Volare si Può, Sognare si Deve!

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ALLA RICERCA DELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

Il cervello, un organo meraviglioso ed affascinante.

Pillola n.51 (seguito di ” CONOSCERE SU NEMIGU “)

Ieri sera mi sono proprio divertito insieme a voi a Casa Park.

Ci siamo fatti una interessantissima e molto animata chiacchierata sulla malattia di Parkinson, avete commentato e fatte tantissime domande; abbiamo parlato  dei sintomi non motori del Parkinson, di apparecchiature elettroniche nella riabilitazione, della gondola, della terapia avanzata, e la stimolazione cerebrale profonda; abbiamo affrontato temi come la depressione, ansia, le difficoltà del familiare, il sonno, il freezing e, non ricordo, quanto altro. Per quasi tre ore abbiamo affrontato tanti argomenti interessanti ed utili, e voi non vi siete stancati intervenendo con curiosità ed entusiasmo fino alla fine, finché Tonino non ha spento le luci e chiuso il locale. Per me l’incontro di ieri, giovedì 28 settembre 2023, è stato molto coinvolgente, e penso lo sia stato anche per voi.

Avevo portato delle proiezioni con cui volevo illustrarvi dove si trova in realtà il Parkinson nel nostro corpo, ma ne abbiamo parlato solo marginalmente, talmente eravamo presi con le vostre domande, testimonianze e commenti.

Quindi, qui di seguito vorrei riassumervi il discorso “alla ricerca del Parkinson”:

Quando si pensa alla malattia Parkinson, viene in mente subito il tremore alla mano, il blocco alle gambe, oppure i dolori a muscoli e schiena. Ma dove si trova esattamente il Parkinson, dove origina?

Se andiamo a studiare singolarmente i muscoli di una persona affetta da Parkinson, dobbiamo constatare che i muscoli sono assolutamente sani. Questo ci sembra sorprendente perché sono proprio loro che ci creano i problemi, fanno tremare le nostre mani, bloccano le nostre gambe, e ci rendono difficili ogni tipo di movimento. Però, a guardare bene, i muscoli sono in ordine.

Allora il problema del Parkinson sarà da ricercarsi nelle ossa ed articolazioni che ci causano tanti disagi e dolori. Ma anche qua non troviamo alcun indizio circa la colpevolezza del rapace infingardo: le ossa e le articolazioni non possono essere accusati di ospitare il Parkinson, e risultano normali (eccetto artrosi e osteoporosi dovuti ad altro).

E se andiamo avanti a studiare il nostro corpo, scopriremo che non troveremo alcuna traccia di Parkinson neanche nelle vene ed arterie.

I vasi sanguigni, arterie e vene, non sono colpiti dal Parkinson…

Allora, ci siamo: la malattia di Parkinson origina nei nervi.

Sbagliato. Anche in questo caso resteremo delusi, perché anche i nervi non sono responsabili del Parkinson.

… e neanche i nervi.

Rimane il cervello, ma dove? Il cervello è grande e là dentro possono originare tante malattie, come la sclerosi multipla, l’epilessia, l’Alzheimer, ictus, ecc. E allora dove si nasconde il Parkinson?

Esso si nasconde al centro del cervello, in una regione che comprende i cosiddetti “nuclei della base”, centro di selezione del movimento. Ma anche questi nuclei, che decidono per noi quale movimento corretto fare al momento giusto, sono tanti. Questi nuclei della base ci aiutano a muoverci: quando vogliamo camminare saranno loro a scegliere per noi con quale piede iniziare il passo, non ce ne rendiamo neanche conto, finché non arriva il Parkinson e la selezione del movimento non è più automatico e ci costa fatica.

Alla fine, ci siamo sul serio: una piccola struttura all’interno dei nuclei della base, la sostanza nera (substantia nigra), è responsabile delle alterazioni cerebrali che stanno alla base della malattia di Parkinson; in questo piccolo nucleo troviamo le prime alterazioni all’interno del cervello che portano alla malattia, al tremore, al blocco motorio e tanti altri sintomi e difficoltà.

I nuclei della base (caudato, putamen, pallido e sostanza nera), piccole strutture al centro del cervello deputate alla selezione automatica dei movimenti giusti

Ora, seppur piccola, la sostanza nera contiene centinaia di migliaia di cellule nervose; sono alcune di esse che si ammalano a causa dell’accumulo di alfa-sinucleina e dei corpi di Lewy.

Ma di questo, e di cosa succede esattamente dentro la singola cellula della sostanza nera, abbiamo già parlato precedentemente osservando i danni che causa una piccola proteina, molto importante per il corretto funzionamento cellulare, quando si accumulano i suoi scarti che a causa del Parkinson non vengono smaltiti: per questo importante capitolo della neurologia vi invito alla lettura di “ L’ALFA-SINUCLEINA ” ed il suo seguito ” ALLE ORIGINI DEL PARKINSON “.

Ci vediamo alla prossima lezione e con gioia risponderò nuovamente alle vostre domande.

L’ALFA-SINUCLEINA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 26)

Recentemente il nostro amico Franco Simula mi ha raccontato di aver sentito alla televisione un professore parlare della alfa-sinucleina a riguardo della malattia di Parkinson. Il nome non gli era nuovo, e ricordava che c’entrava con i meccanismi che portano al Parkinson, ma l’esatta funzione di questa proteina gli sfuggiva. In quel momento ho capito che, in effetti, l’alfa-sinucleina  abbiamo nominato tante volte in questo nostro sito, ma non ne abbiamo mai parlato in modo specifico, il che vorrei fare adesso con una breve presentazione di questa piccola ma importante proteina.

Partiamo dalla cellula nervosa, il neurone, il cui compito è trasmettere l’informazione, e lo fa attraverso un segnale bioelettrico lungo la sua superficie cellulare. Per poter coprire lunghe distanze (dell’ordine dei micrometri) il neurone si avvale di un prolungamento cellulare, l’assone, che permette al segnale nervoso di scorrere fino a destinazione, generalmente un altro neurone all’interno di un circuito o rete funzionale. I due neuroni, però, non vengono direttamente in contatto, e tra il terminale assonale del primo neurone e la parte ricevente del secondo neurone, il dendrite, rimane un piccolo spazio, la sinapsi.

Ora, l’impulso elettrico non può superare la sinapsi saltando da una parte all’altra, e pertanto la comunicazione tra i due neuroni avviene nel modo seguente:

Quando il segnale nervoso giunge alla terminazione assonale, l’informazione nervosa, di natura elettrica, viene trasformata in segnale chimico, cioè, l’arrivo dell’impulso elettrico promuove la liberazione nello spazio sinaptico di una sostanza, il neurotrasmettitore, che ‘nuota’ fino all’altra parte della sinapsi dove si lega a dei recettori specifici che quindi fanno ripartire il segnale elettrico lungo il secondo neurone.

