Volare si Può, Sognare si Deve!

Scriviamo un libro

A Livella di Totò (Lu dui di Sant’Andria) – Rielaborata in tono ironico da Salvatore Faedda

Dugn’ annu, lu dui di Sant’Andria
v’è l’usanza di andà a lu campu santu
a visità parenti, giobaneddi, genti anziana,
lu sindagu e assessori senza disthinzioni.

Puntualmente, in chista tristhi e mestha ricorrenza,
lu locuru di zia Vincenza mi pongu ad annittà
mi diggu una curona di rusariu
chi tuttu l’annu. abarà a basthà.

A li sei è sunadda la sirena
e pianu pianu mi incamminu a lu cancellu
lampendi dugna tantu un’ucciadda
ai monumenti e a caschi tumba sinisthradda.

A un zelthu puntu una tumba m’ha cuipiddu
a chi sobra lu maimaru v’era iscrittu:

“Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l’11 maggio del 1931”

Un’ isthemma e una curona
cun una bedda crozi di lumini
tre mazzi di rosi e crisantemi,
canderi, candelotti e lumicini.

Affaccu a chistha tumba infioradda
vi n’era un’althra tutta ifasciadda.
Brutta, abbandunadda e senza un fiore.
soru foglie di rughitta profumadda

A marappena si liggia l’innommu
“Giovannino Fradiganna mundadori….!!!!”
Chistha tumba…chi pena mi fazia
mancu un luminu dabboi abè trabagliaddu una vida.

Abbaiddu l’uridozzu…erani li setti passaddi
porca miseria….abà li cancelli so sarraddi
a dì la viriddai mi soggu assusthaddu
e la faccia mi soggu lavaddu.

Abbaiddu un pogu più bè
e dui ombri veggu affaccu a me.
Chisha cosa a me mi pari sthrana.
soggu isciddaddu o soggu a malagana???

Altru che buglia..era lu marchesi visthuddu a festha
cun l’elmo la sciabola e lu pasthranu
e l’althru Giovannino Fradiganna
cu l’iscobulu e la paletta in manu.

Allora lu marchesi caimu caimu
ha dittu a Giovannino mundadori:

Giovanotto, vile carogna, come avete osato
seppellirvi accanto a me che sono blasonato,
avete perso il senso e la misura
la vostra salma voleva si inumata
ma sepolta nella spazzatura.
Fatte si che troviate posto per una nuova sepoltura.

Ma signò maschesi eu non ni sabbia nudda
chista cosa l’ha fatta me muglieri
senza pinsà chi era una sthrunzadda
eu eru molthu e non pudia fa nudda

Ed io, nobile marchese (abbaiddendi la so tumba),
se non fossi titolato, avrei dato piglio alla violenza.
Ora e non oltre sopportar non posso.

E Giovannino un pogu incazzaddu
…abà n’aggiu pieni li balli
e si pà casu perthu la pazenzia
mi dimenticheggiu chi soggui morthu arrabbiaddu.

Ma non la vuriddi cumprindì
chi inogghi semmu uguali
morthu soggu eu e morthu sei tu
lassami lu gabbu e non ni fabidemmu più.

Ma come ti permetti lurido porco
io che ebbi illustrissimi natali….

Ma ga natari, capidannu, epifania…
tu sei maraddu….maraddu di fantasia
ammentaddi chi la mosthi è cumenti un libellu
e semmu tutti prizisi…..che mudellu

A chisthu puntu dugnunu torra i la so tumba
e i lu campusantu regna lu silenziu
chistha è una sthoria…una sthoria avveru
e a ca’ non vi credi…..pazi in terra e in zeru

Rielaborata in tono ironico da
Salvatore Faedda

Il Parkinson “brutta bestia” di Piero Faedda

Questa estate appena passata è stata piuttosto lunga e fastidiosa per molti di noi Parkinsoniani, vuoi il caldo, con un tasso di umidità eccessivo,  giorno e notte ,  ha fatto fare un po’ di straordinari al nostro caro Dott. Paulus meno male che c’era lui con i suoi consigli. Io penso, che oltre al fresco, ci sia mancato il ritrovarci, nelle nostre giornate di teatro, di fisioterapia, le chiaccherate , e tutto quello che facevamo insieme, comprese le uscite in pizzeria o ai pranzi . Cioè c’è mancata l’Associazione dove ognuno di noi , chi più, chi meno, ha dedicato il suo tempo per la riuscita delle attività che sono importantissime, grazie a tutti .

