Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

Sono li con voi, la lavanda, le emozioni. Testo di Egle Farris


Ph. Lorella Luche

Il viola appassionato ed avvincente é nato un giorno di primavera in un campo di lavanda.

Deve aver cercato a lungo un luogo come questo dove i filari vanno dritti verso l’orizzonte come se fossero invitati a un ballo con l’infinito.

L’aria é impregnata di lavanda. Solo profumo di lavanda e vento, che se ne porta altri della nostra Sardegna.

Mi piace pensare che se l’amore avesse un profumo sarebbe quello dei campi di lavanda che impregna l’aria al sorgere del sole donando ai filari, accarezzati ai raggi, mille sfumature di colore.

Sarei voluta essere li con voi e camminare su una strada costeggiata da campi di lavanda.

Dicono che gli steli di quei fiori siano così alti che i prati dove crescono sembrano una distesa blu-viola come l’oceano.

da una finestra avrei voluto scorgere i campi di lavanda: lillà, violetti,celesti, azzurri.

Guardarli e annusarli sarebbe stata la felicità.

In Provenza nasce la leggenda della Fata Lavandula che i suoi occhi blu e le sue lacrime piene di tristezza diede origine ai fiori di lavanda. Questa leggenda é legata al paese di Velensole, dove a luglio si svolge proprio la festa della lavanda; qui si narra che la Fata Lavandula, dagli occhi azzurri e i capelli biondissimi, nata fra le lande selvagge della montagna di Lure, un giorno decise di cambiare vita e di cercare un nuovo posto da abitare. Prendendo un librodi paesaggi vide le valli della Provenza che in quell’epoca erano aride e brulle, senza vita, cos^ la fata, presa dallo sconforto si mise a piangere e le sue lacrime macchiarono di blu le pagine del libro; per rimediare al danno fatto Lavandula prese un pezzo di cielo e lo stese sulle lande desolate della Provenza e da allora su quelle terre deserte iniziarono a nascere ricche distese di fiori blu, e si dice anche che le ragazze bionde nate in quelle terre abbiano anch’esse negli occhi il color della lavanda.

E poiché molte leggende le attribuiscono un messaggio particolare, ossia “il tuo ricordo é la mia unica felicità”, regalare quindi una pianta o un rametto di lavanda potrebbe nascondere un messaggio di amore o di sincera amicizia, o mettere in luce un legame molto profondo.

Fiore messaggero di amore, di amicizia, di diletto, mi commuovi ed incanti col tuo leggero profumo che permane per tantissimo tempo e col tuo splendido colore.

In una distesa di lavanda vorrei fare bracciate di meraviglia.

Una signora col rossetto a tutte le amiche ed amici.


 

Photo Riola Sardo “La lavanda di Elvio”

La prima gita sociale dopo la pandemia:

Riola Sardo “La lavanda di Elvio” 25 giugno 2021

Relazione del Presidente 2018-2021 Giugno 2021

Attraversare gli avvenimenti di questi ultimi tre anni sarebbe stato normale se a complicare le attività e i progetti della nostra associazione non fosse intervenuto in maniera subdola ed imprevedibile il Covid 19 che ha mandato all’aria tutte le programmazioni possibili. Non possiamo non ricordare con un brivido la nostra ultima assemblea del 28 febbraio 2020, tutti assiepati, ignari, in casa Park, mentre la pandemia aveva già cominciato a mietere vittime. Ignari anche del fatto che Sassari si sarebbe rivelata una delle città più colpite.

La nostra reazione è stata una sorta di resilienza inconscia ma spontanea, perché ci siamo adattati alle esigenze connesse all’emergenza. E abbiamo ricominciato a “macinare” attività con modalità del tutto inimmaginabili sino ad allora.  E allora sono nate le videoconferenze, le piattaforme, i link, tutti termini sconosciuti alla maggior parte di noi semianalfabeti informatici.           Ma ritornando a prima della Pandemia alcuni fatti meritano considerazione e commenti.

Innanzitutto, il racconto di un sogno a lungo accarezzato: l’istituzione di un ambulatorio dedicato al Parkinson con un neurologo di riferimento, e il godimento di uno spazio, ancorché piccolo, in cui poterci incontrare e allocare i nostri documenti sempre sparsi un po’ dappertutto.  La cerimonia di inaugurazione di Casa PARK è avvenuta il 13 ottobre 2018 in una atmosfera di grande commozione ed emozione.  Anno 2018 dunque; un anno che per tanti altri aspetti avevamo già definito memorabile.  Infatti, grazie alle nostre battaglie, sostenute dalla stampa e dai media, in seguito alla chiusura dell’ambulatorio Park presso la Clinica Neurologica, il 1° aprile 2018 i Dirigenti della Sanità regionale, dott. Fulvio Moirano e dott. Antonio D’Urso, rispettivamente Direttore Generale della ATS Sardegna e della AOU Sassari, firmano una Convenzione provvisoria di tre mesi con la quale ha inizio l’attività di un nuovo ambulatorio dedicato alla Malattia di Parkinson e ai Disordini del Movimento.  Alla scadenza la convenzione verrà rinnovata per un anno e poi regolarmente confermata sino ad oggi nonostante qualche piccolo incidente di percorso.  L’organizzazione e la guida dell’ambulatorio è stata affidata al dott. Paulus che tuttora ci garantisce la sua preziosa presenza. Qualche tempo prima, un convegno organizzato dall’ Istituto di Radiologia Molecolare, aveva rappresentato l’occasione propizia per avviare tutta una serie di incontri con i Dirigenti Regionali della Sanità che poi hanno trovato l’epilogo nella creazione dell’ambulatorio Parkinson di cui si parlerà più avanti.

Abbiamo praticato settimanalmente le lezioni di fisioterapia che l’inossidabile Pinuccia Sanna ci ha garantito con la passione e professionalità di sempre.  Chi, invece, non ha potuto praticare le sue lezioni di ballo è stata Annalisa Mambrini bloccata a lungo da un brutto incidente. Regolari e molto gradite sono state le lezioni di coro diretto dal maestro di Fabrizio Sanna.

 Il 18 maggio abbiamo partecipato a Oristano a un indimenticabile incontro con i gruppi Parkinson della Sardegna in occasione della Giornata Mondiale del Parkinson. Il 24 novembre 2018 nella sala Angioj della Provincia abbiamo celebrato il nostro 12° Convegno Parkinson. Ha partecipato anche il sindaco Nicola Sanna.

Il 2018 si conclude col botto: il dott. Paulus ci informa di un importante successo personale dal punto di vista clinico-farmacologico: è nelle condizioni ottimali per praticare in ambulatorio una terapia specifica che in precedenza si praticava soltanto in regime di ricovero (l’applicazione della pompa d’infusione sottocutanea continua del farmaco anti-Parkinson apomorfina)

Intanto l’anno sociale 2019 si conclude con due deliberazioni adottate rispettivamente da AOU e ATS attraverso le quali l’ambulatorio dedicato ai disturbi del movimento diventa da provvisorio definitivo.  La Sanità in generale, intanto, manifesta sempre maggiori difficoltà che si riflettono negativamente sul nostro servizio ambulatoriale, ridotto a quattro giorni alla settimana. La vita dell’ambulatorio non è stata né facile né lineare ma per noi la sua sopravvivenza era, ed è, di vitale importanza, e per affrontare scorrettezze talvolta anche pesanti ci è tornato di grande aiuto il sostegno puntuale e non allineato della stampa.