Vi starete chiedendo: ma cosa c’entra la trasmissione del segnale nervoso tra due neuroni con quella strana proteina, l’alfa-sinucleina?

Una volta che il segnale nervoso è arrivato alla terminazione dell’assone, troverà pronte delle vescicole piene di neurotrasmettitori che vengono versati nella sinapsi in seguito al comando del segnale elettrico appena arrivato. Ed adesso entra in gioco l’alfa-sinucleina, perché è lei che lega la vescicola alla membrana cellulare terminale permettendo lo svuotamento del suo contenuto dentro lo spazio sinaptico.

Nello stesso modo, l’alfa-sinucleina serve per staccare la vescicola dalla membrana per potersi nuovamente riempire di neurotrasmettitore in attesa del prossimo segnale bioelettrico. Tutto questo meccanismo perfetto si svolge in pochi millisecondi continuamente in tutto il nostro sistema nervoso, cervello, midollo spinale e nervi periferici, e ci permette di pensare, di agire e di muoverci.

Meccanismo fantastico, vero? Ma cosa succede quando questo meccanismo non funziona bene, e soprattutto, quando l’alfa-sinucleina non svolge correttamente il suo ruolo? Ne parleremo prossimamente.

(segue con ALLE ORIGINI DEL PARKINSON)

LE SEI COLONNE DEL PARKINSON di Kai S. Paulus

tempio greco

Con questa serie di brevi capitoli “Le sei colonne del Parkinson” cercherò di fornire una sintetica panoramica sulla gestione globale della malattia di Parkinson.

In questi anni mi sono reso conto che lo stato di salute di ogni persona parkinsoniana è diverso, perché c’è la differenza di genere, perché ognuno/a in base al proprio carattere reagisce in maniera diversa, perché non si tollerano alcuni farmaci, perché l’assistenza pubblica e/o familiare non è ottimale, perché è difficilissimo accettare la diagnosi e tutto ciò che con essa cambia.

Il mio lavoro consiste nel tagliare su misura l’abito della cura del Parkinson: aggiungo farmaci, li sposto, li sostituisco, aumento o abbasso il loro dosaggio, consiglio fisioterapia e supporto psicologico, richiedo consulenze specialistiche per altre patologie, e propongo attività associative. Questa delicata quanto difficile impresa viene complicata dalla comprensibile preoccupazione di paziente e familiare sulle aspettative prossime e future.

Come vedete, ci sono tantissime variabili ed è quasi impossibile confezionare un abito perfetto per ognuno/a. Nella mia attività quotidiana si sono formate negli anni delle tematiche, dei capitoli, dei capisaldi, che sono validi per tutti/e, e che contribuiscono notevolmente al miglioramento della qualità di vita, e, da non trascurare, sono completamente gratuiti e fattibili per tutti.

Ma come posso strutturare tutte le questioni e far ordine in questa giungla di necessità, bisogni, prescrizioni, consigli e raccomandazioni?

Allora mi è venuta un’idea…

Vorrei costruire insieme a voi un antico Tempio greco, di quelli belli e robusti, stile dorico, dove ogni colonna rappresenti un capitolo fondamentale della gestione globale della malattia di Parkinson, e dove, capitolo per capitolo, erigeremo prima le fondamenta, poi una ad una le colonne portanti, ed infine metteremo il tetto che protegge e terrà insieme le colonne permettendoci di individuare al primo sguardo tutte le questioni essenziali per affrontare la malattia.

tempio greco

Premessa:

Il Parkinson è una patologia progressivamente invalidante e con il tempo causa sempre più problemi e disagi, sia per la persona ammalata sia per i familiari.

Esistono diverse strategie per ridurre le disabilità psicomotorie parkinsoniane ed il carico psicofisico di familiari e/o assistenti, ma ci vogliono innanzitutto:

1) un approccio multidisciplinare da parte dell’assistenza sanitaria (neurologo, fisiatra, psicologo, ed altre figure professionali in base alle necessità), più facilmente raggiungibile con un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale), proposto da noi già da diverso tempo ed ancora in attesa di realizzazione, e

2) un adeguato approccio socio-familiare inscindibile da un atteggiamento positivo e motivato della persona parkinsoniana che dovrebbe partecipare attivamente alla gestione della propria malattia.

Iniziamo allora il nostro cantiere e poniamo le basi:

                                                                                (segue con TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO)

ACCETTARE LA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

Accettazione

(Pillola n. 24)

La malattia di Parkinson causa tanti problemi, tra cui instabilità posturale, rigidità, rallentamento dei movimenti, tremori, insonnia, ansia, depressione, dolori e fatica, e rende la persona progressivamente sempre più disabile con un sempre maggiore consumo di farmaci che a loro volta possono ulteriormente complicare il precario stato di salute.

Negli ultimi anni è diventato sempre più evidente che l’accettazione della malattia aiuta a gestire meglio le varie disabilità, con riduzione delle stesse, e minor assunzione di farmaci. Quindi l’accettazione è promossa di diritto a uno dei pilastri della gestione globale del Parkinson. Tutto semplice per l’operatore sanitario. Ma l’amico Giuseppe lo spiazza chiedendo “Ma come faccio ad accettare la malattia?” Domanda che segue contestualmente quella “Perché proprio io?” (vedi archivio maggio 2020).

Se la malattia, e la disabilità in generale, causano limitazioni nelle attività quotidiani e nella convivenza familiare e sociale, provocando di conseguenza diversi stati d’animo quali delusione, sconfitta, tristezza, ansia, depressione, rabbia, e quindi rifiuto e non accettazione, allora la soluzione non può che essere l’accettazione e la resilienza.

Sembra facile, ma invece è una delle problematiche individuali più difficili. Se ci si riesce, il premio sarà inevitabilmente un miglioramento della qualità di vita, un miglioramento del quadro neurologico, e soprattutto un miglioramento della soddisfazione della propria vita.

La resilienza è un approccio basato sulle risorse individuali disponibili che aiuta ad affrontare positivamente e creativamente le difficoltà.

Ed ora arriviamo al nocciolo della questione: come possiamo accettare una malattia che rende ogni movimento faticoso, ci stravolge la vita, ci cambia le prospettive, i rapporti familiari e quelli sociali, insomma, ci riduce nettamente la qualità della nostra vita. Perdiamo l’autostima, aumenta l’ansia, e la depressione ci attende dietro l’angolo.

Innanzitutto, dobbiamo conoscere la nostra malattia e le nostre disabilità, non subirle quotidianamente, ma osservarle e studiarle in ogni momento della giornata e della notte [mi raccomando: il sonno!], che ci aiuta a individuare i nostri limiti ed i nostri bisogni, da comunicare anche al familiare e/o assistente.