Dora la regista di Francesco Simula

Dora era arrivata nell’Associazione Parkinson come accompagnatrice e “nume tutelare” del marito Giuseppe che già da qualche tempo, ormai, aveva dovuto fare i conti con l’insorgere della malattia di Parkinson. Dopo un certo periodo di ambientamento e orientamento ­ breve in verità ­ lo spazio della esclusiva mansione di accompagnatrice del marito era diventato troppo ristretto .

L’espansione a tutto campo non è stata una scelta “comandata” o “guidata”, no!

È stata un’esplosione tanto naturale quanto silenziosa connessa alle sue capacità e alla sua disponibilità che, inaspettatamente, l’hanno portata ad essere “regista” dello spettacolo teatrale, ispiratrice ed organizzatrice di incontri, sempre animatrice di iniziative di eccellente caratura.

Ma anche per Lei era in agguato un personale Parkinson rappresentato da feroci, violentissimi mal di testa che la prostravano ­ Lei forte e impavida come una quercia­ sino al punto di dover essere costretta ad accettare un neuro­stimolatore sottocutaneo (alias “ferramenta”) per poter finalmente beneficiare di ampi momenti di liberazione dal dolore.

Ma il male era sempre lì pronto a colpire e a interrompere le attività e le iniziative che animava nei momenti di tregua.

Dora, però, da autentica pattadese, reagisce come la lama temprata e aguzza della sua terra e non molla.

E ricomincia con rinnovato vigore nonostante le insopportabili sofferenze che piegherebbero temperamenti anche più forti: ma non Lei. Qualcuno, passeggiando per la campagna, azzarda anche apprezzamenti di merito sul suo conto: ”accompagnano Dora una finezza, una dolcezza, una delicatezza talmente spiccate da farne una persona unica”.

Francesco Simula

RIUNIONE PER FAMILIARI E CAREGIVER – Giovedì 29 ottobre

Se penso poi ai familiari dei pazienti

che senza alcun insegnamento

si vedono costretti a gestire questo “pacco” 24 ore su 24…*

 

Giovedì, 29 ottobre

riprendono gli appuntamenti per familiari e caregiver organizzati dalla èquipe di Psicologia Clinica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria sotto la guida di dott. Giovanni Carpentras e con le assistenti, dott.ssa Angela Merella, dott.ssa Gabriella Meloni e dott.ssa Lidia Spanedda.

AULA   C

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Complesso Didattico

Viale San Pietro

(dietro Palazzo Clemente)

dalle ore 10,00 alle ore 12,00

(si prega la massima puntualità perché l’aula prima e dopo è utilizzata per le lezioni universitarie)

 

L’aula in questione ricorderà forse alcuni la prima Giornata Nazionale del Parkinson nel 2010, come raccontato nel resoconto “Prima Giornata Nazionale: per iniziare, un fiasco” che trovate nella rubrica ‘I convegni’ di questo nostro sito (ne abbiamo fatta di strada…).

 

* da “Le mie impressioni sul Parkinson” di Salvatore Faedda, pubblicato su questo in sito nella rubrica ‘Scriviamo un libro’.

Pillola nr° 5: Safinamide, una nuova arma contro il Parkinson

A sa lesthra si devet arrestare” esclama Peppino Achene nel suo ‘Su Giuramentu’ (nella rubrica ‘Scriviamo un libro’) e la scienza pare lo stia ascoltando perché sta uscendo in Italia un farmaco nuovo, per certi versi rivoluzionario, con importanti proprietà per la battaglia contro ‘Su nemigu’ per citare ancora Peppino. La medicina in questione è la safinamide (nome commerciale ‘Xadago’) che possiede diversi meccanismo d’azione; vediamoli brevemente:

