Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: Kai Paulus

LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2 di Kai S. Paulus

(Pillola n. 70)

(seguito di “ LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“)

Una volta stabilito che la carenza di dopamina causa rallentamento motorio, rigidità, ma anche apatia e sofferenza emotiva, è intuitivo che l’aggiunta di dopamina ripristini, almeno parzialmente, movimento ed anima.

Ed è questo che si fa con i farmaci: si somministra dopamina e sostanze che rafforzano quei sistemi dopaminergici colpiti dal rapace infingardo.

Purtroppo, non c’è lieto fine, perché i farmaci non riparano il “secchio bucato”, lo riempiono solo momentaneamente. Per questo bisogno assumere le pastiglie diverse volte al giorno, e si spiegano anche le fluttuazioni giornalieri con frequenti blocchi motori e malessere emotivo, quando finisce la dose ed il secchio si svuota.

Inoltre, siccome si tratta di un rapace neurodenerativo e progressivo, negli anni il secchio si buca sempre di più, si devono usare dosi sempre più alti, con aumento di effetti collaterali e pochi benefici.

Quindi, non ci resta che alzare la bandiera bianca?

Assolutamente no! Non dobbiamo arrenderci, perché stanno arrivando “i nostri”!

E questi “nostri” li conosciamo molto bene: la riabilitazione (vedi “LA RIABILITAZIONE NEL TEMPIO DEL PARKINSON di Pinuccia Sanna“), la famiglia (vedi “IL PORTATORE SANO“), le attività (vedi “ ATTIVITA’ MOTORIA NEL PARKINSON; videoconferenza con la dott.ssa Lucia Cugusi “), e soprattutto il divertimento (vedi “ Il Divertimento come fonte di Dopamina“).

Ed ora si aggiunge un nuovo alleato, efficace e piacevole: ” LA BELLEZZA“!

Come abbiamo visto nella pillola n. 67 (vedi “ I BRIVIDI”), le percezioni sensoriali (visive, uditive, tattili) piacevoli stimolano, attivano e potenziano i circuiti “a dopamina” motori (nuclei basali) ed emotivi (sistema mesolimbico) che abbiamo visito nella prima parte (vedi “ LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“).

Non mi stanco a ripeterlo: le emozioni positive, da un lato aumentano la dopamina ed i circuiti dopaminergici con conseguente miglioramento delle performance fisiche e psichiche, dall’altro lato, ed è questo il punto cruciale, le emozioni positive attivano la neuroplasticità, ovvero le cellule staminali già presenti nel cervello, e riducono la neurodegenerazione!

Concludendo, il Parkinson è difficile e duro, ma se ogni tanto riesco a divertirmi, a rallegrarmi con bei momenti in famiglia, con la compagnia di persone amiche, con l’ascolto di buona musica, la lettura di un brano interessante ed edificante, e la visione di una bellezza naturale o monumentale, allora in quel momento sto aumentando la dopamina nella mia testa, sto riempendo il secchio, e, microscopicamente e lentamente ma straordinariamente, lo sto riparando.

Ed è tutto gratuito e senza effetti collaterali. Meditate gente, meditate!

Dimenticavo: si può imparare ad apprezzare la bellezza e quindi utilizzarla specificamente per il trattamento del Parkinson; ma di questo parliamo un’altra volta.

Osservate bene questo dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1558, che trovate su Wikipedia. Forse non vi dirà molto, ma conoscendo il titolo, l’opera acquista tutt’un altro significato. Titolo: “La caduta di Icaro”. (avete scoperto Icaro nel dipinto?)

Fonti bibliografiche:

Oliva A, Iosa M, Antonucci G, De Bartolo D. Are neuroaesthetic principles applied in art therapy protocols for neurorehabilitation? A systematic mini-review. Frontiers of Psychology, 2023; doi: 10.3389/psyg.2023.1158304.

Peloswki M, Spee BTM, Arato J, Doerflinger F, Ishizu T, Richard A. Can we really ‘read’ art to see the changing brain? A review and empirical assessment of clinical case reports and published artworks for systematic evidence of quality and style changes linked to damage or neurodegenerative disease. Phys Life Rev, 2022; 43: 32-95. doi: 10.1016/jplrev.2022.07.005.

LA BELLEZZA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 68)

(seguito di ” I BRIVIDI“)

 

Il bello piace.

Su quello, credo, siamo tutti d’accordo.

Ma che cos’è la bellezza e perché piace?

La bellezza è qualcosa che esercita una forte attrazione su di noi: un fiore, la vista di una bella persona, del mare, della montagna, del cielo, della Luna e delle stelle. La bellezza, di qualsiasi tipo si tratti, ci fa star bene.

Ma perché?

Il bello, la bellezza, provoca in noi un’esperienza sensoriale piacevole che viene elaborata nel cervello da determinati circuiti.

Questi circuiti, reti fittissime di neuroni, uniscono diversi elementi, quali i ricordi di esperienze vissute in passato, il desiderio di rivivere esperienze simili e la motivazione ad avvicinarsi alla bellezza. L’ape riconosce il fiore colorato, che rappresenta cibo, ed il ricordo della gratificazione spinge l’ape ad avvicinarsi. La bellezza esiste in natura per un motivo ben preciso: essa è essenziale per la sopravvivenza degli esseri viventi.

