacciato, l’avrei preso a schiaffi.

     Salvatore Faedda

Marumori (Malumore) di Salvatore Faedda


Candu soggu di marumòri
d'ugna tantu fozzu un pinsamentu:
la vida nosthra e piena di durori
e si vi sthai attentu anda cumenti lu ventu;
Si è maestrhali zischemmu di tappazzi
e candu è scirocco lu casthu suppusthemmu.

Da giòbani cridimmu chi la vida è longa
ma bastha una rumadia chi diventa costha.
Allora pensu a ru ventu e a l'amighi chi si z'ha pusthaddu.
Eu zeschu di tinimmi bassu bassu
ipirendi chi lu ventu no sia di terra
e mi daghia campà un althru pogu....arumancu!!!

Arribì a cabidannu c'un pogu di bonamori
e tuttu l'annu sia d'alligria pa ri maraddi
e li duttori aggiani pogu trabagliu
e di pobari no vi ni siani più.
Salvatore Faedda
Quando sono di malumore
ogni tanto mi metto a pensare:
la nostra vita è piena di dolori
e, se stai attento va come il vento.
Se è maestrale cerchiamo di coprirci
ma se è scirocco allora sopportiamo il caldo.

Da giovani la vita ci sembra lunga
ma basta un raffreddore perché ci sembra corta.
Allora penso al vento e agli amici che s' ha portato via.
Io cerco di stare basso basso
sperando che il vento non sia di terra
e mi lasci vivere... ancora un altro poco.

Arrivare, almeno, a capodanno con un po' di buonumore
e che tutto l'anno sia sereno per gli ammalati
e i medici abbiano poco lavoro
e i poveri...non esistano più.
Salvatore Faedda