Rallenta il catabolismo della dopamina rendendola più a lungo disponibile tramite l’inibizione della via enzimatica della monoaminossidasi B (come fanno anche Jumex ed Azilect), cioè aumenta e prolunga l’effetto dei vari Sirio, Madopar, Sinemet, Stalevo.
– Blocca i canali del sodio riducendo l’eccessivo rilascio del glutammato, un altro neurotrasmettitore coinvolto nel Parkinson; l’eccessiva stimolazione glutamatergica, oltre ad avere un effetto neurotossico, favorisce insorgenza delle discinesie, cioè i continui movimenti incontrollati; questo effetto inibitorio è ottenuto anche in maniera lieve dal Mantadan;
Riduce il processo infiammatorio intracerebrale scatenato dalla malattia inibendo l’attivazione della microglia e della neuroinfiammazione;
– Protegge contro la neurodegenerazione, cioè i meccanismi di perdita cellulare che stanno alla base del Parkinson, avendo perciò proprietà neuroprotettive.

Dubimmu cumbattì l’ulthima gherra” avverte Nino Fois nella sua ‘A lu cori meiu isthraccu’ (nella rubrica ‘La Poesia’) e credo che qui ci viene fornita un’arma molto versatile e promettente.
In pratica, durante la malattia (“un capottu nobu nobu” la definisce ironicamente Nino Fois in ‘Accò lu Parkinson’ in ‘La Poesia’) ci si accorge che l’effetto del farmaco diminuisce, aumentano gli effetti collaterali, i movimenti involontari, cioè “Io mi trovai intrappolato dal male nella maniera peggiore” descrive esattamente questo momento Francesco Simula nel suo ‘Romeo-Oscar’ in Il Teatro. Qui si inserisce la safinamide prolungando l’effetto della dopamina e riducendo le discinesie, migliorando le condizioni cliniche e di relativo benessere, oltre a contribuire a rallentare il processo patologico in generale. Fin qui ciò che si apprende dalla letteratura internazionale.

Con l’arrivo della safinamide (un vanto della ricerca scientifica italiana) verrà inaugurata una nuova stagione di farmaci innovativi che fanno ben sperare. Alla fine, ed inatteso, il gelsomino fiorirà meravigliosamente … (come ci racconta incredibilmente Nicoletta Onida in ‘Profumo di gelsomino’.

Kai S. Paulus

Sadeghian M et al. Neuroprotection by safinamide in the 6-hydroxydopamine model of Parkinson’s disease. Neuropath App Neurobiol:1-13;2015
Cattaneo C et al. Long-term effects of safinamide on dyskinesia in mid-to-late-stage Parkinson’s disease: a post-hoc analysis. J Park Dis:475-481;2015
Kakkar AK, Dahiya N. Management of parkinson’s disease: current and future pharmacotherapy. Eur J Pharmacology,750:74-81;2015
Rascol O et al. New treatments for levodopa-induced motor complications. Mov Disord,30:1451-1460;2015

Lu sognu – Il sogno di Salvatore Faedda


 

Erani zischa li tre di manzanu
candu un sognu m'ha fattu isciddà
era farendi i li casi ifasciaddi
e la luna mi paria di tuccà.

Candu imboccu la via di li Corsi
la luzi di la luna mi pari un lampioni;
abbaiddu a dareddu cun l'occi assusthaddi
e veggu un'ombra più manna di me.

Lu cori mi batti più fosthi di un tamburu
e lu passu allongu muru muru
ma puru di cussì non v'è nudda di fa
acchi l'ombra incullada a me si ni stha.

Allora zeschu d'andà di trabessu
pa arrivi a casa lestru lestru
e candu la via aggiu imbucaddu
pa l'assusthu non mi soggu più giradu.

A lu pusthari di casa aggiu zuccaddu
e di coipu e biaittu soggu entraddu
e babbu, chi era adareddu a la janna
m'ha dumandadu si v'era un fantasma.

Daboi chi l'aggiu fattu la rascioni
pa tutta rispostha m'ha schuttu un ceffoni
e m'ha dittu cussì impari a non timì
e pa' tutta la notti non soggu ridisciddu a drummì

Morale: la notti no soggu ridisciddu a piglià sonnu pa cuipa di...un sognu!!!