La regiana egiziana Nofretete 1370-1330 a.C. circa. Copyright 2024 rrb-online.de

Negli esseri umani si è arrivati ad una sublimazione della percezione del bello, che non serve più solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per la nostra ricreazione ed il nostro svago; e così la bellezza è piacere e gratificazione, rappresenta il germe della cultura, la base dell’educazione, e la spinta della nostra società ad andare avanti.

Possiamo parlare di una bellezza universale che da tutti viene percepita come gradevole, come, per esempio un prato fiorito in primavera, la schiuma bianca delle onde del mare che si infrangono sulla spiaggia tropicale, oppure il famoso busto della regina egiziana Nofretete.

Poi esiste la bellezza soggettiva, che ogni individuo percepisce in base alla cultura nella quale è cresciuto/a, il contesto socio-familiare, l’educazione e le proprie esperienze.

L’esperienza del bello ed il sentimento del piacere vengono racchiusi nell’estetica, che è sostanzialmente l’espressione della soddisfacente visione/udito/tatto di ciò che di bello e piacevole ci circonda. La scienza che studia l’estetica, e l’influenza che la percezione del bello e del piacere esercitano sul nostro comportamento, viene chiamata neuroestetica.

(segue con ” LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“)

 

La serie della neuroestetica comprende (per leggere l’articolo cliccare sul titolo celeste):

” I BRIVIDI

”  LA BELLEZZA

”  LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1

”  LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2

 

Fonti bibliografiche:

Magsamen S, Golden TL, Towriss CA, Allen J. The impact thinking framework: a process for advancing research-to-practice initiatives in neuroaesthetics. Front Psych, 2023; doi: 10.3389/fpsyg.2023.1129334.

Zeki S. Clive Bell’s “Significant Form” and theneurobiology of aesthetics. Front Human Neurosci, 2013; doi: 10.3389/fnhum.2013.00730.

Skov M, Nadal M. The nature of beauty: behavior, cognition, and neurobiology. Ann NY Acad Sci, 2021; 1488(1): 44-55. doi:10.1111/nyas.14524.

I BRIVIDI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 67)

Rabbrividiamo per dispiaceri, malesseri, per febbre, per stupore e per rabbia, e qui entra in gioco il nostro sistema nervoso autonomo, quello simpatico e parasimpatico (vedi “ DISFUNZIONI AUTONOMICHE NEL PARKINSON”; e “ ATTACCO O FUGA”) per prepararci all’azione: attacco o fuga.

Tutti conosciamo però anche la piacevole sensazione di brividi e di pelle d’oca quando ci emozioniamo per qualcosa di bello, come un abbraccio, una carezza, ma anche durante l’ascolto di un brano di musica, la lettura di un racconto, o l’osservazione di un’opera d’arte, che ci coinvolgono particolarmente; rabbrividiamo per piaceri e divertimento, per gioia e felicità, insomma, per emozioni positive. Questi brividi, a differenza dei brividi da emergenze fisiche come la febbre o lo spavento, vengono chiamate brividi estetici.

Ovviamente dovremo fare tutte quelle attività molto più spesso, dovremo emozionarci molto più spesso, dovremo sentire i brividi estetici molto più spesso.

Ma che cosa sono i brividi e perché li sentiamo quando ci emozioniamo?

Recentissima pubblicazione dello studio: “La neurobiologia dei brividi estetici: come le sensazioni corporee formano le esperienze emotive”.

Possiamo dire, in modo semplice, che i brividi estetici rappresentano l’espressione fisica dell’emozione. Delle emozioni, dei loro meccanismi e del loro significato, abbiamo parlato già tante volte (vedi “ BIOCHIMICA DELLE EMOZIONI – cronaca della video conferenza di Prof. Pier Andrea Serra”, e “ PREVENIRE LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE?”), ma perché rabbrividiamo?

Le emozioni sono espressione di una forte impressione ad un evento straordinario che richiede una reazione, di avvicinamento in caso di un evento ritenuto positivo, piacevole e bello (invece di allontanamento da una situazione sgradevole e spaventosa).

Le emozioni positive vengono generate nel nostro cervello nel sistema della ricompensa e delle gratificazioni, un sistema di proiezioni nervose dopaminergiche che partono dall’area tegmentale ventrale, VTA, e si dirigono sia verso il nucleo accumbens e la corteccia prefrontale dove si creano le sensazioni piacevoli, sia verso la sostanza nera parte compatta, SNc, ed i nuclei della base, strutture cerebrali deputati alla selezione dei movimenti ed alla preparazione all’azione.

Il circuito cerebrale della ricompensa e della gratificazione. VTA=area tegmentale ventrale, SNc=sostanza nera parte compatta. (modificato da Valerio Manippa 2019)

L’attivazione di tutte quelle regioni cerebrali in risposta ad emozioni positive aumenta la motivazione e l’apprendimento: sperimentiamo cosa ci fa star bene e siamo portati a indirizzare anche in futuro la nostra condotta ed i nostri obiettivi verso quella meta.

