Volare si Può, Sognare si Deve!

Pillole sul Parkinson

VERTIGINI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 74)

Un anno fa ci siamo occupati di vertigini (PARKINSON ESTIVO: CAPOGIRI E VERTIGINI) che, specialmente nel periodo estivo, possono creare importanti disagi nelle persone affette da malattia di Parkinson, perché l’effetto ipotensivo del caldo si somma a quello dei farmaci e della malattia stessa. Ed abbiamo visto che l’antidoto può essere semplicemente bere più acqua.

Ma che cosa sono esattamente le vertigini e dove originano?

Le vertigini sono espressione di una alterazione del sistema dell’equilibrio.

Il sistema dell’equilibrio ci permette di contrastare la forza di gravità, di stare in piedi e di muoverci.

Il sistema dell’equilibrio è costituito dai sistemi sensoriali, visivo, uditivo, propriocettivo e tattile, che informano il cervello in ogni istante della nostra posizione; ed il cervello può mantenere l’equilibrio, correggere posture errate, o prepararci al movimento, integrando l’informazione visiva (la vista è uno strumento formidabile di orientamento; in effetti al buio si sbanda) con quella propriocettiva e tattile (muscoli, tendini e cute informano il cervello sul contatto del corpo a pavimento, sedia, letto, ecc). Ovviamente, le informazioni devono essere congrue, diversamente il sistema non riesce ad integrare correttamente le diverse informazioni sensoriali.

Per esempio, se ci si sporge da una altezza e si guarda in basso, il sistema propriocettivo e tattile informa il cervello che il corpo appoggia a circa 90 cm, mentre la vista rivela una distanza di diversi metri; questa discrepanza viene percepita come errata e si percepiscono le vertigini.

 

Oppure, all’interno dell’orecchio si trovano i canali semicircolari, tre per lato, per ogni dimensione dello spazio. Questi canali fungono un po’ come delle livelle e che devono sempre essere allineate. Se un canale è danneggiato (trauma, infezione, ecc.), quello controlaterale prende il sopravento ed il cervello lo registra come cambio di direzione, che però non è avvenuto, quindi disequilibrio e quindi vertigini. Oppure, in un canale si staccano degli otoliti (che servono da contrappeso nei canali semicircolari) e che vagano senza controllo nei canali stimolando il nervo vestibolare come se ci si fosse mossi, ma non c’è stato nessun movimento, quindi disequilibrio e vertigini.

A sinistra: anatomia dell’orecchio esterno ed interno; a destra: l’orecchio interno suddiviso in coclea e nervo cocleare per l’udito, ed il sistema vestibolare con i canali semicircolari e nervo vestibolare, responsabili per l’equilibrio.

Le cause delle vertigini sono tantissime: età, altezze, dislivelli, alterazioni dell’udito, della vista, della postura, infezioni, malattie cardiocircolatorie, dismetaboliche (diabete), e neurodegenerative (come il Parkinson), ma anche elevate temperature estive e farmaci.

Che cosa possiamo fare?

Il caldo ovviamente si combatte con il refrigerio e con l’acqua, le malattie che possono causare vertigini vanno trattate correttamente, farmaci che possono dare problemi vanno evitate, ed infine, il disequilibrio si cura con il miglioramento dell’equilibrio statico-dinamico con il movimento, il ballo e la riabilitazione neuromotoria.

Fonti bibliografiche:

Dlugariczyk J. “Schwierige” Patient:innen – Vestibularisdiagnostik unter erschwerten Bedingungen: Teil 2. HNO, 2024; 72: 129-140.

Li X, Wei C, Gao X, Sun J, Yang J. Global trends in the research on older population dizziness/vertigo: a 20-year bibliometric and visualization analysis. Braz J Otorhinolaryngol, 2024; 90(5): doi: 10.1016/j.bjorl.2024.101441.