Salvatore Faedda
Erano circa le tre del mattino
quando un sogno mi ha svegliato;
stavo camminando in Piazza Demolizioni
e mi sembrava di toccare il cielo con un dito.

Quando giro in via Dei Corsi
la luce della luna sembra quasi un lampione;
guardo dietro di me con gli occhi spaventati
e vedo un'ombra più grande di me.

Il cuore batte più forte di un tamburo
perciò allungo il passo e cammino vicino al muro
ma anche così non c'è nulla da fare
perché l'ombra sta sempre incollata a me

Allora cerco di camminare di traverso
per arrivare a casa velocemente
e quando ho imboccato la via di casa
per lo spavento non mi sono più girato.

Ho subito bussato al portone di casa
e di corsa e impaurito sono entrato
Mio padre che era dietro la porta
mi ha chiesto se avevo visto un fantasma.

Dopo che gli ho raccontato le mie sensazioni
per tutta risposta mi ha dato un ceffone
dicendomi di imparare a non aver paura.
Per tutta quella notte non sono riuscito a dormire

Morale: la notte non sono riuscito a prender sonno per colpa di....un sogno!!!

Salvatore Faedda

 

STORIA DI VITA REALE (o meglio di vita vera) di Salvatore Faedda

Sono nato in via San Sisto n. 13, nella parte che va da via La Marmora al mercato, in una casa che mio padre aveva preso in affitto da una coppia di anziani. Il nostro portone era situato proprio di fronte a quello di Sannia, all’epoca famoso per il buon vino. Una canzoncina popolare lo ricorda così “in de Sannia ja vinnè di vinu bonu”.
A casa nostra, nonostante mio padre lavorasse in una ditta privata per la bitumazione delle strade, ciò che abbondava in assoluto era la…miseria!!! Ce n’era talmente tanta che bastava una giornata uggiosa per aumentarne la quantità perché mio padre, nei giorni di pioggia, purtroppo non lavorava.
Al piano terra di quella palazzina viveva signora Rosina, da me chiamata affettuosamente “zia Rosina”; quando vedeva mio padre rientrare a casa per via della pioggia, mi chiamava, preparava il fuoco nel braciere vicino al portone, tagliava le patate a spicchi e le friggeva nello stesso olio che ne aveva fritto a quintali. Io ero felicissimo perché così potevo mangiare qualcosa di gustoso. Anche il pane, all’epoca, era un alimento destinato ai ricchi perché solo loro potevano permetterselo (altro che merendine…!!!).
In un anno poco piovoso e con qualche introito in più, riuscimmo a cambiare casa per andare ad abitare in via S. Apollinare al n. 22 di fronte al tabacchino di “Annetta Pidocciu”. L’appartamento era di mio nonno che, a detta di qualcuno, si era procurato in tempo di guerra con il mercato nero. Finalmente avevamo l’acqua e la luce e, quando mamma non aveva i soldi per pagare le bollette mia nonna, di nascosto di mio nonno, dava mano al portafoglio e le pagava lei.
Quando l’economia riprese a girare, fra le altre cose di vitale importanza, potevamo permetterci perfino qualche fetta di fainè…che leccornia!!!
Anche i grandi magazzini UPIM avevano dato un grande contributo ed è per questo che tutt’intorno proliferavano bancarelle di ogni genere. Io mi incantavo: vedere tutto quel ben di Dio dopo tanta miseria…mi gratificava.
Sempre in quel periodo mia madre, ogni settimana, mi mandava nella macelleria di via Rosello a comprare 100 lire di ossa…per il cane!!! Quelle ossa, però, mia madre le faceva in brodo; il macellaio, che aveva capito la situazione, aggiungeva qualche pezzo di carne e quando lo portavo a casa…allora si che era una festa.
L’elettrodomestico in voga era il frigorifero, solo in pochi lo possedevano e chi poteva permetterselo quasi sempre lo pagava a rate. Le sorelle di mamma ce l’avevano tutte e ognuna lasciava sempre un piccolo spazio per noi.
Per il pranzo della domenica, che normalmente durava circa due ore (i telefonini non esistevano nemmeno nell’immaginario perciò a tavola si chiacchierava di gusto), mamma comprava lo “zimino”. Lei lo lavava bene, lo imbottiva con i “riccioli” e uva passa e poi lo cucinava col sugo…che bontà!!!
L’unico dolce possibile era un raviolone di ricotta che mia madre preparava con passione e poi friggeva per tutti noi.
Per le bevande da mettere in tavola, lasciavano a me l’incombenza di preparare l’acqua frizzante, con una bustina di idrolitina, e l’aranciata con una bustina di arancia liofilizzata.
Quando mio padre venne assunto al comune di Sassari poiché noi figli eravamo cresciuti e le esigenze erano aumentate, cambiammo nuovamente casa e andammo ad abitare in via Principessa Maria n.41. Lì ognuno di noi poté assaporare la gioia di una cameretta da condividere in due anziché un grande camerone pieno di letti.
Eravamo quasi ricchi…ma non ce ne siamo mai resi conto.

