Volare si Può, Sognare si Deve!

Cultura

IL PARKINSON NON E’ TREMORE di Kai S. Paulus

(Questo è il mio intervento a “Notti Europee dei Ricercatori” del 26 novembre, nello spazio dedicato alla nostra Associazione, dove il nostro presidente Franco Simula è intervenuto prima di me con una emozionante relazione che troverete già pubblicata in questo sito; Prof. Pier Andrea Serra ha sottolineato l’importanza del nostro Ecosistema ed il suo impatto decisivo nel prossimo futuro sulla qualità di vita; e la neolaureata Sara Roselli ha presentato la sua tesi di laurea sul dolore, realizzata a tempi di record con interviste telefoniche a causa del  covid-19; impeccabile la moderazione di dott. Giuseppe Demuro)

La malattia di Parkinson non è tremore

La malattia di Parkinson non è rallentamento motorio

La malattia di Parkinson non è rigidità muscolare e non è instabilità posturale.

La malattia di Parkinson è Solitudine

La malattia di Parkinson è Disagio, Preoccupazione, Ansia, Depressione

La malattia di Parkinson è Dolore

La malattia di Parkinson è Insonnia

La malattia di Parkinson è non sentire gli odori, aver difficoltà nel parlare, nel deglutire e nel digerire

La malattia di Parkinson è difficoltà di convivenza in famiglia

La malattia di Parkinson è il Portatore sano

La malattia di Parkinson è Isolamento

La malattia di Parkinson è Sofferenza

La malattia di Parkinson è che per tutti questi sintomi e disagi non c’è cura farmacologica.

Allora, cosa fare?

Certo, per i sintomi motori (tremore, rigidità, ecc.) i farmaci possono aiutare ad attenuarli, ma i risultati spesso non sono soddisfacenti e molte cure comportano ulteriori complicanze.

No, il Parkinson non si cura con i farmaci!

 

 

La gestione globale della malattia, a mio avviso, necessita di quattro pilastri:



1) i Farmaci: per attenuare i sintomi e permettere il movimento

2) il Movimento: essendo il Parkinson un disturbo del movimento, proprio il movimento stesso, l’attività fisica, rappresenta una delle strategie principali per contrastarlo. Quindi, fisioterapia, riabilitazione ed una mirata educazione ad una condotta di vita attiva, sia fisicamente che mentalmente, vanno inseriti nella gestione globale sin dall’inizio.

3) il Sonno: Prof Pier Andrea Serra sottolinea già da molti anni l’importanza del sonno buono durante il quale il nostro cervello si resetta, si rigenera e si ripara il che è particolarmente importante nel Parkinson in cui la frequente insonnia, dovuta spesso alla difficoltà di girarsi nel letto e trovare la posizione giusta, ed i disturbi del sonno (agitarsi, parlare nel sonno, ecc.) non solo peggiorano la giornata con sonnolenza, fiacchezza, nervosismo, mal di testa, ecc., ma addirittura peggiorano lo stesso Parkinson.

4) le Emozioni: negli ultimi anni abbiamo posto l’accento particolarmente sulle emozioni positive, la gioia, il divertimento, abbiamo parlato recentemente della Biochimica delle Emozioni e negli anni 2014-16 abbiamo organizzato a Sassari un simposio internazionale triennale (“Brain and Music”) dove abbiamo discusso con esperti stranieri e nazionali l’importanza delle emozioni per il benessere del cervello e come, specialmente nel Parkinson, le emozioni stimolano processi di neuroplasticità (rigenerazione) ed aumentano la stessa dopamina e tutto il sistema dopaminergico, nigrostriatale e mesolimbico.



La nostra associazione si può vantare di aver già realizzato questi pilastri grazie al nostro Ecosistema del Parkinson a Sassari. Come ha ricordato il nostro presidente Franco Simula, esiste l’ambulatorio della ASSL Sassari dedicato ai Disordini del Movimento, ci sono le attività riabilitative motorie con Pinuccia Sanna e Annalisa Mambrina, canto e coro con Fabrizio Sanna, e solidarietà, amicizia, comunità e buon umore garantiti da tutti gli amici della nostra Parkinson Sassari.

Ed ora, grazie a Rita Lionetti e Dora Corveddu il nostro Ecosistema Parkinson Sassari diventerà anche virtuale, entrerà in rete, proponendo tutte le nostre attività e comunità a distanza, lontani da virus e solitudine.

Intervento del Presidente Franco Simula alla “Notte europea dei ricercatori”


NOTTE EUROPEA DEI RICERCATORI

Gentili ascoltatori, buona sera

L’incontro odierno è collegato alla Convenzione firmata con l’Università degli Studi di Sassari che ha creato e permesso l’interscambio tra pazienti e docenti specialisti di varie discipline, trasformandolo in tal modo in un rapporto proficuo per entrambi: i malati forniscono i dati e i contenuti clinici che gli specialisti utilizzano per i loro studi e le loro ricerche, che poi vengono divulgate e si rivelano di fondamentale utilità per i pazienti stessi. Così è avvenuto in incontri pregressi che hanno approfondito i problemi del sonno, la biochimica delle emozioni, l’efficacia terapeutica della musica.

Così è avvenuto in occasione della discussione delle due tesi di laurea sull’alimentazione e oggi sul dolore nel Park.

Tutto ciò rientra pienamente tra gli scopi dell’Associazione Parkinson Sassari, nata nel 2013 con i seguenti obiettivi:

1) Promuovere e informare sulle cure e i diritti dei malati di Parkinson;

2) Proporre attività di riabilitazione convenzionale e non convenzionale (teatro, danza, musica e canto).

3) Favorire momenti di aggregazione sociale con attività ricreative, incontri di studio, di approfondimento, di confronto sulla malattia di Parkinson e sulle problematiche connesse sia mediche che sociali.

Le attività che hanno caratterizzato la pur breve vita della nostra Associazione sono tantissime, per fornire un quadro complessivo di esse ci limiteremo a farne solo un elencazione sommaria:

è stato creato un ecosistema che ci ha consentito di usufruire del contributo professionale di una fisioterapista, di una logopedista, di una musico terapista, di esperti di canto, teatro, ballo, di uno psicologo anche per il sostegno alle famiglie. Gli incontri hanno avuto cadenza almeno trisettimanale, inframezzati da riunioni conviviali, visite a luoghi di interesse culturale, conferenze di esperti, esibizioni in pubblico del nostro coro con studenti delle scuole cittadine e in alcune RSA; insomma, siamo usciti dall’isolamento del dialogo solitario e deprimente di ciascuno con la propria malattia in un clima di solidarietà ed amicizia, sviluppato anche mediante contatti costruttivi con le altre associazioni Parkinson della Sardegna e numerose altre associazioni.

A ciò si aggiunge l’organizzazione, con una pluralità di esperti, di convegni annuali sul Parkinson a Sassari ed Alghero, dove per la prima volta si è declinato il Parkinson al femminile nell’ottica di una medicina di genere.

Abbiamo dovuto combattere una lunga e logorante battaglia per ottenere un ambulatorio Parkinson dedicato ai disturbi del movimento. A causa del mancato turn over dei medici nella clinica neurologica si era andata progressivamente chiudendo per i pazienti la possibilità della continuità assistenziale, obbligandoli o al ricovero o al ricorso al Pronto soccorso, con costi umani ed economici imponenti:

in virtù di una Convenzione tra ATS e AOU siamo riusciti ad ottenere l’ambulatorio Parkinson, grazie anche al sostegno della stampa e dei telegiornali locali.

Purtroppo da un anno a questa parte la disponibilità dell’ambulatorio è stata nuovamente ristretta, e ora che infierisce il Covid è ulteriormente ridotta. A ciò si aggiungono sia l’isolamento sociale imposto dal lockdown per un’utenza di pazienti anziani, portatori di patologie croniche e degenerative come noi Parkinsoniani, sia l’impossibilità di praticare le terapie complementari in presenza. Tutto ciò ha prodotto nella totalità dei malati danni fisici e psicologici devastanti.