Zwergal A, Lehner L, Goldschagg, Strupp M. Akuter, episodischer und chronischer zentraler Schwindel – differenzialdiagnosen kenn, richtig behandeln. DNP Neurologie & Psychiatrie, 2024; 25(3): 55-65.

Copertina di una mia recente lezioni sulle vertigini per il corso regionale di formazione dei medici di medicina generale.

MISTER PARKINSON SU MARTE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 73)

Gli esseri umani intraprendono sempre più spesso voli nello spazio, oltre alla scienza sta decollando il turismo spaziale, e per il prossimo futuro sono previsti voli sulla Luna e su Marte.

Ma come reagisce il nostro sistema nervoso all’assenza di gravità ed alla radiazione cosmica?

Da studi condotti su astronauti della stazione orbitale si è osservato che con l’assenza di gravità il cervello si sposta verso l’alto, spingendo il liquor (liquido che circonda il cervello e lo protegge) verso le regioni inferiori, aumentando il volume dei ventricoli (serbatoi del liquor situati nella parte centrale ed inferiore del cervello) del 7-25%. Queste modifiche, che provocano una sofferenza ischemica, cioè riduzione della ossigenazione del cervello, persistono per anni dopo una missione spaziale di solo qualche settimana.

La stazione orbitale, le navicelle e le tute sono fornite di strati protettivi ma non evitano del tutto le radiazioni, e si è calcolato che ogni singola cellula di un/a astronauta viene colpita in media ogni tre giorni da un protone (particella subatomica a carica positiva), ogni due settimane da un’ione di elio, ed ogni due-tre mesi da un nucleo atomico altamente energetico. Questo ha conseguenze sui tessuti organici, che sono attualmente oggetto di ricerche scientifiche; da studi condotti su cavie si è visto che topi, che sono rimasti 13 giorni nello spazio, hanno riportato una degenerazione neuronale simile a quella della malattia di Alzheimer.

Sinora esiste uno studio di gemelli, di cui uno è rimasto 340 giorni sulla stazione spaziale e che ha mostrato una riduzione delle capacità cognitive ancora quattro mesi dopo il rientro sulla Terra. Si discute, però, quanto, oltre alle radiazioni cosmiche, possano influenzare il cervello altri fattori, quali isolamento, disturbi del sonno e la maggiore concentrazione di CO2 sulla stazione orbitale.

L’astronauta Michael R. Clifford (1952-2021)

I cambiamenti gravitazionali mettono a dura prova il cervello, e la risultante sofferenza ischemica può portare ad alterazioni cerebrali sovrapponibili a quelle della malattia di Parkinson. Ne è un esempio il famoso caso dell’astronauta americano Michael R. Clifford che in seguito alla permanenza di 27 giorni sulla stazione orbitale russa MIR, ha sviluppato ad appena 42 anni il Parkinson. Non è chiaro, se lo stress gravitazionale esercitato sul cervello sia stata effettivamente la causa del Parkinson oppure se abbia accelerato e slatentizzato un processo neurodegenerativa già in atto.

Comunque sia, le agenzie spaziali internazionali ed i ricercatori di tutto il mondo stanno portando avanti le loro ricerche per proteggere il cervello dai molteplici fattori di rischio dei viaggi spaziali.

Nel dubbio, io quest’anno passerò le mie ferie ad Alghero.

 

Fonti bibliografiche:

Jaster JH, Ong J, Ottaviani G. Visual motion hypersensitivity, from spaceflight to Parkinson’s disease – as the chiasmatic cistern may be impacted by microgravity together with normal terrestrial gravity-opposition physiology in the brain. Exp Brain Res, 2024; 242(3): 521-523.

Jaster JH, Ottaviani G. Gravitational ischemia in the brain: how interfering with its release may predispose to either Alzheimer’s or Parkinson’s -like illness, treatable with hyperbaric oxygen. Physiologia, 2023; doi.org/10.3390/physiologia3040037.

