Volare si Può, Sognare si Deve!

Scriviamo un libro

L’eredità di Salvatore Faedda

Dopo la morte di mamma l’avvocato ha chiamato tutti noi perché doveva leggere il testamento.
Siamo cinque figli: Salvatore, Giovanni, Annalisa, Piero e Antonello. A Giovanni, Annalisa e Antonello mamma non ha lasciato niente mentre a me e a Piero….il morbo di Parkinson.
Io pensavo che “Parkinson” fosse la marca di una penna stilografica ma l’ho capito dopo che Piero ha fatto le visite sanitarie e gli hanno detto che si trattava di un regalo di mamma.
Intanto, sotto sotto, indagavo perché tanti miei disturbi erano uguali a quelli di Piero. Infatti, quando andavo al bar con gli amici, non prendevo mai nulla perché mi tremava la mano ed io mi vergognavo.
A casa mi chiedevano il perché del mio malumore: io alzavo le spalle e dicevo che non avevo nulla ma…le lacrime scendevano copiose.
Un giorno Piero mi dice: “ti prenoto una visita con Dott. Paulus che è molto bravo”. Così con mia moglie andiamo all’appuntamento e lui, dopo aver confermato la patologia con un modo di fare molto rassicurante mi dice: “iniziamo la lotta…sei d’accordo?” Ho iniziato la terapia ed i risultati si sono visti subito. Ora entro al bar con più tranquillità perché la mano non trema più ed anche perché sono decisamente più allegro….tranne qualche volta.
Ogni tanto mi chiedo: con Piero ci somigliamo moltissimo, siamo precisi a babbo (che è morto a 94 anni ed era sano come un pesce),  mentre gli altri tre fratelli somigliano a mamma e allora…come si spiega questo incrocio???.
Ora che ne ho la possibilità voglio dire al dottore che quando sono di malumore reagisco scrivendo tutto quello che mi passa per la testa. Ho anche la fortuna di suonare qualche strumento musicale che mi fa cambiare l’umore perché la musica mi fa compagnia.

Speriamo che la scienza riesca a trovare una soluzione più che soddisfacente…soprattutto per i nostri figli.

Prima di chiudere questo argomento voglio raccontare un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Sono andato in clinica oculistica, presso la stecca  bianca, per una visita di controllo. Dopo che sono entrato nell’ambulatorio il medico mi ha fatto un’intervista e, dopo avermi fatto sedere davanti ad uno strano apparecchio, mi ha fatto appoggiare la fronte ed il mento. Così di punto in bianco ha iniziato a dirmi a gran voce: “stia fermo…stia fermo…guardi che la mando fuori…ha capito???” Allora la tremarella aumentava ancora di più e lui: “vada fuori così impara”.
Ho avuto una crisi di pianto e mi sono rinchiuso in bagno finchè non mi è passato. Lui, comunque, è stato di parola perchè alle due mi ha detto: “venga dentro e mi raccomando…!!!”
Non l’ho nemmeno guardato, ricordo solo che era alto e magro e, se mi avesse ancora minacciato, l’avrei preso a schiaffi.

     Salvatore Faedda

Marumori (Malumore) di Salvatore Faedda


Candu soggu di marumòri
d'ugna tantu fozzu un pinsamentu:
la vida nosthra e piena di durori
e si vi sthai attentu anda cumenti lu ventu;
Si è maestrhali zischemmu di tappazzi
e candu è scirocco lu casthu suppusthemmu.

Da giòbani cridimmu chi la vida è longa
ma bastha una rumadia chi diventa costha.
Allora pensu a ru ventu e a l'amighi chi si z'ha pusthaddu.
Eu zeschu di tinimmi bassu bassu
ipirendi chi lu ventu no sia di terra
e mi daghia campà un althru pogu....arumancu!!!

Arribì a cabidannu c'un pogu di bonamori
e tuttu l'annu sia d'alligria pa ri maraddi
e li duttori aggiani pogu trabagliu
e di pobari no vi ni siani più.
Salvatore Faedda
Quando sono di malumore
ogni tanto mi metto a pensare:
la nostra vita è piena di dolori
e, se stai attento va come il vento.
Se è maestrale cerchiamo di coprirci
ma se è scirocco allora sopportiamo il caldo.

Da giovani la vita ci sembra lunga
ma basta un raffreddore perché ci sembra corta.
Allora penso al vento e agli amici che s' ha portato via.
Io cerco di stare basso basso
sperando che il vento non sia di terra
e mi lasci vivere... ancora un altro poco.

Arrivare, almeno, a capodanno con un po' di buonumore
e che tutto l'anno sia sereno per gli ammalati
e i medici abbiano poco lavoro
e i poveri...non esistano più.
Salvatore Faedda

 

La fisioterapista di Francesco Simula

Formalmente pacata e misurata in realtà autorevole senza voler mai essere autoritaria se non quando certe situazioni “impongono” lo scontro diretto. E in questi casi Lei mette in funzione un “sesto senso professionale” che Le fa affrontare e “vincere” lo scontro, che in realtà si risolve a favore del malato, pur con evidente sofferenza dello stesso. In Lei l’autorevolezza diventa forza di volontà da trasmettere ai pazienti, quelli che talvolta si lasciano andare. “Pensate all’esercizio che dovete fare. Pensateci bene. Eseguitelo prima con la mente”. Questo è l’invito a trasferire il messaggio al cervello che lo converte in imperativo alla volontà la quale spinge a trasformare le rigidità in movimento, quasi sempre doloroso, ma gradualmente efficace e operativo. Talvolta sembra di voler trasmettere una carica propulsiva tale da far pensare ad un input “miracolistico” che  effettivamente colpisce nel segno e smuove le volontà di chi deve eseguire i “comandi” ma prova un dolore “profondo” che impedisce al P. di schiodarsi dalla sedia. A questo punto arriva al culmine un sottile gioco psicologico fra due volontà una negativa, che cerca di mantenere disperatamente la staticità, e l’altra positiva che propone con convinzione e persistenza un imperativo categorico:   “Alzati e cammina”. Già praticato 2000 anni fa. E spesso funziona.

Tutto questo accade mentre Franco fa i suoi commenti acidi: “Per forza funziona, quella è un sergente di ferro”. Intanto ci pensa Oscar ad allentare la tensione  con qualche sua battuta estemporanea. Ma Pinuccia con la sua solita arguta ironia lo richiama:” Zitto tu, Gazzosa”.

Madonna Capuleti di Francesco Simula

Madonna Capuleti entra in scena con l’austero ed elegante portamento consono al rango di una Prima Donna di un Grande Casato di Verona.

Il suo incedere altero e solenne maschera le interferenze doloranti del tremore accentuato della mano destra che sembra ricerchi disperatamente un appiglio robusto cui aggrapparsi per sentirsi solida e ferma. Come quando -Istitutrice al Canopoleno- faceva da colonna stabile e punto di riferimento sicuro per decine di alunni, che allora avevano bisogno di Lei e a Lei si affidavano con la massima fiducia. Allora Lei ha imparato a capire le sofferenze che oggi deve quotidianamente affrontare in prima persona. Allora era Lei che guidava la “baracca”, oggi,  alcune limitazioni personali Le fanno cercare aiuti esterni ogniqualvolta “salta” l’indispensabile equilibrio fisico. Ma anche in questi casi, come un “deus ex machina”, dal nulla compare Gianni che è il paziente e onnipresente “tutore” di una moglie i cui tratti personali,appaiono affabili e miti; i suoi occhi grandi ed espressivi rimangono sempre intenti a seguire la successione dei tragici eventi teatrali sino al momento in cui deve piangere la morte di Giulietta sino a  morirne pure Lei.

Madonna Capuleti e la figlia Giulietta, appaiono abbinate quasi intenzionalmente, assomigliano moltissimo fra loro: Graziella e Maria Luisa sembrano veramente madre e figlia anche nella realtà .

La nutrice di Francesco Simula

“Rita, figlia mia, guarda che cosa mi sta capitando: non riesco a dar da mangiare, col cucchiaio, a tuo figlio, mio diletto nipotino. Mi trema la mano e mi cade il cibo dal cucchiaio. Che cosa strana! Che cosa mi sta succedendo?”

“Mamma, è da un po’ di tempo che ti osservo; anche io ho notato che non solo ti trema la mano ma ti trema anche il collo. Secondo me occorre che ti sottoponga quanto prima a una visita specialistica”.

