Alghero luglio 2020
Fra gli algheresi DOC o fra gli innamorati delle bellezze di Alghero chi non dovesse riconoscere o ricordare due punti caratteristici della città sardo-catalana e cioè la “muraglia” e il “solaio”, rivelerebbe una carenza imperdonabile. Per amare la “muraglia” bisogna esserci vissuti, nella “muraglia”. O quanto meno bisogna aver partecipato, da ragazzi, a una delle tante battagliole ingaggiate fra bande rivali dei diversi quartieri della città: un gruppo per difendere il territorio, l’altro per cercare di occuparlo. La “muraglia” serve a connotare quel tratto di cinta murarie fortificato, bellissimo, rivolto verso il sole che tramonta, istituzionalmente noto come lungomare Marco Polo e si snoda dalla torre ottagonale di S. Giacomo sino alla torretta della Polverera. In uno slargo situato verso la metà si notano delle piccole nicchie cha altro non erano che bocche di fuoco da utilizzare nel caso di attacchi proditori dal mare. Questa era la fortezza difensiva di ieri, questa è la muraglia di oggi. Che se non possiede più i blasoni di un tempo rimane pur sempre un punto di incontro non solo per la città da quando è diventato un lungo ristorante che si snoda da La Lepanto al Caffè Latino a ospitare clienti desiderosi di cenare evitando di far disperdere gli ultimi raggi di sole morente. Da quando è stata abbellita col totale rlfacimento del fondo stradale, fatto con lastroni e ciottoli , secondo il tipico disegno delle strade algheresi, la “muraglia” si è trasformata da punto negletto e sporco di periferia in passeggiata elegante e irrinunciabile sia per gli algheresi che per i turisti del mondo.
Questo tratto di passeggiata, delimitato all’orizzonte dal gigante addormentato di Capo Caccia è uno di quegli spettacoli mozzafiato che al tramonto si accende di un rosso porpora intenso da ipnotizzare le centinaia di fotografi occasionali desiderosi di carpire l’ultimo spicchio di sole calante.
Dopo il tramonto, animano la contrada quelli di Carrerò dels Hebreus, di via S. Erasmo, di via Sannino, via Ospedale, di Piazza Santa Croce che dopo aver cenato fugacemente, si presentano con la chitarra. Pietro, creativo geniale ma indocile e insofferente delle imposizioni; Luis, cantante poliglotta, comprese le innumerevoli varietà del canto sardo nonché apprezzabile guida turistica, Armando, estroso accompagnatore di musiche algheresi; Barabba, con chitarre e armonica, viola, arpa e chi più ne ha più ne ha più ne metta: “musico” per definizione propria; Tore con le sue nacchere, fa da “spalla” a tutti, solo quando è assente ci si rende conto che manca uno strumento essenziale; Paolo con la batteria, completa il complesso musicale. Non si direbbe ma quasi tutti son pronti a far da “primedonne” e quindi poco adusi ad arrivare per primi. Intanto “dopocena”, i primi arrivati trovano posto fra le poche panchine dello slargo, dove troneggia la copia perfetta di un cannone in bronzo del XVI secolo, che stavolta non è li a cacciare gli stranieri, ma a riceverli con disponibilità e garbo. I bambini occupano la base di legno del cannone e cominciano a manovrarlo, sognando la resa dei pirati che hanno osato attaccare le fortificazioni algheresi. Ormai il gruppo dei suonatori non può più tardare: infatti sbucano alla spicciolata, dai vicoli adiacenti, qualcuno facendosi precedere da un ragazzino che regge lo strumento. Le donne che sinora erano rimaste a casa, vanno a occupare le panchine: Samanta con Salvo e Andrea, Annamaria con Sandro, Mariangela con Tonio, Rita con Gianni Una volta che i suonatori trovano la loro collocazione ideale, accordate le chitarre e consumati gli ultimi “sfottò”, di botto si scatena la buriana musicale.
Ciò che sino a questo momento era apparso disordine individualista, si ricompone in un caos ordinato, generato da tre chitarre, una batteria, una nacchera; mancano solo gli strumenti musicali (tanti) di Barabba, che col suo carisma, mette tutti d’accordo. Improvvisamente si formano dei capannelli di turisti italiani e stranieri, che dopo una prima esecuzione provano piacere a intrattenersi prima e scatenandosi poi in vorticosi balli di musiche spagnole.