Imparando a conoscere la malattia giorno dopo giorno, possiamo individuare le continue fluttuazioni fisiche ed emotive e gli effetti dei farmaci.

Conviene parlarne con qualcuno che ci ascolta, che può essere un familiare, un amico/a, un assistente, un operatore sanitario, ecc. Dobbiamo esprimere i nostri pensieri ed emozioni suscitati dalla disabilità, dai limiti e dalle sfide quotidiane.

Dobbiamo individuare i servizi che la collettività ci mette a disposizione, utilizzarli al meglio, ma anche comunicare alle sedi predisposte i disagi e servizi non ottimali (burocrazia, attese, ecc.). Ogni comune mette a disposizione assistenti ed operatori sociali e servizi per le disabilità, la sanità pubblica fornisce terapisti, infermieri, OSS, psicologi, medici e specialisti di ogni branca della medicina, e lo stato prevede diversi aiuti personali, materiali ed economici (assistenti, ausili, esenzioni per malattia, invalidità, accompagnamento, permessi familiari, ecc.)

Accanto a questi aiuti istituzionali esiste il mondo del volontariato e delle associazioni, che è importante conoscere e vivere.

Vi siete mai chiesti a cosa serve la nostra Parkinson Sassari?

L’associazione rappresenta un punto di riferimento, un luogo dove confrontarsi con persone che devono affrontare le nostre stesse difficoltà, valido sia per le persone ammalate sia per i familiari. L’associazione può diventare un rifugio, un gruppo di amiche ed amici, una grande famiglia che protegge, conforta ed aiuta.

L’associazione può essere divertente e luogo di svago, occasione di una risata; l’associazione offre eventi ricreativi e ludici, invita a gite, pranzi e cene [il Beach Park appena inaugurato durante l’estate 2022 ne è piacevole esempio].

L’associazione informa con incontri di diverse figure professionali sanitari ed amministrativi, ed organizza seminari, eventi informativi e convegni; e con il proprio sito internet l’associazione racconta le proprie attività ed informa delle novità scientifiche.

L’associazione riabilita con la ginnastica (per migliorare l’equilibrio, la coordinazione e la deambulazione), con il coro (per migliorare il timbro della voce, l’espressione verbale, ma anche la deglutizione), con il teatro (per migliorare la memoria e l’autostima), il tutto praticato in gruppo per migliorare la socializzazione ed il buon umore [divertimento=dopamina!].

Ma l’associazione è anche partecipazione attiva: ognuno/a di noi ha la sua storia da raccontare, le sue esperienze da condividere; ognuno/a ha un talento che può mettere a disposizione degli altri, potrà contribuire ad organizzare attività ed eventi, aiutare chi ha maggiori difficoltà, motivare gli indecisi, suonare uno strumento, proporre una canzone da cantare, una sceneggiata da recitare, una gita da gioire, un pranzo da gustare. La partecipazione attiva solleva l’autostima e trasforma la propria disabilità in aiuto, sostegno, motivazione e insegnamento per terzi [la disabilità sale in catedra!].

Accettazione

La malattia richiede l’accettazione delle cose che non siamo più in grado di fare, ma richiede anche la consapevolezza che possiamo/dobbiamo adattarci: non dobbiamo rimpiangere le nostre abilità perdute, ma concentrarci su ciò che invece possiamo fare e creare. [probabilmente non tutti condividono questa mia frase, ma se all’inizio scambiate la parola “malattia” con “età”, nessuno obietterà, vero?]

Infine, può essere utile la lettura di storie di altri disabili e come loro hanno superato le loro paure e limitazioni; anche questo nostro sito è pieno di testimonianze da leggere con attenzione, e che grazie al nostro fantastico webmaster Gian Paolo Frau vengono puntualmente pubblicati e che si possono trovare nell’archivio del sito.

L’arte dell’accettazione della malattia di Parkinson [si tratta veramente di un’arte che tutti possono e dovrebbero imparare] a Sassari probabilmente è un po’ più facile che in altri posti: possiamo contare su un efficiente Ecosistema del Parkinson, molto evoluto negli ultimi anni [è interessante rivisitare una sua precedente versione in L’Ecosistema Parkinson Sassari, oppure nel mio articolo del 2016 Dott. Paulus non molla Mr. Parkinson], e che attualmente è formato, oltre da Comune e ASL di Sassari, dalla nostra Associazione Parkinson Sassari con la sua rete di connessioni con l’Università che lega a noi diversi specialisti quali psicologi, terapisti, farmacologi, neurologi, nutrizionisti e tanti altri, e dove la persona affetta da Parkinson e la sua famiglia non è abbandonata ma aiutata, integrata e supportata.

Vi sembro troppo ottimista? Non mi pare, guardate l’Ecosistema attuale:

  • La Provincia: ci ha appena concesso la sala per la nostra tradizionale Giornata Sassarese della malattia di Parkinson di fine anno;
  • Il Comune: sempre vicina tramite la Commissione per le Disabilità;
  • ASL: l’ambulatorio Parkinson ha appena aggiunto ulteriori possibilità di prenotazione tornando ai pieni ritmi pre-covid; è in corso il progetto su Familiari/Caregiver;
  • Università: conclusosi prima dell’estate la ricerca sui virus nel Parkinson con prossima presentazione dei risultati, è ora iniziato il progetto di fitness con la Facoltà di Scienze motorie che coinvolge le associazioni Parkinson di Sassari e di Alghero;
  • Associazione Parkinson Sassari: sta sistemando la nuova sede in previsione della sua prossima apertura; sta preparando, dopo lo stop dovuto alla pandemia, la Giornata Sassarese del Parkinson; il coro “Volare si può” è in piena attività.

Non male, vero? E se parte il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) del Parkinson suggerito da noi all’ASL di Sassari, allora l’utenza personale e familiare sarà pienamente inserita in una rete globale che aiuterà a 1) accettare la malattia, 2) affrontarla e 3) migliorare la qualità di vita ottenendo un livello di vita soddisfacente in attesa della prossima generazione di farmaci innovativi.

Più che mai: Volare si può sognare si deve!

 

Fonti bibliografiche:

Gheshlagh RG, Sayehmiri K, Ebadi A, Dalvandi A, DalvandS, Tabrizi KN. Resilience of Patients with Chronic Physical Diseases: a systematic review and meta-analysis. Iran Red Crescent Med J, 2016; 18(7): e38562.

Mahmoud NN, Rothenberger D. From Burnout to Well-being: a focus on resilience. Clin Colon Rectal Surg 2019: 32: 415-423.

Robottom BJ, Gruber-Baldini AL, Anderson KE, Reich SG, Fishman PS, Weiner WJ, Shulman LM. What determines resilience in patients with Parkinson’s disease. Parkinsonism and Related Disorders, 2012; 18: 174-177.

