Volare si Può, Sognare si Deve!

Cultura

La muraglia e dintorni – testo di Franco Simula

La muraglia e dintorni - di Franco Simula

Alghero luglio 2020
Fra gli algheresi DOC o fra gli innamorati delle bellezze di Alghero chi non dovesse riconoscere o ricordare due punti caratteristici della città sardo-catalana e cioè la “muraglia” e il “solaio”, rivelerebbe una carenza imperdonabile. Per amare la “muraglia” bisogna esserci vissuti, nella “muraglia”. O quanto meno bisogna aver partecipato, da ragazzi, a una delle tante battagliole ingaggiate fra bande rivali dei diversi quartieri della città: un gruppo per difendere il territorio, l’altro per cercare di occuparlo. La “muraglia” serve a connotare quel tratto di cinta murarie fortificato, bellissimo, rivolto verso il sole che tramonta, istituzionalmente noto come lungomare Marco Polo e si snoda dalla torre ottagonale di S. Giacomo sino alla torretta della Polverera. In uno slargo situato verso la metà si notano delle piccole nicchie cha altro non erano che bocche di fuoco da utilizzare nel caso di attacchi proditori dal mare. Questa era la fortezza difensiva di ieri, questa è la muraglia di oggi. Che se non possiede più i blasoni di un tempo rimane pur sempre un punto di incontro non solo per la città da quando è diventato un lungo ristorante che si snoda da La Lepanto al Caffè Latino a ospitare clienti desiderosi di cenare evitando di far disperdere gli ultimi raggi di sole morente. Da quando è stata abbellita col totale rlfacimento del fondo stradale, fatto con lastroni e ciottoli , secondo il tipico disegno delle strade algheresi, la “muraglia” si è trasformata da punto negletto e sporco di periferia in passeggiata elegante e irrinunciabile sia per gli algheresi che per i turisti del mondo.
Questo tratto di passeggiata, delimitato all’orizzonte dal gigante addormentato di Capo Caccia è uno di quegli spettacoli mozzafiato che al tramonto si accende di un rosso porpora intenso da ipnotizzare le centinaia di fotografi occasionali desiderosi di carpire l’ultimo spicchio di sole calante.


Dopo il tramonto, animano la contrada quelli di Carrerò dels Hebreus, di via S. Erasmo, di via Sannino, via Ospedale, di Piazza Santa Croce che dopo aver cenato fugacemente, si presentano con la chitarra. Pietro, creativo geniale ma indocile e insofferente delle imposizioni; Luis, cantante poliglotta, comprese le innumerevoli varietà del canto sardo nonché apprezzabile guida turistica, Armando, estroso accompagnatore di musiche algheresi; Barabba, con chitarre e armonica, viola, arpa e chi più ne ha più ne ha più ne metta: “musico” per definizione propria; Tore con le sue nacchere, fa da “spalla” a tutti, solo quando è assente ci si rende conto che manca uno strumento essenziale; Paolo con la batteria, completa il complesso musicale. Non si direbbe ma quasi tutti son pronti a far da “primedonne” e quindi poco adusi ad arrivare per primi. Intanto “dopocena”, i primi arrivati trovano posto fra le poche panchine dello slargo, dove troneggia la copia perfetta di un cannone in bronzo del XVI secolo, che stavolta non è li a cacciare gli stranieri, ma a riceverli con disponibilità e garbo. I bambini occupano la base di legno del cannone e cominciano a manovrarlo, sognando la resa dei pirati che hanno osato attaccare le fortificazioni algheresi. Ormai il gruppo dei suonatori non può più tardare: infatti sbucano alla spicciolata, dai vicoli adiacenti, qualcuno facendosi precedere da un ragazzino che regge lo strumento. Le donne che sinora erano rimaste a casa, vanno a occupare le panchine: Samanta con Salvo e Andrea, Annamaria con Sandro, Mariangela con Tonio, Rita con Gianni Una volta che i suonatori trovano la loro collocazione ideale, accordate le chitarre e consumati gli ultimi “sfottò”, di botto si scatena la buriana musicale.
Ciò che sino a questo momento era apparso disordine individualista, si ricompone in un caos ordinato, generato da tre chitarre, una batteria, una nacchera; mancano solo gli strumenti musicali (tanti) di Barabba, che col suo carisma, mette tutti d’accordo. Improvvisamente si formano dei capannelli di turisti italiani e stranieri, che dopo una prima esecuzione provano piacere a intrattenersi prima e scatenandosi poi in vorticosi balli di musiche spagnole.
Questo è quanto accade nello spiazzo dei cannoni, che rappresenta il “piano nobile” del complesso della “Muraglia”. E qui avvengono gli eventi di rappresentanza: suoni, canti, balli; ma la casa-Muraglia non finisce qui, nel piano sottostante esiste una “tavernetta”, meglio nota come “Il Solaio”, dove si consumano (nel senso di mangiare) i delitti più efferati: dall’orata all’agnello, dal calamaro al porcetto, passando per formaggi e salsicce, verdure e dolci di ogni fantasia. Qui il re indiscusso della cucina è Sandro Multineddu, che si fa aiutare anche da altri, ma l’ultima parola, sui condimenti, sulle spezie, sui vini da scegliere, rimane sempre la sua.
Mancano Gino e Grazia, come mai? No, no, sono presenti eccome! Dando una mano, se occorre nelle circostanze più svariate.
Tornando al solaio-tavernetta, c’è da aggiungere che è il punto-mare più vicino alla zona, dove gli affezionati vanno a fare il bagno e a prendere il sole: il “Solaio”, appunto. Ma quando il solaio abbandona la veste istituzionale e diventa cucina, allora è un brulicare di persone indaffarate ad accendere il fuoco, e a preparare le carni e i condimenti: e qui il re, coordinatore della cucina, continua ad essere sempre Sandro Multineddu.
E quando, finalmente, arriva l’ora del pranzo, il popolo della Muraglia si placa e dà sfogo alle Olimpiadi mangerecce. Com’è immaginabile, le quantità sono pantagrueliche e quindi bastevoli anche per la cena. Dopo qualche minuto di silenzio obbligato iniziano a farsi sentire gli effetti euforici di qualche bicchiere di gradevole vino tracannato in eccedenza. Finora non era stata notata l’assenza di Carmelo e Pina, che hanno in mente di realizzare progetti familiari con l’entusiasmo e l’intraprendenza dei giovani: è immediata l’evocazione della poesia di Prevert: “I ragazzi che si amano”. L’unica assente nel solaio-tavernetta è Angela, la “reina”. Qualche problema di salute le impedisce di condividere con gli altri momenti comunitari di allegria, e agli altri mancheranno le canzoni degli anni ‘60 e ‘70 “fischiettate” con insolita bravura da Angela, la “reina” della Muraglia.

