‘Brutta bestia’ la chiama Piero Faedda (in: “Il Parkinson: brutta bestia”, pubblicato sul nostro sito il 3 novembre 2015), ‘un rapace infingardo appollaiato sul trespolo della coscienza, il male oscuro, una muta di cani latranti pronta ad affondare i denti digrignanti’ si scaglia contro di esso il nostro G.B. in “Parkinson che sorpresa!” (26 novembre 2015), insomma, quel “su nemigu” come lo ha schedato più volte Peppino Achene. Ecco, lui è lì e non mi fa fare nulla, mi impedisce di vivere una vita degna di essere vissuta, è lì, presente in ogni istante, mi trasforma, mi tortura, mi procura immobilità, contratture, tremori, dolori, ansia, insonnia. Mi rende …
Stop, fermi, halt!
In questi ragionamenti manca qualcosa: dove è la vita, la famiglia, gli altri?
Per vincere la brutta bestia, per gestire il Parkinson quotidianamente non bastano le medicine e neanche la fisioterapia, ci vuole un altro elemento fondamentale: la disciplina. Forse il termine è un po’ forte, allora chiamatelo buon senso e rispetto verso se stessi e verso gli altri.
Se guardiamo la vicenda dal punto di vista del parkinsoniano potrebbe esserci la tendenza a pensare che tutta la mia esistenza si gira intorno al mio disagio, i miei problemi, la mia assistenza. Ma la vita non è certo questa! Uno degli errori principali che facilmente si possono commettere è quello di dare troppa importanza al ‘nemigu’, talmente tanta che la propria vita è completamente assorbita dal ‘rapace infingardo’. D’accordo, c’è il Parkinson, ma non per questo spariscono i propri cari, gli affetti, le emozioni di tutti i giorni.
Ovviamente non è facile affrontare la giornata quando la si deve iniziare già da subito al risveglio cercando di vincere la rigidità dopo una notte insonne; stordito dal mal di testa resto in attesa che le pastiglie facciano effetto, chiedo aiuto per essere alzato, lavato, vestito, voglio colazione, pranzo e cena pronti alla stessa ora, devo prendere le pillole alle ore 8, 9, 10, ecc., e che sempre ci sia qualcuno con me perché non si sa mai. In questo modo, però, il ‘portatore sano di Parkinson’ (come ama definirsi Tonino) sarà sempre meno sano e da partner, familiare, e persona amica, viene degradato ad infermiere, assistente personale, maggiordomo, donna delle pulizie, servo, ecc.
Come dice sempre dott. Giovanni Carpentras, non ci sono regole universali, ma penso che una persona che sfortunatamente si è ammalata di Parkinson va aiutata, non servita. Sto facendo questa riflessione perché vorrei che la persona malata non si arrenda e che non scivoli in una condizione di passività ed immobilità più per preoccupazione e tristezza che non per i reali limiti posti dalla malattia. E vorrei invece che la persona reagisca, non conceda spazio al ‘nemigu’ e che cerchi di conservare e di ampliare le proprie autonomie; in questo modo la ‘muta di cani latranti’ retrocede e fa passare la persona determinata e volenterosa. Quasi miracolosamente i sintomi diminuiscono e magari si potrà togliere qualche mezza pastiglia di qua e di là. Mi viene in mente lo spirito del padre di Adelaide Sanna in “Fra di noi è nata una bella amicizia” (15 ottobre 2015), e le parole di Nicoletta Onida “bisogna andare avanti senza paura” in “Così è la vita” (5 luglio 2015).
Dall’altro lato ci sono i ‘portatori sani’ che accudiscono il Parkinsoniano in maniera totale, perfetta, 24 ore su 24. Questo può succedere per tanti motivi: per la convinzione che “l’altro” è malato e ne abbia bisogno, per un possibile senso di colpa per non riuscire a fare di più, o magari semplicemente perché i servizi vengono pretesi dall’altra parte. Ma facendo così nascono tensioni che comportano fraintendimenti e malumori, nervosismo fino allo sfiancamento ed esaurimento, con il risultato che il clima in casa non è più buono e ci sarà una escalation tra richieste di continua assistenza e lamentele di affaticamento, in parole povere: litigi. Anche qui non esiste un vademecum universale che possa essere applicato ad ogni situazione, ma la disciplina, il buon senso, può aiutare a migliorare le condizioni generali: l’ammalato deve trovarsi degli impegni propri, siano essi degli hobby, attività lavorative, impegni in parrocchia oppure in una associazione (la nostra!) oppure lo sbrigare di commissioni, e comunque deve partecipare alle attività quotidiane domestiche, mentre il familiare si deve ritagliare degli spazi suoi per i propri svaghi, se non altro per ricaricare le pile; in questo modo si conserva l’armonia domestica e la serenità, e ci sarà spazio per vivere tutti insieme le emozioni importantissime per una vita degna di essere vissuta. Penso alla ‘quarta candela’ dedicata a tutti noi della Parkinson Sassari dalle Sorelle della colonia di San Pietro in “La tenerezza è la forza più umile” (15 ottobre 2015).
Non si deve dimenticare che la malattia di Parkinson è sì una patologia neurodegenerativa che inesorabilmente peggiora continuamente – quando non si fa nulla per impedirlo. Ma con il giusto atteggiamento, la disciplina, i farmaci e le attività sia intellettuali che fisiche si può notevolmente modulare la progressione della malattia, oserei dire rallentarla, bloccarla, ed anche ridurla, e quindi gestire il quadro clinico conservando molte autonomie funzionali fino a tarda età. Ricordatevi l’articolo pubblicato sul nostro sito: “Il divertimento come fonte di dopamina”, ma più di tutto tenete sempre in mente il motto della nostra Parkinson Sassari: Volare si può, sognare si deve! in cui ‘Volare si può’ sta per lo spirito di non mollare mai, e ‘Sognare si deve’ esprime l’imperativo di avere obiettivi e desideri, e di vivere le emozioni.

Il logo della nostra Parkinson Sassari voluto dal presidente Franco Delli: le pietre apparentemente dure ma che invece contengono delle storie, la quercia forte che resiste alle intemperie, ed il gabbiano che nell’aria perde pesantezza e rigidità. Volare si può…
Avevo scritto questa Pillola n. 7 qualche settimana fa e stavo per consegnarla al nostro webmaster Gian Paolo Frau, quando l’intensa ed emozionante riunione dei familiari del 26 febbraio scorso mi ha fermato per una ulteriore riflessione. Non ho cambiato il senso dei miei appunti, ma la riunione, convocata da dott. Giovanni Carpentras insieme alle psicologhe dott.ssa Lidia Spanu e dott.ssa Angela Merella, questa volta nella prestigiosa biblioteca dell’Istituto di Scienze Radiologiche, mi ha portato a sottolineare alcuni aspetti quali il punto di visto dell’ammalato, quello del familiare e caregiver, e la consapevolezza della malattia per quello che è e non quello che noi temiamo possa essere. La riunione, sicuramente la più sentita ed utile di tutta la serie, è stata carica di forti emozioni, ma anche di cordiale divertimento. L’insieme di Dora, Nanna, Giannella, Anna, Graziella e Tonino si è rivelata una miscela scoppiettante che dopo importanti testimonianze ha suscitato risate e buon umore in tutti i presenti. Oltre all’ormai collaudato gruppo c’erano anche diverse ‘new entry’ che sin dall’inizio si sono trovati a loro agio. Questa riunione sarà sicuramente ricordata da tutti i partecipanti come quella più proficua in un clima amichevole e simpatico che ha fatto divertire anche gli psicologi del Servizio di Psicologia Clinica della Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari.