Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: Kai Paulus

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER di Kai S. Paulus

 

 

(Seguito di “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“)

 

Nei precedenti capitoli abbiamo imparato quali possono essere i fattori di rischio della malattia di Parkinson e quali possono essere le sue avvisaglie, i prodromi.

Ma esiste un modo per individuare questi segni preclinici, ci sono dei parametri misurabili e obiettivabili, o addirittura ‘predire’, la malattia di Parkinson?

Da tanti anni si stanno cercando degli indizi che potrebbero indicare un possibile futuro Parkinson; questi indizi sono i cosiddetti biomarker, cioè indicatori obiettivi sul cambiamento nell’organismo verso la malattia.

Negli ultimi anni se ne sono individuati davvero molti, il che fa ben sperare. Vediamo brevemente quali sono:

IL DISTURBO COMPORTAMENTALE DEL SONNO REM: come già accennato nel precedente capitolo, questo disturbo è molto predisponente alla malattia di Parkinson e si può diagnosticare e monitorare tramite la polisonnografia che documenta il comportamento di un individuo durante il sonno

ANOSMIA: una alterazione dell’olfatto si può valutare tramite dei test olfattivi ed in caso di riduzione, l’olfatto può rappresentare un indizio obiettivo, un biomarker, per un possibile Parkinson

ALVO: anche l’attività intestinale e soprattutto la composizione della mucosa intestinale può essere misurata; la riduzione di alcuni germi e l’aumento di agenti patogeni nella mucosa possono essere indicativi di Parkinson

GENETICA: oramai si conoscono tante mutazioni genetiche correlate al Parkinson e quindi specifici test genetici possono individuare tali mutazioni e aumentare le probabilità di Parkinson

CUTE: il sistema nervoso è ubiquitario ed innerva tutto il nostro corpo garantendo il funzionamento di tutti gli organi ed apparati, anche la pelle. Si è visto che nella pelle si trovano depositi di aggregati di alfa-sinucleina alterata in tutti gli stadi di malattia e quindi anche nella fase preclinica; questo dato può essere molto importanti ai fini della diagnosi precoce quanto per la diagnosi differenziale con altre patologie. Si effettua con una semplice (si fa per dire) biopsia cutanea.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE: da molti anni si usano le metodiche di neuroimaging, cioè le scintigrafie SPECT DAT scan, la PET cerebrale, e la SPECT del miocardio, per la diagnosi della malattia di Parkinson e la diagnosi differenziale con altri Parkinsonismi. Ora ci si spinge all’utilizzo di questi esami al primo sospetto di Parkinson, in una fase quando la malattia non è ancora clinicamente manifesta. Metodica molto costosa ma con una specificità del 80%.

MOTILITA’ OCULARE: i sei muscoli deputati al movimento di ogni globo oculare sono riccamente innervati e molto sensibili ad alterazioni dentro il cervello. Quindi lo studio manuale, ma soprattutto strumentale, della motilità oculare, può individuare delle alterazioni (saccadi ipometriche, dismetrie, ecc.) già nelle fasi precoci di malattia.

LIQUOR, PLASMA, SALIVA, URINE: i liquidi corporei contengono i metaboliti di neurotrasmettitori (dopamina) e delle proteine alterate che si possono facilmente dosare e rappresentano, in caso di eccessiva quantità, la presenza di malattia, e sono facilmente accessibili, tranne il liquor (il liquido che circonda cervello e midollo spinale) che necessita di una puntura lombare. Pur costituendo una infallibile conferma della diagnosi, ancora non esistono univoche evidenze per la loro applicazione nelle fasi precoci.

Sinora abbiamo visto tanta roba, ma, per il nostro intento di prevenzione, dobbiamo metter insieme i singoli tasselli e trovare una sintesi, delle strategie facilmente applicabili per fare diagnosi precoce per poter, infine, prevenire la malattia di Parkinson.

Lo facciamo nel prossimo “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 5: CONCLUSIONI“.

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 5: CONCLUSIONI di Kai S. Paulus

 

 

 

(seguito di “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER“)

 

Nei capitoli precedenti abbiamo conosciuto le ultime novità per quanto riguardano i fattori di rischio della malattia di Parkinson, le sue avvisaglie precliniche, i cosiddetti prodromi, e gli strumenti, i biomarker, con cui possiamo misurare questi parametri.

Indubbiamente, il fatto di conoscere molti fattori di rischio ci aiuta ad evitarli, almeno quelli modificabili. L’età ed il sesso sono difficilmente modificabili, ma lo stile di vita dipende prevalentemente da noi, ed i fattori ambientali, se non sempre modificabili dai singoli, devono essere risolti, visto che riguardano la salute di tutti, dalla politica.

Nel frattempo, possiamo fare diverse cose per non esporci troppo al rischio di ammalarci, in caso di non avere il Parkinson, e per non peggiorare e possibilmente per migliorare per chi è affetto di Parkinson.

STILE DI VITA: dobbiamo mantenere uno stile di vita attivo, sia fisicamente (passeggiate, fare commissioni a piedi quando possibile, palestre, ballo, sport, ecc.), sia mentalmente (letture, gioco, aggiornamenti di qualsiasi tematica, ecc.). Questo vale ovviamente per la prevenzione (non solo del Parkinson), ma la persona affetta da Parkinson trarre notevoli benefici da una condotta di vita attiva; dormire bene ed alimentarsi correttamente (ne abbiamo parlato tante volte per cui non mi dilungo ” MALATTIA DI PARKINSON E SONNO“, “ IL PARKINSON SI COMBATTE A TAVOLA“).