Tuttavia, il passaggio all’ATS ci permette di siglare una convenzione con l’Università degli Studi di Sassari, che potrà consentire al nostro eco-sistema di beneficiare di notevoli vantaggi, come l’organizzazione di un corso multidisciplinare (cioè “Master Universitario di I° livello”) per formare operatori sanitari da destinare all’assistenza dei malati di Parkinson.

Non sempre risulta positivo il bilancio relativo alle attività complementari, perché spesso la scuola che ci ospita è costretta a negarci gli spazi per esigenze interne: il danno verrà completato successivamente dal corona-virus.  In compenso ciò che non siamo riusciti più a fare al chiuso l’abbiamo fatto all’aperto utilizzando proficuamente il parco alberato di Via Venezia.

Anche nel 2019 si sono realizzati eventi significativi: degno di nota è stato “L’incontro intergenerazionale” che ci ha visto impegnati in attività ludiche con i bambini della Scuola Elementare della Fondazione Figlie di Maria e con i ragazzi della Scuola Media n°3 con i quali, guidati dai loro insegnanti di musica e dal nostro maestro Fabrizio Sanna, abbiamo eseguito un Concerto bellissimo in un Teatro Civico strapieno.  Sempre guidati dal nostro maestro, ci siamo esibiti in diverse occasioni pubbliche, con riscontri positivi per la nostra associazione. Molto interessante, il convegno celebrato ad Alghero il 21 settembre 2019 intitolato “La Signora Parkinson”. E’ stata la prima volta che un’associazione Parkinson affrontava la malattia declinata al femminile, ed è stato un evento coinvolgente e di grande impatto emotivo.

In un elenco sommario, possiamo ricordare il 13°Convegno sul Parkinson del 29 novembre 2019, che ha approfondito l’argomento “Il riposo notturno nella malattia di Parkinson” reso più fruibile e gradevole, nonostante la complessità della tematica trattata, dalla semplicità di esposizione dei due relatori Prof.Pier Andrea Serra e prof. Piero Pirina.

Il riconoscimento di personaggio dell’anno è stato attribuito alla decana Josè Mosca recentemente scomparsa.

Nel dicembre 2019 si è insediata la Commissione Disabilità del Comune di Sassari, di cui fa parte un rappresentante della nostra Associazione.

Nel corso del 2019 abbiamo effettuato viaggi di istruzione e socializzazione a Tramariglio, con visita del laboratorio dell’artista Elio Pulli, alla Casa delle Farfalle di Olmedo (in tale occasione si è associato al nostro coro a sorpresa il presentatore televisivo Max Giusti) oltre a un discreto numero di varie altre volte in cui ci siamo riuniti in festosi incontri conviviali, accompagnati sempre da movimentati balli “d’epoca” contorno ideale come terapia di movimento.

Indimenticabile, il 18 dicembre 2019, l’incontro con i giocatori della Dinamo con i quali è stato emozionante scambiare i rispettivi gagliardetti. Lo scambio, molto cordiale, è avvenuto col capitano della squadra Jack De Vecchi, il quale con una battuta scherzosa, ha detto che la nostra presenza aveva portato fortuna alla squadra che quel giorno aveva riportato una bella vittoria.

Abbiamo provato a riprendere l’attività teatrale con l’artista e regista Teresa Soro, ma ormai, sotto l’impero del Corona virus, qualsiasi iniziativa viene disturbata o impedita. Ma con la verisimile possibilità di incontri in presenza anche questa attività, fondamentale nella nostra terapia complementare, sarà ripresa il più presto possibile.

Da un po’ di tempo non abbiamo ripreso nella dovuta considerazione l’idea di fare un libro che è già pronto nel nostro sito.  Aspetta solo di essere ripercorso e catalogato secondo i criteri che saranno scelti.  Speriamo che quanto prima qualcuno si faccia rapire dall’idea non nuova del libro.

A questo punto, per mancanza di tempo, mi limiterò ad elencare  alcuni fra gli eventi più significativi:

-nel 2019, per una favorevole coincidenza, abbiamo potuto beneficiare di entrate importanti sia per donazioni fatte da privati, sia perché ci sono state erogate pressoché in un’unica soluzione le provenienze del 5 per mille relative a tre annate sociali.

-particolare emozione ha prodotto l’incontro col gruppo di solidarietà “My Angel Win” che oltre ad aver creato un’intensa atmosfera di calore umano ci ha donato un’offerta da utilizzare in lezioni di canto; la felice battuta da loro coniata era: cantiamogliene quattro al Parkinson. (15.novembre 2020)

-altro momento di grande impatto a livello di immagine è stato rappresentato dalla partecipazione alla Notte Europea dei Ricercatori (novembre 2020) in videoconferenza.  Noi piccola Associazione, grazie alla sponsorizzazione garantitaci dall’Università di Sassari abbiamo potuto partecipare all’evento Europeo assieme a Istituzioni di ben altra portata come l’Università di Sassari. E siamo già stati invitati a partecipare alla nuova edizione programmata per fine settembre 2021. Questo legame culturale con l’Università è stato possibile in virtù della stipula di un Protocollo di Intesa che permette alla nostra Associazione di partecipare a una miriade di iniziative con ricadute positive di portata oggi inimmaginabile;

– conseguentemente ha sponsorizzato la nostra partecipazione all’evento che ci ha consentito di presentare in ambito europeo un nostro progetto PDTA.

La firma sul Protocollo di Intesa è stata apposta in modalità P.E.C-

il 23 Giugno 2020 dal Rettore dell’Università degli Studi di Sassari prof: Massimo Carpinelli, e il 26 Giugno 2020 dal prof. Francesco Simula presidente dell’Associazione Parkinson Sassari ONLUS

-il Corona Virus ha impedito che venisse celebrata in forma solenne, come era stata programmata, l’apposizione delle firme nell’Aula Magna dell’Università.

-lo stesso documento ci ha permesso di dare un contributo attivo, mediante la risposta a questionari specifici, al conseguimento di tre lauree, due riguardanti il tema alimentazione e la terza concernente l’argomento più impegnativo del dolore nella malattia del Parkinson.

-11 aprile 2021: partecipazione alla Giornata Mondiale della malattia di Parkinson insieme alla Associazione Giovani Parkinsoniani Italiani e quella Internazionale (sempre in videoconferenza).

E’ degno e doveroso di particolare menzione il contributo concreto e continuativo che ci è stato garantito per almeno quattro anni dalla Fondazione di Sardegna consentendoci in tal modo l’acquisto di fondamentali strumenti di lavoro.

-Estate 2021: sta per iniziare il progetto “Parkinson Trekking” con particolare attenzione alle difficoltà motorie e blocchi motori come il Freezing, in collaborazione con l’Università di Sassari ed il corso di laurea di Scienze Motorie della dott.ssa Lucia Cugusi, ed il Centro Sportivo Universitario sassarese.

Concludo la mia relazione tralasciando di trattare molti argomenti e fatti degni di considerazione e riflessione. Non voglio dimenticare, però, di esprimere un pensiero di malinconica tristezza verso coloro che in questi cinque anni ci hanno accompagnato per un tratto di strada e poi son volati più in alto del sole.