Oberender A. Transformation im All: Wie Raumfahrt das Gehirn veraendert. Neurologische Diagnostik, 2024; Springer Medizin 12.07.2024.

Seidler RD, Mao XW, Tays GD, Wang T, Zu Eulenburg P. Effects of spaceflight on the brain. Lancet Neurol, 2024; doi: 10.1016/S1474-4422(24)00224-2.

ELEMENTARE, WILSON! di Kai S. Paulus

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(Pillola n. 72)

 

(Motivato da Marco Balbina, vorrei dedicare questa “Pillola” alle amiche ed amici della Parkinson Alghero per parlare di una rara ma importante malattia di accumulo di rame, che appartiene alla famiglia dei disordini del movimento, come il Parkinson, ma che in realtà non è una malattia neurologica.)

 

Il rame è presente nel suolo terrestre, e siccome è molto importante per il nostro organismo, lo assumiamo con l’acqua e tanti cibi, quali fegato, frutti di mare, frutta secca, semi, cereali integrali, legumi, ecc. Pensate, ingeriamo quotidianamente micro-frammenti di stelle, perché il rame originò dalla fusione di elio ed idrogeno dentro le stelle supernova milioni di anni fa.

Nel mondo animale e vegetale il rame è un importante cofattore per tanti processi biochimici, energetici e di sintesi di proteine e di catecolamine (come la dopamina!).

 

Abbiamo detto che il rame è molto importante per il metabolismo del nostro corpo; in effetti, una sua carenza può causare una riduzione di globuli bianchi (leucopenia), riduzione ed alterazioni delle dimensioni dei globuli rossi (anemia microcitica, normocitica o macrocitica), affezioni del midollo spinale (mielopatia), oppure sofferenze dei nervi (neuropatia periferica).

 

Invece, un eccesso di rame si osserva in caso di una mutazione del gene ATP7B, responsabile sia della sintesi della proteina di trasporto ceruloplasmina, sia dell’eliminazione del rame attraverso la bile; a causa di questa mutazione non viene garantito il corretto trasporto del rame. E senza il suo “vascello” ceruloplasmina, il metallo vaga caoticamente nel torrente sanguigno e va a finire eccessivamente in tessuti molto delicati, quali fegato, cervello, occhi e reni, dove si accumula e dove può causare importanti danni cellulari.

A sinistra: risonanza magnetica del cervello con il “segno del panda” per accumulo di rame (zone nere) nel nucleo rosso e la sostanza nera; a destra: accumulo di rame nei nuclei della base (zone chiare).

La mutazione del gene ATP7B è alla base della malattia di Wilson, patologia ereditaria e caratterizzata principalmente da un coinvolgimento del fegato e, successivamente, dei nuclei della base nel cervello. Ed è qui che si incontrano Samuel A. K. Wilson e James Parkinson.

Samuel Alexander Kinnier Wilson (1878-1937) e la sua pubblicazione del 1912 sulla “degenerazione lenticolare progressiva”, malattia che successivamente prenderà il suo nome.

L’accumulo di rame nel cervello avviene esattamente in quella regione che si ammala nel Parkinson e conseguentemente alcuni sintomi sono uguali e possono confondere anche i medici.

 

Una persona con malattia di Wilson presenta frequentemente rigidità diffusa, instabilità posturale, ipomimia, disartria, tremore a riposo, scialorrea e sindrome delle gambe senza riposo, e quindi, almeno all’inizio, difficile da distinguere da un vero Parkinson. Questi sintomi sono spesso accompagnati da ansia, depressione, confusione, allucinazioni e deliri. Questo quadro clinico esordisce in età giovanile e tende a progredire velocemente.

 

La diagnosi si basa ovviamente sul riscontro di alterati livelli di rame nel sangue ed urine, della patologia del fegato, di segni di accumulo di rame nel cervello (segno del Panda) e nell’occhio (anello di Keyser-Fleischer nella cornea).

