Volare si Può, Sognare si Deve!

Il tempo dell’uva e delle mele scritto da Egle Farris


Non era  un ultimatum, era un diktat .

Solo la data veniva comunicata, al momento opportuno.

La vendemmia si sapeva che dovevamo  farla. Sempre.                                                                       

Tutta la famiglia, quella enorme famiglia che occupava intero un isolato con una miriade di lunghi corridoi alla fine dei quali ci stava sempre un armadio enorme temuto  dai piccoli perché credevano ci fosse il maligno  bobotti, stanze, stanzini, cucine  e  ripostigli, nonni, undici figli, generi, nuore e zie e prozie e nipoti e cugini richiamati da ogni dove,  che si passavano la data tipo KGB. Dovunque si trovassero …….. ubbidivano.

Si   scendeva verso quella vigna immensa dal  buffo nome “Tilipische”, con la terra dentro le scarpe, saltando l’asmatico torrente, sulle cui rive gialli meloni e rosse angurie promettevano delizie.   Facevamo a gara per passare da un  paracarro di cemento all’altro  e non cadere, cosa che invece si verificava molto spesso e allora c’era chi piangeva e chi ne rideva per dimostrarsi forte e chi ci minacciava che “la mamma del sole”  nascosta in un banco di candido tufo ci avrebbe rapito e punito per quel pericoloso gioco .

E poi si iniziava, tutti noi bambini ad urlare più che cantare, gli altri a lavorare.                                                                                                                                     

Raccolta veloce e sorridente, famiglie e vignaioli, grandi e piccini, in lotta con le vespe, chiamate dall’ambrato moscato .  Canti a squarciagola, grappoli di infinita dolcezza, acini gonfi e maturi, piluccati prima e dopo, pendenti dai tralci deformati dal vento, file di ceste colme,  esalanti odori aspri e soavi.                                                                                                                                          

Il pranzo, si sapeva. Gli adulti sotto le annose querce, i piccoli tutti assieme sotto un albicocco deliziososo, un melo miali dai frutti bianchi e rossi  e due vecchi susini da cui pendevano cerosi frutti viola all ‘esterno e color dell’oro all’interno.

Il pranzo, manco dirlo, imbandiva uve con formaggi di ogni tipo, salsicce e frittate, deliziose mele “miali “, fragranti pere “antoni ‘e sale “,  io ricordo questo nome, chissà, ma continuo a sentirne ancora il gusto.  

Pranzo velocissimo, la pigiatrice non poteva aspettare, il sole  invece ci attendeva  ancora e si ricominciava  da capo  sino a che iniziava a scemare.                            

E, alla fine del giorno, inebriato di odori  e sensazioni, ti fermavi  con gli  occhi chiusi per assaporare gli ultimi profumi e  per ringraziare loro, le viti spogliate del loro immenso tesoro, ma ancora innamorate dell’ultimo raggio del sole.

Una signora col rossetto                                                   Egle Farris


6 Commenti

  1. Giuseppina

    Cara Egle, anche se con un po di ritardo ho letto il tuo racconto,devo farti i complimenti è molto bello, mi ha riporta alla mente la mia infanzia trascorsa in paese (Valledoria), con i profumi della frutta matura e della terra coltivata.
    Ti sono grata per avermi suscitato queste emozioni, che rimangono vive nella memoria se aiutate dai racconti suggestivi come questo tuo.
    Grazie. Giuseppina.

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    1. Egle Farris

      Carissima ,si legge quando se ne ha voglia .Sono contenta quando posso regalare qualche attimo emozionale a qualcuno che apprezza e sa rivivere nella memoria e nel cuore le stesse impressioni e palpitazioni che appartengono a tutti . Quindi non devi ringaziarmi ,abbiamo assieme rivissuto una parte di vita che appartiene ad entrambe ,non solo a me . Spero per il futuro di poter pubblicare qualcosa del tanto che ho scritto durante il lock-down ,sono solo ricordi evocati da quelle tristi serate ,ma è il mio e il nostro vissuto .Un grande abbraccio (con una grande mascherina ).

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  2. Egle Farris

    Ah ! L’amour ! Se i francesi non l’avessero inventato un neurologo di nostra conoscenza (non faccio nomi per la privacy) non avrebbe mai potuto gustare la catarsi di una vendemmia sarda …Invece se l’è goduta sino alla pigiatura che ,ancora in quei tempi ,veniva praticata da noi in tal modo .Invece ,per amore ,lo ha fatto e ,più importante ancora lo ha evocato leggendo i miei ricordi . Su un particolare importante non sono d’accordo ,mio nonno faceva lavorare anche le donne della famiglia ,le quali contribuivano in maniera del tutto esauriente al loro compito . Anche perchè ,desumo,in quei tempi le donne non manifestavano troppo per la loro indipendenza . Si goda il ricordo ,egregio dottore, non ci convive lo so ,ma è sempre bello poterlo rammentare .

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  3. Franco Simula

    Ciascuno di noi ha un personale ricordo della vendemmia.Quello di Egle è un nostalgico, delicato racconto, dolce come l’uva (quando l’uva è dolce) che si dipana sul filo di una musica tenue, leggera suonata da violini, flauti, ocarine ma niente tromboni o contrabbassi; solo qualche nota di tromba (le risate dei bambini o il salto del torrente). Solo il nome della campagna “tilipische” (la terribile cavalletta che tutto mangia e tutto distrugge) potrebbe essere stato attribuito per esorcizzare la possibile desolazione e ammetterebbe una nota stridente. La conclusione è un inno alla vigna che, in un giorno, ha fatto assaporare tutti i suoi profumi e si è lasciata spogliare del suo immenso tesoro per rendere poi all’uomo il piacere e la gioia di un buono e inebriante bicchiere di vino.

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    1. Egle Farris

      Grazie Franco ,sempre gentile a regalarmi parole che vanno dove mi ha sempre portato l’anima ed il cuore .Cogli sempre l’essenza di ciò che voglio dire e magari talvolta non ci riesco neppure io . Sono molto lieta che abbia apprezzato ed abbia anche tu dei ricordi .Se posso dire ,non bevo un bicchiere di vino da tanto e me ne dispiace assai.

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  4. kai paulus

    Carissima Signora col rossetto, si vede che il bellissimo racconto della vendemmia è scritto da una donna. Perché? Ecco, perché è un racconto bellissimo.
    Mi ricordo benissimo il diktat della vendemmia di mio suocero. Da maschio ricordo che dopo la fatica in vigna seguiva quella del trasporto dalla vigna fino all’abitazione seguita a sua volta dalla fatica in cantina nel pigiare l’uva. Ogni volta ero stremato.
    Oggi mi mancano questi momenti di vita intensa, di genuina sardità.
    Mille grazie, Signora col rossetto, mi ha fatto tornare in mente tanti bei momenti e tanta bella gente.

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