Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: Kai Paulus

PARKINSON E DEMENZA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 77)

 

Esiste molta preoccupazione sul fatto che una persona affetta da malattia di Parkinson possa ammalarsi anche di demenza.

 

Domanda: “Che cos’è la demenza?”

Risposta: “La demenza è un deterioramento delle funzioni cognitive (parola, pensiero, memoria, ecc.), dovuto ad un processo neurodegenerativo progressivo, cioè continua perdita di tessuto cerebrale, dovuto all’età, a malattie vascolari, cardiologiche o metaboliche, oppure ad alterazioni genetiche.”

 

Domanda: “Qual è la differenza tra Parkinson e demenza?”

Risposta: “Il Parkinson è dovuto ad una sofferenza dei circuiti sottocorticali motori, causati da eccessivi depositi di una proteina funzionale, alterata e scartata (alpha-sinucleina), mentre la demenza si basa, se non secondaria a malattie cardiovascolari, sulla sofferenza di regioni corticali e sottocorticali determinati dall’accumulo di altre proteine difettose, quali le proteine strutturali tau e beta-amiloide.

Strutture principali del cervello, a sinistra nel piano coronale (www.mypersonaltrainer.it, modificato), a destra nel piano sagittale (www.focus.it, modificato)

In realtà, bisogna immaginarsi le malattie neurodegenerative su un ampio spettro, dove ad una estremità si trova il Parkinson puro con “solo” disturbi motori (rigidità, tremore, ecc.) e depositi di alpha-sinucleina nei nuclei della base al centro del cervello; all’altra estremità c’è l’Alzheimer, con demenza pura, per accumulo delle proteine tau e beta-amiloide. In mezzo si trova un’infinità di malattie neurodegenerative ‘miste’ dove prevalgono disturbi motori oppure sintomi cognitivi, in base alla distribuzione e prevalenza degli scarti.”

 

Domanda: “Una persona con Parkinson si ammala per forza anche di demenza?”

Risposta: “No.”

 

Domanda: “Una persona con Parkinson può andare incontro ad una demenza?”

Risposta: “E’ possibile, anche perché i comuni fattori di rischio della demenza (età avanzata, sesso maschile, bassa scolarità, comorbidità cardiocircolatoria, patologia cerebrovascolare e dismetabolica, stile di vita sedentario) valgono per tutti.”

 

Domanda: “Il rischio di ammalarsi di demenza nel Parkinson è maggiore che nella popolazione generale?”

Risposta: “Verosimilmente sì, ma bisogna distinguere: intanto, esistono rare forme genetiche e parkinsonismi atipici che già all’esordio della malattia presentano forme di demenza di vario grado.

Nella malattia di Parkinson più comune e classica, la forma idiopatica, la demenza è possibile per diverse situazioni; 1) la comorbidità, cioè la presenza di altra patologia neurologica, cardiologica, metabolica, ecc; 2) il grado di severità e la durata della malattia di Parkinson con la diffusione dei corpi di Lewy (accumuli di alpha-sinucleina) oltre i nuclei della base, fino alla corteccia cerebrale”.

 

Uno dei fattori di rischio di demenza nel Parkinson è sicuramente la disabilità fisica: con la durata della malattia aumentano rigidità, rallentamento ed instabilità posturale, che costringono la persona ad una vita sempre più sedentaria: con le minori attività, diminuiscono metabolismo e circolazione con ulteriore accentuazione del Parkinson, peggioramento fisico, minore sonno notturno, con maggiore rischio di deterioramento cognitivo.

 

Un circolo vizioso difficile da interrompere: la disabilità fisica limita il movimento, rigidità e preoccupazioni tolgono il sonno, l’intestino sciopera e le medicine rovinano l’appetito.

 

Domanda: “Ma come si può fare? Esistono cure? Si può prevenire la demenza?”

Risposta: “Sì. Ma di questo parleremo un’altra volta.”

 

 

Fonti bibliografiche:

Gallagher J, Gochanour C, Caspell-Garcia C, Dobkin RD, Aarsland D, et al. Long-term dementia risk in Parkinson Disease. Neurology, 2024, 103(5): e209699. doi: 10.1212/WNL.0000000000209699.

Xia X, Qiu C, Rizzuto D, Grande G, Laukka EJ, Fratiglioni L, Guo J, Vetrano DL. The age-dependent association of Life’s Simple / with transitions across cognitive states after age 60. Journal of Internal Medicine 2023; 0: 1-12.

NON PIU’ NEURODEGENERAZIONE, MA RIGENERAZIONE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 76)

 

Siamo abituati a definire la malattia di Parkinson tristemente come patologia neurodegenerativa progressiva, cioè un continuo degrado dei circuiti cerebrali. Ma qualcosa sta cambiando.

Sinora, l’obiettivo della ricerca internazionale era di trovare cure capaci di rallentare il processo degenerativo, ma con risultati piuttosto deludenti.

E’ vero, diversi comportamenti mirati, attività fisiche e mentali, ed uno stile di vita sano e positivo possono aiutare (vedi “PREVENIRE LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE?”), e su queste conoscenze si basano anche le attività della nostra associazione, ma una cura vera e propria, una medicina che possa radicalmente cambiare il percorso della malattia, non esiste ancora.