Franco Simula

LA CASA APPESA ALLE STELLE. Testo di Egle Farris

La casa appesa alle stelle

“La casa appesa alle stelle”

La piazzetta affacciava su corso Trinità da via delle Muraglie ed il minuscolo

attico buono solo per squattrinati studenti se la godeva tutta, col sole, con le

stelle o con la pioggia, assieme al fabbro e alla contadina che vendeva uova

incartate con giornali vecchi e riciclati spaghi, seduta sempre allo stesso angolo. 

Il primo palpito era l’amore, il secondo i tetti, il terzo l’attesa di salire quei vetusti gradini di antica lavagna.              

Diciotto anni e i mille sogni di una vita da vivere, l’abbraccio in una piccola terrazza,

al vigile  ed occhiuto cospetto delle fatiscenti case tutt’attorno.

Il primo palpito era l’amore, il secondo i tetti, il terzo le stelle nelle notti di  primavera.

Le campane di S. Donato o S.Apollinare ci facevano volare sopra la distesa continua

ed altalenante di tegole rosse e sbrecciate. La casa è ancora lì, immutata e muta testimone.

E il primo palpito è sempre l’amore, il secondo i tetti, il terzo il sogno di tornare una sera di maggio su

quel piccolo terrazzo e, tenuti per mano, non più giovani e sognatori,

stretti in un tenero abbraccio che la vecchiaia non dimentica, aspettare le stelle.


Mr. Parky ed io. Testi di Egle Farris


Mr. Parky ed io.                                                                                                                                   

Non sono una scrittrice, né mi importa di esserlo.

Ho solo infinite  nostalgie, che si tramutano in indimenticabili ricordi. E più passa il tempo  e più mi innamoro di essI, d’altronde sono  gli unici che non mi lasceranno mai sola. Fanno parte di me, li sento scorrere persi in un lontano passato, ombre  che non mi riservano più sorprese, ma solo la certezza di averli veramente vissuti. Gli oggetti, le foto, le lontane visioni mi portano ricordi e nonostante essi siano sbiaditi, posso nasconderli, ma non posso dimenticarli.  Vorrei non perdermi in questo ininterrotto flusso di onde di mare, ma mi ci immergo sino al punto di sentirne i sapori e  le fragranze.

Fanno parte di me e mi saranno utili quando mi sembrerà che il cielo perda  i suoi colori ,solo un poco , ed il vento la voglia di trasportare profumi e sensazionI.  Perché, i ricordi, nessuno  può portarmeli via. Queste piccole storie sono i momenti di una bambina che ha vissuto in anni dipanatisi dal 1945 in poi. Vita ingenua di un tempo, vita anche per me lontana, che ho voluto  raccontare ai miei nipoti, perché sappiano che c’è stato un altro modo di vivere, semplice e modesto, senza auto, iPhone,  pc  e lontani viaggi.

Periodi che scandivano  feste attese, persone amate o soltanto conosciute e vecchi oggetti carissimi, piccole testimonianze di un passato scomparso per sempre.  Non so se, letti adesso, questi piccoli frammenti  daranno  sensazioni ed emozioni, ma li  prego di conservarli e rileggerli fra tanti, tantissimi anni, quando la nostalgia  prenderà, perché li prenderà, siatene   certi.   Tanti momenti  che sembrerebbero slegati fra loro ed invece sono un tutt’uno nei ricordi chiusi della mia memoria, unico filo conduttore.  Talvolta il ricordo era così sbiadito che ho dovuto ricorrere alla fantasia, ma non ho alterato nulla di veramente reale e allora, quando la mia memoria e la mia mente saranno stanche e vuote, qualcuno forse mi leggerà qualche pagina ed io potrò  fantasticare, persa nel tempo che se n’è  andato.

Perchè ho fatto tutto questo?