SALUTE: è importante curare la propria salute, rimanere in forma, prevenire anche malattie meno gravi, e, in caso di altre malattie, ottimizzare le terapie. Come abbiamo visto, il diabete mellito tipo 2 può favorire il Parkinson, mentre la sua corretta cura può aiutare a prevenirlo o, in caso di sua presenza, diminuirlo. Anche gli odontoiatri stanno già lavorando in questo senso, cercando di individuare alterazioni di dentatura e conformazione della cavità orale. Vorrei citare dott. Corrado Casu che gentilmente ha commentato: “La strada della prevenzione ritengo sia una realtà per quanto riguarda i disturbi respiratori ostruttivi del sonno, tutto inizia nella prima infanzia ed i trattamenti ortodontici precoci possono cambiare la storia di questi pazienti; già da bambini dobbiamo deglutire e respirare correttamente per poter consentire un corretto sviluppo della via aerea e prevenire gravi patologie.”

FAMIGLIA – SOCIETA’: l’essere umano è socievole, ha necessità della comunità per aiutare ed essere aiutato, per affermarsi e confrontarsi, per avere un ruolo, responsabilità, doveri e diritti; e la base della società è la famiglia, idealmente la comfort zone di ogni individuo. Star bene in famiglia ed aver amici con cui passare qualche ora spensierata è importante per tutti.

OBIETTIVI: per sopravvivere ogni essere umano deve avere obiettivi e traguardi da raggiungere, che possono essere rappresentati dall’ottenimento di un lavoro, un titolo, una promozione, l’amore, far quadrare i conti, arrivare a fine mese, ma anche l’attesa di un evento desiderato, come una passeggiata, un pranzo con la famiglia o amici, l’appuntamento settimanale del coro “Volare si può”, e tante altre cose, grandi o piccole che siano, ma comunque dobbiamo avere obiettivi, perché tengono “in moto” il nostro cervello, attivano la neuroplasticità e pertanto proteggono dalla neurodegenerazione, o, in caso che la malattia è presente, aiutano a rallentarla ed ad alleviare la disabilità.

DIVERTIMENTO: uno dei pilastri della nostra associazione è senz’altro il divertimento. L’essere umano affronta quotidianamente tante difficoltà e problematiche, per cui necessita di momenti di svago, di buon umore e di divertimento. Già nel 2015 avevo scritto una breve serie sull’importanza del divertimento specialmente nella malattia di Parkinson che invito a rileggere (“ Il Divertimento come fonte di Dopamina“). Il divertimento ci espone ad emozioni positive, che da un lato favoriscono l’aumento di dopamina (che nel Parkinson scarseggia), e dall’altro stimolano la neuroplasticità con i suoi processi di riparazione e rigenerazione. Più di così!

MOVIMENTO: “mantenersi in forma” è uno slogan vecchio ma sempre attuale. L’essere umano è un insieme di strumenti vitali, sistema nervoso, cardiocircolatorio, gastrointestinale, muscoloscheletro, che devono sempre rimanere in funzione, a qualsiasi età, se no si ‘arrugginiscono’. Abbiamo bisogno di muoverci, di passeggiare, di fare scale, di fare qualsiasi attività quotidiana, per rimanere in esercizio. Capita però, che siamo portati ad adagiarci e ogni scusa va bene a riposarci. Ammiro le persone che hanno partecipato al recente progetto universitario sportivo nonostante le tante problematiche del Parkinson, che insistono a voler proseguire con la fisioterapia perché vogliono migliorare (a proposito di avere obiettivi!), e pur allettati cercano attività da poter svolgere pure a letto.

Il motto è non mollare mai, bisogna sempre avere degli obiettivi e cercare di metterli in atto; non importa se ci si riesce, è salutare il tentativo e lo sforzo mentale e fisico impiegati. Quando, tanti anni fa ho visto le nostre amiche ed i nostri amici nella palestra della Scuola Media n. 3 in via Porcellana, sdraiati sui materassini per degli esercizi dettati dalla nostra storica terapista Pinuccia Sanna, mi è venuta l’intuizione: sopra di loro c’era il canestro da basket: se le persone con Parkinson potessero volare e far canestro sarebbero guarite. Va bene, probabilmente non voleranno, ma l’idea di volerlo fare, il sogno di poter volare e c’entrare l’obiettivo, le aiuterà ad alzarsi, a camminare, e quindi a migliorare.

VOLARE SI PUO’, SOGNARE SI DEVE

 

Fonti bibliografiche:

Buccellato FR, Galimberti D, Tartaglia GM. Beyond dentistry: could prevention and screening for neurodegenerative diseases start in the dental office? Neural Regeneration Research, 2024; 19(1): 156-157

Jackson H, Anzures-Cabrera J, Simuni T, Postuma RB, Marek K, Pagano G. Identifying prodromal symptoms at high specificity for Parkinson’s disease. Frontiers in Aging Neuroscience, 2023; doi 10.3389//fnagi.2023.1232387

Karabayir I, Gunturkun F, Butler L, Goldman SM, et al. External validated deep learning model to identify prodromal Parkinson’s disease from electrocardiogram, Scientific Reports, 2023; 13: doi 10.1038/s41598.023-38782-7

Malknecht P, Marini K, Werkmann M, Poewe W, Seppi K. Prodromal Parkinson’s disease: hype and hope for disease-modification trials? Translational Neurodegeneration, 2022; doi 10.1186/s40035-022-00286-1

IL DISTURBO DEL SONNO NELLA DONNA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 54)

 

Russare e apnee del sonno sono roba da maschi.