Questa è stata l’esplosione del male che oggi mi aggredisce e tormenta nell’intera persona e a tratti mi costringe a muovermi con le stampelle.

A un certo punto della mia vita ho scoperto traumaticamente che non ero più la nonna di sempre, la mamma di sempre, la donna di sempre.

Ero, però, ancora giovane. La mia vita non poteva finire lì, scossa da quei tremori terribili che affliggono il corpo e lo spirito sino a prostrarti in maniera defatigante e talvolta umiliante. E allora è iniziata -come per tutti i sofferenti di P. – una guerra di “resistenza” a tutto campo che non finirà mai, che si riproporrà tutti i giorni con sempre nuove tattiche e rinnovati assalti e contromisure.

A questo punto scopro il teatro. Come possibile opportunità per arginare le difficoltà attraverso la riconquista quotidiana dei movimenti storpiati dal male, della memoria, della parola, dei gesti. E nel teatro ritrovo una mia nuova dimensione.

Intanto qualcuno mi osserva, mi studia, mi fotografa, mi rappresenta.

                              *********************************

Un bellissimo caschetto di capelli biondi, la recitazione garbata e diligente,la raffinata eleganza del portamento, l’accuratezza della persona,  come coraggiosa reazione e rivendicazione di vitalità contro la malattia, non lasciano minimamente intravvedere le insidie che – a scadenze crudeli- il male le tende quando la costringe a usare le stampelle perchè la camminata diventa incerta, traballante, insicura e rischia di farla cadere rovinosamente da un momento all’altro. Pronuncia le sue battute con dolcezza cui -in qualche momento di crisi- si sovrappone un’interferenza, un black out, come generati da un improvviso temporale.

Poi riprende la sua recitazione con la grazia di sempre e con tono dolce e suadente sussurra:”Giulietta, agnellina mia, andiamo che è l’ora”.

Nel mio giardino un merlo diffonde tutt’intorno un dolcissimo canto in perfetta armonia con la recitazione di Adelaide.

Romeo-Oscar di Francesco Simula

 Sono le quattro del mattino di una mattina piovosa ed umida di novembre.

Ancora mi  rotolo sotto le coperte calde del letto per cercare di ricuperare in poche ore le forze esaurite il giorno prima, quando si sente una voce decisa ma anch’essa stanca,che con tono perentorio sollecita:”Oscar, sono già le quattro, alziamoci in fretta e partiamo subito, altrimenti non ce la facciamo ad arrivare a Cagliari entro le otto. Il cementificio non aspetta noi, chi arriva prima carica prima e chi arriva tardi rischia di non riuscire a fare il carico completo mettendo in forse l’intera giornata di lavoro.

Così quella mattina e così tutte le altre giornate lavorative dei 365 giorni dell’anno. Quella vita era dura, lo confesso, ma mi piaceva. Mi piaceva guidare il camion da giovanotto forte e volitivo (avevo 14 anni) soprattutto perché …non avevo ancora preso la patente. E quando con mio padre di lontano vedevamo la polizia stradale, fermavamo il camion a una certa distanza,mascheravamo qualche improvviso inconveniente alla macchina e dopo qualche minuto riprendevamo il viaggio invertendo i ruoli con mio padre: lui al volante e io in cuccetta a riposare.

I sabati e le domeniche -rigorosamente di riposo- non ho mai pensato di trascorrerle a letto, manco per sogno! Lucidavo la mia bicicletta Dacono e via con gli amici a pedalare con passione facendo piccoli strappi in punti del percorso già stabiliti per mettere alla prova le nostre abilità. Si rientrava per pranzo ancora una volta stanchi ma soddisfatti. E così per oltre 30 anni.

Sino a quando non arrivò il Prof. Parkinson: per un verso come medico che aveva scoperto un morbo ancora quasi sconosciuto, per l’altro come appassionato ricercatore che scoprì le cause sconosciute del disturbo neurologico e cominciò a praticare le prime cure che servissero almeno ad attutire i sintomi più gravi. Nonostante i notevoli progressi della ricerca nel campo della farmacologia neurologica, il morbo continua a rimanere ancora progressivo e degenerativo.