Copertina delle mie lezioni sulla malattia di Wilson per il corso regionale della formazione specifica di Medicina Generale, dove si vede l’anello di Keyser-Fleischer nella cornea per il deposito di rame.

Per fortuna esistono ottime terapie che possono eliminare il rame in eccesso normalizzando le condizioni di salute del soggetto. Inoltre, si trovano ad un buon punto le ricerche sulle cellule staminali. In casi gravi si propone il trapianto di fegato.

 

Per questo è importante fare la diagnosi il prima possibile, perché così si può curare bene questa patologia del fegato e del cervello (degenerazione epato-lenticolare) ed evitarne gli stadi gravi. Elementare, Wilson!

 

 

Fonti bibliografiche:

Hartmann CJ. Therapeutische Aufrechterhaltung der Kupferhomoeostase bei M. Wilson. DG Neurologie, 2024; doi.org/10.1007/s42451-024-00673-0.

Teschke R, Eickhoff A. Wilson disease: copper-mediated cuproptosis, iron-related ferroptosis, and clinical highlights, with comprehensive and critical analysis update. International Journal of Molecular Sciences, 2024; 25: 4753. doi.org/10.3390/ijms25094753.

Xiong X, Gao C, Meng X, Liu A, Gong X, Sun Y. Research progress in stem cell therapy for Wilson disease. Regenerative Therapy, 2024; 27: 73-82.

LA MOGLIE CAREGIVER di Kai S. Paulus

(Pillola n.71)

 

Assistere una persona ammalata è un lavoro duro e molto impegnativo, e chi lo fa viene definito caregiver, professionale quando retribuito, oppure familiare, quando se ne occupa un membro della famiglia; ne abbiamo già parlato diverse volte (vedi “IL PORTATORE SANO“, “ TONINO E GLI ALTRI CAREGIVER“, “ LA DOTT.SSA DELOGU ILLUSTRA I DIRITTI DEI DISABILI E DEI CAREGIVER“, ” CAREGIVER?“, ” “IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO“).

La/il caregiver assiste la persona ammalata nella gestione della malattia (assunzione dei farmaci, accompagnamento a visite mediche e fisioterapia, ecc.) e nelle attività quotidiane (igiene personale, vestirsi, mangiare, spostamenti in piena sicurezza, ecc.) per rendergli la vita più facile. Però, con questi doveri può diminuire la qualità di vita del caregiver, aumentare lo stress e dolore fisico, presentarsi difficoltà nell’affrontare eventuali spese, e generarsi emozioni negative, quali frustrazioni, risentimento, paura, tristezza, e preoccupazioni per il futuro, con conseguente aumento di ansia, insonnia e depressione.

 

La novità è che recentemente sono state condotte delle innovative ed interessantissime ricerche scientifiche sul ruolo della moglie di un uomo affetto da malattia di Parkinson, e che qui di seguito vorrei riassumervi.

 

“Non esiste nessuna cura per chi assiste: l’esperienza di donne che assistono i loro mariti affetti da malattia di Parkinson” (White e Palmieri, 2024)

I caregiver di persone affette da Parkinson sono prevalentemente le mogli che lo diventano a mano a mano che la malattia progredisce. La moglie accompagna l’ammalato alle visite mediche dove è il principale riferimento per il medico, ma non riceve le necessarie attenzioni per i propri bisogni da parte del medico a causa delle limitate conoscenze degli operatori sanitari sulle emozioni e preoccupazioni delle caregiver. E la lamentela principale è che durante la visita medica l’unico argomento è il Parkinson ed altre problematiche non meno importanti, quali la vita famigliare, non vengono, o solo marginalmente, discusse.

Con il progredire della malattia l’uomo diventa la parte sempre meno attiva, mentre la moglie si assume sempre maggiori responsabilità e aumenta il peso e la fatica della crescente assistenza giorno e notte.

La donna diventa caregiver non per scelta, ma per dovere e necessità; ella è sola, perché i figli hanno le loro famiglie, e fratelli e sorelle vivono lontani; non c’è alternativa.

“L’impatto della malattia di Parkinson in stadio avanzato sui caregiver: uno studio internazionale del mondo reale” (Martinez-Martin et al, 2023)

Prendersi cura del familiare, pone una moglie in un ruolo che richiede il massimo sforzo per il benessere mentale e fisico dell’altro, nel mentre essa stessa si sente esausta. Le mogli, quando iniziano la “carriera” della caregiver, hanno comunemente più di 60-65 anni e pertanto hanno limitazioni fisiche legate all’età, oltre al fatto che anche loro possono essere ammalate di qualche malattia che però scende in secondo piano davanti al dovere di assistenza del marito.

Le donne riferiscono ridotta armonia ed abilità, e ridotto equilibrio, con la sensazione di perdita del loro mondo familiare; si fanno anche largo isolamento sociale e solitudine.

La donna è spesso delusa e scoraggiata perché si immaginava l’età della pensione molto diversa, dopo una vita di responsabilità e rinunce, magari con viaggi e serenità insieme al consorte.

Per rompere la monotonia del lavoro e dello stress, le caregiver dovrebbero inseguire attività fuori di casa che aiutano il marito nella socializzazione. Il problema è che comunque tutto si aggira intorno ai bisogni del marito e non soddisfa i bisogni di una moglie: le donne sacrificano il loro tempo e la loro identità sociale a favore delle necessità del marito. Si creano sentimenti contradittori: da un lato sensazioni di gratificazioni per ciò che riescono a fare, ma dall’altro lato l’aumento del peso e delle fatiche dell’assistenza che non finisce mai, anzi, che impegna sempre di più.

La moglie, tolto l’abito della sposa, riveste i panni dell’infermiera per le cure, della fisioterapista nel sorreggere il compagno nelle marce, della cuoca per la preparazione di cibi adatti, della badante per le necessità quotidiane; la vita di coppia è in serio pericolo e viene sostituito con una convivenza di necessità.

“La fatica del caregiver nella malattia di Parkinson: uno studio con metodo misto” (Geerlings et al, 2023)

Succede inoltre, che il marito non si rende conto della fatica che affronta la moglie nell’accudirlo, dà per scontato la presenza ubiquitaria della moglie, e la gratitudine, sicuramente pensata, non viene espressa.

Tutto questo può portare ad esaurimento e burn-out, quando l’assistenza al marito diventa un lavoro a tempo pieno.

I sintomi dell’esaurimento includono tensione muscolare, sfogo emotivo, ansia, stress e depressione, che porta ad una riduzione della qualità di vita per la caregiver fino a severa depressione. E frequentemente ci si sente sbagliati ed inadeguati, aggiunge la nostra psicologa Antonella Sircana.

 

Cosa fare?

Gli autori non propongono soluzioni perché la scienza sta appena iniziando ad occuparsi del ruolo della moglie caregiver, che rappresenta una colonna fondamentale nel sistema assistenziale sanitario.

Certamente ci vorranno maggiori attenzioni da parte della comunità scientifica, degli operatori e del sistema sanitario, della società e dei politici. Ma anche da parte dei mariti.

 

Fonti bibliografiche:

Geerlings AD, Kapelle WM, Sederel CJ, Tenison E, Wjingaards-Berenbroek H, Meinders MJ. Muneke M, Ben-Shlomo Y, Bloem BR, Darweesh SKL. Caregiver burden in Parkinson’s desease: a mixed-methods study. BMC Medicine, 2023; doi.org/10.1186/s12916-023-02933-4.

Martinez-Martin P, Skorvanek M, Henriksen T, Lindvall S, Domigos J, Alobaidi A, Kandukuri PL, Chaudhari VS, Patel AB, Parra JC, Pike J, Antonini A. Impact of advanced Parkinson’s disease on caregivers: an international real-world study. Journal of Neurology, 2023; 270(4): 2162-2173

White DR, Palmieri PA. There is ‘no cure for caregiving’: the experience of women caring for husbands living with Parkinson’s disease. International Journal of Qualitative Studies on Health and Well-being, 2024; doi.org/10.1080/17482631.2024.2341989

PROGETTO CASA PARK 2024 di Kai S. Paulus

Ieri pomeriggio ci siamo riuniti nella nostra Casa Park per un incontro speciale.

Abbiamo dato il via ad un nuovo progetto di riabilitazione, che possiamo definire “a 360 gradi”.

L’idea è di affrontare le varie disabilità causate dalla malattia di Parkinson in modo diverso, e cioè la partecipazione attiva e consapevole alle diverse iniziative. Diciamo che l’approccio vuole essere diverso. Sinora, medici, terapisti, musicisti hanno proposto le loro attività e tutti le hanno eseguite. In questi anni, però, si è osservato, che, nonostante tante medicine, fisioterapia, canti, balli e tanto altro, il rapace infingardo (come oramai abbiamo adottato l’espressione di G.B., vedi ” IL RAPACE INFINGARDO (alias Mr. Parkinson) di G.B.“) continua a godere di buona salute, cioè, non siamo riusciti a migliorare, a ridurre i blocchi motori, i tremori, la lentezza del movimento, l’instabilità posturale, l’insonnia, ecc.

Quindi, ci si propone, d’ora in avanti, di spiegare ancora meglio la malattia e le nostre singole attività ed esercizi. L’idea alla base del nuovo progetto è di conoscere meglio la malattia in tutti i suoi aspetti e sfaccettature, e di comprendere meglio perché si assume una determinata medicina e non l’altra, perché facciamo certi esercizi, e cosa succede esattamente quando cantiamo una canzone, quando ci muoviamo con la musica o quando compiamo un determinato esercizio ginnico.

Una migliore consapevolezza di tutto quello che si fa, come terapia e trattamento ‘contro’ il Parkinson, aiuterà nello svolgimento delle stesse attività, ma soprattutto aiuterà a raggiungere l’obiettivo, e cioè il miglioramento tangibile e sostanziale.

Il progetto non sarà limitato alle persone direttamente interessate, ma includerà anche la famiglia, i familiari, i caregiver, insomma la Portatrice sana ed il Portatore sano (vedi” IL PORTATORE SANO”,CAREGIVER?”, “IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO” ,” IL CAREGIVER: QUALCOSA STA CAMBIANDO 2“, ” TONINO E GLI ALTRI CAREGIVER “).

Per aiutarci a realizzare un progetto così ambizioso abbiamo chiesto la collaborazione ai nostri professionisti ed amici di lunga data, ma stiamo coinvolgendo anche nuove persone con confermate qualifiche nel proprio campo.

Ieri pomeriggio, quindi, abbiamo presentato “la squadra” alla nostra comunità e che qui di seguito sarà elencata:

– dott.ssa Elenia Mainiero, la nostra fisioterapia che collabora con noi già da quattro anni; ci spiegherà ancora meglio il significato degli esercizi e come servono per raggiungere i nostri obiettivi.

– dott.ssa Annalisa Mambrini, movimento e danza terapia, grande professionista con noi dal lontano 2015, unisce il movimento a corpo libero con la musica, esercizio, armonia e divertimento: impareremo cosa esattamente ci fanno questi movimenti e perché aiutano a diminuire i nostri problemi;

– maestro Fabrizio Sanna, il nostro insostituibile maestro di musica e direttore del coro di cui ci invidiano tutti “Volare si può”; la novità delle prove di coro sarà, appunto, la consapevolezza, cioè sapere perché una persona affetta da Parkinson dovrebbe cantare: per migliorare l’espressione verbale, per prevenire e/o migliorare le difficoltà nella deglutizione, e per rafforzare l’equilibrio; come vedete, tre punti importanti per cui vale la pena di azionare l’ugola; stonature saranno permesse.