Davvero?

I disturbi del sonno sono numerose, a volte anche gravi, ma generalmente di facile gestione; il problema è che spesso non vengono diagnosticate, quindi peggiorano con enormi ripercussioni sulla salute e qualità di vita.

Dei tanti disturbi notturni, quelli che riguardano la respirazione sono tra i più frequenti.

E’ vero che i disturbi del sonno correlati alla respirazione sono prevalenti negli uomini con circa il 21%, ma anche il 13% (!) delle donne soffre di questi problemi notturni. Questa differenza è verosimilmente dovuta all’effetto protettivo degli ormoni femminili, gli estrogeni. Ma con la menopausa le donne (purtroppo) recuperano e sono particolarmente vulnerabili in caso di obesità e malformazioni del cavo orale. Inoltre, mentre per gli uomini vengono riportati i classici sintomi, quali russare, apnee notturne, e sonnolenza diurna, per le donne vengono riferiti maggiormente difficoltà nell’addormentarsi, frequenti risvegli notturni, ansia e depressione, e pertanto il vero disturbo del sonno frequentemente non viene riconosciuto e rimane sottostimato.

Le donne posseggono diversi fattori protettivi contro le apnee notturne ed il russare (che di seguito chiameremo con la sigla OSAS, obstructive sleep apnea syndrome, ovvero Sindrome delle apnee ostruttive del sonno), tra cui, oltre gli estrogeni, alcune caratteristiche anatomiche.

Le apnee ostruttive avvengono principalmente per il cedimento, o eccessivo rilassamento, del muscolo genioglosso (base della lingua) durante il sonno; negli uomini quella parte è più grande e quindi cede più facilmente, mentre nelle donne di meno; inoltre, gli estrogeni contribuiscono a mantenere il muscolo genioglosso in tensione prevenendo cedimenti.

Quando il muscolo genioglosso, situato alla base della lingua, cede parzialmente, si russa, quando occlude completamente le vie aeree, provoca le apnee.

La distribuzione del tessuto adiposo è un altro fattore che, negli uomini con maggiore adipe addominale, che spinge contro il diaframma ostacolando la respirazione, aumenta l’OSAS, mentre nelle donne, con maggior adipe nei fianchi, la respirazione è meno disturbata.

In particolare, un sottotipo della OSAS, la UARS, ovvero Sindrome dell’aumento delle resistenze respiratorie, molto frequente nelle donne già in età pre-menopausa, è caratterizzata da sonnolenza diurna senza tangibili disturbi del sonno, ma continui, inavvertiti, micro-risvegli durante tutta la notte; senza chiari sintomi, la UARS è difficilmente diagnosticabile, quindi sottostimata e non trattata, ma alla lunga molto invalidante: sonnolenza, facile faticabilità, ansia, depressione, disfunzioni sessuali, malattie cardiovascolari e neurodegenerative possono rappresentare le spiacevoli conseguenze.

Conclusioni:

Scopriamo un altro tassello della Medicina di genere, questa volta la qualità del riposo notturno, con disturbi del sonno creduti di dominanza maschile, ma che invece sono molto frequenti nelle donne, con importanti conseguenze su salute e qualità di vita, che, se diagnosticate, sono di facile gestione. Un capitolo nuovo della ricerca medica, di cui purtroppo ancora non c’è molta letteratura scientifica. Speriamo che cambi prestissimo.

 

Fonti bibliografiche:

 

Haufe A, Leeners B. Sleep d isturbances across a woman’s lifespan: what is the role of reproductive hormones? Journal of the Endocrine Society, 2023; 7: 1-14.

Orth M, Rasche K. Schlafbezogene Atmungsstoerungen und Gynaekologie; Teil 1: Grundlagen, Epidemiologie. Somnologie 2022; 26: 199-217

Orth M, Rasche K. Schlafbezogene Atmungsstoerungen und Gynaekologie; Teil 2: Therapie, Sonderformen von SBAS bei Frauen, Auswirkungen von SBAS auf die Sexualfunktion bei Frauen, Syndrom der polyzystischen Ovarien. Somnologie 2022; 26: 274-287

 

IL PARKINSON SI COMBATTE A TAVOLA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 53)

E’ risaputo, bisogna mangiare bene, in modo equilibrato e possibilmente genuino, per mantenere il nostro organismo in buona salute.

Ciò vale in modo particolare per la prevenzione e la cura delle patologie neurodegenerative e soprattutto per la malattia di Parkinson.

 

Da tempo si conosce l’importanza del rapporto intestino-cervello nella genesi del Parkinson, almeno come con-causa, e diversi disturbi cronici intestinali, quali costipazione e colon irritabile, possono precedere l’esordio della malattia neurologica di molti anni.

 

In questi anni l’attenzione dei ricercatori si sta spostando sull’alimentazione come possibile fattore di rischio in caso di cattive abitudini alimentari, ma soprattutto come opportunità di cura e di prevenzione seguendo dei regimi nutrizionali specifici.

 

La salute dell’intestino è di primaria importanza per la nostra salute e noi possiamo contribuirci notevolmente alimentandoci correttamente.

 

Fattori negativi che favoriscono processi infiammatori dell’intestino sono stati individuati nella carne rossa, nei latticini, nelle farine eccessivamente elaborate, e negli alimenti sofisticati e provenienti da allevamenti e coltivazioni intensive (contenenti pesticidi, conservanti, antibiotici, ormoni);

mentre frutta, legumi, cereali integrali e noci avrebbero un potenziale effetto protettivo sulla flora intestinale, oltre alle loro proprietà nutritive in generale.