Effettuato dal sistema nervoso autonomo e tecnicamente dovuti a contrattura dei muscoli periferici (causando tremori diffusi) e dei muscoli erettori del pelo (la pelle d’oca), i brividi estetici sono il risultato dell’aspettativa di un evento positivo e la conferma dell’avvenuta piacevolezza paragonata ad esperienze precedenti. I brividi sono quindi seguiti da una fase di soddisfazione sensoriale che predispone all’apprendimento, cioè la memorizzazione delle azioni che hanno portato alla gratificazione emotiva.

(E pensare che questi meccanismi determinano tutta la nostra esistenza: impariamo così a camminare, ad andare in bicicletta, a studiare per esami, riusciamo a svolgere il nostro lavoro, corteggiamo la persona amata, e pianifichiamo la nostra vita in base all’esperienza di emozioni positive vissute ed immagazzinate, le gratificazioni emotive ottenute con il raggiungimento dei nostri obiettivi.)

In tutte quelle fasi e meccanismi la dopamina gioca un ruolo fondamentale, ed i circuiti dopaminergici sono attivati e stimolati quando percepiamo qualcosa di bello e di straordinario.

Penso che ora mi comprendete, se vi dicessi che la bellezza può curare il Parkinson.

Ma di questo parliamo prossimamente.

(segue con ” LA BELLEZZA“)

 

Fonti bibliografiche:

Schoeller F, Jain A, Pizzagalli DA, Reggente N. The neurobiology of aesthetic chills: how bodily sensations shape emotional experiences. Cognitive, Affective, Behavioral Neuroscience, 2024; doi.org/10.3758/s13415-024-01168-x.

Jain A, Schoeller F, Horowitz A, Hu X, Yan G, Salomon R, Maes P. Aesthetic chills cause an emotional drift in valence and arousal. Front Neurosci, 2023; doi 10.3389/fnins.2022.1013117.

PAROLA, LINGUAGGIO E DISARTRIA NEL PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 66)

La lingua, il linguaggio, serve per la comunicazione ed è essenziale per la nostra vita sociale; essa è una funzione cognitiva che è costituita dalle strette connessioni nelle regioni cerebrali del lobo temporale dell’emisfero dominante, che è comunemente quello sinistro, raramente quello destro (anche nelle persone mancine nel 70-80% il centro del linguaggio si trova nell’emisfero sinistro).

Diverse reti cerebrali elaborano i segnali neuronali, e funzionalmente si possono distinguere dei processi di elaborazione sia per la comprensione e sia per la produzione della parola. Queste reti del linguaggio vengono influenzati da circuiti bilaterali, cioè di entrambi gli emisferi cerebrali, appartenenti a funzioni cognitive superiori, quali attenzione, memoria, e funzioni esecutive. Queste interconnessioni con tante regioni del cervello spiega il fatto che lesioni del cervello al di fuori del centro del linguaggio possono comunque compromettere le funzioni linguistiche.

La comprensione linguistica riguarda il riconoscere del significato delle parole e dei suoni, che viene elaborato nella corteccia temporale anteriore e posteriore (area di Wernicke), mentre la produzione della lingua, situata nella corteccia frontale inferiore (area di Broca), include la composizione ed imitazione di suoni, parole e frasi secondo le capacità linguistico-semantiche apprese. Il centro di comprensione (area di Wernicke) ed il centro di produzione (area di Broca) sono interconnesse tramite il fascicolo arcuato.

modificato da www.my-personaltrainer.it

Nel parlare vengono azionati meccanismi motorio-articolari che originano da circuiti cerebrali frontali. La pianificazione e coordinazione dei programmi motori degli organi esecutori di suoni (corde vocali) e parola (lingua e muscoli della cavità orale) vengono prodotte nella corteccia premotoria frontale dell’emisfero sinistro.

Le alterazioni del linguaggio, difficoltà nella comprensione (disfasia/afasia percettiva) o nella produzione di parole (disartria/afasia espressiva), possono essere dovuta a tante cause, quali ictus, tumori cerebrali, epilessia, sostanze psicoattive e sedative, e malattie neurodegenerative.

Nella malattia di Parkinson si osserva prevalentemente una disartria ipocinetica, caratterizzata da una parola strascicata e lenta, con timbro vocale monotono e piano, ipofonico, spesso causa di notevole disagio sociale.

La disartria ipocinetica risponde poco ai farmaci, e pertanto il trattamento è principalmente riabilitativo. Le linee guida indicano la logoterapia con vocalizzi e tecniche respiratorie, ed il canto è formidabile per migliorare l’espressione verbale. Recentemente vengono proposte anche metodiche con realtà virtuale, programmi computerizzati ed intelligenza artificiale, ma penso che sia molto più efficace e divertente cantare.

Quindi, carissime ugole, mi raccomando, tutti/e a squarciagola nel nostro coro “Volare si può” diretto dal nostro maestro Fabrizio Sanna.

 

Fonti bibliografiche:

Knowles T, Adams SG, Jog M. Effects of speech rate modifications on phonatory acoustic outcomes in Parkinson’s disease. Front Hum Neurosci, 2024; doi: 10.3389/fnhum.2024.1331816.