Abbiamo quindi fatto ricorso alle moderne tecnologie di comunicazione a distanza attraverso videoconferenze e chat di gruppo, spesso supportati dall’Università.

Infine, dopo un colloquio con i massimi dirigenti dell’ ATS, abbiamo presentato una proposta di PDTA, cioè Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale sulle linee guida del Piano Nazionale delle Cronicità, che prevede la presa in carico a 360 gradi dei malati di Parkinson, senza nessun aggravio di spesa, perché gli specialisti sono già in carico al servizio sanitario nazionale, evitando la defatigante ricerca nel territorio dello specialista che di volta in volta è necessario Purtroppo, però, non abbiamo ottenuto risposte: siamo perfettamente consapevoli della gravità della situazione emergenziale venutasi a creare con il Covid, ma non vorremmo che tale congiuntura possa fungere da alibi per continuare a depotenziare il servizio sanitario territoriale già ridotto ai minimi termini.

Sembra che le altre, gravi patologie invalidanti e progressive come la nostra non abbiano diritto di cittadinanza. A questo non ci possiamo rassegnare, non ci stiamo e siamo decisi a combattere ancora per difendere i nostri diritti.

Grazie.

MyAngelWin – testo di Franco Simula

MyAngelWin e vince sempre

My Angel vince. E vince ancora.

Vince la sua generosità.

Vince il suo contagioso messaggio di gioia.

Ricevere è bello

Ma donare conferisce la gioia immensa di aver fatto felice qualcuno che a sua volta donerà ad altri.

Domenica 15 novembre  2020 è stata celebrata in maniera festosa la cerimonia di consegna della somma raccolta dagli amici di MyAngelwin per offrirla all’Associazione Parkinson Sassari Onlus che l’avrebbe utilizzata per lezioni di canto: insomma, secondo la loro felice battuta, “cantiamone quattro al Parkinson”.

Abbiamo avuto modo di conoscere di persona, sia pure in video, tutto il gruppo Angel di cui abbiamo apprezzato la simpatia e la solidarietà manifestate in tanti scambi sul web in questo mese.                          

Tanti sono stati i protagonisti di questo incontro gioioso, da Stefania a Dora da Nicola a Fabio ad Adelaide a Paolo a Rosalba a Egle a Giannella a Cenzina: a tutti vada il nostro riconoscente ringraziamento.

Possiamo dire che la nostra generazione è stata fortunata perché ha potuto beneficiare facilmente di opportunità che ai nostri figli e nipoti sono purtroppo negate; ma questi stessi giovani, come voi, sono capaci di slanci e creatività straordinarie all’insegna della solidarietà.

Ma in questa circostanza permettetemi di ricordare affettuosamente colei che è stata il primo anello di questa lunga catena d’amore: Laura Piga.

Laura ha tante Associazioni da seguire; ma quando le sue idee entrano in fase creativa, pensa immancabilmente all’Associazione Parkinson.

Il felice e condiviso incontro con Fabrizio l’ha creato Laura; il legame con MyAngelwin lo ha stretto “fata” Laura: da vecchi abbiamo imparato di nuovo a credere nelle fiabe e nei sogni. Non per caso il nostro motto è:

VOLARE SI PUO’, SOGNARE SI DEVE.

Grazie, Laura.Grazie Stefania, Grazie Nicola, grazie, ragazzi.

                           Franco


Ognisanti – Testo di Egle Farris


Halloween non si festeggiava . Semplicemente, non esisteva. Chi, come me, ha oltrepassato le settanta primavere, aspettava Ognissanti che dovevano esserci proprio tutti, tutti, i santi, se c’erano due esse, e magari avrà dei ricordi simili ai miei . Ho ancora negli occhi e nella mente quell’attesa, l’attesa di quei dolci che, allora, non venivano preparati in tutti i periodi dell’anno ma solo ed esclusivamente per quella festa.
Cospiratori.