 

I ricercatori cinesi e statunitensi citati nelle fonti bibliografiche, ci invidiano della nostra dieta mediterranea, equilibrata, varia, ricca di verdure, legumi e grano duro.

Utilizziamo allora ciò che abbiamo davanti alla porta per star bene, e quindi promuoviamo cibi ricchi di fibre: ortaggi, legumi, frutta, farine integrali.

Ma perché dobbiamo introdurre fibre?

 

  • Le fibre favoriscono la digestione
  • Le fibre vengono ‘digerite’ dalla popolazione batterica dell’intestino, il microbiota, da cui estrarre gli acidi grassi a catena corta, essenziali per la salute del microbiota, sofferente nel Parkinson
  • Gli acidi grassi a catena corta (acido butirrico, lattico, propionico, succinico, ecc.) sono necessari per i batteri buoni, simbionti, dell’intestino, e contrastano i germi cattivi, patogeni.
  • Gli acidi grassi a catena corta hanno proprietà antiinfiammatorie e rafforzano il sistema immunitario: pensate, nel Parkinson abbiamo importanti processi neuro-infiammatori cronici che peggiorano la malattia, ed in alcuni casi, la possono provocare!
  • Gli acidi grassi a catena corta garantiscono il 10% del fabbisogno energetico del nostro organismo, hanno proprietà anti-cancerogene, sono terapeutici in caso di colite ulcerosa e morbo di Crohn, contribuiscono a stabilizzare i livelli glicemici del diabete, e sono utili nelle patologie neuropsichiatriche.

 

Certo, anche la dieta migliore non funziona sempre, perché dobbiamo considerare, oltre alla genetica, anche altri fattori che influenzano la salute del nostro apparato digerente, come l’ansia, il malumore e l’insonnia; ma di questi abbiamo già parlato tante volte e sappiamo cosa fare.

 

All’attento lettore non sarà sfuggito che ho usato le parole “prevenzione” e “cura”: la scienza internazionale inizia a fare sul serio ma non ci rinfilano prodotti chimici pericolosi o farmaci genetici sperimentali, ma prodotti naturali e con evidenze scientifiche! Iniziamo pertanto con ciò che ci offre l’orto.

Buon Appetito!

P.S:: invito a leggere a questo proposito il nostro articolo riguardante le due tesi di laurea in Scienze Alimentari alle quali la nostra associazione ha partecipato attivamente: “AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA“, oppure il recente contributo ” SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO ”

 

Fonti bibliografiche:

Chen SJ, Chen CC, Liao HY, Lin YT, Wu YW, Liou JM et al. Association of fecal and plasma levels of short chain fatty acids with gut microbiota and clinical severity in patients with Parkinson’s disease. Neurology 2022; 98(8): e848-e858

Lee CY, Kim H, Kim HJ, Shin JH, Cang HJ, Woo KA, Jung KY, Kwon O, Jeon B. Diet quality and prodromal Parkinson’s disease probability in isolated REM sleep behavior disorder. Parkinsonism Relat Disord 2023; 144:105794. doi: 10.1016/j.parkreldis.2023.105794

Rees J, Ryan J, Laws M, Devine A. A comprehensive examination of the evidence for whole diet patterns in Parkinson’s disease: a scoping review. Nutr Neurosci 2023;10: 1-19. doi: 10.1080/1028415X.2023.2233727

IL FREEZING E’ BUONO di Kai S. Paulus

(Pillola n. 52)

Il Freezing della marcia, l’improvviso blocco motorio, è uno dei più disabilitanti e gravi problemi di persone affette da malattia di Parkinson, e causa disagi fisici (per l’impossibilità a muoversi), psichici (per l’ansia che c’è qualcosa che non va), e sociali (per la difficoltà di uscire di casa); per di più, il Freezing non migliora molto con la terapia dopaminergica.

Il Freezing è una delle tematiche più importanti delle visite ambulatoriali, dove si cercano soluzioni farmacologiche, ed oggetto della fisioterapia, dove vengono proposte strategie per evitare, prevenire e contrastare il Freezing: tutto questo, lo sappiamo molto bene, con scarsi risultati. Ma perché?

Tante volte ci siamo occupati in questo sito del Freezing e specialmente nelle serie “Congelati a tradimento” (CONGELATI A TRADIMENTO;  CONGELATI A TRADIMENTO: NON CI SIAMO (ANCORA)CONGELATI A TRADIMENTO: QUALCOSA SI MUOVE ) e “Freezing della marcia” (FREEZING DELLA MARCIA; FREEZING DELLA MARCIA 2FREEZING DELLA MARCIA 3 ), che invito a rileggere, dove abbiamo cercato di capire le cause del Freezing e le strategie per superarlo. Ma abbiamo compreso anche che la pratica è un’altra cosa e che la convivenza con il Freezing è purtroppo duratura e che esso rimane un ostacolo insuperabile.

Forse ci può aiutare Jacques Duysens, neuroscienziato e studioso a livello internazionale proprio del Freezing, e che ha scritto oltre cento articoli sulle riviste scientifiche più prestigiose.

Il dott. Duysens lavora nel Laboratorio del Controllo Motorio del Dipartimento di Scienze Motorie e nel Gruppo di Ricerca del Controllo del Movimento e Neuroplasticità dell’Università di Leuven in Belgio, e quindi è sicuramento una persona autorevole e qualificata per entrare in merito.