Perry SE, Troche M, Huber JE, Curtis J, Kiefer B, Sevitz J, Dennard Q, Borders J, Browy JR, Dakin A, Gonzales V, Chapman J, Wu T, Katz L, Britton D. Behavioral management of respiratory/phonatory dysfunction for dysarthria associated with neurodegenerative disease: a systematic review. Am J Speech Lang Pathol, 2024; 33(2): 1069-1097.

Stockert A, Saur D. Sprachstoerungen: Leitsymptom Aphasie. InFo Neurologie Psychiatrie, 2023; 25(6): 28-36.

Suppa A, Costantini G, Asci F, Di Leo P, Sami Al-Wardat M, Di Lazzaro G, Scalise S, Pisani A, Saggio G. Voice in Parkinson’s disease: a machine learning study. Front Neurol, 2022; 13: doi: 10.3389/fneur.2022.831428.

PER FAVORE, DORMITE BENE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 65)

 

Lo so che sto diventando un po’ noioso ritornando per l’ennesima volta sull’importanza del buon sonno.

Ormai sapete già tutto: vi ho raccontato del fondamentale significato del ritmo sonno-veglia (vedi “ IL RITMO CIRCADIANO“), delle straordinarie funzioni del riposo notturno (vedi “IL SONNO“) e dell’opportunità del sonno come terapia delle patologie neurodegenerative e soprattutto della malattia di Parkinson (vedi “MALATTIA DI PARKINSON E SONNO“).

Ebbene, tenetevi forte:

E’ tutto vero!

L’attuale corso di aggiornamento su “Disturbi del sonno nella malattia di Parkinson” promosso dall’editore scientifico tedesco SpringerMedizin.de

Sono appena usciti i risultati di diverse ricerche internazionali che confermano i benefici del buon riposo notturno per la prevenzione e per la cura della malattia di Parkinson e le altre patologie neurodegenerative.

Come avevamo raccontato precedentemente, i disturbi del sonno sono dovuti a tanti fattori, quali farmaci, malattie neurodegenerative, cardiologiche, metaboliche, neuropsichiatriche, genetiche, ecc.). Quindi, viene intuitivo pensare che, curando il sonno, si curano automaticamente anche le malattie che lo disturbano.

Le sei categorie dei disturbi del sonno secondo la recente revisione della Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno, redatto dall’Accademia Americana di Medicina del Sonno

Ora si è confermato che la cura del sonno modifica il decorso delle malattie, ovvero, intervenendo sul riposo notturno, migliorandolo, si migliorano globalmente i sintomi parkinsoniani, ma anche quelli delle malattie cardiologiche e metaboliche.

Ed allo stesso modo, curando l’insonnia si possono prevenire deficit di memoria e curare le demenze, come l’Alzheimer e la demenza a corpi di Lewy.

Le persone ammalate da Parkinson non dormono bene principalmente per due motivi: da un lato la qualità del sonno è alterata dai sintomi motori (rigidità, difficoltà nel muoversi) e non motori (ansia, dolori, sudorazione, ecc.), dall’altro lato, invece, la neurodegenerazione danneggia i circuiti cerebrali regolatori del ritmo circadiano.

La ricerca appena pubblicata sul nuovo approccio della terapia della malattia di Parkinson indirizzando le cure sul sonno e sul sistema circadiano

Questi risultati sono straordinari, perché con il semplice miglioramento del sonno si possono prevenire, ritardare e comunque migliorare delle patologie tra le più temibili in assoluto.

Finalmente si mette anche l’accento su come trattare efficacemente le alterazioni del ritmo sonno-veglia, l’insonnia ed i vari disturbi del sonno, e sono spariti definitivamente le benzodiazepine (vedi “ABUSO DI BENZODIAZEPINE“) dalle linee guida della sonnologia. Era veramente ora. Ed anzi, evitando farmaci che possono disturbare il riposo notturno si migliora notevolmente la qualità di vita.

Quindi, è estremamente importante aver cura del proprio sonno iniziando con le semplici regole dell’igiene del sonno (vedi “IGIENE DEL SONNO 2.0“).

Ed allora: Sogni d’oro! a tutte/i.

 

Fonti bibliografiche:

American Academy of Sleep Medicine. The AASM International Classification of Sleep Disorders – Third Edition, Text Revision (ICSD-3-TR). AASM, Illinois, USA, 2023.

Feigl B, Lewis SJG, Rawashdeh. Targeting sleep and the circadian system as a novel treatment strategy for Parkinson’s disease. Journal of Neurology, 2024; 271: 1483-1491.

Lange K, Gerdes JS, Voges B. Schlafstoerungen bei Parkinson-Krankheit. Somnologie, 2024; 28(1): 68-81.

ANCORA NIENTE NOVITA’ PER L’ALZHEIMER di Kai S. Paulus

(Pillola n. 64)

Le malattie neurodegenerative sono tecnicamente malattie di alcune, sorprendentemente poche, proteine, cioè di alcuni mattoni che costituiscono le cellule nervose, i neuroni. Nelle varie malattie possiamo osservare la prevalenza di una o due proteine, alterate o difettose, per cui non funzionano bene determinati circuiti, e così parliamo di malattia di Parkinson quando è difettosa l’alfa-sinucleina, si accumula nelle celle cerebrali e disturba il loro corretto funzionamento, mentre nella malattia di Alzheimer sono alterate altre due proteine, la beta-amiloide e la proteina tau. Ma di tutto questo parleremo in una prossima ‘Pillola’.