Infine, vorrei esprimere i sensi del mio più vivo e riconoscente ringraziamento innanzi tutto ai membri del Direttivo con i quali è stato possibile operare in sintonia e comunione di intenti e ottenere risultati impensabili il 28 Giugno 2016.  I ringraziamenti vanno estesi a tutti coloro che ci hanno sostenuto e aiutato in questi cinque anni che sono stati certo anche anni di difficoltà ma soprattutto anni in cui l’Associazione ha compiuto grandi progressi sia umani che sociali segnalandosi all’attenzione della società come Associazione propositiva, attiva e realizzativa. Non posso e non possiamo tutti insieme sottrarci dal ringraziare il dott. Paulus che è stato l’ideatore, l’animatore e il sostenitore entusiasta e appassionato di quello che l’Associazione è.       Grazie dott. Paulus medico del corpo e spesso anche dell’anima.

   Grazie a ciascuno e a tutti.

      Sassari, sala dei VV.UU. 22 Giugno 2021

                                                      IL PRESIDENTE

                                                        Franco Simula

La bottega dei desideri – Testo di Egle Farris


Per me che venivo da un piccolo paese ,dove esisteva un solo emporio  con tre portoni, di cui due eternamente chiusi e senza vetrine e che vendeva indifferentemente zappe e zucchero  in zolle irregolari, conservato in grossi sacchi di juta, che te ne trovavi sempre un filo tra i denti, scampoli e concimi, chiodi e bottoni, lana e damigiane, vedere quella piccola vetrina ed innamorarmene fu tutt’uno.  Faceva angolo tra la piazza e via Università e dovevi piuttosto indovinare cosa c’era dietro quei vetri opachi ,dove la polvere regnava sovrana e tiranna .  Ma dentro, ah, dentro trovavi bocce di vetro piene di girelle ,radici e more e nastrini di liquirizia, ciucci collosi e gelati di zucchero dai colori improbabili, bracciali e collane di corallini confettati e amabili ,mentine iridate e gomme americane dalle forme  sferiche ,stirate e arrotolate .  E i fruttini cotognata Zuegg ( dove sono finiti ?) e i minuscoli biberon ripieni di un finto rosolio e i morettini  dal cuore che sapeva di panna e ricoperti di un croccante, impareggiabile cioccolato, che era un piacere soave scrocchiarlo coi denti,  nascosti silenziosamente dietro una tenda, e i cremini Ferrero che si scioglievano in bocca .  Il tutto in una folle mescola con il lievito e l’ovolina Bertolini,  l’Idrolitina e lo sciroppo Fabbri ,rigorosamente gusto amarena. E quando  entravo e trovavo qualcuno che comprava concentrato di pomodoro versato col mestolo di legno dai bordi sempre neri , sulla carta oleata  e i capelli d’angelo a matassine, tirati su da un oscuro cassetto e si attardava a scegliere altra pasta da quei tiretti dalle maniglie a forma di conchiglia  e tre etti di zucchero ed uno di caffè, mi pareva di perdere tempo ad aspettare il conto rigorosamente scritto sulla carta da involto con una matita sempre bagnata con la saliva, perchè attardava  il momento di assaggiare  delizie, che nella mia testolina di bambina ingenua e fantasiosa mi dicevano “prendimi, prendimi ” e non potessero aspettare e pensavo ancora fossero loro che potevano aprirmi  la porta a quelli che allora mi sembravano sapori paradisiaci, adesso così irrimediabilmente lontani e dimenticati. Ed inaspettatamente  riportati al mio tempo attuale solo da una passeggiata in una notte troppo tiepida e solitaria ed  uno sguardo nostalgico a quell’angolo che, nella penombra, era rimasto intatto ed incontaminato come allora.

La signora col rossetto                                                       Egle Farris


Divino Geminiano – Testo di Franco Simula


Si accomodi il signor Di-vino
Dopo un attimo di titubanza capisco l’equivoco anzi la…profonda confusione mentale dell’infermiere che aveva l’incarico di chiamare i pazienti in attesa nell’androne affollato dell’ospedale. Giuseppina che era più vicina di me all’incaricato della “chiama”, capisce tutto in un attimo e, agitando la mano, “Geminià ti stanno chiamando per la visita”.

Io rispondo: “Presente” ma subito aggiungo: “Io, però, non mi chiamo Di-Vino, mi chiamo Bevitori” L’infermiere, magari un po’ suonato, che certamente voleva far lo spiritoso e aveva affibbiato a Geminiano l’appellativo di Divino avrà fatto un ragionamento semplice semplice che chiunque avrebbe potuto fare. Quando nell’elenco ha letto “Bevitori”, l’allocco infermiere ha operato una sua personale e repentina associazione di idee “Bevitori di che cosa se non di vino”? E Di-Vino sia! ” Allora è presente Divino Geminiano?”

“Ma che dice? Mi chiamo Bevitori non mi chiamo Divino”.

La cervellotica gaffe suonava musicalmente bene tanto che la memoria distratta dell’infermiere l’aveva registrata immediatamente: Bevitori=Di-Vino. L’incauto infermiere ridacchiando insisteva su questa sua geniale spiritosaggine aspettando il consenso divertito degli astanti. Per lui, infatti, Divino oltre ad essere il nuovo cognome di Geminiano era certamente un appellativo più consono, più solenne, più esaltante, più dio.

Bevitori altro non è che il plurale di bevitore che sa troppo di taverna e di beoni. Divino invece è il massimo dell’aspirazione di ogni uomo, è l’umanità esaltata alla ricerca della perfezione più alta.

Non si sa bene se il malaccorto infermiere abbia pensato tutte queste cose: coscientemente o no. Sta di fatto che Geminiano è salito agli onori della cronaca amicale (questo proprio sì) grazie alla pedestre sbadataggine di un infermiere che – inconsapevolmente – per una balzana connessione mentale ha collocato Geminiano fra le divinità dell’Olimpo di recente, infermieristica, costituzione.


 

In memoria di José Mosca – Testo di Franco Simula


Lunedi 17 Maggio 2021 é stata celebrata la messa funebre in suffragio di José Mosca. La cerimonia, intima, intensa, commovente, ha segnato il momento di massimo coinvolgimento emotivo quando Fabrizio Sanna, maestro del coro Parkinson, del coro cui José apparteneva, ha intonato il cantico “Fratello sole sorella luna”e poi l’Ave Maria in sardo.
Al maestro ha fatto eco timidamente un coro sommesso dei presenti al quale “da più in alto del sole” si é unita anche Lei, José che tanto amava cantare. Per Lei il canto era vita, anche se vita sofferta. Gli incontri per canto corale li tenevamo in un androne della Scuola Elementare di Santa Maria, Quando José arrivava le chiedevo come stava e la sua risposta era di generica insofferenza, offuscata da un velo di tristezza. Io cercavo di rincuorarla: “Vedrai che dopo il canto starai meglio” E puntualmente dopo il canto l’umore era completamente cambiato: era rinfrancata, sorridente,gioiosa.Io amavo definire questa condizione “ una malinconia solare”.
Le figlie Anna Maria e Luigina ricordano che era una combattente. Ed effettivamente palesava, nitida, la tempra della battagliera decisa ad ottenere le cose che riteneva giuste e di pubblica utilità. Nessuno di noi potrà dimenticare la battaglia combattuta in solitaria da José per ottenere dal Comune la riqualificazione e il riordino dell’attuale piazza Mons. Carta nel rione Carbonazzi. Adesso é diventato un giardino dignitoso e pulito. Ma ci son voluti quindici anni di attesa. Che José ha voluto puntigliosamente ricordare scrivendo un’altra lettera alla Nuova Sardegna.
Due anni fa, durante il ricorrente convegno organizzato in occasione della Giornata nazionale del Parkinson l’Associazione di Sassari ha voluto conferire il riconoscimento di Donna dell’anno alla 92enne dolce, battagliera José.