Mi sono accorta un giorno di circa sei anni fa che non ero più sola. Conoscendone i sintomi, in quanto mia madre ne aveva sofferto per circa quindici anni, ho capito che l’egregio Mr Parky, come l’ho sempre chiamato, voleva far compagnia anche a me.

Come se io avessi bisogno o necessità di compagnia! Sto bene Mr Parky, non si scomodi per favore. E poi tra famigerati attacchi di panico e mille esami estenuanti, lei si è accodato silente, perché il tumore ha voluto avere la precedenza. E’ stato più veloce di lei ed ho combattuto in un estate cocente, riportando una vittoria che non credevo possibile.

Vittoria che non ho colta da sola, perché i miei nipoti con baci, carezze, viaggi e furtive scorpacciate di cioccolato con le mandorle, nascosti dietro le tende del salotto, hanno contribuito a colmarmi di attenzioni e sostegno.

E adesso che Mr Parky ha di nuovo deciso di  ricomparire nella mia famiglia, so che non vincerò. Le perderò tutte le battaglie, forse qualcuna no, ma la guerra la vincerà lui,  che ha legato il suo nome a questa orribile malattia.

E allora Mister Parky, mi consolo già da ora ricordando, ricordando tutto della mia vita, ed è per questo che ho scritto tanto, per leggere quando non ricorderò, perché lei, i miei ricordi non me li porterà via. Nessuno potrà mai portarmeli via, li  avrò racchiusi dentro il mio cuore prima che nella mia mente, iniziando da una storia d’amore che dura da cinquantacinque anni …..

Se vi piacciono le storie d’amore, leggete, se non le amate potreste perdervi qualcosa…

Una signora col rossetto .                                                                                    

Egle Farris


(segue)

Il mio Parkinson – Testo di G.B.

Cogliendo l’invito del nostro eclettico webmaster,  mi accodo a quanti vorranno scrivere sull’argomento.

Per prima cosa  faccio  i complimenti a Franco per la dettagliata esposizione sul Mr. Park, raccontata col  suo inimitabile stile ironico e al contempo ricco di pregevoli  spunti diagnostici, sui quotidiani rovelli  che affliggono,  come una “Mano Nera” (purtroppo anche nella notte ), i parkinsoniani  in genere.

Il racconto  esprime con crudezza una realtà fatta di sofferenze  continue , di una condizione  fisica precaria che degenera progressivamente, con la sola prospettiva, di assumere, ininterrottamente,  una notevole  quantità di pillole per addomesticare i disordini neurovegetativi  che il “malvagio” ci dispensa .

Per quanto mi riguarda , ho già descritto,  alcuni anni addietro , la mia esperienza di “esordiente Parkinsoniano”, ma a beneficio di quanti non lo avessero letto, visto che benevolmente vengo alle volte citato, lo ripropongo al netto dell’aggiornamento attuale, fatto  dei progressivi piccoli peggioramenti, (ben descritti da Franco), comunque  accettati, ma senza mai abbassare la guardia, ultimo baluardo da contrapporre all’infido morbo.

Prima che potessi farne la conoscenza diretta….. il morbo di Parkinson per me era solo un termine nozionistico, remoto, non mi apparteneva, sapevo che si trattava di un disturbo neurologico a carico dei muscoli che per mancanza del giusto apporto di dopamina ne riduceva la normale funzione biologica, che si traduceva in un involontario tremore e irrigidimento degli arti, ma con una adeguata terapia , le funzioni tornavano normali e la vita riprendeva a scorrere sul binario naturale.

Ritenevo che ammalarsi di Parkinson non fosse un problema, rientrava nel “gioco “delle probabilità, e in caso…. tutto si poteva risolvere con un atteggiamento positivo e dinamico; ma la realtà purtroppo è ben diversa e va tenuta nella dovuta considerazione.

I primi sintomi, subdoli e perfettamente inconsci, si sono manifestati alcuni anni prima della diagnosi, il mio viso perdeva progressivamente la mimica facciale, riducendo la mia espressione a una fissità involontaria, tanto che non sorridevo quasi più (per quanto mia moglie mi esortasse a farlo); il mio viso assumeva nel tempo un aspetto impenetrabile come un giocatore di poker, scambiato dai più , mio malgrado, come protervia supponenza. Successivamente si sono aggiunti l’irrigidimento della colonna e una postura anomala del braccio sinistro che non aveva più il movimento simmetrico e ciondolante che accompagna nel camminare la gamba controlaterale .

L’ortopedico di turno non ritenne le disfunzioni elencate sintomo di particolari patologie, mi prescrisse degli antinfiammatori e delle sedute di fisioterapia riabilitativa , purtroppo senza nessun esito migliorativo; infatti a distanza di alcuni mesi mi ritrovai con gli stessi problemi aggravati da una progressiva perdita di sensibilità della mano sinistra che diventava “pigra” e non rispondeva alle più elementari funzioni quotidiane (vestirmi, lavarmi il viso , ravviarmi i capelli) tutto mi era difficile e macchinoso e mi rendeva irritato e privo di alternative.

Decisi di consultare un neurologo, che dopo alcune visite e esami diagnostici mi prese in disparte e mi comunicò la “sentenza”…… MORBO DI PARKINSON GIOVANILE.