Però, il dott. Duysens ha una ulteriore qualifica che lo pone come massimo esperto del Freezing: da nove anni lui è ammalato di Parkinson e lotta con il Freezing!

Come racconta il ricercatore belga nel recente numero della rivista scientifica Movement Disorders,

il fatto di soffrire di Freezing è diventato per lui una opportunità: oltre alla possibilità di poter studiare il Parkinson ed il Freezing “dall’interno” sperimentandoli tutti i giorni (e notti) in prima persona, Jaques Duysens racconta che il Freezing in realtà lo protegge dalle cadute e quindi il disturbo diventa terapia.

Ora siamo tutti spiazzati, me compreso: ma come è possibile? Come può quest’uomo affermare una cosa simile?

Il dott. Duysens scrive che ha osservato che durante il Freezing si fa un errore perché si cerca di portare in avanti la gamba sulla quale però abbiamo caricato il peso. Cioè, per fare un passo, dobbiamo prima spostare il peso su un lato del corpo per poi poter sollevare la gamba sgravata e libera. Nel Parkinson è disturbata la percezione della distribuzione del peso corporeo, per cui si cerca di muovere una gamba qualsiasi, e, nell’insistere in questa impresa impossibile, si rischia la caduta.

Duysens paragona il Freezing alla frenata della macchina: la frenata ci protegge dallo schianto, ma si tende a dare la colpa alla non sufficiente frenata in caso di incidente e non alla eccessiva velocità. Ovvero, il Freezing protegge dallo schianto, dalla caduta, diciamo che è una frenata un po’ eccessiva, ma ci si ferma. E quindi lo scienziato si chiede se la strategia, di voler evitare a tutti i costi il Freezing, sia quella giusta, e propone la rivisitazione degli esercizi riabilitativi.

Ancora, il Freezing è accompagnato da ansia che non fa altro che peggiorare la situazione in quanto l’ansia contribuisce a fermare il movimento.

La spiegazione è, dice Duysens, che nel cervello abbiamo fondamentalmente due circuiti deputati al controllo del movimento, uno, il circuito corticale fronto-parietale associativo, filogeneticamente più giovane, che promuove il movimento, e l’altro ubicato profondamente nel cervello, nelle antiche strutture limbiche dove resiedono le nostre emozioni.

Jacques Duysens conclude che sarà saggio dar retta agli anziani e le loro esperienze, cioè il sistema limbico che è filogeneticamente antico, e che ha reso possibile la nostra sopravvivenza nei centomila anni di evoluzione della specie umana. La paura, l’ansia, è un meccanismo di difesa, non dobbiamo temerla e quindi bloccarci, ma ascoltarla e agire di conseguenza.

Le parole di Duysens ci appaiono completamente nuove e contrari a ciò che sinora abbiamo sostenuto, però, a pensarci bene, forse l’idea, di non temere il Freezing come disabilità immodificabile, ma affrontarla con un comportamento diverso e modificabile, potrebbe portare ad una accettazione e quindi superamento del problema.

Tanta roba, me ne rendo conto; sicuramente ne parleremo ancora.

E poi ci sarebbe ancora la questione del Pullman:  SU PULLMAN CUN SU FREEZING; Poesia di Franco Simula

Fonte bibliografica:

Duysens J, Smits-Engelsman B. Freezing as seen from the inside. Movement Disorders 2023 vol. 38 n. 9: 1598-1601.

P.S.: traduzione del titolo dell’articolo di Duysens: “Il Freezing visto dall’interno”.

ALLA RICERCA DELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

Il cervello, un organo meraviglioso ed affascinante.

Pillola n.51 (seguito di ” CONOSCERE SU NEMIGU “)

Ieri sera mi sono proprio divertito insieme a voi a Casa Park.

Ci siamo fatti una interessantissima e molto animata chiacchierata sulla malattia di Parkinson, avete commentato e fatte tantissime domande; abbiamo parlato  dei sintomi non motori del Parkinson, di apparecchiature elettroniche nella riabilitazione, della gondola, della terapia avanzata, e la stimolazione cerebrale profonda; abbiamo affrontato temi come la depressione, ansia, le difficoltà del familiare, il sonno, il freezing e, non ricordo, quanto altro. Per quasi tre ore abbiamo affrontato tanti argomenti interessanti ed utili, e voi non vi siete stancati intervenendo con curiosità ed entusiasmo fino alla fine, finché Tonino non ha spento le luci e chiuso il locale. Per me l’incontro di ieri, giovedì 28 settembre 2023, è stato molto coinvolgente, e penso lo sia stato anche per voi.

Avevo portato delle proiezioni con cui volevo illustrarvi dove si trova in realtà il Parkinson nel nostro corpo, ma ne abbiamo parlato solo marginalmente, talmente eravamo presi con le vostre domande, testimonianze e commenti.

Quindi, qui di seguito vorrei riassumervi il discorso “alla ricerca del Parkinson”:

Quando si pensa alla malattia Parkinson, viene in mente subito il tremore alla mano, il blocco alle gambe, oppure i dolori a muscoli e schiena. Ma dove si trova esattamente il Parkinson, dove origina?

Se andiamo a studiare singolarmente i muscoli di una persona affetta da Parkinson, dobbiamo constatare che i muscoli sono assolutamente sani. Questo ci sembra sorprendente perché sono proprio loro che ci creano i problemi, fanno tremare le nostre mani, bloccano le nostre gambe, e ci rendono difficili ogni tipo di movimento. Però, a guardare bene, i muscoli sono in ordine.