Paolino – Testo di Franco Simula


1° Ottobre 1942

1° Ottobre 1942, primo giorno di scuola. Una di quelle calde giornate di inizio autunno che ti fanno sognare ancora giochi fantastici nelle strade e nelle piazze di paese ancora occupate da lenzuoli ricoperti di uva, fichi, sorbe, posti a seccare prima di diventare regalo desiderato nelle “cerche” per i morti; noi ragazzi di prima elementare– ancora tutti spaesati- dovevamo andare a rinchiuderci a scuola.

Eravamo in 36 in quella prima classe guidata da una maestra alta alta, per noi bambini piccoli piccoli e frastornati. Nell’atrio della scuola nessuno sapeva che fare, nessuno sapeva dove andare anche perché eravamo controllati e minacciati a vista da “tiu Giuanne su bidellu” che pur avendo una protesi di legno alla gamba destra, ci teneva tutti a bada con una voce minacciosa che ci metteva paura, brandendo di lontano il suo nodoso bastone peraltro mai usato.

Anche Paolino, che abitava vicino a una delle piazze del paese più frequentate da noi ragazzi, aveva risposto “presente” con allegria all’appello della maestra, mostrando tutta la vivacità che un bambino di sei anni sa sprigionare.

L’appello si era concluso senza i problemi che, a nostra insaputa, avevano colpito alcuni nostri coetanei che, in altre parti d’Italia, erano stati allontanati dalla scuola o danneggiati dalle leggi razziali emanate dal governo fascista sin dal 1938 . Noi non sapevamo niente di tutte queste cose che capitavano a molti chilometri dalla periferia del nostro paese.

Soldati tedeschi nell’atto di rimuovere la sbarra di confine, alla frontiera tra la Germania e la Polonia, il 1º settembre 1939

Così come non sapevamo che nel 1939 la Germania aveva invaso la Polonia e che alle proteste formali di Inghilterra e Francia la Germania aveva reagito invadendo quest’ultima e addirittura occupando Parigi. I travolgenti successi nazisti avevano spinto Mussolini ad allearsi con Hitler e a entrare in guerra contro Francia e Inghilterra per non rimanere escluso dai possibili vantaggi di una vittoria ormai ritenuta imminente.

Dopo un esordio abbastanza favorevole, l’impresa militare italiana contro i paesi alleati da qualche tempo cominciava a registrare qualche insuccesso. Le brillanti e inarrestabili operazioni della prima sorprendente fase di guerra che sembravano dover assegnare una vittoria repentina all’esercito tedesco, col quale il Governo italiano aveva stretto un’alleanza, erano state riequilibrate da una inevitabile azione di resistenza che andava gradualmente organizzandosi in varie parti d’Europa. Nonostante la disfatta subita in Grecia, la sconfitta patita fra le dune del deserto ad El-Alamein e la penosa odissea dei soldati italiani in Russia, la propaganda fascista continuava a prospettare come vicinissima ormai la fine della guerra con una scontata vittoria della Germania e dell’Italia.

In questa Italia ormai già concretamente provata dalla mancanza di viveri e di altri beni di prima necessità che scarseggiavano sempre di più, nell’anno scolastico 1942-43 noi bambini di sei anni fummo chiamati a frequentare la prima classe elementare. Si, fummo chiamati; come i militari alla guerra. Perché la cultura, e più specificamente la cultura fascista, faceva parte di quel complesso di doveri civici che il cittadino fascista sin da bambino doveva imparare ad osservare.

Ma queste cose noi non le sapevamo; erano troppo grandi per noi e forse troppo grandi anche per le nostre maestre che non ci parlavano assolutamente di leggi razziali o di guerra; tutt’al più le maestre chiedevano agli alunni se qualcuna delle loro mamme aveva delle uova o dell’olio da vendere: la guerra faceva sentire i suoi effetti anche nei nostri paesi ma soprattutto in città da dove le nostre insegnanti provenivano.

A scuola avevamo cominciato a fare le aste e i cerchietti.

Giuseppe era molto bravo, era capace di allineare le aste-tutte dritte- con una precisione che solo un bambino esperto, attento ed intelligente sapeva fare; Lino, un po’ svogliato, riusciva a riempire solo mezza paginetta in una mattinata; Paolino qualche giorno lavorava di buona lena, qualche altro giorno si lasciava prendere dalla malinconia, faceva poche aste e pochi cerchietti e poi si sbizzarriva a disegnare tante case e tanti soli: le case illuminate da soli grandi grandi lo affascinavano in maniera irresistibile. Ma la maestra lo richiamava alla composizione di aste e cerchietti che erano la base delle future letterine dell’alfabeto: e Paolino obbediva docilmente e ricominciava a tracciare aste e a comporre cerchietti il più rotondi possibile. Pasquale invece non ne azzeccava proprio una: le sue aste erano tutte storte, sembrava che le indicazioni impartite dalla maestra producessero risultati completamente opposti, anche i cerchietti sembravano corallini dalle forme più svariate messi insieme per formare strani mosaici di cui solo lui conosceva l’arcana ispirazione e il misterioso significato perché un significato ce l’avevano. Giovanni si presentava un po’ timido e indifeso,introverso e di poche parole anche perché di parole diverse dalla lingua sarda ne conosceva proprio poche.

Noi non sapevamo, ma la guerra continuava con le sue distruzioni e le sue stragi; i tedeschi -sostenuti dagli alleati italiani-stavano conseguendo significativi successi nella loro “campagna di Russia”: dopo un’avanzata non priva di ostacoli ma comunque inarrestabile arrivarono alle porte di Stalingrado e si apprestavano già a occuparla quando i sovietici opposero una disperata e lunga ma valorosa resistenza.

La maestra, a ottobre inoltrato,cominciò a farci scrivere le prime letterine dell’alfabeto: dopo l’esercizio prolungato con aste e cerchietti, non era possibile rimandare all’infinito le esercitazioni sulle lettere dell’alfabeto e anche se il lavoro diventava sempre più difficile occorreva imparare a ricopiare dalla lavagna ciò che la maestra di giorno in giorno ci proponeva: prima le vocali e poi ad una ad una le consonanti dalle più semplici alle più difficili come se per noi bambini esistessero consonanti più facili e la trascrizione di quelle letterine non fosse sempre una fatica improba. Non tutti gli alunni riuscivamo a imparare negli stessi tempi: c’era chi aveva già imparato a scrivere tutte le letterine e chi ancora annaspava con fatica fra aste e cerchietti.

Intanto si instauravano le prime amicizie non più solo con i compagni di strada ma anche con ragazzi che provenivano dalle parti più lontane del paese. Un giorno due squadre di ragazzi decidemmo di incontrarci in Piazza Tola (era la piazza dove si svolgeva il mercatino del martedì che già da allora era sistemata con mattonelle quadrate) per sfidarci a Italia-Francia, un gioco che praticavamo con molta frequenza da bambini. Non occorrevano attrezzi particolari:bastavano buone gambe e grande agilità nella corsa. Si divideva la piazza in due parti uguali usando la pipì per fare la linea di demarcazione. Il gioco era semplice:si formavano due squadre ciascuna con una bandiera che veniva fissata nella parte più lontana dalla linea mediana e i ragazzi delle due squadre avversarie vincevano se riuscivano a prendere la bandiera della squadra nemica e riportarla nel proprio campo. Se nell’azione di conquista della bandiera avversaria si veniva acchiappati da un ragazzo dell’altra squadra si rimaneva prigionieri sino a quando non arrivava la liberazione da un compagno della propria squadra.

La sera imbruniva troppo presto e il pensiero correva immediatamente alla scuola. O meglio: alle aste, ai cerchietti,alle letterine dell’alfabeto ai numeri. Mai che le maestre ci parlassero della guerra. Se non nei termini che la propaganda del regime imponeva. E cioè informandoci in maniera molto superficiale e approssimativa sulle azioni di guerra che andavano bene per l’Italia e soprattutto sul valore degli italiani che si stavano comportando da eroi. Eppure gli effetti di questo doloroso evento che interessava tutti direttamente o indirettamente li pativamo anche noi bambini, perché tutti ci rendevamo conto di persona che scarseggiavano i viveri, che molti dei nostri padri o dei nostri zii erano partiti per la guerra. Improvvisamente un giorno cominciammo a sentire l’urlo delle sirene:prima con cadenza sporadica ma col passare delle settimane sempre con maggior frequenza. Il suono particolare delle sirene veniva diffuso da più altoparlanti sistemati in punti strategici del paese: per i militari significava che dovevano correre alle armi, per i civili la sirena era il segnale che suggeriva di raggiungere velocemente il rifugio più vicino:spesso ci si rannicchiava negli scantinati nella convinzione che sotto il livello della strada la sicurezza fosse maggiore. Ogni volta sentivamo un tuffo al cuore per la paura che capitasse la cosa più banale e verosimile: e cioè che le bombe degli aerei rombanti nel cielo distruggessero le nostre case; erano soprattutto le angosce dei nostri genitori a trasferire su di noi paure che la nostra età dell’incoscienza non ci avrebbe mai fatto provare.

La prima battaglia di El Alamein

Noi faticavamo nell’apprendere lettere e numeri mentre alcuni nostri compaesani chiamati alle armi subivano una cocente disfatta fra le dune del deserto a El-Alamein. Qualcuno dei compagni di scuola riferiva episodi di guerra raccontati nelle lettere provenienti dai campi di battaglia. Un giorno Giovanni ci raccontò -molto scosso e parlando in sardo per non perdere il filo del discorso- che un suo zio era stato ferito a una gamba, in maniera non grave, proprio nella sanguinosa battaglia di El-Alamein, ci disse inoltre che forse lo avrebbero rimandato a casa per un periodo di convalescenza.

Anche in Russia le azioni militari non andavano più tanto bene e stavolta le notizie di prima mano ci vennero date dalla maestra: ci raccontò che un suo cugino partito per la Russia aveva avuto un piede congelato e che non sapeva se sarebbe riuscito a ricuperarlo:era molto probabile un’amputazione dell’arto. Questa notizia la maestra l’aveva appresa dal cappellano militare che l’aveva riferita al parroco del paese. I soldati infatti non potevano raccontare direttamente ai familiari episodi che in qualche modo mettessero in cattiva luce l’operato del Regime. Stavolta, e finalmente, la scuola si era tolta di dosso l’orpello della propaganda e aveva raccontato un brandello di verità sui tragici fatti che stavano avviluppando l’Italia,l’Europa e il mondo intero.

Ma noi avevamo la nostra piccola grande missione da compiere: imparare a leggere, scrivere e far di conto. Anche perché se la guerra fosse continuata avremmo dovuto leggere le lettere dal fronte alle vecchie nonne analfabete desiderose di conoscere le notizie dei loro figli in guerra.

Figli della lupa

Una mattina la maestra ci annunciò che entro qualche giorno avremmo dovuto “ritirare” le divise di “Figli della lupa” per partecipare a una manifestazione in piazza Umberto. Il 4 Novembre,anniversario della vittoria,alla presenza delle autorità più rappresentative del paese il Podestà,il Segretario del PNF, il Direttore Didattico, il Maresciallo,si tenne una parata solenne come non avevamo mai visto nel paese; assomigliava molto a una delle tante esercitazioni militari che regolarmente si svolgevano nella stessa piazza: ci allinearono in fila per cinque,ci fecero marciare come maldestramente riuscivamo a fare e poi – dopo aver risposto ai discorsi del podestà col saluto fascista- ci lasciarono liberi di muoverci autonomamente. Ma le nostre reazioni furono le più strane: chi correva agitando il pomponcino che pendeva dal berretto,chi piangeva “perduto” in mezzo alla folla cercando la propria madre, chi si agitava e gridava impazzito dalla gioia,chi era rimasto impietrito in mezzo alla piazza in attesa di qualcuno che lo riportasse a scuola. La maestra si era attardata a conversare con le autorità e a programmare future manifestazioni. Poi, ci radunò al centro della piazza e in fila per due, ci fece rientrare a scuola.

Verso Natale i ragazzi che avevano dimostrato più propensione alla proposta della scuola cominciavano già a ricopiare e comporre le prime sillabe mentre ancora parecchi compagni facevano fatica con aste e cerchietti o con le letterine da ripetere per pagine intere.

Si profilavano ormai due o tre gruppi di abilità differenziate riuniti in un’unica classe. D’altronde era un fenomeno inevitabile dal momento che le provenienze degli alunni erano le più differenti:

c’erano bambini provenienti da famiglie povere e deprivate che non avevano avuto l’opportunità di esercitare in nessun modo una manualità fine, preliminare all’uso della matita prima e in seguito della penna . C’erano invece degli alunni i cui genitori erano più “acculturati” o più coscienti dell’importanza della scuola, avevano già insegnato ai propri figli a impugnare correttamente una matita e a tracciare le prime aste. Non bisogna dimenticare infatti che per i primi tre o quattro mesi di scuola per la scrittura di aste e lettere si faceva uso esclusivo della matita per esercitare la mano (solo la destra naturalmente: i mancini dovevano seguire una rigorosa autocensura) prima di passare all’uso della penna con l’inchiostro che spesso era la causa di macchie involontarie e scarabocchi legati all’inesperienza ma che tuttavia non ci impedivano di prendere le punizioni previste per i distratti e i pasticcioni.

Alle fatiche della scuola noi ragazzi cercavamo di alternare i giochi più frequenti della nostra fanciullezza: i cavallini di canna sui quali ci sbizzarrivamo in corse sfrenate, i carri a buoi costruiti con le pannocchie sgranate del granoturco che erano belle e vincenti se apparivano riccamente ornate di ninnoli e pagliuzze colorate, i pifferi ricavati dalle canne che emettevano suoni differenti l’uno dall’altro a seconda delle dimensioni,le trottole di legno che erano ben fatte se ruotavano a lungo e silenziosamente su se stesse (“sa morrocula est lebia”) senza spostarsi traballando scompostamente . C’erano due o tre artigiani del legno che avevano coltivato uno spirito ludico particolare ed erano molto bravi a lavorare al tornio queste opere d’arte-giocattolo.