Tale condizione, che mi collocava inesorabilmente nel novero dei parkinsoniani, per quanto possa sembrare strano , nel mio caso non ebbe al momento nessun effetto deprimente; nel periodo di attesa del consulto rivelatore, si era prodotto in me , a livello mentale, una sorta di salvacondotto, più semplicemente, dal mio subconscio si era affacciato un timido ma pervicace processo di sfida a qual si voglia verdetto.

Dopo tutto, mi dicevo …..una “pastiglietta” al giorno non era una tragedia, ma soprattutto confidavo nella grande capacità del nostro cervello di autoproteggersi, ripristinando quelle cellule che per inspiegabile mutazione avevano deciso di non fare più il proprio dovere seminando guai; pensavo che la forza cerebrale , indiscussa, avesse la meglio sul vigliacco Parkinson, un po’ come accade alle lucertoline che hanno perso traumaticamente la loro coda e nel giro di qualche settimana se la ritrovano perfettamente rigenerata, nuova, più bella della precedente.

Questa solida convinzione mi accompagnava nelle mie giornate e la convivenza quotidiana con Mr. Parkinson era solo formale, avevo il pieno controllo della situazione, il mio lavoro procedeva come prima e i problemi iniziali del mal funzionamento della “macchina” erano stati ridotti alla ragione, non offendevano, si erano come placati.

Ma la costanza di Mr. Parkinson è inesorabile, un rapace infingardo appollaiato sul trespolo della coscienza, pronto a ghermirmi proditoriamente non appena avessi abbassato la guardia.

Le prime avvisaglie che questo artiglio luciferino si era rimesso in moto, si manifestarono in un leggero processo di rallentamento mnemonico con una irritabilità accentuata che mi rendeva poco propenso al dialogo con gli altri e una spossatezza che limitava la mia operatività quotidiana condizionando i rapporti interpersonali e minando le mie prime convinzioni.

Il MALE OSCURO ricominciava la sua opera demolitrice insinuandosi nelle remote pieghe dei miei pensieri, stravolgendone il flusso naturale e ordinato; era come sentire una muta di cani latranti pronta ad affondare i denti digrignanti e lacerare le ultime residue forze che mi rimanevano.

Dovevo assolutamente trovare un rimedio e, dovevo trovarlo necessariamente fuori dal mio isolamento, un aiuto esterno, pensai, avrebbe dovuto giovarmi e riportarmi una serenità che cominciava a vacillare.

Così, forzando la mia abituale riservatezza, dietro il consiglio del medico curante, mi sono iscritto all’Associazione Parkinson Sassari e questo punto e cominciata la mia frequentazione con gli altri associati che nel tempo si è rivelata salutare e rigeneratrice.

Per dovere di verità, devo dire che il primo approccio non e stato proprio ciò che mi aspettavo, infatti il primo giorno mi sono ritrovato in una palestra (fredda) assieme ad altre persone perfettamente anonime, di loro non conoscevo nemmeno il nome , perfetti sconosciuti che sapevo essere dei parkinsoniani come me, che riflettevano come uno specchio il mio stesso disagio motorio , in certi casi amplificato nei diversi stadi del morbo.

Però come ho avuto modo di dire in precedenza il tempo ha dato ragione alle mie aspettative, fornendomi quell’aiuto che contribuisce a rafforzare i rapporti e consolidare le rispettive conoscenze.

Nel tempo mi sono lasciato andare alle benefiche sollecitazioni di una bravissima fisioterapista (Pinuccia Sanna) che nella sua specificità ha migliorato il mio tono muscolare e pungolato benevolmente la reattività necessaria a contrastare il disturbo.

Questo,  associato  a tutte le altre attività socio ludico/terapeutiche  che svolgiamo nell’Associazione Parkinson Sassari, contribuisce a tenere al guinzaglio il già citato “rapace….” e sopratutto intrattenere rapporti sociali, diventati vere amicizie , con tutto il nostro splendido gruppo di casa Park.

AD MAIORA SEMPER

GEMINIANO

IL MIO PARKINSON (tra realtà e ironia) Maggio 2020 – testo di Franco Simula

Quando ha avuto inizio il mio Parkinson? Boh! Con esattezza proprio non lo so.

E penso che non lo sappia nessuno quando ha avuto inizio la propria malattia di Parkinson. Dalla abbondante letteratura creata intorno a questo “morbo”- peraltro ancora avvolto da una atmosfera di mistero – si sa che quando lo si percepisce come malattia e trova conferma mediante visite cliniche e analisi strumentali, esso sta operando la sua azione di insediamento malefico già da qualche anno. E’ una malattia subdola: apparentemente una non malattia.

Non è un infarto, un ictus che quando colpiscono un individuo gli creano dolore, sofferenza, malessere e occorre intervenire subito. Il Parkinson non impone interventi immediati, non si annuncia con dolori lancinanti, no, no, esso non ha fretta, ha molto tempo davanti a sé per produrre negli anni tutti i danni che vorrà e anche in quest’opera di demolizione sistematica, progressiva e degenerativa, saprà essere saggio e “infingardo” contemporaneamente. Talvolta si presenta carezzevole, alleato, tutto sembra filare liscio, l’indomani lo scenario è tutto rovesciato: i crampi non ti danno requie, il tremore sembra t’abbia messo addosso un martello pneumatico e alla fine della giornata, esausto, ti metti a letto per trovare un po’ di riposo. Illusione, perché anche a letto la giostra continua. L’enfatizzazione del concetto è evidente: ma dà l’idea. Ritorniamo al mio Parkinson che per non creare molti dubbi sulla sua insorgenza, era stato preceduto e annunziato da due “illustri” tristi eventi: mio padre, da vivo, aveva avuto il morbo di Parkinson, mio fratello (ancora vivo) ha il morbo di Parkinson; questo è solo uno dei beni immateriali lasciatici in eredità dall’incolpevole genitore.