Ora, alla Conferenza Internazionale della Associazione Alzheimer (AAIC) a Philadelphia negli Stati Uniti è stato presentato un metodo che non solo blocca il processo patologico, ma che lo inverte comportando riparazione e rigenerazione.

 

La notizia ha dell’incredibile!

 

Come sappiamo (vedi “ANCORA NIENTE NOVITA’ PER L’ALZHEIMER”), le malattie neurodegenerative si basano fondamentalmente sull’alterazione di tre proteine molto importanti per il corretto funzionamento del cervello: alfa-sinucleina, beta-amiloide e tau.

L’innovativa ricerca si riferisce a degli anticorpi (oligonucleotidi antisenso, ASO) in grado di ridurre e di eliminare gli accumuli di proteina tau alterata.

Quindi, non più degenerazione, ma rigenerazione e riparazione, sono le parole d’ordine della terapia delle malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.

 

Per fortuna, d’ora in poi ne parleremo sempre più spesso!

 

Fonte bibliografica:

Miller T. “Antisense oligonucleotide therapeutics for neurodegenerative diseases.” AAIC Philadelphia USA, August 2024

Mueller T. “Antisense-Therapien gegen toxisches Tau. Zeit fuer Neuroregeneration: weg mit den Taufibrillen!” Springermedizin.de Nachrichten, agosto 2024

PARKINSON, MOLTO SMART di Kai S. Paulus

(Pillola n. 75)

La moderna tecnologia, con app(-licazioni) per computer e smartphone, realtà virtuale, intelligenza artificiale e robotica, trova sempre più applicazioni in medicina.

Un anno fa ci siamo occupati di dispositivi da polso, tipo orologi, i cosiddetti “smartband”, con cui si può monitorare l’andamento quotidiano di una persona affetta da malattia di Parkinson (vedi “ PARKINSON – DISPOSITIVI INDOSSABILI”), fluttuazioni motorie, freezing, ecc., e che possono essere molto utili ai fini di prevenzione e di ottimizzazione della terapia.

Durante questo caldo mese di luglio è stato appena pubblicato, da un gruppo di ricercatori dell’Università di Praga, un lavoro davvero molto interessante ed innovativo, che riguarda una ‘app’ per telefonini con cui si possono rilevare dei segni premonitori del Parkinson. Questi segni, detti prodromi, possono precedere l’esordio dei classici segni motori (rallentamento, tremore, rigidità) di tanti anni. La sfida della scienza internazionale sta proprio nel trovare un modo per accedere a questa fase “preclinica” del Parkinson, dove è ancora possibile intervenire e modificare il decorso della futura malattia.

Sappiamo, che, ad oggi, il Parkinson è una malattia non guaribile ed i farmaci disponibili non aiutano a modificare il suo decorso progressivamente degenerativo. Per questo è essenziale individuare degli indizi (biomarker) e fattori di rischio per poter agire ancora prima che il Parkinson si manifesti clinicamente.

Per conoscere meglio i prodromi e biomarker, vi invito a consultare “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI” e ” PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER” pubblicati su questo sito un anno fa.

Il problema è che è estremamente difficile riconoscere le persone potenzialmente a rischio. Per questo motivo si cercano indizi (prodromi e biomarker) e fattori di rischio inconfutabili con metodiche fattibili, sicure ed obiettivabili.

Ed è qua che il lavoro degli scienziati intorno a Vojtèch Illner potrebbe aprire una strada, facile e percorribile, adattandosi alle abitudini quotidiane della popolazione generale, come la voce registrata durante le telefonate.

L’articolo di Vojtèch Illner e collaboratori pubblicato questo mese sulla rivista scientifica Movement Disorders: “Le telefonate tramite cellulare rappresentano un precoce biomarker di Parkinsonismo nel disturbo comportamentale del sonno REM”.

Lo studio consisteva nella registrazione della voce durante le comuni telefonate quotidiane con amici e familiari tramite una innovativa applicazione del cellulare con la quale i ricercatori hanno potuto studiato la voce di 26 persone con Parkinson in stadio iniziale, 21 persone con disturbo comportamentale del sonno REM, e 25 controlli. Il disturbo comportamentale del sonno REM appartiene, come il Parkinson, alle cosiddette sinucleinopatie (accumulo di alfa-sinucleina alterata che modifica le connessioni nervose), ed il 90% delle persone con questo disturbo notturno svilupperà il Parkinson dopo 5-15 anni.

Venivano monitorati l’articolazione delle parole, la fluidità, il timbro e la melodia della voce durante le telefonate (in tutto 120 minuti a persona), ed è stato osservato che i dati dei gruppi con Parkinson e disturbo del sonno (disartria, monotonia, ipofonia, lentezza, parola strascicata) erano sovrapponibili!

Quindi, stando ai ricercatori di Praga, il gruppo delle persone ad alto rischio di sviluppare un Parkinson hanno mostrato le stesse alterazioni di quelle con Parkinson conclamato, confermando che il disturbo comportamentale del sonno REM è una fase preclinica del Parkinson.

In conclusione, questa “app” potrebbe aiutare ad individuare, precocemente ed in modo semplice, persone con maggiore rischio di sviluppare una sinucleinopatia, però sono necessari altri studi su una ampia popolazione per convalidare questa promettente metodica, oltre a risolvere le questioni di privacy.

Uno studio affascinante che aggiunge un importante tassello alla lotta contro Su nemigu.

 

Fonti bibliografiche:

Illner V, Novotny M, Kouba T, Tykalova T, Simek M, Sovka O, Svihilk J, Ruzicka E, Sonka K, Dusek P, Rusz J. Smartphone voice provide early biomarkers of Parkinsonism in Rapid Eye Movement Sleep Behavior Disorder. Movement Disorders, 2024; https://doi.org/10.1002/mds.29921

Oberdorfer E. Parkinson-Prodromi per Smatphone-App erkennen? Parkinson-Krankheit Nachrichten, 2024; Springer Verlag 19.7.2024

VERTIGINI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 74)

Un anno fa ci siamo occupati di vertigini (PARKINSON ESTIVO: CAPOGIRI E VERTIGINI) che, specialmente nel periodo estivo, possono creare importanti disagi nelle persone affette da malattia di Parkinson, perché l’effetto ipotensivo del caldo si somma a quello dei farmaci e della malattia stessa. Ed abbiamo visto che l’antidoto può essere semplicemente bere più acqua.

Ma che cosa sono esattamente le vertigini e dove originano?

Le vertigini sono espressione di una alterazione del sistema dell’equilibrio.

Il sistema dell’equilibrio ci permette di contrastare la forza di gravità, di stare in piedi e di muoverci.

Il sistema dell’equilibrio è costituito dai sistemi sensoriali, visivo, uditivo, propriocettivo e tattile, che informano il cervello in ogni istante della nostra posizione; ed il cervello può mantenere l’equilibrio, correggere posture errate, o prepararci al movimento, integrando l’informazione visiva (la vista è uno strumento formidabile di orientamento; in effetti al buio si sbanda) con quella propriocettiva e tattile (muscoli, tendini e cute informano il cervello sul contatto del corpo a pavimento, sedia, letto, ecc). Ovviamente, le informazioni devono essere congrue, diversamente il sistema non riesce ad integrare correttamente le diverse informazioni sensoriali.

Per esempio, se ci si sporge da una altezza e si guarda in basso, il sistema propriocettivo e tattile informa il cervello che il corpo appoggia a circa 90 cm, mentre la vista rivela una distanza di diversi metri; questa discrepanza viene percepita come errata e si percepiscono le vertigini.

 

Oppure, all’interno dell’orecchio si trovano i canali semicircolari, tre per lato, per ogni dimensione dello spazio. Questi canali fungono un po’ come delle livelle e che devono sempre essere allineate. Se un canale è danneggiato (trauma, infezione, ecc.), quello controlaterale prende il sopravento ed il cervello lo registra come cambio di direzione, che però non è avvenuto, quindi disequilibrio e quindi vertigini. Oppure, in un canale si staccano degli otoliti (che servono da contrappeso nei canali semicircolari) e che vagano senza controllo nei canali stimolando il nervo vestibolare come se ci si fosse mossi, ma non c’è stato nessun movimento, quindi disequilibrio e vertigini.

A sinistra: anatomia dell’orecchio esterno ed interno; a destra: l’orecchio interno suddiviso in coclea e nervo cocleare per l’udito, ed il sistema vestibolare con i canali semicircolari e nervo vestibolare, responsabili per l’equilibrio.

Le cause delle vertigini sono tantissime: età, altezze, dislivelli, alterazioni dell’udito, della vista, della postura, infezioni, malattie cardiocircolatorie, dismetaboliche (diabete), e neurodegenerative (come il Parkinson), ma anche elevate temperature estive e farmaci.

Che cosa possiamo fare?

Il caldo ovviamente si combatte con il refrigerio e con l’acqua, le malattie che possono causare vertigini vanno trattate correttamente, farmaci che possono dare problemi vanno evitate, ed infine, il disequilibrio si cura con il miglioramento dell’equilibrio statico-dinamico con il movimento, il ballo e la riabilitazione neuromotoria.

Fonti bibliografiche:

Dlugariczyk J. “Schwierige” Patient:innen – Vestibularisdiagnostik unter erschwerten Bedingungen: Teil 2. HNO, 2024; 72: 129-140.

Li X, Wei C, Gao X, Sun J, Yang J. Global trends in the research on older population dizziness/vertigo: a 20-year bibliometric and visualization analysis. Braz J Otorhinolaryngol, 2024; 90(5): doi: 10.1016/j.bjorl.2024.101441.

Zwergal A, Lehner L, Goldschagg, Strupp M. Akuter, episodischer und chronischer zentraler Schwindel – differenzialdiagnosen kenn, richtig behandeln. DNP Neurologie & Psychiatrie, 2024; 25(3): 55-65.

Copertina di una mia recente lezione sulle vertigini per il corso regionale di formazione dei medici di medicina generale.

MISTER PARKINSON SU MARTE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 73)

Gli esseri umani intraprendono sempre più spesso voli nello spazio, oltre alla scienza sta decollando il turismo spaziale, e per il prossimo futuro sono previsti voli sulla Luna e su Marte.