Privilegiato su tutti rimaneva comunque il gioco del calcio. I militari avevano formato una squadra di calcio per ogni battaglione e quindi tutte le domeniche due squadre di calcio militari disputavano una partita nel modesto campo sportivo comunale. Avevamo imparato i nomi dei più famosi militari-calciatori e li avevamo assegnati ai più bravi dei ragazzi-giocatori: Antonio si chiamava Cisotto, Giuseppe si chiamava Rodari, Giommaria si chiamava Lotronto, Salvatore si chiamava Bovoli e così anche noi avevamo formato le nostre squadrette di calcio che si divertivano a giocare non con palloni di pelle o di gomma ma con palle ricavate utilizzando vecchie calze imbottite di stracci. Il gioco con questo tipo di palla per quanto coinvolgente era anche pericoloso perché dovevamo giocare rigorosamente scalzi (non tutti possedevano le scarpe) e , nel calciare, ci si esponeva non di rado a colpire con l’alluce il pavimento della piazza e l’unghia si distaccava dalla carne procurandoci un dolore all’inizio insopportabile: nessuno – però – si azzardava a piangere, si cercava di metterci riparo applicando alla ferita un po’ della nostra stessa pipì come i compagni più grandetti e più esperti ci avevano insegnato a fare.

Per un po’ si rimaneva a bordo piazza e poi si riprendeva a giocare cercando di calciare col piede sano. A casa non bisognava dire niente del “piccolo” incidente perché altrimenti al dolore patito si aggiungevano le punizioni familiari.

Alla fine di Marzo, poco prima delle vacanze pasquali, la maestra ci fece fare il primo dettato: si trattava di verificare se riuscivamo a scrivere delle parole di senso compiuto che la maestra scandiva abbastanza lentamente. Naturalmente non tutti riuscirono a fare per benino questo lavoro non facile: la maestra fu quindi costretta a dividerci per fasce di livello e farci eseguire dei lavori differenziati a seconda delle abilità e delle conoscenze raggiunte. Si procedette nello stesso modo anche per l’apprendimento delle operazioni aritmetiche più semplici, l’addizione e la sottrazione: ad alcuni piaceva particolarmente maneggiare i numeri e verificare – come avviene con le palline- che aggiungendo lo stesso numero a un numero base si otteneva il doppio: la cosa era persino divertente e poi i numeri sono solo dieci, quindi tutto sembrava più facile.

Intanto i battaglioni tedeschi in Russia, dopo i primi successi, cominciarono a registrare una sconfitta dietro l’altra sino a subire una disfatta totale: l’inverno russo aveva dato una mano al proprio esercito e come aveva interrotto la marcia alle truppe napoleoniche aveva arrestato anche l’esercito tedesco costretto ad arrendersi dopo la sanguinosa battaglia di Stalingrado. La notizia del tracollo tedesco si diffuse immediatamente per il mondo e anche in Italia i partiti contrari al regime rinnovarono il patto unitario antifascista mentre nelle grandi fabbriche del Nord venivano promossi una serie di grandi scioperi rigorosamente vietati dalle leggi fasciste sul lavoro. Dovunque si diffondevano fermenti di ribellione contro l’oppressione nazi-fascista. In Polonia gli ebrei del ghetto che avevano subìto sino ad allora una durissima repressione con grandi perdite di vite umane, si ribellarono ai nazisti che ancora opprimevano gli ebrei di Varsavia.

Nel nostro paese come ogni anno,si rinnovavano i riti della Pasqua: – sos sepuschos, s’iscravamentu,sa pruzzessione ‘e sos giudeos, sa missa ‘e gloria, su lunis de pascha -.E finalmente anche per noi bambini la carne d’agnello per il pranzo “de Pascha ‘e Abrile”,il pane fresco arricchito con mille ricami, “su cozzulu ‘e s’ou”, sas tiriccas, sas casadinas, e tanti frutti secchi conservati nei cassettoni avevano fatto la loro “miracolosa” comparsa nelle tavole pasquali.

Arrivata la primavera noi ragazzini potevamo trattenerci più a lungo per le piazze a giocare a Italia-Francia o a “pallone”; non di rado ci riunivamo in gruppi e andavamo per le campagne vicine a cercare “pabanzolu” o i nidi degli uccellini che ormai cominciavano a nascere: l’abilità di noi bambini consisteva nel sottrarli al loro ambiente naturale che era il loro nido e farli crescere in casa in un ambiente del tutto alieno alla loro natura: il tentativo finiva miseramente dopo pochi giorni. Le cose andavano meglio quando si riusciva a prendere qualche uccello di dimensioni più grandi, una gazza, un’upupa, una cornacchia: allora l’allevamento artificiale durava anche qualche settimana.

Con l’arrivo della bella stagione l’urlo delle sirene era diventato sempre più frequente e asfissiante anche se ormai ci avevamo fatto l’abitudine. Non poche famiglie, però, avevano preso la drastica decisione di “sfollare” in campagna nella convinzione che lì potessero corrersi meno pericoli. In campagna, però, mancavano le comodità più elementari e indispensabili e allora dopo qualche giorno decidevano di affidarsi all’ineluttabilità del destino o alla protezione della Madonna e decidevano di rientrare nelle proprie case.

L’anno scolastico volgeva ormai al termine, fra un po’ avremmo conosciuto l’esito delle nostre fatiche e promossi o bocciati ci saremmo potuti dedicare a tempo pieno ai nostri giochi in piazza e alle nostre avventure in campagna. Qualcuno dei compagni avrebbe continuato ad aiutare i propri genitori nei lavori dei campi come aveva fatto saltuariamente durante tutto l’anno scolastico: infatti noi non riuscivamo a capire perché ogni tanto Pasquale si assentava da scuola, le sue assenze coincidevano con i periodi di maggior lavoro nella campagna.

Alla fine dell’anno non tutti fummo promossi: Giuseppe era stato promosso con votazione brillante, Paolino era stato promosso a frequentare la seconda classe, Lino era stato pure lui promosso anche se con qualche difficoltà,Giovanni promosso, Pasquale, rimandato,avrebbe dovuto ripetere la prima classe nella speranza di fare meglio in futuro.

Per la maggior parte di noi erano iniziate le vacanze: le giornate erano diventate più lunghe finalmente avremmo potuto riprendere i nostri giochi in Piazza Tola, saremmo ritornati a cercare nidi a tempo pieno, avremmo continuato a vivere le nostre avventure nelle campagne più vicine al paese. Naturalmente eravamo ignari di quel che stava accadendo lontano dai nostri giochi nei teatri della guerra che si stava combattendo in vari punti del mondo.

Sbarco in Sicilia

In Italia il 10 Luglio le truppe alleate (americane,inglesi,canadesi) sbarcarono in Sicilia,occuparono l’isola dando avvio alla campagna d’Italia. Come ho già detto noi ragazzi non avevamo la percezione esatta di quelli che erano gli effetti della guerra se non per la penuria dei viveri e dell’abbigliamento e per le sporadiche e frammentarie notizie che sentivamo dagli adulti.