Durante l’estate ero solito frequentare un tratto di scogliera all’inizio della bellissima e tormentata strada Alghero-Bosa. Tutti naturalmente usavamo delle ciabatte per camminare sulla roccia ma anche per riparare i piedi dalla forte calura e anche io le usavo ma talvolta, dismettendo le ciabatte, notavo una notevole capacità di resistenza alla calura. Feci notare la particolarità a un amico medico che frequentava lo scoglio e lui mi fece rilevare che tale anomalia non andava sottovalutata ma esaminata più attentamente sotto il profilo neurologico. Questo avveniva circa 20 anni fa: l’amico direttore di Microbiologia all’Università Cattolica di Roma, di profonda competenza medica ma anche di grande esperienza, aveva visto lontano. Qualche anno dopo (2010-2012) in una dolcissima notte stellata d’agosto, ad Alghero, poco distante dalla torre di S.Giacomo, incontro due amici che non vedevo da tempo. La conversazione che si ipotizzava di veloci convenevoli diventa invece interessante e quindi si allunga, sempre restando in piedi come corazzieri; e mentre i due amici, impassibili, tengono conversazione io comincio a provare un’insofferenza che non riesco a definire, una sorta di capogiro che sembra farmi perdere l’equilibrio. A questo punto saluto gli amici e vado via. E’ il secondo indizio che ex post mi induce a ritenere l’episodio come un fatto neurologico. Questi i prodromi remoti del mio Parkinson. Altri piccoli segnali si succederanno nel tempo: piccole scosse elettriche, quasi impercettibili, colpivano il pollice della mano destra mentre impugnavo il volante durante la guida.

E ancora durante la guida, al momento della frenata, percepivo sempre minor sensibilità alla pianta del piede destro. La frenata andava gradualmente diventando sempre più un gesto meccanico e non anche una partecipazione sensoriale. Da ricordare, purtroppo, al momento del rinnovo della patente di guida.

Quando, sul finire del 2013, feci una serie di analisi sia cliniche che strumentali risultò senza più alcun dubbio – in particolare da uno SPECT Cerebrale – “un deficit del trasportatore presinaptico della dopamina di grado medio severo” . La ricerca poteva considerarsi conclusa almeno per quanto riguardava il convincimento personale. Che, peraltro, aveva gradualmente trovato conferma nel tempo mettendo insieme tutti i sintomi o presunti tali che fin qui ho riferito. Che effetto mi ha fatto la certezza di avere veramente la malattia di Parkinson? Nessuno in particolare perché c’ero già dentro da qualche anno: diciamo che ero ormai vaccinato all’idea di avere la malattia di Parkinson.

A che punto è il mio Parkinson? Come si presenta? Dallo SPECT Cerebrale risulta che il deficit del trasportatore presinaptico della dopamina è di grado medio severo.

Oggi , dopo 7 anni, il quadro generale è complessivamente deteriorato ma non è del tutto compromesso e dunque irrecuperabile.

Al mattino quando esco di casa, provo ormai da un po’ di tempo la solita sensazione: mi sembra di entrare in una “bolla” che al di là dell’immagine poetica non significa niente se non una condizione di disagio generale, mi sembra di entrare in una dimensione parzialmente distorta della realtà. E cioè: una generica confusione mentale, un leggero inizio di ubriacatura da alcool al punto che durante la camminata mi sembra che i passi non “cadano” dove li guida la testa: manca la guida automatica, occorre una guida “voluta”. Come reazione inconscia insorge la paura di poter cadere da un momento all’altro. Finora non sono mai caduto.

A questa descrizione rappresentata globalmente in forma fantasmagorica, quasi fiabesca, fanno superba corona i classici sintomi della malattia di Parkinson: dai crampi ai tremori, dalla scarsa lucidità mentale (temporanea) alla scialorrea (che mi impedisce di suonare l’armonica agevolmente). Talvolta capita di sentirmi particolarmente debole: gambe molli, difficoltà di concentrazione, che sarà questa condizione del tutto nuova? In effetti è abbastanza vecchia ma riposta distrattamente nel dimenticatoio e accantonata in un angolo della coscienza, si tratta di un “vecchio” diabete che fedelmente mi accompagna da oltre trent’anni e che ogni tanto, a sorpresa, mi confeziona qualche ipoglicemia così soffocante da spezzare le gambe a un toro da corrida. Solo allora realizzo concretamente che il Parkinson non “lavora” da solo ma è coadiuvato da altri infaticabili collaboratori che – oltre al diabete- sono: una epatite da poco eradicata, una polineuropatia sensitivo motoria, un’artrosi cervicale grave.