Come carbonari intriganti e cospiratori della notte ,con tutti i cugini, con indifferenza e dissimulata paura cominciavamo a salire quei gradini sbeccati che portavano nelle immense soffitte dei miei nonni (forse è solo il mio ricordo, immense, ma tant’è). La grossa chiave strideva nella serratura e, ssshhhh ssssssshhhhh, entravamo tutti. Toglievamo le scarpe, che non ci sentissero, per carità, ed i piedi diventavano ghiaccioli in un millisecondo.

E si cominciava a passare sotto le travi da cui pendevano ghirlande di pomodori rossi e succosi, grappoli di pere “antoni e ‘sale” dall’inebriante profumo che prometteva delizie , melograne che mostravano denti vermigli e si erano incoronate ed abbigliate da sole, grappoli di uve, torciglioni di bucce d’arancia che formavano colorati ricami e ghirigori profumati. E poi a terra, su uno strato di paglia, mandorle, noci, nocciole e sorbe e, in un cestino, fichi secchi con le foglie di alloro dall’aroma penetrante e prugne viola.

E profumi, profumi dappertutto.  Ma la meta era un uscio chiuso con una chiave appesa lì vicino, (ma perchè chiudevano ,se le chiavi erano lì?) che non portava da nessuna parte conosciuta, ma nella grotta di Alì Babà, proibita per noi, dove le corbule contenevano brillanti trasformati in lucenti “copulette” coi  diavolini d’argento, gli smeraldi erano i papassini coi colorati canditi e le “teriche” con la bianca pasta frastagliata e la nera sapa diventavano opali col castone d’agata. E il tesoro aveva ancora spille di amaretti e gateau di zucchero bruciato con le mandorle che sembravano ambre. E tutti , in profondo silenzio , congelati sino alle ossa ,sceglievamo un dolce, uno solo per non essere scoperti e lo gustavamo lì, al buio e al freddo, godendo del sapore di una chicca, senza sapere invece e senza immaginare che era quello di una vita che tanti, troppi anni dopo, non saremmo riusciti a dimenticare, cristallizzata dentro i confini di un’esistenza sempre troppo breve e di un tempo magico ed irripetibile.
Una signora col rossetto

Egle Farris


Badde Lontana – In ricordo di Giuseppe Fiori – Testi di Franco Simula


In ricordo di Giuseppe Fiori – 04 ottobre 2020

L’incontro con Giuseppe era avvenuto circa un anno fa nell’androne della scuola elementare di Santa Maria dove i parkinsoniani si incontravano regolarmente e dove Giuseppe era approdato perché qualche medico gli aveva rilevato una forma di parkinsonismo. In realtà Giuseppe soffriva di una grave cardiopatia che è stata poi quella che ha spezzato la sua pur forte fibra.
L’incontro è stato di reciproca simpatia a prima vista. Da poco col maestro di canto Fabrizio Sanna avevamo cominciato a cantare “Badde Lontana” e dunque venne spontaneo e naturale sintonizzarci su un argomento comune ad entrambi. -Giusé, cantiamo Badde Lontana? Detto e fatto, Giuseppe aveva immediatamente intonato la canzone mentre io cercavo di accompagnarlo facendo la seconda voce. A questo duo estemporaneo si unirono gradualmente due tre dieci degli amici presenti finché non ci trovammo a cantare tutti insieme, commossi, Badde Lontana.
Giuseppe era anche questo: uno che si faceva entusiasmare dalle piccole cose come la condivisione della sua canzone con un coro di amici parkinsoniani sofferenti come lui.
Ci lasciammo con l’impegno di rivederci una volta la settimana ma Giuseppe non riuscì a mantenere la promessa perché le sue condizioni di salute andarono aggravandosi sempre di più sino al tracollo finale. In un successivo incontro, che poi fu l’ultimo, la moglie di Giuseppe, Mariuccia, sempre attenta a curare i particolari, si era preoccupata di donare all’Associazione due CD: uno, “Anima che sorride” contenente Badde Lontana e altre 15 canzoni degli anni ‘70 interpretate da Giuseppe; l’altro, invece, “Ammenti”, contiene 16 canzoni in dialetto sassarese sempre cantate da Giuseppe.
Grazie, Mariuccia.
Estroverso, buono, generoso sino a rimetterci del suo pur di rendere felice qualcuno. Rimane in noi la tristezza e il rimpianto di non aver potuto godere più a lungo di questa bella amicizia.
Lunedì 5 ottobre, nella chiesa di Santa Maria Bambina, stracolma di amici ed estimatori, è stata celebrata la cerimonia funebre. All’uscita del feretro, si è diffuso nell’aria un insolito suono di campane che, fondendosi con il canto di Badde Lontana intonato inaspettatamente dagli amici, ha creato una magica e suggestiva atmosfera di corale commozione.
Ciao Giuseppe, sarai sempre con noi tutte le volte che il nostro coro canterà Badde Lontana.