Qualcosa però sembrava esser cambiata anche per noi bambini: sentivamo sempre più spesso l’urlo delle sirene che ci informavano di possibili imminenti pericoli: immediatamente noi ragazzi scomparivamo dalle strade e andavamo a nasconderci nei rifugi che ciascuna famiglia si era procurato. Quasi sempre tutto finiva col passaggio sui nostri cieli di uno o più bombardieri che dopo averci spaventato proseguivano la loro marcia andando a scaricare altrove il loro carico di morte. Tante volte avevamo assistito a questi scenari al punto che ormai ci si era abituati ad entrare e uscire dai rifugi come se giocassimo a nascondino.

Un giorno però, verso le dieci del mattino, capitò qualche cosa di diverso, di mai visto, che attirò immediatamente l’attenzione di noi ragazzi: sentimmo di lontano un crepitare di mitragliatrici e un guizzare abbagliante di fulmini nel cielo assolato del 30 luglio: una battaglia furibonda fra aerei inglesi e tedeschi si era scatenata d’improvviso. Un aereo inglese ( lo sapemmo in seguito) aveva colpito con le sue mitragliatrici un aereo tedesco che era precipitato in fiamme lanciando nel cielo delle lingue di fuoco e un’improvvisa e densa scia di fumo. Per noi la guerra erano i militari ospitati nelle chiese sconsacrate di Monserrato e del Carmelo e in alcune case private,erano i soldati che passavano per il Corso intruppati per andare a fare esercitazioni al poligono di tiro ricavato in un angolo del vecchio campo sportivo, era il comunicato che la radio collocata in una casa del Corso (“in su Bigliasdhu”) tutte le sere diffondeva con la voce gracchiante e carica di enfasi della radio del regime.

Quel giorno però ci prese una strana eccitazione , volevamo andare quanto prima a vedere l’aereo precipitato ma soprattutto volevamo andare a vedere un aereo da vicino. E in effetti il passa parola tra ragazzi durò pochissimo: nel giro di mezz’ora centinaia di bambini – compresi Tommaso, Silvio, Paolino – ci eravamo radunati nelle vicinanze dell’aereo precipitato. Non potevamo avvicinarci, come avremmo voluto, perché una cinta imponente di carabinieri e di militari dell’esercito impedivano a chiunque di avvicinarsi al relitto.

Per quel giorno ci bastò vedere di lontano dei rottami fumanti e un odore acre di qualcosa di insolito che non apparteneva agli odori che ci erano familiari come il fumo delle stoppie bruciate.

Apprendemmo più tardi che due dei piloti tedeschi erano morti e altri due erano rimasti gravemente feriti. Rimanemmo a lungo nel luogo dell’incidente cercando di interpretare tutti i movimenti che vedevamo di lontano, ma per quel giorno non fu possibile avvicinarci:ci saremmo ritornati l’indomani.

La notizia dell’accaduto si era propagata in un attimo per tutto il paese e già le nostre mamme avevano deciso di prendere contromisure adeguate per impedire che i propri figli, spinti dalla curiosità e dal desiderio di scoprire, rischiassero di raccogliere qualche residuato bellico che potesse rappresentare un reale pericolo per noi ragazzi. Paolino aveva raccontato tutto a casa e la mamma, zia Maria Teresa, aveva immediatamente capito che doveva impedire al figlio di ritornare a visitare l’aereo distrutto.

Intanto fra noi ragazzi erano cominciate a circolare storie fantasiose: dalla carcassa dell’aereo si potevano prendere paracadute interi o stracciati, carte topografiche,brandelli di pelle da utilizzare per le fionde, pezzi di vetro di carlinga con i quali si potevano costruire anelli, posate o altri souvenir di varia natura come avevamo visto fare ai militari durante le loro ore di riposo; quelli che ritenevano di essere più fortunati degli altri avevano già raccontato di aver trovato delle munizioni che potevano costituire la base per nuovi giochi. Che certamente nascondevano anche insidie e pericoli gravi che noi ragazzi non riuscivamo a percepire: come novelli Ulisse, noi volevamo scoprire cose nuove, anche rischiando di patire conseguenze imprevedibili. La mamma di Paolino, molto preoccupata dal racconto del figlio e dalla sua irrefrenabile curiosità, utilizzando la grande paura e il buon senso delle mamme, tolse gli abiti al figlio per impedirgli di uscire per strada in un suo momento di distrazione. Quella sera tutto filò tranquillo. Paolino dovette rassegnarsi a trascorrere la serata in casa, in mutandine, cercando di colpire col tiralastico qualche uccellino che aveva la ventura di posarsi sull’albero di fico del cortile. Qualche amico, però, parlandogli dalla strada lo incuriosiva e lo invogliava ad aggirare in qualche modo la segregazione forzata; gli raccontava che Silvio, Piero, Angelo, Tommaso erano stati nel luogo del disastro aereo e avevano ricuperato bei pezzi dal velivolo precipitato, persino qualche cartuccia di mitraglia che poteva servire a inventare dei fuochi d’artifizio mai visti prima. Questo colloquio attraverso le grate della finestra che dava sulla strada aveva eccitato la fantasia di Paolino che non vedeva l’ora di fare anche lui un nuovo personale sovralluogo nel sito dell’incidente aereo e di verificare di persona l’efficacia delle munizioni trovate.

Per quel giorno Paolino si dovette rassegnare ad andare a letto senza uscire di casa. L’indomani, di buon mattino, Paolino era già sveglio. Ma la madre ricordando quel che era capitato il giorno prima e soprattutto preoccupata che Paolino si lasciasse “travolgere” dalla curiosità, affidò al figlio una commissione diversiva che lo occupasse per qualche ora.

-”Paolino-gli disse la madre-vai dal macellaio a far la fila perché più tardi verrà tua zia a comprare la carne”. La commissione durò solo pochi minuti perché il macellaio non era ancora arrivato dal mattatoio e la macelleria era ancora chiusa. Tutto da rifare. Zia Maria Teresa raccomandò ancora a Paolino di non allontanarsi da casa e lui effettivamente ubbidì. Ma un pensiero martellante gli assillava la mente. Andando dal macellaio e ritornando aveva visto un assembramento di compagni che, vociando, armeggiavano intorno a qualche cosa di misterioso,certamente qualche pezzo dell’aereo precipitato,che lui non vedeva l’ora di scoprire. Il desiderio di raggiungere il gruppetto di amici era ormai irresistibile.

E infatti,piano piano,studiando attentamente i movimenti della madre, prima uscì da casa e poi, passo dopo passo, raggiunse il gruppetto degli amici che erano già a buon punto nel “lavoro” di smontaggio di una cartuccia di mitraglia inesplosa che era caduta durante lo scontro aereo del giorno prima. Tommaso, che era il più anziano di tutto il gruppetto,dopo aver rastrellato un po’ del materiale dell’aereo disperso in un vasto raggio di campagna, seduto sul gradino d’ingresso della casa,aveva cominciato l’opera di demolizione ma il lavoro non appariva tanto facile: occorrevano più mani per poter ricavare il maggior numero di pezzi riutilizzabili. Altri due dei fratelli di Tommaso, Silvio e Piero, guardavano incuriositi il lavorio del fratello maggiore che si ingegnava in tutti i modi a smontare quei giocattoli di morte. Intanto Paolino aveva raggiunto il gruppetto proprio nel momento in cui occorreva una mano per tenere dritta la cartuccia che Tommaso non riusciva a gestire compiutamente.