Rosengren L, Forsberg A, Brogardh C, Lexell J. Life Satisfaction and Adaptation in Persons with Parkinson’s Disease – A qualitative study. Int. J. Environ Res Public Health 2021; 18, 3308; 1-12.

E CHE TREMORE SIA di Kai S. Paulus

Nei primi anni adolescenziali mi trovavo spesso sdraiato per terra insieme ai miei fratelli Patrick e Urs ad ascoltare le divertenti trasmissioni radiofoniche di Radio Luxembourg con Frank Elstner, che negli anni sarebbe diventato uno dei più famosi moderatori della televisione tedesca e ideatore di tanti programmi di successo, tra cui “Scommettiamo che…” molto noto anche in Italia.

Avevo perso le tracce di Frank Elstner, finché una settimana fa Patrick mi ha mandato una presentazione del libro “Dann zitter ich halt. Leben trotz Parkinson” (‘E che tremore sia. Vivere nonostante il Parkinson’), edito da Piper Verlag (Monaco di Baviera), in cui ho scoperto la malattia della star televisiva, oggi, ad oltre 80 anni, ancora in attività nonostante otto anni Parkinson.

Il libro è costruito in forma di intervista tra Elstner ed il suo neurologo prof. Jens Volkmann, ed i due passano in rassegna tutti i principali sintomi della malattia di Parkinson, dal tremore alla rigidità, dal freezing a sbandamenti e cadute, dalla micrografia alle discinesie, alla scialorrea e disfagia, fino al rallentamento motorio, ed i due si soffermano molto anche sui sintomi non motori, quali insonnia e disturbi del sonno, la depressione, i dolori, la stitichezza, la riduzione dell’olfatto. Tutti gli argomenti vengono trattati in modo sufficientemente approfondito ma in maniera comprensibile e spesso autoironica e simpatica.

La conversazione si snoda scorrevolmente, spesso intercalata con piccoli paragrafi su argomenti imparentati con il Parkinson, quali la sindrome delle gambe senza riposo, il tremore essenziale, i parkinsonismi, ed altri; molta attenzione viene dedicata anche ai cosiddetti segni prodromici, cioè quei sintomi con cui subdolamente e mascherato ha inizio tutto, molto prima delle prime manifestazioni motorie tipiche (rallentamento, rigidità, tremore), quasi all’insaputa della vittima che solo anni dopo, ripercorrendo la propria storia, coglie le avvisaglie nascoste (disturbi del sonno, stitichezza, depressione, ecc.).

Il libro non è un testo scientifico e presenta i disagi ed i problemi del Parkinson nella quotidianità della vita. E si parla dei familiari, dei caregiver, dei terapisti e dei medici, e per la prima volta ho letto delle raccomandazioni su come comportarsi davanti al medico che ho trovato una perspettiva insolita, visto che noi ci occupiamo solitamente solo del comportamento degli operatori sanitari e non anche viceversa.

Elstner e Volkmann discutono i vantaggi di una corretta dieta, le terapie con le loro possibili complicazioni, e soprattutto parlano del modo migliore per affrontare la malattia: rimanere attivi, dormire bene e affrontare il rapace infingardo (cit. G.B.) con decisione. Ma proprio qui il libro mostra, a mio avviso, il suo aspetto migliore, quando la star televisiva ogni volta si lamenta che gli viene difficile seguire tutti i buoni consigli a causa dei dolori, della lentezza dei movimenti, della fatica e dell’insoddisfazione generale, ed il professore ogni volta trova il modo di rasserenare il suo assistito.

Ho letto tanti libri scritti da persone che lottano contro su nemigu (cit. Peppino Achene), e penso che questo dialogo sia un ulteriore arricchimento. Speriamo che “Dann zitter ich halt” venga tradotto in italiano perché è ricco di situazioni che ogni persona affetta da Parkinson vive quotidianamente ma a volte non riesce a gestire nel modo migliore.

LA MALATTIA DI PARKINSON E L’HERPES VIRUS di Kai S. Paulus

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Somaye mi fa sapere tramite whatsapp che è giunta in via Tempio n. 5, e pertanto esco dal Poliambulatorio per salutarla, ma non la vedo. Le rispondo col cellulare che non riesco a trovarla e lei mi manda una improbabile foto di una via Tempio n.5; mi viene il dubbio che Somaye si trovi a Sassari. Ma eccola finalmente, che saluta con le mani da lontano, evidentemente si trovava molto più giù nella “nostra” via Tempio, e mi vengono i dubbi che il numero civico del Poliambulatorio non sia realmente il 5. Anche Rosa, l’infermiera, che era uscita insieme a me portando con se i campioni, è contenta nel vederla perché fa piuttosto freddo, e noi in strada, solo in camici provenienti dagli ambulatori surriscaldati, stiamo per congelarci.

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Questo intrigante lavoro, pubblicato nel 2016, indaga possibili collegamenti tra patogeni intestinali e la malattia di Parkinson

 

Finalmente posso salutare Somaye Jasemi, la giovane ricercatrice dell’Istituto di Microbiologia inviata da Prof. Leonardo A. Sechi per recuperare i nostri campioni di sangue; con Somaye ci eravamo sinora solo scritti per mail e whatsapp senza averci mai visti prima. Lei è iraniana e non parla l’Italiano e si sarà divertita ad incontrare un tedesco che ha quasi dimenticato l’Inglese. Comunque, alla fine, con mani e gesti ci siamo capiti e la ricercatrice è tornata al suo istituto con i primi cinque campioni di sangue per lo studio del nuovo progetto sull’ipotetica influenza del herpes virus nella patogenesi del Parkinson; e quando la scienza chiama, la nostra Parkinson Sassari è sempre presente.

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Sempre nel 2016 ci siamo interrogati su una possibile stimolazione del sistema immunitario da parte del virus herpes simplex comportante un aggravamento del Parkinson

Alcuni di voi si ricorderanno, quando l’ambulatorio Parkinson era ancora in Clinica Neurologica, che partecipavamo a molte ricerche sul Parkinson, di cui alcune in collaborazione con il gruppo di ricercatori guidati da Prof. Leonardo Sechi; alcuni risultati sono addirittura finiti su riviste scientifiche internazionali.

Poi c’erano, prima, le note vicissitudini in Clinica culminati con il trasferimento dell’ambulatorio Parkinson (compreso il neurologo) dalla Clinica Neurologia al Poliambulatorio della ATS in via Tempio, e, poi, la pandemia del covid-19, e perciò per alcuni anni la collaborazione è stata interrotta, fino a ieri mattina, appunto.

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Nel 2017 esce il seguito del lavoro precedente, in cui si conferma il coinvolgimento del sistema immunitario nella patogenesi del Parkinson, ed il peggioramento del quadro clinico parkinsoniano in seguito ad infezione da virus herpes simplex.