Ma come reagisce il nostro sistema nervoso all’assenza di gravità ed alla radiazione cosmica?

Da studi condotti su astronauti della stazione orbitale si è osservato che con l’assenza di gravità il cervello si sposta verso l’alto, spingendo il liquor (liquido che circonda il cervello e lo protegge) verso le regioni inferiori, aumentando il volume dei ventricoli (serbatoi del liquor situati nella parte centrale ed inferiore del cervello) del 7-25%. Queste modifiche, che provocano una sofferenza ischemica, cioè riduzione della ossigenazione del cervello, persistono per anni dopo una missione spaziale di solo qualche settimana.

La stazione orbitale, le navicelle e le tute sono fornite di strati protettivi ma non evitano del tutto le radiazioni, e si è calcolato che ogni singola cellula di un/a astronauta viene colpita in media ogni tre giorni da un protone (particella subatomica a carica positiva), ogni due settimane da un’ione di elio, ed ogni due-tre mesi da un nucleo atomico altamente energetico. Questo ha conseguenze sui tessuti organici, che sono attualmente oggetto di ricerche scientifiche; da studi condotti su cavie si è visto che topi, che sono rimasti 13 giorni nello spazio, hanno riportato una degenerazione neuronale simile a quella della malattia di Alzheimer.

Sinora esiste uno studio di gemelli, di cui uno è rimasto 340 giorni sulla stazione spaziale e che ha mostrato una riduzione delle capacità cognitive ancora quattro mesi dopo il rientro sulla Terra. Si discute, però, quanto, oltre alle radiazioni cosmiche, possano influenzare il cervello altri fattori, quali isolamento, disturbi del sonno e la maggiore concentrazione di CO2 sulla stazione orbitale.

L’astronauta Michael R. Clifford (1952-2021)

I cambiamenti gravitazionali mettono a dura prova il cervello, e la risultante sofferenza ischemica può portare ad alterazioni cerebrali sovrapponibili a quelle della malattia di Parkinson. Ne è un esempio il famoso caso dell’astronauta americano Michael R. Clifford che in seguito alla permanenza di 27 giorni sulla stazione orbitale russa MIR, ha sviluppato ad appena 42 anni il Parkinson. Non è chiaro, se lo stress gravitazionale esercitato sul cervello sia stata effettivamente la causa del Parkinson oppure se abbia accelerato e slatentizzato un processo neurodegenerativa già in atto.

Comunque sia, le agenzie spaziali internazionali ed i ricercatori di tutto il mondo stanno portando avanti le loro ricerche per proteggere il cervello dai molteplici fattori di rischio dei viaggi spaziali.

Nel dubbio, io quest’anno passerò le mie ferie ad Alghero.

 

Fonti bibliografiche:

Jaster JH, Ong J, Ottaviani G. Visual motion hypersensitivity, from spaceflight to Parkinson’s disease – as the chiasmatic cistern may be impacted by microgravity together with normal terrestrial gravity-opposition physiology in the brain. Exp Brain Res, 2024; 242(3): 521-523.

Jaster JH, Ottaviani G. Gravitational ischemia in the brain: how interfering with its release may predispose to either Alzheimer’s or Parkinson’s -like illness, treatable with hyperbaric oxygen. Physiologia, 2023; doi.org/10.3390/physiologia3040037.

Oberender A. Transformation im All: Wie Raumfahrt das Gehirn veraendert. Neurologische Diagnostik, 2024; Springer Medizin 12.07.2024.

Seidler RD, Mao XW, Tays GD, Wang T, Zu Eulenburg P. Effects of spaceflight on the brain. Lancet Neurol, 2024; doi: 10.1016/S1474-4422(24)00224-2.

ELEMENTARE, WILSON! di Kai S. Paulus

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(Pillola n. 72)

 

(Motivato da Marco Balbina, vorrei dedicare questa “Pillola” alle amiche ed amici della Parkinson Alghero per parlare di una rara ma importante malattia di accumulo di rame, che appartiene alla famiglia dei disordini del movimento, come il Parkinson, ma che in realtà non è una malattia neurologica.)

 

Il rame è presente nel suolo terrestre, e siccome è molto importante per il nostro organismo, lo assumiamo con l’acqua e tanti cibi, quali fegato, frutti di mare, frutta secca, semi, cereali integrali, legumi, ecc. Pensate, ingeriamo quotidianamente micro-frammenti di stelle, perché il rame originò dalla fusione di elio ed idrogeno dentro le stelle supernova milioni di anni fa.

Nel mondo animale e vegetale il rame è un importante cofattore per tanti processi biochimici, energetici e di sintesi di proteine e di catecolamine (come la dopamina!).

 

Abbiamo detto che il rame è molto importante per il metabolismo del nostro corpo; in effetti, una sua carenza può causare una riduzione di globuli bianchi (leucopenia), riduzione ed alterazioni delle dimensioni dei globuli rossi (anemia microcitica, normocitica o macrocitica), affezioni del midollo spinale (mielopatia), oppure sofferenze dei nervi (neuropatia periferica).