Ora vorrei informarvi sugli enormi sforzi della scienza nel campo delle patologie neurodegenerative alla ricerca di risposte e cure più efficaci.

E’ intuibile che alcune linee di ricerca sono indirizzate direttamente all’eliminazione di quelle proteine difettose, per liberare e proteggere la cellula e per farla funzionare correttamente, e per, infine, guarire la malattia. Ma sinora si sono riscontrate grossissime difficoltà, come mostra l’attuale ricerca di anticorpi contro la proteina tau:

Il microtubulo, struttura portante di ogni cellula nervosa. In alto, lo schema di una cellula nervosa con corpo cellulare contenente il nucleo e l’assone con all’interno il microtubulo; in basso, la struttura perfetta di un microtubulo.

La proteina tau è una importantissima proteina strutturale nella cellula nervosa, dove è di vitale importanza per la composizione dei cosiddetti microtubuli, strutture assonali che servono sia come struttura portante dell’assone, sia come mezzo di trasporto del neurone, attraverso il quale la cellula può trasferire velocemente nutrimento e mattoni dal corpo cellulare fino alla periferia cellulare, la terminazione assonica e la sinapsi, struttura terminale dell’assone con cui le cellule nervose si trasmettono le informazioni.

Ora, quando la proteina tau è alterata, non può mantenere i microtubuli nella giusta configurazione, e quindi il neurone muore, il circuito non funziona più, e quindi, nel caso dell’Alzheimer, si perde la memoria.

L’idea di per sé è semplice: togliere l’elemento che disturba, in questo caso gli aggregati della proteina tau alterata.

La scienza è attualmente impegnata a trovare degli anticorpi in grado di neutralizzare queste proteine alterate che per la cellula sono altamente tossiche.

Per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, si stanno studiando diversi approcci per modificare il decorso della malattia, soprattutto cercando di sviluppare degli anticorpi in grado di combattere ed eliminare molecole e proteine dannose per la cellula. La malattia di Alzheimer è notoriamente caratterizzata dalle placche di beta-amiloide che distruggono i circuiti cerebrali, e pertanto si è cercato di creare degli anticorpi monoclonali diretti contro di esse (Aducanumab, Lecanemab, Donanemab, ecc.) che però sinora non si sono rilevati efficaci oppure correlati a importanti effetti collaterali. Allora la ricerca si sta indirizando verso l’altra proteina responsabile della demenza, la proteina tau alterata. Ma come riferisce lo studioso statunitense Adam Fleisher, insieme ai suoi colleghi, nel lavoro appena pubblicato, la somministrazione del nuovo anticorpo Zagotenemab non ha portato ad alcun miglioramento. Questo è verosimilmente dovuto al fatto che l’anticorpo ha difficoltà ad entrare nella cellula, e per questo motivo, non riuscendo ad eliminare la proteina tau alterata, questa strategia terapeutica non riesce a modificare la progressione della malattia di Alzheimer, almeno non ancora.

Continueremo a seguire da vicino questi affascinanti studi perché essi sono fondamentali per tutte le malattie neurodegenerative, e quindi anche per il nostro rapace infingardo.

L’argomento è affascinante quanto difficile. Però dovremo abituarci ai meccanismi cerebrali danneggiati da proteine ‘impazzite’ ed a nomi di anticorpi monoclonali impronunciabili, perché questi scenari saranno il prossimo futuro dei trattamenti delle malattie neurodegenerative.

 

Fonte bibliografica:

Fleisher AS, Munsie LM, Perahia DGS, Andersen SW, Higgins IA, Hauck PM, Lo AC, Sims JR, Brys M, Mintun M, Periscope-ALZ Site Investigators. Assessment of efficacy and safety of Zagotenemab; results from Periscope-ALZ, a phase-2 study in early symptomatic Alzheimer Disease. Neurology, 2024; 102 (5): doi.org/10.1212/WNL.0000000000208061.

USO DEI FARMACI NELLE PERSONE ANZIANE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 64)

Ho appena seguito un illuminante corso sullo “Uso di farmaci nell’anziano” promosso dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri (FNOMCEO), che mi è apparso molto interessante per la gestione della persona anziana con polipatologia.

In questo corso è stato presentato il rapporto dell’Osservatorio Impiego Medicinali della Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), relativo al 2022, anno in cui la popolazione italiana oltre i 65 anni contava 13,9 milioni di persone con netta prevalenza femminile. Questa ampia popolazione assumeva in media 7,6 farmaci diversi, in prevalenza per malattie dell’apparato cardiocircolatorio (80%), seguito da medicinali dell’apparato gastrointestinale e del metabolismo (64%) che includevano soprattutto gastroprotettori ed ipoglicemici.