UNA VOLTA , L’INVERNO scritto da Egle Farris

Una volta l'inverno - testo di Egle Farris

Si consultavano solo loro.

I calli.

I calli venivano “ascoltati” come noi il meteo dall’immancabile colonnello dell’Aeronautica .  E, i calli, non promettevano niente di buono da diversi giorni.

Oggi, che non capisci più le stagioni, sempre più ripenso che prima le conoscevamo, accecanti estati, miti primavere, autunni che correvano verso inverni che incancrenivano le ossa.

La casa era enorme, un’isolato, tutti assieme vivevano i miei nonni coi vari figli sposati ed ognuno aveva le proprie stanze. Ma in inverno, quando la tempesta, nei pomeriggi innaturalmente  neri, si avvicinava, allora, si correva nella stanza dei nonni, le imposte semichiuse a spiare l’inizio della pioggia.  La fiamma delle candele proiettava ombre su ogni parete e gli armadi parevano mostri pronti ad aprire le mascelle, i letti altissimi e, sotto, nascondigli per bobbotti. E quelle facce tremolanti che ci guardavano …..tutte tutte le pareti erano zeppe di grossi quadri malevoli. Santa Tecla, un piatto sulla mano sinistra contenente i suoi seni tagliati, il cuore di Gesù fuori dal petto stillante spine e goccioloni di sangue e Santa Barbara,  colpita da fulmini e saette, alzava gli occhi al cielo. E si correva a mettere uno stagnale sotto un filo incessante che colava dall’autarchico tetto con le tegole che volavano al minimo soffio di vento, e una casseruola là in fondo e un tegame di qua, ed allora, al culmine, si levava dagli angoli l’invocazione  “Sant’Avara de sos campos, libera nos ” in una litania ripetuta infinite volte  e condita con le promesse di giaculatorie, novene e tredicine  ad ogni santo conosciuto, mentre anche le candele raggiungevano il loro ultimo respiro.

E noi piccoli, pallidi, sbirciavamo all’ esterno,  da un pertugio, tutto quel clamore e quell’acqua ruscellante e, volgendoci, vedevamo tutti quei vecchi, perché agli occhi dei bambini, tutti gli altri, vecchi sono, imploranti S.Avara ,mentre i tavolati cigolavano di suoni aggriccianti . E quando la furia si esauriva ,vedevi il colore tornare sulle guance di ciascuno e subito dopo ci si premiava con le frittelle scaldate sulla graticola e con un pane carasau inumidito, zuccherato e arrotolato. Di quegli anni, sotto l’onda dei ricordi, dietro le palpebre chiuse, risento ancora quei tuoni e quegli scrosci, sigillati nella memoria, paurosi e splendidi e irrimediabilmente perduti ed obsoleti .

Chi, infatti, ha più quei temporali, S. Barbara, ma soprattutto i calli e i tavolati scricchiolanti di una volta?

Una signora col rossetto                                                                  Egle Farris


Il tempo dell’uva e delle mele scritto da Egle Farris


Non era  un ultimatum, era un diktat .

Solo la data veniva comunicata, al momento opportuno.

La vendemmia si sapeva che dovevamo  farla. Sempre.                                                                       

Tutta la famiglia, quella enorme famiglia che occupava intero un isolato con una miriade di lunghi corridoi alla fine dei quali ci stava sempre un armadio enorme temuto  dai piccoli perché credevano ci fosse il maligno  bobotti, stanze, stanzini, cucine  e  ripostigli, nonni, undici figli, generi, nuore e zie e prozie e nipoti e cugini richiamati da ogni dove,  che si passavano la data tipo KGB. Dovunque si trovassero …….. ubbidivano.

Si   scendeva verso quella vigna immensa dal  buffo nome “Tilipische”, con la terra dentro le scarpe, saltando l’asmatico torrente, sulle cui rive gialli meloni e rosse angurie promettevano delizie.   Facevamo a gara per passare da un  paracarro di cemento all’altro  e non cadere, cosa che invece si verificava molto spesso e allora c’era chi piangeva e chi ne rideva per dimostrarsi forte e chi ci minacciava che “la mamma del sole”  nascosta in un banco di candido tufo ci avrebbe rapito e punito per quel pericoloso gioco .

E poi si iniziava, tutti noi bambini ad urlare più che cantare, gli altri a lavorare.                                                                                                                                     

Raccolta veloce e sorridente, famiglie e vignaioli, grandi e piccini, in lotta con le vespe, chiamate dall’ambrato moscato .  Canti a squarciagola, grappoli di infinita dolcezza, acini gonfi e maturi, piluccati prima e dopo, pendenti dai tralci deformati dal vento, file di ceste colme,  esalanti odori aspri e soavi.                                                                                                                                          

Il pranzo, si sapeva. Gli adulti sotto le annose querce, i piccoli tutti assieme sotto un albicocco deliziososo, un melo miali dai frutti bianchi e rossi  e due vecchi susini da cui pendevano cerosi frutti viola all ‘esterno e color dell’oro all’interno.

Il pranzo, manco dirlo, imbandiva uve con formaggi di ogni tipo, salsicce e frittate, deliziose mele “miali “, fragranti pere “antoni ‘e sale “,  io ricordo questo nome, chissà, ma continuo a sentirne ancora il gusto.  

Pranzo velocissimo, la pigiatrice non poteva aspettare, il sole  invece ci attendeva  ancora e si ricominciava  da capo  sino a che iniziava a scemare.                            

E, alla fine del giorno, inebriato di odori  e sensazioni, ti fermavi  con gli  occhi chiusi per assaporare gli ultimi profumi e  per ringraziare loro, le viti spogliate del loro immenso tesoro, ma ancora innamorate dell’ultimo raggio del sole.

Una signora col rossetto                                                   Egle Farris


Il trenino – Testo di Egle Farris

Parlando con Franco ho scoperto che amiamo i treni . Ma questo di cui vi parlo è un treno diverso, bizzarro e misterioso.
IL TRENINO.

Ero stata avvertita .
QUELLO era un treno particolare .


Giunsi trafelata davanti a quel binario che mi avevano indicato.
La prima volta che lo vidi, di un legno che un tempo doveva essere stato rosso, aspettava silenzioso e discosto. Con sgomento guardai se avessi la crinolina ,se fosse il 1874. Il trenino sembrava arrivato dritto dritto dal Far-West, ma era il 1974 e fu con apprensione e curiosità che salii tre gradini altissimi per me, per poggiarmi poi su sedili di rigido legno, rigati da infinite mani, e toccai vetri freddi ed opachi, che facevano solo indovinare l’esterno. Cominciò a saltellare sui binari con affanno e mi sembrò all’improvviso che il tempo e le distanze non contassero più ,dondolata dal ritmo lento e sempre uguale, che invitava a chiudere gli occhi.
Prima fermata, Funtana Niedda, dove non saliva o scendeva nessuno, poi Rodda Quadda, ritratto della prima e poi, poi….. il ponte sospeso ed inquietante che avrei da quel giorno chiamato “Cassandra crossing” sul quale il trenino pencolava e le nocche strette alle spalliere diventavano bianche.