Si riparte, quindi, con un ambizioso progetto che vuole studiare eventuali interazioni tra gli anticorpi del herpes virus con l’alfa-sinucleina, quella proteina che, quando alterata, causa il Parkinson. Allora c’erano, oltre a Prof. Sechi e me, le bravissime dottoresse Elisa Caggiu e Giannina Arru che durante una nostra Giornata Parkinson si erano presentate alla nostra Associazione illustrando i loro risultati. Ora invece ripartiamo, appunto con Somaye Jasemi della Microbiologia, e con le nostre infermieri Roberta Carfagna, Giuseppina Chessa, Maria Grazia Demartis e la congelata Rosa Simula, del laboratorio analisi del Poliambulatorio della ASSL Sassari in via Tempio (n. 5?).

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Infine, nel 2018 viene pubblicato una ricerca del gruppo sassarese su indici di infiammazione cronica nel cervello in caso di patologia neurodegenerativa, e quindi anche Parkinson, e la possibilità di poter misurare alcuni marker di tale infiammazione nel sangue, con possibili vantaggi di diagnosi e di monitoraggio.

Rivedere gli articoli scientifici, ai quali abbiamo collaborati, fa un certo effetto perché abbiamo partecipato a delle ricerche veramente interessanti e che hanno lasciato traccia nella letteratura scientifica internazionale; e poi, e ne possiamo essere orgogliosi, senza la collaborazione della nostra Parkinson Sassari questi studi non sarebbero stati possibili.

Ora dovrò studiare l’Inglese, e Somaye adesso sa dove noi supponiamo sia via Tempio n. 5.

LA MALATTIA DI PARKINSON: I GIOVANI di Kai S. Paulus

Giovani

Ieri è stato un giorno importante per la nostra Parkinson Sassari perché c’è stato il primo evento dedicato esclusivamente alle persone giovani ammalate di Parkinson. La necessità di occuparsi delle problematiche di una persona giovane con Parkinson nasce dalla crescente consapevolezza che le criticità e le esigenze degli “Under 60” sono spesso molto differenti da quelli dei nostri “veterani”. Una persona giovane che si trova nel mondo del lavoro, ad un certo punto comincia ad avere difficoltà nel compiere la propria professione con crescenti difficoltà, il che si può tradurre in riduzione di salario, rischiando anche il posto di lavoro e dovendosi occupare di prepensionamento.

Questa persona può avere una famiglia giovane con figli ancora da educare, da dare l’esempio; con i disagi motori e non motori, e con le oscillazioni del tono dell’umore anche la vita di coppia è messa a dura prova. E magari un giovane deve ancora affermarsi nella società dove le disabilità non aiutano.

Per farla breve, una persona grande con Parkinson può guardare indietro ad una vita vissuta, quella giovane invece ha ancora tanti sogni e progetti da realizzare. Avrebbe, perché il rapace infingardo non glielo vuole permettere.

E qui nascono anche le differenze della gestione terapeutica, primo, nell’individuare possibili fattori di rischio forse modificabili, e, secondo, la scelta dei farmaci indirizzati a mantenere l’efficienza familiare, sociale e professionale (per es., non si possono assumere farmaci con eventuali effetti ipotensivi o sedativi, compromettendo la guida o il lavoro, ecc.).

Giovani

La locandina della videoconferenza

Per tali motivi, la nostra Parkinson Sassari vuole creare una sezione Giovani, per dare spazio anche a queste differenti esigenze. Un punto importante, in questo contesto, riveste la genetica, perché con la conoscenza dei difetti genetici che a volte stanno alla base della malattia, si può prevedere in grandi linee il decorso patologico, ed intuire una progressione più o meno rapida. La scienza è appena all’inizio, ma qualcosa si può già fare e di questo si è parlato ieri mattina e di cui vi lascio qui di seguito un breve riassunto.

“Genetica e Parkinson”

Per un primo appuntamento tra “giovani”, ci siamo collegati alla videoconferenza sulla “Genetica e Parkinson” organizzato dalla Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani, AIGP, capitanata da Massimiliano Iachini, con due interessantissime relazioni su questo tema tenute dal dott. Alessia Di Fonzo, direttore del gruppo di ricerca per la malattia di Parkinson del Centro Dino Ferrari e UOC Neurologia Policlinico Milano, e dalla prof.ssa Elisa Greggio, coordinatrice dell’Unità di Fisiologia, Genetica e Comportamento, Università degli Studi di Padova. Noi sardi siamo stati un rispettabile gruppetto e per l’inizio va benissimo così. Alcuni non potevano partecipare per motivi professionali, altri probabilmente, magari dubbiosi, osserveranno gli sviluppi a distanza.

 

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Dott. Alessio Di Fonzo

I due ricercatori, Elisa Greggio e Alessio Di Fonzo, hanno illustrato in modo comprensibile il panorama delle attuali conoscenze in fatto di familiarità ed ereditarietà. Le forme genetiche di Parkinson sono relativamente rare e riguardano circa un 5% di tutti i parkinsoniani, ma con una percentuale maggiore tra i giovani. Sembra che si stia appena avvistando la punta dell’iceberg e molti geni sfuggono ancora dall’essere individuati e, soprattutto, non si riesce ad elaborare l’enorme mole di dati che la scoperta dell’intero genoma umano ci ha fornito; cioè, la scienza è andato oltre le nostre capacità di comprensione ed utilizzo.

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Prof.ssa Elisa Greggio

Però, stanno emergenti alcuni dati interessanti ed incoraggianti. Per esempio, si sono individuati mutazioni di due gene, il LRRK2 (coinvolto in tanti processi di smaltimento di scarti) ed il GBA (cui mutazioni omozigoti danno origine alla malattia infantile Gaucher, invece quelle eterozigoti, cioè ereditate da un solo genitore aumentano il rischio di Parkinson), due geni le cui mutazioni causano un Parkinson ad esordio giovanile, anche prima dei 40 anni, però ad andamento molto lento e praticamente senza coinvolgimento delle funzioni mentali che invece si può osservare nel Parkinson “grande” negli stadi avanzati. Questo dato è importante, perché dà la possibilità di prevedere l’andamento della malattia con l’opportunità di programmazione delle scelte di vita future, e, pur nella “sfortuna” di essere ammalati di una malattia neurodegenerativa, avere la “fortuna” che si tratti di una variante meno invalidante.

Sorge spontanea la domanda: allora io sano, posso fare i test genetici per sapere se ho una mutazione che riguarda il Parkinson?

La risposta è: teoricamente sì.

Ma la risposta alla successiva domanda “ha senso fare uno screening genetico preventivo?” è fermamente no.

Anche una persona con familiarità per Parkinson non trarre alcun vantaggio dalla conoscenza di possibili mutazioni genetiche, perché, come detto pocanzi, la scienza è più avanti delle applicazioni pratiche; anche se conosco la mutazione, lungi dall’essere certezza di malattia, non ho armi per correggerla.