Io mi trovai intrappolato dal male nella maniera peggiore: ero quasi completamente bloccato nei movimenti, mi si era ridotto notevolmente l’uso della parola.Dopo anni di permanenza negli ospedali e di specifiche cure riabilitative, cominciai a intravvedere qualche leggero barlume in fondo al tunnel. Cominciai a frequentare qualche vecchia conoscenza ma ciò che mi offrì nuovi orizzonti esistenziali ed umani fu la frequenza dell’Associazione Parkinson dove ho avuto modo di conoscere tante nuove persone, più o meno gravi di me, ma tutte ricche di grande umanità. Nell’Associazione ho scoperto il Teatro che mi aiuta molto a tenere i miei movimenti più coordinati e controllati e a esercitare uno sforzo continuo per ridurre l’impaccio nell’espressione vocale. Devo riuscire a superare questo limite; devo riuscire a dire lentamente e chiaramente a Giulietta:”Il manto della notte mi nasconde. Ma se tu non mi ami, lascia che mi trovino, meglio che il loro odio tolga la mia vita…”

“Mille volte cattiva notte, se il tuo sole più non riluce”

“Amor mio, dimmi tu: devo partire e vivere o restare e morire”?                                                                                                           

Giulietta aiutami tu a dirti nel miglior modo possibile i sentimenti che provo nel profondo della mia anima

Giulietta di Francesco Simula

teatro1Entro nell’ampio salone e vedo che Giulietta recita con grande trasporto e convinzione la parte che le è stata assegnata dal regista.

L’aspetto fisico di Giulietta attrice è verosimilmente confrontabile con la Giulietta creata da Shakespeare come figura ideale, esile, col fisico da adolescente, bellissima.

L’ovale del viso assomiglia molto a qualcuna delle attrici vere e proprie che hanno interpretato Giulietta.

Nel salone continuano le prove della rappresentazione teatrale e la “nostra” Giulietta recita indirizzando dolci parole al suo Romeo in un modo tutto personale: questa recitazione si accompagna a una danza leggerissima e leggiadra che fa pensare al volo lieve e veloce di una libellula che, quasi impercettibile, si libra nel cielo primaverile.

Attratto da questa singolare rappresentazione mi avvicino alla ballerina recitante e le dico con stupore e ammirazione: “Ma quanto è bella “l’invenzione” di questo singolare abbinamento tra ballo e recitazione”. La bella Giulietta del nostro teatro arresta per un attimo la sua “danza”, e come se riferisse una cosa normale e ormai nota dice: “Non posso stare ferma. Il mio male non me lo consente”. La risposta è una di quelle che ti colpiscono direttamente al cuore e fanno cambiare immediatamente il ritmo del respiro. Poi inghiottisci un pò di nulla che come un grosso magone ti blocca e poi ancora un pò sino a ritrovare il normale respiro.

Realizzo che il teatro è la manifestazione di stati d’animo, di sentimenti, di situazioni rappresentati attraverso le parole e i gesti.

Ad Antonio

Fa male sentirsi rifiutati

rigettati dalla gente.

Per tutto o per niente.

Ci si sente feriti, usati,

e poi rigettati ancora.

Ci si sente come bambini

traditi e abbandonati.

Lo so hai bisogno di un rifugi

ma di un rifugio soprattutto da te stesso.

Lo so, a volte ti senti così solo…..

Anche io mi sono sentito come te per degli sbagli del passato

che poi sono usciti dalla mente.

Ma adesso guardati come sei messo,

cerca di reagire,

anche se il mondo ci crolla addosso.

Lo so che ti sembri come un cucciolo,

abbandonato,

che ormai alla vita ha rinunciato.

Ti senti troppo vecchio e consumato

ma anche io ho sofferto e ho sopportato.

Adesso solo tu puoi farcela, da solo,

e anche se tutti abbiamo bisogno degli altri

forse pure gli altri hanno bisogno di te.

E non sarai più solo.