E come corollario di contorno non manca un po’ di stipsi (tenuta a bada da una manciata quotidiana di pastiglie alle erbe), qualche bruciore di stomaco da combattere anch’esso con pastiglie: insomma si finisce con l’identificarsi talmente con la/e malattia/e da vivere con essa in una sorta di simbiosi totale per cui la giornata risulta scandita dall’assunzione di tante pastiglie da richiedere un prontuario da aggiornare in continuazione: per tenere la contabilità occorrerebbe assumere un ragioniere esperto col compito aggiunto di badante.

Per completare il quadro generale non posso trascurare di evidenziare alcuni atteggiamenti spontanei, tipici dell’ammalato di Parkinson e che a me capita di interpretare, talvolta, nella rappresentazione del mio personale teatro parkinsoniano. Almeno tre di questi meritano di essere menzionati: il “visus” parkonsoniano caratterizzato da fissità e inespressività dello sguardo; il rilassamento delle braccia appoggiate sul basso addome come se cercassero un sito su cui riposare e infine – stando in piedi – il capo ricurvo in avanti, le ginocchia leggermente ripiegate su se stesse quasi a voler estendere l’area d’appoggio e ampliare la possibilità di equilibrio. Questo il mio ParKinson. Simile a quello di tanti altri e diverso da quello di tutti gli altri. Certamente sempre uguale a se stesso, certamente sempre “rapace infingardo appollaiato sul trespolo della coscienza,pronto a ghermire proditoriamente non appena hai abbassato la guardia” (Geminiano) Al mio paese sogliono definire gli anziani pieni di acciacchi e di dolori che riescono a camminare a fatica:” Passu ‘e puddha non servis a nuddha” ( Passo di gallina non servi più a niente). Sembrerebbe un’insolenza carica di perfidia, a me sembra la constatazione verbale di una condizione che prima o poi capiterà a tutti di sperimentare.

Franco Simula

La Pillola di dott. Burrai

La pIllola di dott. Burrai

Ieri pomeriggio Prof. Pier Andrea Serra e dott. Giuseppe Demuro hanno organizzato per la nostra Parkinson Sassari una video-conferenza dal titolo “Uso Terapeutico della Musica e del Suono” per la quale è stato invitato il ricercatore dott. Francesco Burrai del Centro Ricerche dell’ATS Sardegna.

Dopo i saluti e l’introduzione di Prof. Serra, dott. Burrai inizia la sua relazione raccontando due episodi che gli hanno fatto capire quanto la musica può essere importante in campo medico. In un primo caso, un signore è ricoverato in stato di coma in Terapia Intensiva; facendogli ascoltare musica attraverso delle cuffie, sorprendentemente il signore si sveglia dal coma. Un altro esempio è rappresentato da una signora ricoverata in Terapia Intensiva per un grave ictus. Dott. Burrai si informa dai famigliari sulla musica preferita della paziente; quindi le fanno ascoltare dei canti religiosi in Limba, e la signora, evidentemente emozionata, si mette a piangere e nei giorni successivi migliora nettamente.

Due esempi che mostrano, come la musica possa influenzare il cervello ed addirittura aiutare in situazioni estreme. Ci sono evidenze scientifiche che l’ascolto di una melodia che piace aumenta il livello di endorfine e serotonina, le sostanze del buon umore, nel cervello, mentre la musica che non piace provoca il contrario, così come anche la musica di sottofondo che pare avere un effetto disturbante. Come esempio dell’Effetto Mozart dott. Burrai racconta che facendo ascoltare a delle vacche della musica classica la produzione di latte aumenta circa del 30%.

Il relatore, a questo punto, illustra una sua ricerca su un gruppo di persone anziane a cui è stato chiesto di ascoltare ogni giorno per 30 minuti della musica classica constatando che dopo un determinato lasso di tempo le funzioni cognitive erano migliorate e l’ansia diminuita rispetto ad un gruppo di controllo senza musica.

Un altro studio di dott. Burrai è stata la dimostrazione che l’ascolto musicale a persone che dovevano sottoporsi ad un intervento chirurgico riduceva notevolmente la percezione di dolore.

Finalmente si arriva al dunque: la musica come terapia nella malattia di Parkinson. A questo proposito la Parkinson Sassari può già contare su una discreta esperienza con la movimento e danza terapia proposta da Annalisa Mambrini ed il canto diretto da Fabrizio Sanna, e quindi sappiamo bene che la musica fa bene ed aiuta a gestire meglio i tanti disagi causati dal “rapace infingardo” come lo chiama Geminiano e da “su nemigu” di Peppino.

Dott. Burrai spiega i meccanismi cerebrali che sottostanno alla elaborazione della musica e come il suono possa modulare l’attività nervosa e tradursi in beneficio nei parkinsoniani.

