Si consultavano solo loro.
I calli.
I calli venivano “ascoltati” come noi il meteo dall’immancabile colonnello dell’Aeronautica . E, i calli, non promettevano niente di buono da diversi giorni.
Oggi, che non capisci più le stagioni, sempre più ripenso che prima le conoscevamo, accecanti estati, miti primavere, autunni che correvano verso inverni che incancrenivano le ossa.
La casa era enorme, un’isolato, tutti assieme vivevano i miei nonni coi vari figli sposati ed ognuno aveva le proprie stanze. Ma in inverno, quando la tempesta, nei pomeriggi innaturalmente neri, si avvicinava, allora, si correva nella stanza dei nonni, le imposte semichiuse a spiare l’inizio della pioggia. La fiamma delle candele proiettava ombre su ogni parete e gli armadi parevano mostri pronti ad aprire le mascelle, i letti altissimi e, sotto, nascondigli per bobbotti. E quelle facce tremolanti che ci guardavano …..tutte tutte le pareti erano zeppe di grossi quadri malevoli. Santa Tecla, un piatto sulla mano sinistra contenente i suoi seni tagliati, il cuore di Gesù fuori dal petto stillante spine e goccioloni di sangue e Santa Barbara, colpita da fulmini e saette, alzava gli occhi al cielo. E si correva a mettere uno stagnale sotto un filo incessante che colava dall’autarchico tetto con le tegole che volavano al minimo soffio di vento, e una casseruola là in fondo e un tegame di qua, ed allora, al culmine, si levava dagli angoli l’invocazione “Sant’Avara de sos campos, libera nos ” in una litania ripetuta infinite volte e condita con le promesse di giaculatorie, novene e tredicine ad ogni santo conosciuto, mentre anche le candele raggiungevano il loro ultimo respiro.
E noi piccoli, pallidi, sbirciavamo all’ esterno, da un pertugio, tutto quel clamore e quell’acqua ruscellante e, volgendoci, vedevamo tutti quei vecchi, perché agli occhi dei bambini, tutti gli altri, vecchi sono, imploranti S.Avara ,mentre i tavolati cigolavano di suoni aggriccianti . E quando la furia si esauriva ,vedevi il colore tornare sulle guance di ciascuno e subito dopo ci si premiava con le frittelle scaldate sulla graticola e con un pane carasau inumidito, zuccherato e arrotolato. Di quegli anni, sotto l’onda dei ricordi, dietro le palpebre chiuse, risento ancora quei tuoni e quegli scrosci, sigillati nella memoria, paurosi e splendidi e irrimediabilmente perduti ed obsoleti .
Chi, infatti, ha più quei temporali, S. Barbara, ma soprattutto i calli e i tavolati scricchiolanti di una volta?
Una signora col rossetto Egle Farris
Siete tutti troppo buoni e gentili . D’altronde vi avevo avvertito ,sono solo ricordi ,o nostalge ?,ma se serve per passare un momento di rammenti ,ben vengano le mie piccole storie . Grazie per darmi una marcia in questo percorso che voi conoscete benissimo e ….alla prossima storia ,tutti miei cari.
Sempre una signora col rossetto Egle Farris
Suggestivo racconto della Signora col rossetto, specialmente in questo momento che lo sto leggendo nel mio pc, sdraiato comodamente sul divano, mentre da fuori giungono i tuoni della tempesta, i fischi del maestrale, e batte la pioggia contro i vetri.
Leggere “Una volta, l’inverno” in questo istante non ha prezzo.
La “nostra” cara signora col rossetto, in questo ultimo evocativo racconto, conferma la sua grande vena narrativa , dove orchestra sentimenti e ricordi persi nel tempo che affiorano dalle commessure della memoria, come pulviscolo dorato imprigionato nel raggio di luce che filtra dalle finestre con gli scuri socchiusi.
Lasciandosi soli con i nostri ricordi e la nostra coscienza.
Grazie Egle.
Geminiano
Gli scritti di Egle hanno il coinvolgente e magico potere di restituire vita a ricordi obsoleti, magari anche ordinari, che tutti abbiamo vissuto e che non vogliamo più né sentire né rivitalizzare. Egle, invece, no. Sceglie i ricordi, seziona i particolari, dipinge un nuovo quadretto da proporre nella sua personale esposizione di scritti. I fastidi dei calli in autunno, i quadri dei santi nelle case, tutti uguali. . Grazie Egle
Ci piace leggerti.
Franco