Rodda Quadda

E capitava allora una cosa strana.
Restavi tu sola e il trenino che portava i tuoi pensieri e i tuoi desideri dove tu volevi e sognavi allora ignote destinazioni e lui le indovinava e te le proiettava nell’anima, perché era un vecchio treno e i vecchi treni, si sa, conoscono i sogni di tutti i passeggeri.
Per tanto tempo il trenino non mi portò al lavoro, ma in luoghi immaginari che solo più tardi avrei visto per davvero ,come se lui mi avesse fatto una irrinunciabile ed inviolabile promessa….
E poi, un freddo giorno di dicembre, arrivando di corsa all’appuntamento, sognando altre mete esotiche e lontane, lo cercai con gli occhi e…. non lo trovai più, non lo vidi più, sostituito da una inaspettata, amorfa e grigia littorina senz’anima e senza avventure. Non l’ho mai perdonato ….. Se n’era andato senza avvertirmi, il trenino, così, lasciandomi sola con i luoghi dei miei sogni.

Una signora col rossetto                          Egle Farris

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA di Kai S. Paulus

Ovvero: come sconfiggere il Parkinson con appetito

Circa un anno fa abbiamo avuto un’idea molto ambiziosa: siccome comunemente si devono seguire delle rigide raccomandazioni dietetiche per rispettare le terapie farmacologiche di malattie croniche, e siccome sappiamo molto bene che una malattia cronica come il Parkinson richiede già tante restrizioni e rinunce, allora con Prof. Pier Andrea Serra, presidente del Corso di Scienze Alimentare dell’Università di Sassari, abbiamo voluto capovolgere le apparenti certezze, e cioè proporre un modo per divertirsi a tavola, senza rinunce, ed anzi, contribuire a combattere il Parkinson lasciando libero sfogo alle papille gustative consumando ottimi piatti, gustosi e soddisfacenti.

Il tutto ha inizio durante l’estate scorsa, quando Prof. Serra ci fa conoscere nella nostra Casa Park le due dottoresse Antonella Fiori e Veronica Matzau, entrambe studentesse del corso di Scienze Alimentari. Mi ricordo bene le animate discussioni nella piccola Casa Park colma dei nostri soci ponendo tantissime domande a Prof Serra e le dottoresse Fiori e Matzau sulle difficoltà di una persona con Parkinson alle prese di una corretta alimentazione.

Ecco il punto: qual è la corretta alimentazione in caso di Parkinson?

La scienza ufficiale è molto chiara su questo argomento: siccome le proteine (carne, pesce, formaggi, legumi, ecc.) interferiscono enormemente con l’assorbimento della levodopa (Madopar, Sinemet, Sirio, Stalevo, Duodopa) vengono raccomandati pasti poveri di proteine, ed i pasti principali spostati come orario in funzione dell’assunzione dei farmaci.

E qui nasce lo stupore: la persona con Parkinson deve lottare continuamente con disagi motori (tremore, rigidità, instabilità posturale, ecc.) e non-motori (ansia, depressione, dolori, insonnia, ecc.), ma anche con tanti possibili effetti collaterali causati dai farmaci, quali nausea, bruciore gastrico, sonnolenza (specialmente a tavola); ma ultimamente viene postulato il divertimento e le emozioni positive come chiavi di una buona gestione del Parkinson, ma di gioia e piacere a tavola non si parla mai.

Il pasto non è solo nutrimento, ma rappresenta anche piacere, gratificazione e socializzazione, di cui specialmente una persona con tante difficoltà ha proprio bisogno.

Spesso, il Parkinson causa patologie del tratto gastrointestinale, quali disfagia, reflusso gastroesofageo, gastrite, stitichezza, flatulenza, nausea, che ulteriormente vengono aggravate da rigidi protocolli e restrizioni.