Concludendo quindi, a che serve la genetica se non aiuta a guarire?

Primo: la genetica non aiuta a guarire, ovvero, non ancora. Però, lo studio genetico è importante per capirne sempre di più e per porre le basi per future terapie.

Secondo: come abbiamo visto, i primi risultati della genetica sono incoraggianti perché permettono in alcuni casi, vedi le mutazioni di LRRK2 o GBA, di prevedere approssimativamente il corso della malattia; e questo ha risvolti molto importanti e pratici ai fini di vita familiare e professionale.

Nei saluti, Massimiliano Iachini ci fa sapere che d’ora in avanti queste videoconferenze dedicate ai Giovani dovrebbero ripetersi mensilmente. Ho subito proposto il tema del sonno (lo so, sono fissato, ma è più forte di me) e vedremo se prossimamente se ne parlerà.

Intanto l’inizio è fatto, ed ora anche le nostre ed i nostri Giovani possono iniziare a volare. Ma ricordatevi:

Volare si può, Sognare si deve!

FREEZING DELLA MARCIA di Kai S. Paulus

 

La patofisiologia del ‘freezing’ rimane incerta, e non esistono terapie efficaci” (Witt et al., 2019)

 

Ecco, ci risiamo: ogni volta che cerchiamo di approfondire un aspetto, un sintomo, un disagio del Parkinson, subito la scienza ci toglie ogni entusiasmo avvisandoci che non si conoscono ancora bene i meccanismi cerebrali sottostanti al Parkinson e che pertanto non c’è ancora una cura soddisfacente.

Ovviamente non ci diamo per vinti, la ricerca va avanti, ed anche noi della Parkinson Sassari stiamo da tempo focalizzando il nostro interesse su questi incredibili e non comprensibili blocchi motori, di cui ci siamo già occupati diverse volte anche in questo sito:

Definizione

Il team di scienziati intorno a John Nutt (2011) ha definito il freezing of gait (FoG), ovvero il “congelamento della marcia”, come un breve episodio di assenza oppure marcata riduzione dello spostamento in avanti del piede nonostante l’intenzione di camminare.

Per andare ancora più indietro, gli austriaci Gerstmann e Schilder nel 1920 parlarono di “Bewegungsluecke” (lacuna di movimento).

Questa improvvisa e frequente sensazione di avere i piedi come congelati al pavimento accentua notoriamente l’instabilità posturale causando spesso cadute traumatiche e riduce notevolmente le proprie autonomie e la qualità di vita.

 

La marcia

Permettetemi di citare me stesso da “I disturbi della marcia (Pillola n, 17)”, archivio settembre 2018:

 

Il passo è costituito da una serie di eventi che si susseguono, il ciclo, permettendo lo spostamento del corpo in avanti. Il ciclo del passo comprende gli eventi che intercorrono tra due appoggi successivi sul terreno dello stesso piede.

Illustrazione delle fasi del ciclo del passo registrate tramite device Tecnobody Walker View. Tecnobody Srl 2016

Nei complessi meccanismi della camminata, o marcia, si individuano i seguenti parametri: la forza muscolare che serve per spostarsi e per vincere la forza di gravità, la larghezza della base d’appoggio (la distanza laterale tra i due piedi), la lunghezza del passo, la cadenza del passo (ritmo), la fluidità del movimento, l’inizio della marcia, le deviazioni direzionali (oscillazioni), e l’adattabilità.”

 

Credo che questo breve passaggio renda molto bene la complessità di ciò che diamo completamente per scontato, e che spieghi anche bene la ragione delle difficoltà nel voler intervenire per correggere alterazioni della marcia in caso di malattia: ogni parametro elencato è stato appreso durante l’infanzia con lo sviluppo di tanti circuiti cerebrali che nel corso della vita funzionano squisitamente autonomi ed inconsci.

Quando passeggiamo sull’amata muraglia di Franco Simula osserviamo le persone, il cielo ed il mare, ascoltiamo la musica di Soleandro, e chiacchieriamo con Baraba ed amici, non pensando minimamente allo straordinario lavoro che il nostro cervello sta compiendo per farci fare tutte quelle azioni contemporaneamente, ed il tutto mentre eseguiamo continuamente le sette complicate fasi del passo per spostarci, senza rendercene conto. Incredibile, vero?

 

Ed ora arriva il Freezing a rovinarci tutto.

 

(segue Freezing della Marcia 2)

 

 

Fonti bibliografiche:

Amboni M, Stocchi F, Abbruzzese G, Morgante L, Onofrj M, Ruggeri S, Tinazzi M, Zappia M, Attar M, Colombo D, Simoni L, Ori A, Barone P, Antonini A, on behalf of DEEP Study Group. Prevalence and associated features of self-reported freezing of gait in Parkinson’s disease: The DEEP FOG study. Parkinsonism and Related Disorders, 2015; 21: 644-649.

Di Biase L, Di Santo A, Caminiti ML, De Liso A, Shah SA, Ricci L, Di Lazzaro V. Gait Analysis in Parkinson’s disease: an Overview of the most accurate markers for diagnosis and symptoms monitoring. MDPI Sensors, 2020; 3529; doi:10.3390

Gerstmann J, Schilder P. Bewegungsstoerungen. I. Eigenartige Formen extrapyramidaler Mobilitaetsstoerung. Zeitschrift der Gesellschaft fuer Neurologie und Psyschiatrie 1920; 56: 266-275.

Nutt JG, Bloem BR. Freezing of gait: moving forward on a mysterious clinical phenomenon. Lancet Neurol 2011;10(8): 734-744

Witt I., Ganjavi H, MacDonald P. Relationship between Freezing of Gait and Anxiety in Parkinson’s disease patients: a systemic literature review. Hindawi Parkinson’s disease, Vol 2019, article ID 6836082.

FREEZING DELLA MARCIA 2 di Kai S. Paulus

Fog

(seguito di “Freezing della Marcia)

 

 

Ora cerchiamo di addentrarci nei meccanismi cerebrali e fisiologici da cui origina il FoG, senza essere troppo tecnici. Per tornare sulla muraglia citata nella prima parte, Franco, Baraba e Soleandro si sono fermati ed ora discutono insieme la questione.