Mi ricordo quando alcuni anni fa affrontavamo l’effetto della musica sul cervello, ed in particolare sulla malattia di Parkinson nella serie triennale del convegno “Brain and Music” organizzato in collaborazione con l’Ateneo cittadino, il Conservatorio Luigi Canepa di Sassari e l’Università di Hannover (Germania). Il ritmo sblocca quasi miracolosamente la rigidità perché arriva direttamente al sistema nervoso periferico e quindi ai muscoli mettendoli in sintonia con le oscillazioni del ritmo, mentre la melodia, elicitando emozioni, agisce sulle strutture cerebrali centrali aumentando il livello di dopamina riducendo in questo modo i sintomi parkinsoniani (vedi Archivio giugno-luglio 2015: “Il divertimento come fonte di dopamina”, parte I-IV)

Interviene il nostro presidente Franco Simula ricordando il nostro amico Antonio impossibilitato a muoversi che però, appena Anna Iattarelli intonava l’inno della Brigata Sassari, sostenuta dall’armonica di Salvatore, si sbloccava e riusciva a camminare. Franco domanda a dott. Burrai se c’è un modo per utilizzare la musica per migliorare l’equilibrio. La risposta del ricercatore è che innanzitutto bisogna compilare uno storico musicale della persona, una vera e propria anamnesi clinica, sulle melodie che si sono ascoltate da giovani, quale musica si preferisce, se si canta, balla oppure si suona uno strumento. Dopodiché si potrà sceglie un programma musicale personalizzato da eseguire giornalmente per migliore la propria stabilità posturale.

Adelaide conferma che la musica le aiuta tantissimo e che la ascolta continuamente, Tonino, il nostro “portatore sano, conferma. Dott. Burrai consiglia a tutti di ascoltare musica almeno 30 minuti al giorno come ansiolitico, antidolorifico, anti-Parkinson, e per tirar su il morale. Annalisa Mambrini si sente confermata nella sua attività di movimento e danza terapista ed alla sua domanda, se la presenza del terapista è necessaria per utilizzare la musica come terapia, il docente replica che la musica può essere “assunta” a domicilio come una pillola, e quindi in piena autonomia in base alle necessità e prescrizione, quindi una opportunità di associare la musica alla terapia tradizionale, complementare come trattamento “self-care”, facile da utilizzare, economico e senza effetti collaterali.

Mariantonietta pone l’interessante quesito se esiste una differenza tra ascoltare musica oppure suonare uno strumento, al quale si replica che entrambi sono importanti, ma chi suona uno strumento è lievemente avvantaggiato perché durante tale attività vengono coinvolte più aree cerebrali a beneficio della neuroplasticità, cioè la capacità del cervello di adattarsi e di apprendere.

L’ideale sarebbe quindi di suonare, cantare e ballare contemporaneamente.

La partecipazione è stata notevole: 32 collegamenti con oltre 50 persone che hanno assistito alla conferenza, tra cui alcune “new entry”, come Mariantonietta collegata da Macomer, Rosa ed Umberto da Telti, dalla Sicilia Giovanna Maria (attualmente domiciliata sassarese), Flavio da Castelsardo e Nando da Porto Torres.

Salutandoci, Franco suona l’armonica, Umberto tira fuori la chitarra, si canta e si recita la ancora inedita “Procura de moderare, Balente sa pandemia” di Pinuccia Sanna.

Non poteva terminare meglio questo convegno sulla musico- e suonoterapia che ci ha fatto conoscere l’eccellente dott. Francesco Burrai introdotto dal nostro stimatissimo Prof. Pier Andrea Serra e moderato impeccabilmente da dott. Giuseppe Demuro.

Kai S. Paulus

 

 

Moloch 19 :: di G.B.


Lungo tempo è passato,

ma la sua insaziabile ingordigia

non si è spenta.

L’immondo Moloch continua a vivere,

seminando distruzione e angosce .

Le sue fauci , lorde di sangue innocente,

reclamano ancora  vittime sacrificali

per saziare la sua infame voracità….

La sua nefasta opera distruttrice

non prevede distinzioni,

il suo essere non contempla il sentimento

e in lui non alberga la carità.

Perpetra  il suo perverso sterminio,

perché questo è il  suo credo ,

il fine ultimo per il quale è stato “creato”.

Infido…. grondante di fetidi umori

si annida negli anfratti più reconditi

per non esserne esiliato ,

pronto a rinascere nella perversa  metamorfosi

che è capace di mettere in atto

prima di essere  “processato” e morire.

Per quanto tempo ancora dovremo subire questa ferocia ?!

Forse  fino quando le nostre forze si esauriranno …. ?!

E chi sarà alla  fine  il vincitore della famigerata  disputa ?!

Quasi certamente  gli uomini  !!!

Forse …. gli stessi che lo hanno  colpevolmente  “generato” !!!

g.b.


 

BIOCHIMICA DELLE EMOZIONI – cronaca della video conferenza di Prof. Pier Andrea Serra

La nostra prima video conferenza.

Siamo molto curiosi ma anche preoccupati, non sappiamo se tutti i nostri amici riescano a collegarsi. Certamente siamo emozionati, ed il tema di questa conferenza di Prof. Pier Andrea Serra, amato da tutti noi, non poteva essere più azzeccato. Moderatore è dott. Giuseppe Demuro che ha reso possibile il collegamento inserito nel progetto dell’Università di Sassari del “Public Engagement”.

Puntualmente alle 18,15 di giovedì 23 aprile 2020 (ricordiamoci questa data che per la nostra associazione segna una importante conquista tecnologica) iniziano a collegarsi i primi amici ed, a fianco a Prof. Serra e dott. Demuro, compaiono Giannella e Franco, Nanna, Rosella e Peppino, Anna e Salvatore, Dora e Giuseppe, Adelaide e Tonino.