L’utilizzo dei farmaci nella persona anziana comporta diversi problemi che sono stati individuati in queste sei situazioni seguenti:

  1. Politerapia: la presenza di diverse patologie necessita l’assunzione di farmaci diversi
  2. Aderenza al trattamento: specie nelle malattie croniche l’aderenza, cioè lo scrupoloso seguire delle indicazioni mediche, nel tempo è fondamentale per ottenere l’efficacia voluta
  3. Cascata prescrittiva: a causa di effetti collaterali di un farmaco se ne prescrive un altro, e così via, non curando pertanto la malattia ma gli effetti collaterali causati da altri farmaci
  4. Sottotrattamento o sovratrattamento: l’uso appropriato dei farmaci non mira solo a ridurre l’uso di farmaci inappropriati, ma anche a far sì che i farmaci necessari vengano prescritti e vengano dati a dosaggi adeguati
  5. Interazione farmacologica: l’uso di più farmaci deve tener conto delle possibili interazioni che possono aumentare o ridurre l’efficacia dei vari farmaci ed aumentare il rischio di effetti avversi
  6. Farmaci da evitare: nella persona anziana è consigliabile evitare certi farmaci se non in condizioni particolari, e questo vale per molti farmaci che invece vengono spesso prescritti in questa fascia d’età, quali gastroprotettori e benzodiazepine (vedi anche ” ABUSO DI BENZODIAZEPINE“).

La persona anziana è molto complessa e fragile e necessita di molte attenzioni, anche perché oltre alla fisiologica fragilità data dall’età, la persona anziana si ammala spesso di diverse malattie, per cui il rischio di assumere tanti farmaci, e con esso l’elevato rischio di effetti collaterali, con conseguente riduzione della qualità di vita, è molto alto. Bisogna tener conto di tanti fattori e l’approccio deve essere multidisciplinare (cardiologo, neurologo, gastroenterologo, terapisti, ecc.) per gestire al meglio le condizioni di salute della persona anziana.

Per la gestione di questa complessità, nel prossimo futuro potremo avvalerci dei vantaggi dell’Intelligenza Artificiale, ma di questo parleremo sicuramente prossimamente.

 

Fonti bibliografiche:

Corsi di Formazione a distanza in Farmacovigilanza. L’uso dei farmaci nell’anziano. Dossier n. 1-2024. Editore Zadig, Milano, 2024.

Ma B, Wong FKY, Wong AKC, Meng J, Zhao Y, Wang Y, Lu Q. Artificial intelligence in elderly healthcare: a scoping review. Ageing Research Review, 2023; 83: doi: 10.1016/j.arr.2022.101808.

ABUSO DI BENZODIAZEPINE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 63)

 

Nella nostra comunità del Parkinson siamo purtroppo abituati a farmaci che vanno assunti anche più volte al giorno, che a volte aiutano ma spesso non si vedono chiari miglioramenti, e di cui vanno tollerati tanti effetti collaterali.

 

Ma esistono farmaci che funzionano per davvero, e tra essi ci sono le Benzodiazepine. Le benzodiazepine sono dei calmanti, dei sedativi, che conosciamo un po’ tutti: Alprazolam, Bromazepam, Delorazepam, Depas, Diazepam, EN, Etizolam, Halcion, Lexotan, Lorazepam, Minias, Pasaden, Tavor, Valium, Xanax, ecc.)

 

Queste sostanze sono efficacissime e funzionano velocemente: quando si è nervosi o agitati una piccola dose di benzodiazepine risolve velocemente il malessere, ed un po’ di gocce la notte ci fanno dormire beatamente.

Farmaci quasi miracolosi: efficaci ed utili se assunti con criterio e molta cautela.

 

Ma, ATTENZIONE!

 

Proprio a causa della ottima risposta, dietro l’angolo si nasconde un grosso rischio: visto che il farmaco risolve immediatamente un problema, si è portati ad usarlo anche un’altra volta, ed un’altra volta ancora, intanto ci si convince che “poche gocce non fanno male”. Poi, ci si abitua e si assumono le benzodiazepine praticamente tutti i giorni, così spesso, che, quando non vengono assunte, causano malessere e quindi si è portati ad assumerli regolarmente. Ci si autoconvince sempre di più che “piccole dosi non possono far male”.

 

Ed è proprio qui che si fa un grande errore: si continua ad usarle e si diventa dipendenti da esse.

 

Parlando di abuso di benzodiazepine, non ci si riferisce a gravi casi di assunzione di alte dosi e di intossicazione, ma si intende la molto frequente abitudine dell’assunzione quotidiana di piccole dosi che appunto si assumono tranquillamente nella convinzione che non possano far male. Purtroppo, il contrario è il caso, e l’assunzione quotidiana anche di piccole dosi (“poche gocce”) possono causare dipendenza e sintomi di astinenza (agitazione, sudorazione, malessere generale) quando si decide di sospenderli.

Uno dei problemi principali delle benzodiazepine è la loro lunga emivita, cioè, pur assunte solo una volta al giorno, rimangono in circolo spesso oltre le 24 ore, e quindi alla prossima assunzione, seppur distante, possono accumularsi ed aumentare sedazione ed effetti collaterali.

 

Le benzodiazepine diminuiscono la vigilanza e la capacità di reazione, per cui non devono essere assunte da persone che guidano la macchina e che lavorano.