 

Patofisiologia

La scienziata belga Alice Nieuwboer distinse nel 2013 quattro meccanismi diversi che potrebbero stare alla base del freezing della marcia, FoG:

1) il modello di soglia, in cui si accumulano le difficoltà nella deambulazione (passi piccoli, strascicati, rallentati, difficoltà nei passaggi e cambi posturali, ecc.) che poi, quando superano una certa soglia, portano ad improvvisi blocchi motori;

2) il modello di interferenza, in cui si presume che i circuiti motori e cognitivi, strettamente interconnessi, siano competitivi e complementari; nel Parkinson, i neuroni dopaminergici sono compromessi per cui l’elaborazione delle informazioni si sposta eccessivamente sui circuiti cognitivi/emotivi causando un sovraccarico delle capacità di elaborazione di informazioni all’interno dei gangli della base (centro di selezione e integrazione del movimento, principalmente ammalato nel Parkinson). Questo modello spiegherebbe anche il fenomeno delle difficoltà nei dual task (capacità di compiere due azioni contemporaneamente, per es. camminare e parlare, o camminare e portare un vassoio, ecc.) con interruzione dei programmi motori durante accrescente carico cognitivo, e quindi il blocco;

3) il modello cognitivo, che presume un deficit tra conflitto (neuronale, associativo) e sua risoluzione. In condizioni normali, si è in grado (inconsciamente) di prevenire azioni premature e di ritardare la selezione di risposta fino alla risoluzione del conflitto; invece, in caso di FoG tale prevenzione fallisce con decisione troppo rapida e maggiore incongruenza, che alla fine porta al FoG.

4) il modello scoppiato che prevede una separazione tra il programma motorio pianificato e la risposta motoria, e quindi la “idea” di fare qualcosa non potrà essere eseguita.

Per comprendere meglio i blocchi motori, e soprattutto al fine di una possibile prevenzione, è importante tener presente diversi fattori che possono predisporre negli anni allo sviluppo del freezing.

 

Fattori di rischio predisponenti al FoG:

sesso maschile: in linea con le evidenze scientifiche, le differenze di genere osservate tra i sintomi motori e non motori sono probabilmente dovute all’influenza degli estrogeni nella sintesi di dopamina;

durata di malattia: il FoG si presenta comunemente negli stadi avanzati di malattia;

instabilità posturale e difficoltà nella marcia all’inizio di malattia: i sintomi parkinsoniani variano in base al livello di lesione dei circuiti dopaminergici o di selezione di movimento; precoci difficoltà nella deambulazione predispongono pertanto al FoG negli stadi futuri, perché una loro naturale evoluzione;

fluttuazioni motorie: le fluttuazioni motorie sono associate ad un grado maggiore di deplezione dopaminergica che quindi predisponenti al FoG;

festinazione: apparentemente la festinazione, la camminata veloce a piccoli passi con tronco inclinato in avanti (inseguire il proprio baricentro), sembra il contrario del FoG. La festinazione probabilmente è dovuta ad un progressivo ritardo dell’elaborazione temporale di schemi motori nelle proiezioni nervose che vanno dal nucleo pallido interno (nei gangli della base) fino all’area premotoria e quella motoria supplementare nella corteccia. Pertanto, i passi diventano sempre più corti fino a raggiungere un limite al quale le aree corticali non riescono più a distinguere lo schema fasico del movimento, necessario a generare il prossimo passo in sequenza portando alla fine al blocco motorio ed al FOG.

 

Tra i sintomi non motori che possono rappresentare un fattore di rischio di FoG ci sono:

  • disturbi cognitivi: i domini cognitivi probabilmente coinvolti nella generazione di FoG sono la “velocità di elaborazione basale”, “l’abilità di apprendimento“, e le “capacità visuo-spaziali ed esecutive”. Il coinvolgimento delle alterazioni cognitive nel FoG viene illustrato tramite il seguente modello: in condizioni normali le azioni premature (non ancora controllate per la loro fattibilità) vengono evitate oppure ritardate finché l’eventuale conflitto decisionale sarà risolto [tenete presente che siamo dentro i circuiti neuronali del cervello e tutto si svolge al di fuori della nostra coscienza, nel lasso di tempo di pochi nanosecondi]. Invece, se tale sistema di prevenzione/ritardo non funziona, allora viene imposta una più veloce decisione di risposta con maggiore incongruenza ed errore e formazione del blocco motorio.

ansia e depressione: in studi di Risonanza Magnetica Funzionale si è osservato che nei “Freezer” c’è un interessamento dei circuiti limbici/emozionali con una specie di sovraccarico tra la rete limbica corticale e sottocorticale da una parte, e lo striato (putamen e globo pallido) ventrale (quello dorsale è responsabile dei sintomi motori) dall’altra; tale meccanismo di sovraccarico potrebbe spiegare come l’ansia e depressione (che nascono nel sistema limbico) possono predisporre al FoG.

sonno: dati controversi esistono per una eventuale predisposizione dei disturbi del sonno, ed in particolare il “disturbo comportamentale nella fase REM” che causa sonno agitato e sonniloquio, ed alcuni studi ipotizzano addirittura una comune genesi tra questi due fenomeni apparentemente molto distanti.

parola: disturbi del linguaggio (disartria, ipofonia, tachifemia, ecc.) sembrano essere maggiormente presenti in persone che poi svilupperanno il FoG.

parametri neuroradiologici: recenti studi ipotizzano un valore predittivo per sviluppare il FoG quando, all’esordio della malattia, alla scintigrafia (SPECT DATscan) si osserva un maggiore interessamento del nucleo caudato (oltre al putamen, sempre compromesso), ed alla risonanza magnetica encefalica, delle maggiori iperintensità nella sostanza bianca sottocorticale, causando probabilmente delle interruzioni delle vie associative corticali e di quelle motorie striato-frontali.

terapia: paradossalmente, la stessa terapia dopaminergica viene tirata in ballo come fattore di rischio nella comparsa dei blocchi motori, e pertanto si parla di FoG levodopa responsivo, FoG levodopa resistente, e FoG indotto da levodopa. Alcuni studi avrebbero osservato che il FoG quasi non esisteva prima dell’era della levodopa ed hanno conseguentemente concluso che il FoG sarebbe dovuto proprio alla stessa levodopa con lunghi ed alti dosaggi. Altri studi invece sostengono che prima non si è osservato il FoG perché non ci si badava essendo le persone talmente ammalate che non camminavano per niente e che l’aspettativa di vita era molto ridotta. In effetti, la clamorosa efficacia della somministrazione di dopamina si ottenne proprio con la quasi miracolosa scomparsa temporanea del freezing prolungato all’inizio degli anni ‘60.

– infine, vengono discussi da parte della ricerca internazionale anche dei biomarker presenti nel liquor cerebrospinale, come il Beta-amiloide 1-42 (Ab42), di cui al momento però non esistono risultati univoci.

 

(segue Freezing della Marcia 3)

 

Fonti bibliografiche:

Bharti K, Suppa A, Tommasin S, Zampogna A, Pietracupa S, Berardelli A, Pantano P. Neuroimaging advances in Parkinson’s disease with freezing of gait: a systematic review. NeuroImage: Clinical, 2019; 24: 1-16.

Gao C, Liu J, Tan Y, Chen S. Freezing of gait in Parkinson’s disease: pathophysiology, risk factors and treatments. Translational Neurodegeneration 2020, 9: 12-34.