Allora il problema del Parkinson sarà da ricercarsi nelle ossa ed articolazioni che ci causano tanti disagi e dolori. Ma anche qua non troviamo alcun indizio circa la colpevolezza del rapace infingardo: le ossa e le articolazioni non possono essere accusati di ospitare il Parkinson, e risultano normali (eccetto artrosi e osteoporosi dovuti ad altro).

E se andiamo avanti a studiare il nostro corpo, scopriremo che non troveremo alcuna traccia di Parkinson neanche nelle vene ed arterie.

I vasi sanguigni, arterie e vene, non sono colpiti dal Parkinson…

Allora, ci siamo: la malattia di Parkinson origina nei nervi.

Sbagliato. Anche in questo caso resteremo delusi, perché anche i nervi non sono responsabili del Parkinson.

… e neanche i nervi.

Rimane il cervello, ma dove? Il cervello è grande e là dentro possono originare tante malattie, come la sclerosi multipla, l’epilessia, l’Alzheimer, ictus, ecc. E allora dove si nasconde il Parkinson?

Esso si nasconde al centro del cervello, in una regione che comprende i cosiddetti “nuclei della base”, centro di selezione del movimento. Ma anche questi nuclei, che decidono per noi quale movimento corretto fare al momento giusto, sono tanti. Questi nuclei della base ci aiutano a muoverci: quando vogliamo camminare saranno loro a scegliere per noi con quale piede iniziare il passo, non ce ne rendiamo neanche conto, finché non arriva il Parkinson e la selezione del movimento non è più automatico e ci costa fatica.

Alla fine, ci siamo sul serio: una piccola struttura all’interno dei nuclei della base, la sostanza nera (substantia nigra), è responsabile delle alterazioni cerebrali che stanno alla base della malattia di Parkinson; in questo piccolo nucleo troviamo le prime alterazioni all’interno del cervello che portano alla malattia, al tremore, al blocco motorio e tanti altri sintomi e difficoltà.

I nuclei della base (caudato, putamen, pallido e sostanza nera), piccole strutture al centro del cervello deputate alla selezione automatica dei movimenti giusti

Ora, seppur piccola, la sostanza nera contiene centinaia di migliaia di cellule nervose; sono alcune di esse che si ammalano a causa dell’accumulo di alfa-sinucleina e dei corpi di Lewy.

Ma di questo, e di cosa succede esattamente dentro la singola cellula della sostanza nera, abbiamo già parlato precedentemente osservando i danni che causa una piccola proteina, molto importante per il corretto funzionamento cellulare, quando si accumulano i suoi scarti che a causa del Parkinson non vengono smaltiti: per questo importante capitolo della neurologia vi invito alla lettura di “ L’ALFA-SINUCLEINA ” ed il suo seguito ” ALLE ORIGINI DEL PARKINSON “.

Ci vediamo alla prossima lezione e con gioia risponderò nuovamente alle vostre domande.

L’INVENZIONE DEL SONNO di Kai S. Paulus

(Pillola n. 50)

 

C’era, una volta …

… tanto tempo fa, più o meno 200-180 milioni di anni fa, quando la terra fu dominata da rettili grandi e piccoli e dinosauri.

Siamo a fine Giurassico ed alle soglie del Cretacico, quando i piccoli rettili, se non volevano essere sopraffatti dagli animali più grandi, dovettero trovare una soluzione per non estinguersi. E l’evoluzione venne loro incontro modificando i loro occhi, per permettere la visione notturna, e la loro termoregolazione, per resistere alle temperature più fredde notturne. Attrezzati in questo modo, i piccoli rettili potevano modificare i loro ritmi vitali e, vivendo di notte, sottrarsi ai predatori. Con il cambio della termoregolazione da esterna (ricavando calore dai raggi solari) ad interna (producendo calore tramite il proprio metabolismo), questi rettili si trasformarono gradualmente in mammiferi.

Quando alla fine del Cretacico gli esseri viventi di grosso calibro si estinsero, i neo-mammiferi non ebbero più bisogno della vita notturna e potevano nuovamente popolare la vita diurna.

Poi, nel Plateocene, i mammiferi iniziarono a dominare la terra per prenderne possesso fino ai tempi nostri.

Nasce una domanda spontanea: “ma cosa facevano questi primitivi mammiferi in questo immenso periodo di oltre 180 milioni di anni?

Risposta: “inventarono il sonno!

Sappiamo che ogni azione costa energia, e tutti gli esseri viventi sono soggetti a questa legge; e pertanto, dopo la caccia oppure la fuga, gli animali devono riposarsi per recuperare e risparmiare energie. I rettili si riposano durante il freddo della notte diventando immobili seppur svegli, mentre i mammiferi, producendo calore all’interno del loro corpo, non si fermano automaticamente quando fa fresco, ma si addormentano quando si sono affaticati. L’evoluzione ha regalato ai mammiferi il dono del sonno, durante il quale riposano, rigenerano e recuperano le energie, il che avviene ciclicamente, attraverso il ritmo circadiano determinato dall’alternarsi di luce e buio.

L’evoluzione ha messo 180 milioni di anni per creare il sonno. Un motivo ci sarà.

Il sonno ci ha garantito la sopravvivenza.

Meditate, gente, meditate.”

 

Fonti bibliografiche:

Rattenborg NC, Ungurean G. The evolution and diversification of sleep. Trends in Ecology and Evolution, 2023; 38(2): 156-170.

Rial RV, Akaarir M, Canellas F, Barvelò P, Rubino JA, Martìn-Reina A, Gamundì A, Nicolau MC. Mammalian NREM and REM sleep: why, when and how. Neuroscience and Biobehavioral Reviews, 2023; 146: 105041.

Rial RV, Canellas F, Akaarir M, Rubino JA, Barcelò P, Martìn A, Gamundì A, Nicolau MC. The Birth of the Mammalian Sleep. Biology, 2022; 11:734. https://doi.org/10.3390/biology11050734.

CONOSCERE “SU NEMIGU” di Kai S. Paulus

tempio greco

(Il Tempio Greco: La Rampa)

 

[All’inizio del nostro Progetto “Il Tempio Greco” abbiamo parlato dell’accettazione della malattia come prerogativa necessaria per poter comprendere e affrontare le tante problematiche del Parkinson, e quindi l’accettazione rappresenta le fondamenta del nostro Tempio (vedi “ CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA“ e “ STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2“). E pertanto riprendiamo la costruzione del Tempio anteponendo il capitolo della conoscenza, una specie di Rampa d’accesso al nostro Tempio, perché ritengo che, se conosco il mio avversario, lo temo di meno e quindi potrò contrastarlo meglio]

 

Ieri pomeriggio ci siamo incontrati nella nostra Casa Park in via Ardara a Sassari per il primo di una serie di appuntamenti di un nuovo progetto, quello di conoscere meglio la malattia di Parkinson, quel rapace infingardo, su nemigu.

In questo primo incontro abbiamo affrontato la storia, e cioè di come James Parkinson ha raccolto le sue osservazioni in un libretto “The shaking palsy” (La paralisi agitante, 1817) dando il via a “la malattia di Parkinson”, che poi non fu neanche lui a coniare questo termine, ma lo scienziato francese Jean-Martin Charcot che si riferiva, circa 40 anni dopo la pubblicazione de ‘La paralisi agitante’, alla malattia “di quel Parkinson” in una delle sue lezioni su persone rallentate e con tremore.

Ci siamo quindi occupati del quadro clinico ed abbiamo appreso che i sintomi e segni del Parkinson possono essere distinti in

1) segni motori, che sono quelli classici, come il tremore, il rallentamento motorio e la rigidità muscolare che generalmente rispondono alla terapia anti-Parkinson dopaminergica,

 

 

2) segni non motori, quali l’insonnia, i dolori e la depressione, che necessitano di farmaci specifici,

3) i sintomi psichiatrici (disinibizione, compulsioni, ossessioni, ecc.) che ovviamente vanno trattati separatamente ma anche con l’ottimizzazione della terapia farmacologica, ed infine

4) le complicazioni farmacologiche, causate proprio dagli stessi farmaci, che servono per far star meglio la persona ammalata, ma che possono provocare degli effetti spiacevoli e che rendono la gestione globale ulteriormente difficile.

Successivamente abbiamo affrontato i segni prodromici, cioè i sintomi che possono precedere per molti anni l’esordio vero e proprio del Parkinson, e che oggi rivestono enorme importanza perché possono aiutare a fare diagnosi preclinica, a intraprendere dei percorsi preventivi che, anche se non possono evitare la malattia, possono comunque ritardarla e magari rendere il suo decorso meno grave.

La cura di tali prodromi, quando presenti durante il Parkinson, è invece importante, per la sua gestione globale e per mantenere sufficienti autonomie e qualità di vita.

E’ importante sottolineare, che la presenza di uno di questi segni non è assolutamente indicativo per un Parkinson, e che, per esempio, la riduzione dell’olfatto è dovuta verosimilmente ad un raffreddore oppure ad una patologia otorinolaringoiatrica; oppure, la stitichezza può essere ricondotto ad una alimentazione non equilibrata; o ancora, si può essere tristi per una perdita o una delusione. Ovviamente in questi casi non pensiamo minimamente ad una malattia neurodegenerativa. Invece, i prodromi che potrebbero farci pensare ad un Parkinson sono quelli che si presentano per lunghi tempi, anche molti anni, ed apparentemente senza cause note.

Vorrei ringraziare il nostro ‘webmaster’ Gian Paolo Frau ed il nostro ‘fac totum’ Antonello Soro, senza i quali non saremo riusciti a tenere questa impegnativa lezione nella nostra bellissima nuova sede.

 

La prossima volta ci occuperemo delle cause di Parkinson, dove esattamente inizia nel nostro corpo, ed anche del perché. Ne vedremo delle belle!

 

Progetto “Il Tempio Greco – Le Sei Colonne del Parkinson”.

Sinora pubblicati: (cliccare sul titolo celeste per visualizzare l’articolo)

LE SEI COLONNE DEL PARKINSON

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO

CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2

COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI

COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE

COLONNA DEL PARKINSON: LA RIABILITAZIONE

LA RIABILITAZIONE NEL TEMPIO DEL PARKINSON di Pinuccia Sanna

RIABILITAZIONE E DANZA di Annalisa Mambrini

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (2)

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (3)

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER (2)

 

ARTE TERAPIA E PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 49)

Le terapie complementari, o alternative, vengono sempre più frequentemente utilizzate nella gestione globale della malattia di Parkinson, che notoriamente è una patologia complessa e multisistemica dove trattamenti farmacologici e riabilitazione tradizionale spesso non riescono a portare a risultati soddisfacenti.