 

Invece, un eccesso di rame si osserva in caso di una mutazione del gene ATP7B, responsabile sia della sintesi della proteina di trasporto ceruloplasmina, sia dell’eliminazione del rame attraverso la bile; a causa di questa mutazione non viene garantito il corretto trasporto del rame. E senza il suo “vascello” ceruloplasmina, il metallo vaga caoticamente nel torrente sanguigno e va a finire eccessivamente in tessuti molto delicati, quali fegato, cervello, occhi e reni, dove si accumula e dove può causare importanti danni cellulari.

A sinistra: risonanza magnetica del cervello con il “segno del panda” per accumulo di rame (zone nere) nel nucleo rosso e la sostanza nera; a destra: accumulo di rame nei nuclei della base (zone chiare).

La mutazione del gene ATP7B è alla base della malattia di Wilson, patologia ereditaria e caratterizzata principalmente da un coinvolgimento del fegato e, successivamente, dei nuclei della base nel cervello. Ed è qui che si incontrano Samuel A. K. Wilson e James Parkinson.

Samuel Alexander Kinnier Wilson (1878-1937) e la sua pubblicazione del 1912 sulla “degenerazione lenticolare progressiva”, malattia che successivamente prenderà il suo nome.

L’accumulo di rame nel cervello avviene esattamente in quella regione che si ammala nel Parkinson e conseguentemente alcuni sintomi sono uguali e possono confondere anche i medici.

 

Una persona con malattia di Wilson presenta frequentemente rigidità diffusa, instabilità posturale, ipomimia, disartria, tremore a riposo, scialorrea e sindrome delle gambe senza riposo, e quindi, almeno all’inizio, difficile da distinguere da un vero Parkinson. Questi sintomi sono spesso accompagnati da ansia, depressione, confusione, allucinazioni e deliri. Questo quadro clinico esordisce in età giovanile e tende a progredire velocemente.

 

La diagnosi si basa ovviamente sul riscontro di alterati livelli di rame nel sangue ed urine, della patologia del fegato, di segni di accumulo di rame nel cervello (segno del Panda) e nell’occhio (anello di Keyser-Fleischer nella cornea).

Copertina delle mie lezioni sulla malattia di Wilson per il corso regionale della formazione specifica di Medicina Generale, dove si vede l’anello di Keyser-Fleischer nella cornea per il deposito di rame.

Per fortuna esistono ottime terapie che possono eliminare il rame in eccesso normalizzando le condizioni di salute del soggetto. Inoltre, si trovano ad un buon punto le ricerche sulle cellule staminali. In casi gravi si propone il trapianto di fegato.

 

Per questo è importante fare la diagnosi il prima possibile, perché così si può curare bene questa patologia del fegato e del cervello (degenerazione epato-lenticolare) ed evitarne gli stadi gravi. Elementare, Wilson!

 

 

Fonti bibliografiche:

Hartmann CJ. Therapeutische Aufrechterhaltung der Kupferhomoeostase bei M. Wilson. DG Neurologie, 2024; doi.org/10.1007/s42451-024-00673-0.

Teschke R, Eickhoff A. Wilson disease: copper-mediated cuproptosis, iron-related ferroptosis, and clinical highlights, with comprehensive and critical analysis update. International Journal of Molecular Sciences, 2024; 25: 4753. doi.org/10.3390/ijms25094753.

Xiong X, Gao C, Meng X, Liu A, Gong X, Sun Y. Research progress in stem cell therapy for Wilson disease. Regenerative Therapy, 2024; 27: 73-82.

LA MOGLIE CAREGIVER di Kai S. Paulus

(Pillola n.71)

 

Assistere una persona ammalata è un lavoro duro e molto impegnativo, e chi lo fa viene definito caregiver, professionale quando retribuito, oppure familiare, quando se ne occupa un membro della famiglia; ne abbiamo già parlato diverse volte (vedi “IL PORTATORE SANO“, “ TONINO E GLI ALTRI CAREGIVER“, “ LA DOTT.SSA DELOGU ILLUSTRA I DIRITTI DEI DISABILI E DEI CAREGIVER“, ” CAREGIVER?“, ” “IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO“).

La/il caregiver assiste la persona ammalata nella gestione della malattia (assunzione dei farmaci, accompagnamento a visite mediche e fisioterapia, ecc.) e nelle attività quotidiane (igiene personale, vestirsi, mangiare, spostamenti in piena sicurezza, ecc.) per rendergli la vita più facile. Però, con questi doveri può diminuire la qualità di vita del caregiver, aumentare lo stress e dolore fisico, presentarsi difficoltà nell’affrontare eventuali spese, e generarsi emozioni negative, quali frustrazioni, risentimento, paura, tristezza, e preoccupazioni per il futuro, con conseguente aumento di ansia, insonnia e depressione.

 

La novità è che recentemente sono state condotte delle innovative ed interessantissime ricerche scientifiche sul ruolo della moglie di un uomo affetto da malattia di Parkinson, e che qui di seguito vorrei riassumervi.