Per quanto riguarda la persona con difficoltà di equilibrio, le benzodiazepine sono controindicate perché aumentano il rischio di cadute.

Inoltre, le benzodiazepine possono causare tremore, o, se già presente, possono accentuarlo.

Infine, queste sostanze, spesso assunte di notte per vincere l’insonnia, invece alterano la struttura del sonno e non portano ad un riposo ristoratore.

 

Quindi, nella malattia di Parkinson sono proprio da evitare perché possono aumentare il rischio di cadute, tremore ed altri disordini del movimento.

 

Fonti bibliografiche:

Haider MR, Jayawardhana J. Opioid and benzodiazepine misuse in the United States: the  impact of socio-demographic characteristics. Am J Addict, 2024; 33(1): 71-82.

Holzbach R. Das Dilemma der Niedrigdosisabhaengigkeit. Neurotransmitter, 2022; 33(5): 24-27.

Kozak Z, Urquart GJ, Rouhani S, Allen ST, Park JN, Sherman SG. Factors associated with daily use of benzodiazepines/tranquilizers and opioids among people who use drugs. Am J Addict, 2024; 33(1): 83-91.

Simone CG, Bobrin BD. Anxiolytics and sedative-hypnotics toxicity. StatPearls Publishing, 2024. PMID:32965980.

Soyka M. Benzodiazepinabhaengigkeit. CME, 2022; 19(4): 19-26.

IL TRIANGOLO SI’ di Kai S. Paulus

(Pillola n. 62)

 

Immaginatevi una semplice visita medica:

si entra nell’ambulatorio speranzosi di essere aiutati.

Ovviamente, per essere compresi dal medico, bisogna riferire dettagliatamente il problema e raccontare ciò che ci affligge. Questo momento è cruciale e fondamentale, perché da quello che raccontiamo dipende tantissimo, perché il medico viene informato dalle problematiche, e su quel racconto baserà buona parte della diagnosi e delle cure. Quindi, più preciso ed esaustivo è il racconto (i medici lo chiamano “anamnesi”) meglio si potrà procedere con eventuali indagini.

 

Ma, raccontiamo sempre tutto?

Ovviamente no. Pudore, timidezza, disagio e novità delle circostanze ci impediscono spesso a “svuotare il sacco”. Allora viene in soccorso la persona che ci accompagna, che a volte però ci mette in imbarazzo davanti a medici ed infermieri; e poi, non è mica detto che il nostro familiare/caregiver dica per forza tutta la verità.

L’anamnesi ed il colloquio, da cui dipende buona parte del successivo procedere, e da cui dipende soprattutto la nostra salute (!), ha pertanto tante variabili e tre protagonisti: noi, il nostro familiare/caregiver, ed il medico.

Di questa situazione parla il gruppo di geriatri ed infermieri dell’Università del Colorado capitanato dalla dottoressa Hillary Lum nel loro studio, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “PEC Innovation” che si occupa di educazione e comunicazione in campo sanitario.

Titolo della ricerca: “Omissioni nella comunicazione con i medici: prospettive di pazienti e caregiver nella malattia di Parkinson”

Si parla soprattutto delle possibili conseguenze a causa di omissioni nel riferire un disagio. Il non riferire tutti i fatti importanti, dipende soprattutto dalla novità della situazione e spesso non si ritiene importante un dettaglio che invece per il medico potrebbe essere utile.

Per esempio, chi è affetto/a da malattia di Parkinson si rivolge al medico per il tremore, per l’equilibrio, per dolori, e per le difficoltà nei movimenti. Difficile pensare, quindi, che al medico possa interessare come si dorme o se si va di corpo regolarmente, e pertanto, non si fa cenno del nostro rapporto con Morfeo, o come funziona la nostra digestione.

Ovviamente, l’attento/a lettore/lettrice di questo nostro sito sa benissimo, che proprio il sonno e l’intestino rappresentano due pilastri importantissimi della cura del Parkinson, ed anche della sua prevenzione; ma chi si reca per la prima volta ad un ambulatorio sanitario per un sospetto Parkinson, ha in testa ben altre preoccupazioni.

Dallo studio dell’Università del Colorado emergono anche difficoltà nel riferire problemi della sfera cognitiva e di quella urogenitale, ritenuti intimi e non riferiti spesso per pudore.

Il problema è che il non raccontare fatti perché ritenuti secondari, potrebbero invece essere di vitale importanza, e che ci priva poi dell’opportunità di cure mirate ed efficaci.

Per questo motivo, concludono i ricercatori statunitensi, è importante coinvolgere familiari ed accompagnatori che conoscono bene le condizioni della persona ammalata, non per spifferare segreti, ma per integrare e completare il racconto, al fine di informare gli operatori sanitari su tutti gli aspetti della vita quotidiana a 360 gradi per dare loro la possibilità di intervenire nel modo più mirato ed opportuno possibile.