“King’s Bench Prison” Dipinto di Augustus Pugin e Thomas Rowlandson (Londra 1807-11)

Le arti terapie si sono rivelate particolarmente efficaci nel trattamento del Parkinson perché:

  • coinvolgono contemporaneamente il sistema motorio, quello sensitivo, i domini mnesico-cognitivi e l’elaborazione visuo-spaziale,
  • comportano un miglioramento dell’integrazione sensitivo-motoria, della coordinazione occhio-mano, della memoria, dell’espressione individuale, dell’autostima, e della socializzazione,
  • stimolano creatività (crescita, flessibilità e sperimentazione), curiosità (voglia di conoscere) motivazione e divertimento,
  • e promuovono pertanto un ampio benessere bio-psico-sociale.

Le arti terapie attivano tante reti cerebrali e la neuroplasticità, cioè la capacità del cervello ad adattarsi, a riparare ed a crescere (!)

Questi trattamenti complementari aumentano le capacità motorie, migliorano l’umore, e riducono dolori, stress ed ansia, con conseguente miglioramento dello stato generale di salute e della qualità di vita.

Molte volte abbiamo parlato in questo sito delle arti terapie, quali musica, ballo, canto, poesie e teatro, che stiamo continuamente o periodicamente praticando nella nostra Associazione Parkinson Sassari.

Recentemente, tra le tante opzioni terapeutiche della malattia di Parkinson sta prendendo sempre più piede l’arte figurativa, il disegno e la pittura.

Ma di questo parleremo un’altra volta…

 

Fonti bibliografiche:

Cucca A, Di Rocco A, Acosta I, Beheshti M, Berberian M, Bertisch HC, Droby A, Ettinger T, Hudson TE, Inglese M, Jung YJ, Mania DF, Quartarone A, Rizzo JR, Sharma K, Feigin A, Biagioni MC, Ghilardi MF.  Art therapy for Parkinson’s disease. Parkinsonism and Related Disorders, 2021; 84: 148-154.

Ettinger T, Berberian M, Acosta I, Cucca A, Feigin A, Genovese D, Pollen T, Rieders J, Kilachand R, Gomez C, Kaimal G, Biagioni M, Di Rocco A, Ghilardi FM, Rizzo JR. Art therapy as a comprehensive complementary treatment for Parkinson’s disease. Front Hum Neurosci, 2023; 17: 1110531. doi: 10.3389/fnhum.2023.1110531.

Ganter-Argast C, Junne F, Seifert K. Kunsttherapie. Nervenarzt, 2022; 93: 953-970.

PARKINSON – DISPOSITIVI INDOSSABILI di Kai S. Paulus

Oltre il 50% delle persone affette da malattia di Parkinson hanno grosse difficoltà a farsi seguire da uno specialista dei disordini del movimento, perché ce ne sono pochi, e questo crea diversi problemi nella corretta terapia e gestione globale della malattia.

Per ovviare a questo problema da alcuni anni si cerca di sviluppare dei dispositivi elettronici che possono registrare in ogni momento le più variate difficoltà motorie delle persone che a distanza possono essere lette da uno specialista che può eventualmente modificare e adattare la terapia, evitando prenotazioni di visite ambulatoriali.

Con delle specifiche apps di smartphone (applicazioni di cellulari), con sensori che si possono facilmente indossare come orologi, si possono monitorare le performance motorie delle persone in ogni momento della giornata, il che rappresenta un modo obiettivo di riprodurre il quadro neurologico in un dato periodo. Già esistono sul mercato degli “smartband” (cellulari a braccialetto) che misurano tanti parametri vitali, quali frequenza cardiaca e pressione sanguigna, il consumo energetico ed il sonno notturno. Ora arrivano invece strumenti specifici per la malattia di Parkinson.

Oltre ai momenti di fine dose della terapia, i blocchi motori ed il freezing, con queste applicazioni si possono anche tenere sotto controllo l’alimentazione, molto importante per garantire il sufficiente apporto energetico evitando malnutrizione e peggioramento della malattia neurologica.

In seguito alla pandemia del covid-19, la telemedicina si è molto diffusa tramite telefonate, posta elettronica e videochiamate. Ora con le innovative applicazioni per cellulari si aggiunge un altro tassello che permette una sempre migliore ed efficiente gestione della persona a distanza e una migliore ed obiettiva comunicazione tra medico e paziente.

La telemedicina non sostituisce la visita in presenza, a mio avviso essenziale per creare un rapporto umano di conoscenza, collaborazione e fiducia tra le parti, però la telemedicina aiuterà tanto, specialmente quando non ci sono disponibilità per una visita, oppure impossibilitati ad avvicinarsi per vari motivi.

Buon Ferragosto a tutti voi.

 

Fonti biografiche:

Antonini A, Reichmann H, Gentile G, Garon M, Tedesco C, Frank A, Falkenburger B, Konitsiotis S, Tsarmis K, Rigas G, Kostikis N, Ntanis A, Pattichis C. Toward objective monitoring of Parkinson’s disease motor symptoms using a wearable device: wearability and performance evaluation of PDMonitor®. Frontiers of Neurology, 2023; 14:1080752. doi: 10.3389/fneur.2023.1080752.

Reichmann H, Klingelhoefer L, Bendig J. The use of wearables for the diagnosis and treatment of Parkinson’s disease. Journal of Neural Transmission, 2023; 130: 783-791

Wang H, Hu B, Chen L, Yuan M, Tian X, Shi T, Zhao J, Huang W. Predicting the fatigue in Parkinson’s disease using inertial sensor gait data and clinical characteristics. Frontiers of Neurology, 2023; 4:1172320. doi: 10.3389/fneur.2023.1172320.