 

“Non esiste nessuna cura per chi assiste: l’esperienza di donne che assistono i loro mariti affetti da malattia di Parkinson” (White e Palmieri, 2024)

I caregiver di persone affette da Parkinson sono prevalentemente le mogli che lo diventano a mano a mano che la malattia progredisce. La moglie accompagna l’ammalato alle visite mediche dove è il principale riferimento per il medico, ma non riceve le necessarie attenzioni per i propri bisogni da parte del medico a causa delle limitate conoscenze degli operatori sanitari sulle emozioni e preoccupazioni delle caregiver. E la lamentela principale è che durante la visita medica l’unico argomento è il Parkinson ed altre problematiche non meno importanti, quali la vita famigliare, non vengono, o solo marginalmente, discusse.

Con il progredire della malattia l’uomo diventa la parte sempre meno attiva, mentre la moglie si assume sempre maggiori responsabilità e aumenta il peso e la fatica della crescente assistenza giorno e notte.

La donna diventa caregiver non per scelta, ma per dovere e necessità; ella è sola, perché i figli hanno le loro famiglie, e fratelli e sorelle vivono lontani; non c’è alternativa.

“L’impatto della malattia di Parkinson in stadio avanzato sui caregiver: uno studio internazionale del mondo reale” (Martinez-Martin et al, 2023)

Prendersi cura del familiare, pone una moglie in un ruolo che richiede il massimo sforzo per il benessere mentale e fisico dell’altro, nel mentre essa stessa si sente esausta. Le mogli, quando iniziano la “carriera” della caregiver, hanno comunemente più di 60-65 anni e pertanto hanno limitazioni fisiche legate all’età, oltre al fatto che anche loro possono essere ammalate di qualche malattia che però scende in secondo piano davanti al dovere di assistenza del marito.

Le donne riferiscono ridotta armonia ed abilità, e ridotto equilibrio, con la sensazione di perdita del loro mondo familiare; si fanno anche largo isolamento sociale e solitudine.

La donna è spesso delusa e scoraggiata perché si immaginava l’età della pensione molto diversa, dopo una vita di responsabilità e rinunce, magari con viaggi e serenità insieme al consorte.

Per rompere la monotonia del lavoro e dello stress, le caregiver dovrebbero inseguire attività fuori di casa che aiutano il marito nella socializzazione. Il problema è che comunque tutto si aggira intorno ai bisogni del marito e non soddisfa i bisogni di una moglie: le donne sacrificano il loro tempo e la loro identità sociale a favore delle necessità del marito. Si creano sentimenti contradittori: da un lato sensazioni di gratificazioni per ciò che riescono a fare, ma dall’altro lato l’aumento del peso e delle fatiche dell’assistenza che non finisce mai, anzi, che impegna sempre di più.

La moglie, tolto l’abito della sposa, riveste i panni dell’infermiera per le cure, della fisioterapista nel sorreggere il compagno nelle marce, della cuoca per la preparazione di cibi adatti, della badante per le necessità quotidiane; la vita di coppia è in serio pericolo e viene sostituito con una convivenza di necessità.

“La fatica del caregiver nella malattia di Parkinson: uno studio con metodo misto” (Geerlings et al, 2023)

Succede inoltre, che il marito non si rende conto della fatica che affronta la moglie nell’accudirlo, dà per scontato la presenza ubiquitaria della moglie, e la gratitudine, sicuramente pensata, non viene espressa.

Tutto questo può portare ad esaurimento e burn-out, quando l’assistenza al marito diventa un lavoro a tempo pieno.

I sintomi dell’esaurimento includono tensione muscolare, sfogo emotivo, ansia, stress e depressione, che porta ad una riduzione della qualità di vita per la caregiver fino a severa depressione. E frequentemente ci si sente sbagliati ed inadeguati, aggiunge la nostra psicologa Antonella Sircana.

 

Cosa fare?

Gli autori non propongono soluzioni perché la scienza sta appena iniziando ad occuparsi del ruolo della moglie caregiver, che rappresenta una colonna fondamentale nel sistema assistenziale sanitario.

Certamente ci vorranno maggiori attenzioni da parte della comunità scientifica, degli operatori e del sistema sanitario, della società e dei politici. Ma anche da parte dei mariti.

 

Fonti bibliografiche:

Geerlings AD, Kapelle WM, Sederel CJ, Tenison E, Wjingaards-Berenbroek H, Meinders MJ. Muneke M, Ben-Shlomo Y, Bloem BR, Darweesh SKL. Caregiver burden in Parkinson’s desease: a mixed-methods study. BMC Medicine, 2023; doi.org/10.1186/s12916-023-02933-4.

Martinez-Martin P, Skorvanek M, Henriksen T, Lindvall S, Domigos J, Alobaidi A, Kandukuri PL, Chaudhari VS, Patel AB, Parra JC, Pike J, Antonini A. Impact of advanced Parkinson’s disease on caregivers: an international real-world study. Journal of Neurology, 2023; 270(4): 2162-2173

White DR, Palmieri PA. There is ‘no cure for caregiving’: the experience of women caring for husbands living with Parkinson’s disease. International Journal of Qualitative Studies on Health and Well-being, 2024; doi.org/10.1080/17482631.2024.2341989

FRECCETTE IN CASA PARK di Kai S. Paulus

Circa 15 mesi fa vi avevo presentato lo sport del “tiro a freccette” come un possibile modo per divertirsi e contemporaneamente curare la malattia di Parkinson, ma la mia Pillola del febbraio 2023 è passata quasi inosservata (vedi “ TIRO A FRECCETTE“ con il recente commento di Mariuccia che intende realizzare il gioco).

Ora, per mia grande sorpresa, la nostra Mariuccia Tortu riprende l’idea, contatta Gianmario Coghene (il nostro contatto presso l’associazione sportiva Dart Club 4 Mori di Sassari) e dopo pochi giorni ci troviamo tutti nella nostra sede tirando al bersaglio (addirittura illuminato).

Dopo una breve introduzione e spiegazione dei movimenti elementari da parte dei campioni della Dart Club 4 Mori, l’entusiasmo è davvero palpabile ed in veramente tanti vogliono subito provarci. E’ naturale che la maggior parte delle frecce finisce in destinazioni non meglio precisate (per non fare figuracce, io stesso non c’ho neanche provato), ma qualche tiro, sarà per caso o per bravura, va effettivamente a segno e riceve l’applauso della sala.

La squadra della “Dart Club 4 Mori”, con il nostro “gancio” Gianmario Coghene (in piedi secondo da sinistra)

Per conoscere meglio il gioco potete consultare la sopracitata pillola cliccando sul link “ TIRO A FRECCETTE“, mentre vorrei riservare lo spazio rimasto a disposizione alle tante foto, testimonianze di gioia e grande divertimento nella nostra Casa Park.

 

PROGETTO CASA PARK 2024 di Kai S. Paulus

Ieri pomeriggio ci siamo riuniti nella nostra Casa Park per un incontro speciale.

Abbiamo dato il via ad un nuovo progetto di riabilitazione, che possiamo definire “a 360 gradi”.

L’idea è di affrontare le varie disabilità causate dalla malattia di Parkinson in modo diverso, e cioè la partecipazione attiva e consapevole alle diverse iniziative. Diciamo che l’approccio vuole essere diverso. Sinora, medici, terapisti, musicisti hanno proposto le loro attività e tutti le hanno eseguite. In questi anni, però, si è osservato, che, nonostante tante medicine, fisioterapia, canti, balli e tanto altro, il rapace infingardo (come oramai abbiamo adottato l’espressione di G.B., vedi ” IL RAPACE INFINGARDO (alias Mr. Parkinson) di G.B.“) continua a godere di buona salute, cioè, non siamo riusciti a migliorare, a ridurre i blocchi motori, i tremori, la lentezza del movimento, l’instabilità posturale, l’insonnia, ecc.

Quindi, ci si propone, d’ora in avanti, di spiegare ancora meglio la malattia e le nostre singole attività ed esercizi. L’idea alla base del nuovo progetto è di conoscere meglio la malattia in tutti i suoi aspetti e sfaccettature, e di comprendere meglio perché si assume una determinata medicina e non l’altra, perché facciamo certi esercizi, e cosa succede esattamente quando cantiamo una canzone, quando ci muoviamo con la musica o quando compiamo un determinato esercizio ginnico.

Una migliore consapevolezza di tutto quello che si fa, come terapia e trattamento ‘contro’ il Parkinson, aiuterà nello svolgimento delle stesse attività, ma soprattutto aiuterà a raggiungere l’obiettivo, e cioè il miglioramento tangibile e sostanziale.

Il progetto non sarà limitato alle persone direttamente interessate, ma includerà anche la famiglia, i familiari, i caregiver, insomma la Portatrice sana ed il Portatore sano (vedi” IL PORTATORE SANO”,CAREGIVER?”, “IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO” ,” IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO 2“, ” TONINO E GLI ALTRI CAREGIVER “).

Per aiutarci a realizzare un progetto così ambizioso abbiamo chiesto la collaborazione ai nostri professionisti ed amici di lunga data, ma stiamo coinvolgendo anche nuove persone con confermate qualifiche nel proprio campo.

Ieri pomeriggio, quindi, abbiamo presentato “la squadra” alla nostra comunità e che qui di seguito sarà elencata:

– dott.ssa Elenia Mainiero, la nostra fisioterapia che collabora con noi già da quattro anni; ci spiegherà ancora meglio il significato degli esercizi e come servono per raggiungere i nostri obiettivi.

– dott.ssa Annalisa Mambrini, movimento e danza terapia, grande professionista con noi dal lontano 2015, unisce il movimento a corpo libero con la musica, esercizio, armonia e divertimento: impareremo cosa esattamente ci fanno questi movimenti e perché aiutano a diminuire i nostri problemi;

– maestro Fabrizio Sanna, il nostro insostituibile maestro di musica e direttore del coro di cui ci invidiano tutti “Volare si può”; la novità delle prove di coro sarà, appunto, la consapevolezza, cioè sapere perché una persona affetta da Parkinson dovrebbe cantare: per migliorare l’espressione verbale, per prevenire e/o migliorare le difficoltà nella deglutizione, e per rafforzare l’equilibrio; come vedete, tre punti importanti per cui vale la pena di azionare l’ugola; stonature saranno permesse.

Poi abbiamo le graditissime “new-entry”:

– l’operatrice olistica del benessere Laila Fara che si occuperà nello specifico di mindfulness e massoterapia. La mindfulness è una disciplina che insegna proprio la consapevolezza del proprio corpo, di ‘sentire’ le proprie emozioni, di sentire le reazioni del corpo all’ambiente e, nel caso nostro, a percepire i cambiamenti della malattia, l’effetto di un farmaco e l’efficacia di un esercizio; e poi, ci saranno i massaggi shiatsu per la decontrattura e rilassamento muscolare per correggere posture sbagliate e diminuire dolori causate da esse;

– dott.ssa Antonella Sircana, affermata psicologa, che lavorerà insieme a noi per comprendere meglio le difficoltà della persona ammalata ma anche dei familiari; e poi, ci vorrà portare al maneggio, PET therapy pura!

– dott.ssa Pina Frau, logopedista della ASL Nuoro, che ieri non poteva essere con noi per motivi di lavoro, e che sarà preziosissima per tutte le questioni riguardanti l’espressione verbale e della deglutizione; molti di noi conoscono già la sua bravura per diverse partecipazioni ai nostri convegni.

Parteciperà al nostro progetto anche l’assistente sociale della ASL Sassari, dott.ssa Elisabetta Marras, per aiutarci e guidarci attraverso la giungla burocratica di certificazioni, permessi familiari, richieste di invalidità, e quant’altro.

Il progetto, finanziato dalla Fondazione Sardegna, è sostenuto dalla nostra magnifica segreteria, rappresentata dalle insostituibili Sig.ra Caterina Sanna e Sig.ra Mariuccia Tortu, che ci assisteranno in questo percorso e, quando necessario, ci riporteranno con i piedi per terra.

Purtroppo non poteva assistere alla riunione la nostra presidente Dora Corveddu, alla quale va il nostro cordiale augurio di poter presto riunirsi a noi.

Che dire? Che l’avventura abbia inizio!

L’avventura verso il miglioramento della salute di tutti noi!

LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1 di Kai S. Paulus

(Pillola n. 69)

 

Nei precedenti capitoli ( vedi “ LA BELLEZZA“, e “ I BRIVIDI“) abbiamo cercato di definire meglio cosa intendiamo per bellezza e cosa succede al nostro corpo quando percepiamo qualcosa di piacevole, come i brividi. Abbiamo conosciuto l’emergente ramo della scienza, la neuroestetica, che studia l’influenza del bello sul nostro cervello e quindi sul nostro comportamento.

La neuroestetica rappresenta un potenzialmente importante strumento per studiare, comprendere e trattare la malattia di Parkinson.

Parlare di bellezza nel contesto del Parkinson può davvero apparire contraddittorio e addirittura oltraggioso, ma invece l’apprezzamento del bello potrà diventare una grande opportunità in termini di modificazione del decorso e cura della malattia, di miglioramento della qualità di vita, e verosimilmente anche in termini di prevenzione.

Ricordiamo brevemente i punti essenziali della malattia di Parkinson: malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita di neuroni dopaminergici dei circuiti cerebrali responsabili della preparazione e della selezione del movimento, che, per funzionare, utilizzano appunto la dopamina. La perdita di questi circuiti ‘a dopamina’ porta ad un ampio spettro di sintomi motori (rallentamento, rigidità, tremore, instabilità posturale, ecc.) e non motori (ansia, depressione, insonnia, dolore, stitichezza, ecc.).

Il circuito cerebrale della ricompensa e della gratificazione. VTA=area tegmentale ventrale, SNc=sostanza nera parte compatta. (modificato da Valerio Manippa 2019)

Ora seguitemi attentamente:

Il danno dei circuiti dopaminergici inizia nella sostanza nera compatta, SNc, collegata ai nuclei basali putamen e nucleo pallido la cui disfunzione causa i noti sintomi parkinsoniani (vedi sopra). La stessa sostanza nera, SNc, è collegata anche all’area tegmentale ventrale, VTA, che a sua volta proietta vie dopaminergiche verso

  1. a) il sistema mesolimbico (emotivo) fino al nucleo accumbens, ACC, coinvolto nella motivazione, gratificazione ed apprendimento;
  2. b) l’ippocampo, crocevia della memoria, della modulazione emotiva e del guadagno gratificante;
  3. c) la corteccia cerebrale prefrontale e orbitofrontale, regioni importanti per le capacità motivazionali e l’elaborazione della gratificazione ottenuta; la corteccia prefrontale, in particolare, è correlata alle funzioni esecutive ed alle capacità di giudizio.

Potete immaginare cosa succede ad un individuo se questi sistemi non funzionano bene?

Ed è esattamente ciò che accade nel Parkinson, a causa della riduzione di dopamina: oltre ai noti sintomi motori e fisici, si osserva perdita di motivazione, apatia, difficoltà nell’apprendimento, nella pianificazione di movimenti e di pensieri, carenza di gratificazioni, con il risultato di un generale appiattimento emotivo e sofferenza dell’anima.

(segue con ” LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2“)

Qui ho cercato di sintetizzare l’effetto delle emozioni positive sul cervello; spiegazioni in “La Bellezza ed il Parkinson 1 e 2”.