Per trovare delle soluzioni alle tantissime domande, le dottoresse Fiori e Matzau, dopo alcuni incontri con le comunità parkinsoniane di Sassari ed Alghero, hanno stilato un questionario per conoscere meglio le abitudini alimentari ma anche i disagi connessi all’assunzione del cibo. Sulla base dei dati raccolti le dottoresse hanno quindi elaborato delle proposte per poter evitare i disagi e soprattutto per ritrovare il piacere della buona tavola, l’attesa gioiosa del momento culinario, la divertente convivialità, elementi essenziali che contribuiscono a gestire meglio la malattia.

Giovedì, 9 luglio ci siamo quindi dati appuntamento per una nuova video-conferenza per ascoltare i risultati della ricerca gastronomica, con la oramai consueta e perfetta moderazione del dott. Giuseppe Demuro e la partecipazione del “nostro” Prof. Pier Andrea Serra.

Inizia la dott.ssa Antonella Fiori che presenta la ricerca comune, l’elaborazione dei questionari ed i risultati numerici espressi in percentuali dai quali si evincono tanti comportamenti “sbagliati” dovuti propri a limitazioni per disagi fisici e psichici e, di conseguenza, alla frequente assenza di appetito.

 

Successivamente, la dott.ssa Veronica Matzau in accorda con la collega, sottolinea l’importanza del piacere a tavola, la necessità di consumare alimenti che piacciono, l’essenzialità delle preparazioni dei piatti, dei colori, dei profumi, ed infine il comune denominatore: il divertimento.

Ecco finalmente arrivati al credo della nostra Parkinson Sassari: migliorare divertendosi. Come sappiamo le emozioni positive rivestono un ruolo fondamentale nella cura del Parkinson suscitando effetti positivi immediati sullo stato d’animo, ma elicitando successivamente una tangibile riduzione dei sintomi parkinsoniani, conosciuti ed evidenti nelle arti-terapie quali la musico-terapia, il canto ed il teatro. Queste emozioni vengono provocati anche davanti ad un piatto desiderato e gustoso, da consumare alla consueta ora ed in compagnia, senza rinunce e restrizioni. Ed il farmaco? Sarà il farmaco ad adattarsi al cibo e non viceversa, e quindi l’assunzione del farmaco si sposterà in funzione del tempo e della via di assunzione a debita distanza da colazione, pranzo e cena, e senza rinunciare ad una frutta, un gelato, una merenda fuori pasto.

Non sempre sarà possibile che la persona ammalata o la famiglia riesca a correggere il comportamento a tavola; allora si può far ricorso alla educazione alimentare, disciplina emergente e sempre più importante gestita da professionisti con preparazione specializzata come i biologi nutrizionisti.

Il nostro applauso e la nostra gratitudine va alla dott.ssa Antonella Fiori ed alla dott.ssa Veronica Matzau, per il loro impegno ed il loro lungo lavoro durato un anno e di aver dato nuovamente la possibilità alla persona con Parkinson di potersi sedere a tavola con aspettativa e gioia. Un ringraziamento speciale a Prof. Pier Andrea Serra che ha reso possibile tutto ciò.

Questa videoconferenza che ha segnato la conclusione del nostro progetto “Aggiungi un posto a tavola” segna anche la prima iniziativa all’interno del protocollo di Public Engagement tra la nostra Parkinson Sassari e l’Università degli Studi di Sassari, recentemente firmato dal nostro presidente Franco Simula e dal rettore dell’Ateneo Sassarese Prof. Massimo Carpinelli.

E per concludere una enorme soddisfazione per la nostra Associazione Parkinson Sassari e cioè la consapevolezza che per la prima volta nella comunità scientifica si è parlato dell’importanza del piacere a tavola a spese del farmaco e non viceversa. Un bel primato la cui portato si apprezzerà sicuramente negli anni a venire.

Buon Appetito!