Ci siamo dati quindici minuti prima di iniziare la conferenza per dare la possibilità a tutti di collegarsi e di risolvere alcuni problemi tecnici. In effetti velocemente si aggiungono Ninnetta, Caterina, Ombretta e Giovanni, Maria Luisa e Gian Paolo, Giuseppe e Antonio, Maria Cristina, Margherita, Maria, Paola, Sabrina.

Sorprendentemente siamo già in tanti ed il numero dei partecipanti continua ad aumentare ed arrivano anche Cecilia e Marco, Paola e Paolo, Saverio, Cenzina e Laura, Liliana e Rita.

Prof. Serra ci illustra le emozioni tramite i personaggi del famoso e divertente film d’animazione della Disney-Pixar “Inside Out” del 2015.

I personaggi sono irresistibili ed a tutti sono subito chiari i diversi stati emotivi. Qua si pone una domanda:

ma dove stanno queste emozioni? Come sono fatte?

Prof. Serra trova la risposta che, come ci ha abituato in questi anni, è comprensibile a tutti.

Le emozioni si trovano dentro il cervello, ma la cosa straordinaria è che le emozioni sono fatte di impulsi, impulsi nervosi che corrono, simile a corrente elettrica, lungo i neuroni, le cellule nervose, che poi formano dei sistemi, vere e proprie reti, reti funzionali; la propagazione di questi impulsi da un neurone all’altro è garantita da particolari sostanze, i neurotrasmettitori, la noradrenalina, la serotonina ed anche la nostra ben nota dopamina.

Ognuna di loro adempie a delle funzioni specifiche e tutti e tre insieme sono coinvolti nelle emozioni. I tre neurotrasmettitori devono trovarsi in equilibrio per permettere che i flussi di impulsi possano scorrere senza interruzione e raggiungere tutti i neuroni della rete neuronale; ciò ci conferisce uno stato emotivo di ‘normalità’ in cui ci troviamo ‘bene’. Quando invece un neurotrasmettitore prevale su un altro, oppure c’è una carenza di uno, allora il sistema si sposta verso un estremo e così possiamo ottenere i diversi tipi di emozioni, dalla Gioia (aumento di serotonina) alla Tristezza (riduzione di tutti e tre), dalla Rabbia (riduzione di noradrenalina) alla Paura (riduzione di dopamina).

Franco chiede se esiste una pastiglia di dopamina che arriva direttamente lì dove serve, e Prof. Serra ammette che in effetti il problema sta proprio nella difficoltà di far arrivare le sostanze ed i farmaci esattamente ed al dosaggio necessario dentro la specifica rete neuronale dovuto al fatto che una sostanza, dopo essere ingerita, è esposta a diversi processi di digestione, assorbimento, trasporto e metabolizzazione, difficilmente calcolabili e durante i quali una variabile quantità di sostanza va persa.

Tonino racconta, da noto portatore sano, il suo quotidiano sforzo a mantenere in equilibrio l’emozione personale e quella della coppia, specialmente in un momento particolarmente difficile come l’attuale emergenza Covid-19. Dora e Marco, altri due portatori sani professionisti, condividono pienamente.

Nanna chiede a Prof. Serra come si può far non emergere le emozioni negative per favorire quelle positive. Il docente universitario replica che proprio qua sta l’arte del saper vivere e che ci vuole sapienza e disciplina, e forse il miglior modo per superare un momento di tristezza è rappresentato dalla consapevolezza che dopo ogni tempesta torna il sole. Banalità? No. Saggezza antica.

Infine, interviene anche Adelaide e racconta del suo stato d’animo in questo particolare momento della sua vita, e subito corrono in aiuto Cecilia e Dora per sostenerla e consigliarla. Dimostrazione pratica di emozioni.

Tante sono ancora le richieste di intervenire, ma il tempo stringe ed il nostro moderatore dott. Demuro ci avverte che bisogna chiudere il collegamento. Ci si saluta e ci si dà appuntamento a prestissimo, Franco tira fuori l’armonica.

Finisce così la prima video conferenza della nostra Parkinson Sassari, che ci ha regalato veramente tante emozioni. E’ stato bellissimo rivedersi. Oggi siamo anche cresciuti, siamo diventati più confidenti con i nuovi mezzi tecnologici.

Un successo!

Buona la prima.

Kai S. Paulus

 

P.S. Nanna e Peppino seguono attentamente le spiegazioni di Prof. Serra; divertente scatto di Rosella:

 

Mi manchi – poesia di G.B.


Mi  manchi   …

fino allo sfinimento.

Tutte le notti ti sogno e

di  giorno dilato il tempo

per consegnarti al ricordo.

immobile è lo spazio che

mi circonda,  mentre mi struggo

nel sentimento di riabbracciarti.

Stretto tra cumuli di parole ,

privato  della  tua  fragranza,

mi sento prigioniero e solo.

A tratti, per evocarti,

mi sorprendo a costruire fantasie

profumate di boccioli in fiore

e corolle di petali,  palpitanti al sole.

Tutto profuma di te, parla di te

…… e ti sento vicina,

ma dolorosamente  sei lontana  !!

Perché questa privazione ….?!

Per quanto tempo ancora ….?!

Ma io, saprò aspettare,

……infinitamente !!

per assaporare ancora

la struggente emozione che mi susciti,

intensa quanto il  respiro,

che ora mi manca  !!.

g.b