Koehler PJ, Nonnekes J, Bloem BR.  Freezing of gait before the introduction of levodopa. Lancet Neurol 2021; 20: 97.

Marques JS, Hasan SM, Siddiquee, Luca CC, Mishra VR, Mari Z, Bai O. Neural Correlates of Freezing of Gait in Parkinson’s Disease: An Electrophysiology Mini-review. Frontiers of Neurology. 2020; 11: 1-12.

Nieuwboer A, Giladi N. Characterizing Freezing of Gait in Parkinson’s Disease: Models of an Episodic Phenomenon. Movement Disorders 2013; 11; 1509-1519.

Nonnekes J, Bloem BR. Biphasic Levodopa-Induced Freezing of Gait in Parkinson’s Disease. Journal of Parkinson’s Disease 2020;10: 1245-1248.

Weiss D, Schoellmann A, Fox MD, Bohnen NJ, Factor SA, Nieuwboer A, Hallett M, Lewis SJG. Freezing of gait: understanding the complexity of an enigmatic phenomenon. Brain 2020;143:14-30.

 

FREEZING DELLA MARCIA 3 di Kai S. Paulus

FoG

(seguito di “Freezing della Marcia 2)

 

Franco, Baraba e Soleandro hanno concluso la loro animata discussione ed ora arrivano al dunque.

 

Terapia:

L’approccio attualmente più efficace per trattare il FoG è rappresentato dalla riabilitazione neuromotoria e complementare (arte, musica e sport terapia), che esige ovviamente una preventiva ottimizzazione della terapia farmacologica dopaminergica e, quando necessaria, antidolorifica, ansiolitica ed antidepressiva, e correzione di eventuali disturbi del sonno e della digestione. In casi farmacoresistenti sono da prendere in considerazione anche procedure non farmacologiche, quali la stimolazione cerebrale profonda, la stimolazione vagale non invasiva, e le stimolazioni magnetica od a corrente diretta transcraniali.

Dopodiché potrà iniziare il programma riabilitativo fisico e mentale.

 

Per l’importante partecipazione delle funzioni cognitive nella generazione del FoG, si rende necessaria una rieducazione al movimento, alla deambulazione, con la massima partecipazione del Freezer che invece è spesso convinto che “le gambe non funzionino”. Siccome i possibili movimenti alternativi al passo in avanti, e cioè spostare lateralmente il piede, sollevarlo, sollevare il ginocchio, ecc., conferiscono alla persona la consapevolezza del buon funzionamento della gamba, che poi aiuta ad incrementare motivazione, speranza, fiducia, e conseguentemente la ferma convinzione di poter superare il blocco motorio.

 

Per favorire la camminata sono spesso necessari dei trucchi (“cues”) che servono per “ingannare” il sistema “inceppato” e portano al corretto svolgimento del movimento.

 

Tra tali trucchi ci sono:

– la marcia militare, cioè camminare volutamente ed esageratamente come un soldato di parata con le ginocchia ben alzate e con il correspettivo accompagnamento delle braccia

– l’ostacolo: dover superare piccole travi oppure strisce per terra, reali oppure immaginarie

– il ritmo, verbale o musicale, che favorisce il movimento

– l’utilizzo di videogiochi e realtà virtuale che possono combinare diverse strategie con il divertimento che, come sappiamo, porta ad un rafforzamento dopaminergico.

 

Tutti questi trucchi funzionano al momento, mentre spesso, appena non applicate, il FoG si ripresenta come prima comportando frequentemente una sensazione di delusione e di frustrazione..

FoG

Una figura del lavoro di Marquez et al. di Frontiers in Neurology 2020, che illustra molto bene le molteplici connessioni tra corteccia cerebrale e strutture centrali sottocorticali coinvolti nel FoG

 

Per evitare queste situazioni di rassegnazione, bisogna procedere con determinazione con le seguenti, fondamentali strategie:

1) la Consapevolezza: come descritto prima, il fatto di poter “magicamente” eseguire il movimento apparentemente contro ogni previsione, porta inevitabilmente ad un rafforzamento positivo e motivazione della persona

2) l’Esercizio continuo: i trucchi vanno applicati sempre anche nella vita di tutti i giorni, spesso alternandoli tra di loro, per rinforzare sia la consapevolezza sia gli schemi motori compensatori, da poter ridurre il fenomeno bloccante. Ovviamente, sarà bizzarro camminare per strada come un soldato prussiano, ma con l’esercizio permanente i movimenti diventeranno più morbidi e per terzi non osservabili.

 

Spero di non essermi dilungato troppo, ma l’argomento, come avrete notato, è complesso quanto delicato. Sono convinto che comprendere bene i meccanismi che sottostanno al FoG rappresenta il primo passo della cura, e dà al “freezer” la possibilità di affrontarlo con più raziocinio e meno ansia, che, come sopra esposto, non fa altro che alimentare ulteriormente il freezing della marcia.

 

Per scrivere questo articolo ho letto tanti articoli e capitoli di libri presentandovi l’attuale stato di conoscenza della scienza e ricerca internazionale, nella speranza che possa servire per i nostri prossimi percorsi riabilitativi a tema, ovviamente in presenza.

 

Franco, Baraba e Soleandro hanno smesso di parlare accomodandosi su qualche panchina sulla muraglia di Alghero e, chi con l’armonica e chi con chitarra e voce, intonano “Vooooolaaare…”

 

Volare si può sognare si deve!

 

 

Fonti bibliografiche:

Gao C, Liu J, Tan Y, Chen S. Freezing of gait in Parkinson’s disease: pathophysiology, risk factors and treatments. Translational Neurodegeneration 2020, 9: 12-34.

Ge HL, Chen YX, Lin YX, Ge TJ, Yu LH, Lin ZY, Wu XY, Kang DZ, Ding CY. The prevalence of freezing of gait in Parkinson’s disease and in patients with different disease durations and severities. Chinese Neurosurgical Journal 2020; 6: 17-28

Mancini M, Bloem BR, Horak FB, Lewis SJG, Nieuwboer A, Nonnekes A. Clinical and methodological challenges for assessing freezing of gait: future perspectives. Movement Disorders, 2019; 34(6): 783-790.

Perez Parra S, McKay JL, Factor SA. Diphasic Worsening of Freezing og Gaut in Parkinson’s disease. Movement Disorders Clinical Practice, 2020; 7(3): 325-328.

Tosserams A, Mazaheri M, Vart P, Bloem BR, Nonnekes J. Sex and freezing of gait in Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Journal of Neurology, 2021; 268: 125-132.

Witt I., Ganjavi H, MacDonald P. Relationship between Freezing of Gait and Anxiety in Parkinson’s disease patients: a systemic literature review. Hindawi Parkinson’s disease, Vol 2019, article ID 6836082.