Se ti senti solo, vieni con me

Vincenzo Baldinu

 

Scriviamo un libro

Questo spazio è particolare. Da diverso tempo abbiamo in mente di pubblicare un libro sulla Malattia di Parkinson scritto e redatto dai protagonisti, cioè da coloro che quotidianamente vivono questa patologia neurologica, quindi gli ammalati stessi, ma anche i loro familiari ed i cosiddetti caregiver che assistono chi ha bisogno. Raccogliamo racconti sulla malattia, su come è iniziata, come ha cambiato la vita, e su come riusciamo a conviverci; apprezziamo anche poesie sul tema, disegni, ecc. Vorremo creare un libro per raccontare noi stessi, e che possa essere di aiuto a chi, magari trovandosi lontano da Sassari, non può partecipare alle nostre attività ed iniziative, ma comunque vorrebbe un aiuto, un incoraggiamento per non farsi schiacciare dalla malattia, trovando degli spunti per poter vivere una vita degna di essere vissuta. Il parkinson non finisce la vita, la cambia. Tale cambiamento dipende anche da noi. Non siamo pazienti, ma nonni, genitori, marito e moglie, figli, magari con un più difficoltà, ma i nostri ruoli rimangono, e la dignitosa gestione di una malattia cronica potrà diventare anche un insegnamento per chi magari non è ancora riuscito ad apprezzare la vita. La vita non è solo corsa, chiasso, rumore, superficialità, indifferenza, banalità. Magari la vita è anche il rallegrarsi alla vista di un gelsomino in fiore.

Nelle nostre attività si pone l’accento sulla qualità di vita e sulla convivenza familiare e sociale, per vivere la vita e non concentrarci 24 ore su 24 sui problemi e disagi. Certo, la malattia c’è, ma le nostre paure e preoccupazioni la ingrandiscono. Allora un sorriso, una bella emozione, una canzone, diventano più preziosi della pillola amara dei dottori. Pertanto, raccontate la vostra storia.

Questo progetto sarà curato in particolare dal nostro amico e vicepresidente Peppino Achene. Saranno accettate anche contributi in limba se abbinati a traduzione italiana.

Vai alla pagina dedicata

Su Giuramentu – Il Giuramento di Peppino Achene


Custha no est sa marcia de su Generale Radetzski
chi allegros nos faghet isthare
ma est sa marcia Parkinsoniana
chi pius addossu ti enidi e pius t'isbranada:
a sa lesthra si devet arresthare.
Gai hana nadu sos Generales
de su centru Neurologicu de s'Universidade
e ducas unu pattu hana GIURADU
perintantu un'orchesthra hana formadu.
Praticantes,Assisthentes,Luminares,
tott'umpare si sunt posthos a sonare
sas notas de unu tangu argentinu
unu ballu ducas coment 'e terapia
pro l'impidire s'avanzad'in su caminu.
In campu han ischieradu soldados semplices
e atteros invalidados da-i su malu desthinu.
A duos mastros de ballu su pianu han affidadu
pro lu poder perfettu realizzare
l'han devidu in otto passos isviluppare,
divisu a bell'apposta in tres fraziones
pro impidire a su maleficu sas intentziones.
Sos soldados si sunt posthos a ballare
contendhe unu, duos, trese
no passas né a caddhu né a pese;
battoro,chimbe e sese
a bonu puntu arrivamus a contare
pro poder sa marcia arresthare;
sette,otto, finidu amus eallu de attuare
su ballu terapeuticu chi reattivos nos faghet istare:
pro chi tue maleficu invasore
da inue ses bennidu
a coa in mesu 'e ancas ti che potas torrare.
Questa non è la marcia del Generale Radetzski
che ci fa stare allegri
ma è la marcia Parkinsoniana
che più ti viene addosso e più ti sbrana:
bisogna arrestarla al più presto.
Così hanno detto i Generali
del Centro Neurologico dell'Università
e quindi un patto hanno GIURATO
e intanto un'orchestra hanno formato.
Praticanti,Assistenti, Luminari,
si son messi a suonare tutti insieme
le note di un tango argentino
un ballo, dunque, come terapia
per impedirgli l'avanzata nel cammino.
In campo hanno schierato soldati semplici
e altri invalidati da un perverso destino.
Hanno affidato il piano a due maestri di ballo,
per poterlo realizzare in maniera perfetta
l'hanno dovuto sviluppare in otto passi
diviso a bell'apposta in tre frazioni
per impedire al malefico le sue intenzioni.
I soldati si son messi a ballare
contando uno, due , tre
non passi né a cavallo né a pie';
Quattro, cinque e sei
arriviamo a contare a buon punto
per poter arrestare la marcia;
sette, otto, abbiam dunque finito di attuare
il ballo terapeutico che reattivi ci fa stare:
affinché tu malefico invasore
da dove sei venuto
con la coda fra le gambe possa ritornare