 

Fonte bibliografica:

Ayele R, Macchi ZA, Jordan S, Jones J, Kluger B, Maley P, Hall K, Sumrall m, Lum HD. Holding back in communications with clinicians: patient and care partner perspectives in Parkinson’s disease. PEC Innovation, 2024; 100255: doi.org/10.1016/j.pecinn.2024.100255

POCHE ATTENZIONI ALLE PERSONE PARKINSONIANE “DI VECCHIA DATA” di Kai S. Paulus

(Pillola n.61)

E’ vero, e vorrei rispondere ad un caro amico, attualmente le principali attenzioni della ricerca neurologica sono dirette verso una migliore e precoce diagnosi del Parkinson ‘de novo’, di nuova diagnosi, ed alla sua prevenzione, mentre nelle persone affette da malattia di Parkinson da molto tempo, potrebbe sorgere il sospetto di non venire sufficientemente considerate o addirittura trascurate dal mondo scientifico.

Io stesso mi sono concentrato nelle ultime Pillole sulla tematica della diagnosi precoce e della prevenzione del Parkinson; l’ho fatto principalmente per due motivi.

Primo:

l’attuale frontiera della scienza internazionale è proprio la ricerca della comprensione dell’origine del Parkinson, i suoi fattori di rischio (vedi anche “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 2: FATTORI DI RISCHIO“) e la sua prevenzione (vedi anche “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 1: INTRODUZIONE“). Ne parlo nelle Pillole perché ci tengo che il nostro gruppo sia aggiornato su ogni possibile linea di ricerca che riguarda il Parkinson; e, poter presentare lavori scientifici addirittura non ancora pubblicati, penso sia testimonianza della straordinaria attualità e della primaria importanza dell’argomento; per non parlare della fortuna del nostro gruppo di aver accesso a novità in anticipo rispetto alla comunità medica in generale.

Secondo:

le novità sul Parkinson iniziale si riflettono ovviamente anche su quello di “vecchia data”, così come in tutti questi anni le attenzioni sul Parkinson di vecchia data (ottimazione della terapia, sonno, intestino, umore, attività quotidiane, ecc.) e le scoperte sulle cause (genetiche ed ambientali) hanno aperte le porte ad una maggiore comprensione dell’inizio della malattia. A mio avviso, i vari filoni della ricerca si completano e si integrano, ed oggi, inizio 2024, sappiamo molto di più del rapace infingardo rispetto ad appena un anno fa. Sembra incredibile, ma è così. Ed a gennaio 2025 lo scenario sarà ulteriormente rivoluzionato, e questo a beneficio anche dei “parkinsoniani di vecchia data“.

 

Le persone affette da Parkinson perdono spesso la fiducia, perché generalmente, dopo aver metabolizzato il “verdetto”, la brutta diagnosi, arrivano i fuochi d’artificio di interventi farmacologici e riabilitativi che fanno star meglio e conferiscono molta speranza: i farmaci funzionano bene, gli effetti collaterali sono irrisori, e la vita continua. I medici chiamano questo periodo “luna di miele” (vi invito a rileggere “ LUNA DI MIELE“ incluso il commento di Antonello).

Ma, come sempre nella vita, le cose belle hanno una fine, e così, la terapia farmacologica inizia a creare problemi, i sintomi e disagi aumentano, il tono dell’umore è messo a dura prova, ed il medico, inizialmente osannato, non vale più e serve al massimo come scribano di certificazioni e rinnovi di piani terapeutici.

Ha ragione il nostro amico, in caso di sospetta farmacoresistenza, il malessere generale sembra invincibile e la ricerca a rimedi efficaci diventa sempre più difficile.

In realtà, per le persone parkinsoniane “di vecchia data” si fa tantissimo: un ambulatorio della sanità pubblica dedicato, un ampio panorama di decine di farmaci (quando ho iniziato a studiare la malattia di Parkinson ne esistevano appena due o tre), le pompe di iniezione continua di apomorfina e di dopamina, la stimolazione cerebrale profonda, la riabilitazione, l’assistenza, lo straordinario lavoro delle nostre Associazioni Parkinson di Sassari e Alghero, e le importanti linee guida, comparse solo negli ultimi due-tre anni, per il contenimento del rapace infingardo riguardanti lo stile di vita, il sonno, l’alimentazione e la digestione, che possono fare la differenza.

Certo, la delusione rimane e la guarigione non è dietro l’angolo. Però, stiamo parlando di una malattia neurodegenerativa, di cui anche dopo oltre 200 anni non si conoscono ancora bene tutti i meccanismi, ma gli strumenti oggi a nostra disposizione per gestire questa malattia sono davvero tantissime e che non hanno eguali in Neurologia. Pensate, l’epilessia, malattia arci-nota e arci-studiata, non possiede un solo farmaco di cui si sappia esattamente cosa fa.

Avete ragione, tutto quello che si sta facendo e che si sa attualmente non è sufficiente perché la sofferenza fisica e psicologica è comunque troppa.

Ma, e per questo scrivo le Pillole, si sta lavorando tanto, sia per scoprire le cause, per la prevenzione, ed anche per una accettabile gestione globale del Parkinson di vecchia data.

Si sta facendo davvero tanto ed insieme andiamo avanti e non molliamo. Nel frattempo, date retta ad Antonello che traduce la nota equazione divertimento=dopamina=meno Parkinson in questo modo: serve “una buona dose di fiducia in noi stessi e la voglia matta di godersi la vita”.