-”Paolì, mantieni la cartuccia”. Paolino non avrebbe mai pensato che potesse spettare proprio a lui “l’onore” di partecipare attivamente a un “gioco” così importante. Che durò solo un attimo.

Perché la martellata di Tommaso contro il chiodo puntato sul detonatore provocò una grandissima esplosione . E poi fu buio per tutti. Il padre e la madre di Tommaso, che erano nella stanza accanto,accorsero d’istinto, gridarono disperati chiedendo aiuto; i corpi dei ragazzi presenti erano tutti imbrattati di sangue, non si sapeva di chi, ma c’era tanto sangue dappertutto. Immediatamente fu un accorrere di gente che voleva fare qualche cosa ma non sapeva che cosa tanta era la confusione e la paura che si erano create. Paolino, che sembrava aver riportato i danni maggiori, giaceva lì svenuto. Ma anche Tommaso, Silvio, Piero in stato confusionale ricoperti di sangue erano stati catapultati a qualche metro di distanza dal gioco-bomba. Qualcuno si attivò a caricare il corpo dilaniato di Paolino su un carretto che passava e trasportarlo all’ambulatorio del medico. Zia Maria Teresa che aveva sentito lo scoppio e visto il grande trambusto che si era creato intorno cercò immediatamente il figlio: Paolino era scomparso. Col cuore in agitazione per un brutto presentimento che le aveva attraversato più volte la mente, uscì di casa per sapere e immediatamente ebbe una tragica conferma quando dai capannelli che si erano formati cominciò a sentire un nome:”Paolino, Paolino, Paolino è ferito”- “Ma ci sono altri feriti!” – “Chi sono gli altri feriti?”- E così un incalzare di domande sempre più stringenti e angoscianti intercalate da un pianto disperato e impotente. “Dov’è mio figlio? Chi l’ha visto? Com’era? Dove lo hanno portato?” Il medico non era attrezzato a fronteggiare situazioni così traumatiche: ripulì con alcool il sangue della mano sinistra spappolata, tolse le tante schegge che gli si erano conficcate in varie altre parti del corpo e poi fasciò tutto con lunghe bende in attesa di un ulteriore intervento ricostruttivo.

Cominciò per Paolino una vita diversa: la mano sinistra amputata delle dita era ridotta a un grumo che da quel momento gli avrebbe impedito di operare agevolmente con entrambe le mani. Il resto dell’estate la trascorse mezzo fasciato,seduto sui gradini di casa, docile e ubbidiente alle indicazioni della mamma che con pazienza e amore gli ripuliva e fasciava tutti i giorni le ferite che tardavano a rimarginarsi. Intanto – anche se noi non sapevamo quasi niente erano accaduti dei fatti politico-militari così rilevanti che sarebbe stata stravolta la vita della nazione e conseguentemente anche la vita delle nostre famiglie e di ciascuno di noi.

Nella notte fra il 24 e 25 Luglio 1943 il Gran Consiglio del PNF aveva votato la sfiducia a Mussolini che immediatamente venne fatto arrestare per disposizione del Re Vittorio Emanuele III. Il Re affidò l’incarico di capo del Governo al Maresciallo Pietro Badoglio. Il quale dopo aver condotto trattative segrete con gli Alleati angloamericani,” riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria” costituita dall’alleanza anglo-russo-americana,aveva chiesto l’armistizio che venne reso pubblico l’8 settembre 1943. In paese la notizia venne diffusa, con la solita enfasi, dalla radio del Corso e a noi ragazzi venne spiegato che la guerra era finita. In effetti accadde che il Re e il Governo fuggirono nell’Italia Meridionale già liberata dagli Alleati e quell’episodio che a noi venne presentato come la fine della guerra, fuori dalla Sardegna, nel resto d’Italia, divenne una furibonda e sanguinosa guerra di resistenza alle truppe Tedesche già nostre alleate- che ritirandosi verso il Nord distruggevano e uccidevano senza pietà e discriminazione alcuna.

Il 1°Ottobre del 1943 l’anno scolastico non iniziò né per Paolino né per tutti gli altri bambini: la scuola rimase chiusa. All’inizio fummo contenti delle vacanze prolungate poi, però, a mano a mano che passavano i giorni assolati dell’autunno e arrivavano le prime piogge cominciammo a sentire dentro di noi una sorta di tristezza e con essa anche un inspiegabile desiderio di ritornare a scuola.

Non vedemmo “tiu Giuanne su bidellu” agitare il suo bastone, aspettammo invano la maestra alta alta, non incontrammo Giuseppe, Lino, Giovanni, Pasquale, Paolino che avevano saputo anche loro dell’imprevisto contrordine: avremmo continuato le vacanze chissà per quanto altro tempo. La scuola era stata trasformata in ospedale militare. Anche noi cominciavamo a patire gli effetti della guerra in maniera sempre più pesante: la mancanza di viveri, di abbigliamento, le ferite dei compagni rimasti mutilati dagli ordigni militari usati come giochi, e adesso anche la chiusura delle scuole.


Meriggio – Poesia di G.B.


Nelle ore calde del meriggio

mi ritrovo sulla scogliera

ad ascoltare il mare

rapito dal fluire delle ode

che cantano come il tuo sorriso.

Rivedo

i tuoi occhi splendenti,

fuochi notturni che brillano

come stelle nel firmamento.

Rivedo

il tuo incedere flessuoso

e mi riempie di emozioni,

che assaporo lentamente

come sabbia nella clessidra.

Rivedo

la mia seconda giovinezza

che trova il tuo braccio

e corre insieme su sentieri scoscesi.

 E Sento

che con te riacquisto la serenità

dei giorni passati

e faccio pace  con me stesso

felice nella realtà che mi circonda.

g.b.


Riapre Casa Park

 


Dopo oltre un anno di chiusura quasi totale (salvo necessari interventi assicurati da Tonino)

RIAPRE CASA PARK.

Riapre le porte per accogliere a braccia aperte i soci, sempre più numerosi, 
che fanno parte dell’Associazione Parkinson Sassari ONLUS.
Dopo un anno triste caratterizzato dai danni seminati qua e là dalla Pandemia
si è deciso per la riapertura 
anche perché particolari condizioni hanno facilitato questa favorevole circostanza.

Spazio verde all’ingresso

Che, oltre all’apertura, prevede la presenza costante di una persona in grado di tenere
viva una casa che rischiava di decadere senza essere vissuta.
Da qualche giorno Gian Paolo Frau che, ormai da anni, ha creato e segue
il sito della nostra associazione, si é reso disponibile a proseguire questa
attività garantendo la sua presenza in casa Park.
Tale disponibilità consentirà a ciascuno di noi di riprendere i contatti con la nostra casa.
In tal modo potremo approfittarne per cominciare a versare le quote sociali
e stabilire di nuovo quei rapporti umani che tanto ci sono mancati.
Per iniziare gli orari di ricevimento saranno i seguenti:
tutti i giorni della settimana, previo appuntamento telefonico al nr. 079 6768711,
al mattino dalle ore 10,30 alle 12,30 – al pomeriggio dalle ore 17,00 alle 18,30
Ci sostiene la speranza di poterci ritrovare insieme, in amicizia, finalmente
liberati dai condizionamenti del Corona virus.
Il Presidente
Franco Simula

Per chi non era presente all’inaugurazione:

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