Questo è quanto accade nello spiazzo dei cannoni, che rappresenta il “piano nobile” del complesso della “Muraglia”. E qui avvengono gli eventi di rappresentanza: suoni, canti, balli; ma la casa-Muraglia non finisce qui, nel piano sottostante esiste una “tavernetta”, meglio nota come “Il Solaio”, dove si consumano (nel senso di mangiare) i delitti più efferati: dall’orata all’agnello, dal calamaro al porcetto, passando per formaggi e salsicce, verdure e dolci di ogni fantasia. Qui il re indiscusso della cucina è Sandro Multineddu, che si fa aiutare anche da altri, ma l’ultima parola, sui condimenti, sulle spezie, sui vini da scegliere, rimane sempre la sua.
Mancano Gino e Grazia, come mai? No, no, sono presenti eccome! Dando una mano, se occorre nelle circostanze più svariate.
Tornando al solaio-tavernetta, c’è da aggiungere che è il punto-mare più vicino alla zona, dove gli affezionati vanno a fare il bagno e a prendere il sole: il “Solaio”, appunto. Ma quando il solaio abbandona la veste istituzionale e diventa cucina, allora è un brulicare di persone indaffarate ad accendere il fuoco, e a preparare le carni e i condimenti: e qui il re, coordinatore della cucina, continua ad essere sempre Sandro Multineddu.
E quando, finalmente, arriva l’ora del pranzo, il popolo della Muraglia si placa e dà sfogo alle Olimpiadi mangerecce. Com’è immaginabile, le quantità sono pantagrueliche e quindi bastevoli anche per la cena. Dopo qualche minuto di silenzio obbligato iniziano a farsi sentire gli effetti euforici di qualche bicchiere di gradevole vino tracannato in eccedenza. Finora non era stata notata l’assenza di Carmelo e Pina, che hanno in mente di realizzare progetti familiari con l’entusiasmo e l’intraprendenza dei giovani: è immediata l’evocazione della poesia di Prevert: “I ragazzi che si amano”. L’unica assente nel solaio-tavernetta è Angela, la “reina”. Qualche problema di salute le impedisce di condividere con gli altri momenti comunitari di allegria, e agli altri mancheranno le canzoni degli anni ‘60 e ‘70 “fischiettate” con insolita bravura da Angela, la “reina” della Muraglia.
Franco Simula
Franco caro ,si sente da ciò che scrivi il tuo amore per Alghero e ,ahimè ,io sono purtroppo uno di quegli individui che Alghero non la conoscono quasi,avendo avuto noi altre mete.L’ho vista comunque tante volte in maggio e settembre ,i mesi in cui è più bella ,senza il caldo afoso e la ressa dei bagnanti .Il tuo racconto mi è però tanto piaciuto ,perchè penso che certi ricordi rimangano con noi per sempre . I bambini presso la Muraglia,chissà la frenesia delle corse e quei giochi che non appartengono più a nessuno dei bambini odierni ,rimasti nel ricordo solo della nostra generazione . La fortezza difensiva con le bocche di fuoco vi avrà accolto sudati e assetati senza le preoccupazioni che dopo sarebbero inevitabilmente venute .Fai un mix tra l’ieri e l’oggi,ma si sente di continuo la tua nostalgia ,che è quella che prende un pò tutti ,verso questo luogo dell’anima che chi lo frequenta tuttora non riesce a togliersi dal cuore e dalla mente. Conosci tutti e non potrebbe essere diversamente ,data la lunga frequentazione .Bello il mix tra l’ieri e l’oggi, i personsggi ma soprattutto i tramonti. Non usuali anche gli efferati delitti ( per me vegetariana) che avete compiuto di frequente e anche le olimpiadi mangerecce . Tutto rimasto nei tuoi ricordi e nel tuo cuore . Continua a conservarli,Franco ,sono tutti tuoi .
Franco dipinge atmosfere magiche.
Credo che ognuno di noi possa legare dei ricordi personali alla muraglia.
Quando ero studente la mensa universitaria distribuiva per coloro che non potevano tornare dalle proprie famiglie per il pranzo domenicale delle buste composte da insalata di riso, una coscia o mezzo petto di pollo ed una mela, e con tali prelibatezze scendevamo con qualche amico in una scassata Ford Taunus ad Alghero per consumare il nostro pasto sulla muraglia, spesso sulla Torre di Sant’Elmo. Durante il tragitto avveniva puntualmente il miracolo: noi sfigati ci trasformavamo in re, il rottame su quattro ruote era una Rolls Royce, ed il contenuto della busta diventava roba da gourmet. Sui bastioni eravamo felici.
Franco racconta la muraglia degli Algheresi. Un giorno vorrei essere dei vostri e cantare insieme a Barabba.
Uno spaccato di vita casareccio descritto con partecipata allegria,da vacanziero disincantato e allo stesso tempo complice; pregevole la descrizione dei luoghi e dei personaggi.Bravo Franco.