Salvatore Faedda

“La tenerezza è la forza più umile; eppure è la più potente per cambiare il mondo”.

Sicuramente è questo il sentimento che muove e rende salda la vostra Associazione, come abbiamo potuto vedere durante il pranzo di saluto in occasione del Santo Natale del 2014, festa, gioia, canti, poesia erano all’ordine del giorno.

Una gioia segnata dalla sofferenza che da voi viene vissuta con molta dignità, certamente crediamo che non manchino i momenti difficili, ma il Signore Nostro Gesù Cristo è sempre presente e vi accompagnerà sempre, a voi tocca la responsabilità di vivere questa sofferenza come un dono Dio, che vi ha scelto per collaborare, alla sua opera di redenzione del mondo, non dimenticando mai, che Cristo ci ha assicurato: ”Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”.

E’ la speranza il motore della vita e in merito vi lasciamo questo piccolo racconto:

In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. La prima si lamentava:” io la sono la pace, ma gli uomini preferiscono la guerra. Non mi resta che lasciarmi spegnere”. E cosi accade. La seconda disse: “io sono la fede, ma gli uomini preferiscono le favole. Non mi resta che lasciarmi spegnere.” E così accade. La terza candela confessò: ”io sono l’amore, ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare. Non mi resta che lasciarmi spegnere”. All’improvviso nella stanza comparve un bambino, che, piangendo, disse: ”ho paura del buio”. Allora la quarta candela disse: “non piangere. Io resto accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele. Io sono la speranza.

Questa luce deve illuminare perennemente il vostro cammino e la vostra umile testimonianza anche nelle difficoltà e nei momenti oscuri, perché Cristo è la nostra speranza.

Che Dio vi benedica sempre e vi dona la sua gioia e la sua pace.

Tissi, 14 ottobre 2015

Le Sorelle della colonia San Pietro, località “Monte e sa Tanca”.

Li rundini – Le rondini di Salvatore Faedda


Paria arimani chi era Pascha di Nadari.
Lu tempu è passadu in un mamentu
e già n'intindimmu lu giambamentu.
Bastha azzà lu cabu in aria pa vidè
li rundini chi arribini...e so umbè.
Zeschani lu nidu di l'annu passadu
chi cun pazenzia abiani fattu
pa passavi l'isthiu in santa pazi
e fa nascì li pizzoneddi novi
Andani e torrani senza ischontrassi
e lu tempu passa in alligria
Eddi no cunniscini la malincunia
chi noi abemmu tuttu l'annu
da Nadari finza a Sant'Andria

Salvatore Faedda
Sembrava ieri Natale,
il tempo è trascorso in un momento
e già ne sentiamo il cambiamento.
Basta sollevare lo sguardo per vedere
le rondini che arrivano...e sono tante.
Cercano il nido che l'anno scorso hanno lasciato
e che con tanta pazienza avevano costruito
per trascorrere l'estate in santa pace
e far nascere gli uccellini.
Vanno e vengono senza scontrarsi
e il tempo passa in allegria
loro non conoscono la malinconia
che noi invece abbiamo tutto l'anno
da Natale fino al mese di Novembre

Salvatore Faedda