Poi abbiamo le graditissime “new-entry”:

– l’operatrice olistica del benessere Laila Fara che si occuperà nello specifico di mindfulness e massoterapia. La mindfulness è una disciplina che insegna proprio la consapevolezza del proprio corpo, di ‘sentire’ le proprie emozioni, di sentire le reazioni del corpo all’ambiente e, nel caso nostro, a percepire i cambiamenti della malattia, l’effetto di un farmaco e l’efficacia di un esercizio; e poi, ci saranno i massaggi shiatsu per la decontrattura e rilassamento muscolare per correggere posture sbagliate e diminuire dolori causate da esse;

– dott.ssa Antonella Sircana, affermata psicologa, che lavorerà insieme a noi per comprendere meglio le difficoltà della persona ammalata ma anche dei familiari; e poi, ci vorrà portare al maneggio, PET therapy pura!

– dott.ssa Pina Frau, logopedista della ASL Nuoro, che ieri non poteva essere con noi per motivi di lavoro, e che sarà preziosissima per tutte le questioni riguardanti l’espressione verbale e della deglutizione; molti di noi conoscono già la sua bravura per diverse partecipazioni ai nostri convegni.

Parteciperà al nostro progetto anche l’assistente sociale della ASL Sassari, dott.ssa Elisabetta Marras, per aiutarci e guidarci attraverso la giungla burocratica di certificazioni, permessi familiari, richieste di invalidità, e quant’altro.

Il progetto, finanziato dalla Fondazione Sardegna, è sostenuto dalla nostra magnifica segreteria, rappresentata dalle insostituibili Sig.ra Caterina Sanna e Sig.ra Mariuccia Tortu, che ci assisteranno in questo percorso e, quando necessario, ci riporteranno con i piedi per terra.

Purtroppo non poteva assistere alla riunione la nostra presidente Dora Corveddu, alla quale va il nostro cordiale augurio di poter presto riunirsi a noi.

Che dire? Che l’avventura abbia inizio!

L’avventura verso il miglioramento della salute di tutti noi!

LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1 di Kai S. Paulus

(Pillola n. 69)

 

Nei precedenti capitoli ( vedi “ LA BELLEZZA“, e “ I BRIVIDI“) abbiamo cercato di definire meglio cosa intendiamo per bellezza e cosa succede al nostro corpo quando percepiamo qualcosa di piacevole, come i brividi. Abbiamo conosciuto l’emergente ramo della scienza, la neuroestetica, che studia l’influenza del bello sul nostro cervello e quindi sul nostro comportamento.

La neuroestetica rappresenta un potenzialmente importante strumento per studiare, comprendere e trattare la malattia di Parkinson.

Parlare di bellezza nel contesto del Parkinson può davvero apparire contraddittorio e addirittura oltraggioso, ma invece l’apprezzamento del bello potrà diventare una grande opportunità in termini di modificazione del decorso e cura della malattia, di miglioramento della qualità di vita, e verosimilmente anche in termini di prevenzione.

Ricordiamo brevemente i punti essenziali della malattia di Parkinson: malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita di neuroni dopaminergici dei circuiti cerebrali responsabili della preparazione e della selezione del movimento, che, per funzionare, utilizzano appunto la dopamina. La perdita di questi circuiti ‘a dopamina’ porta ad un ampio spettro di sintomi motori (rallentamento, rigidità, tremore, instabilità posturale, ecc.) e non motori (ansia, depressione, insonnia, dolore, stitichezza, ecc.).

Il circuito cerebrale della ricompensa e della gratificazione. VTA=area tegmentale ventrale, SNc=sostanza nera parte compatta. (modificato da Valerio Manippa 2019)

Ora seguitemi attentamente:

Il danno dei circuiti dopaminergici inizia nella sostanza nera compatta, SNc, collegata ai nuclei basali putamen e nucleo pallido la cui disfunzione causa i noti sintomi parkinsoniani (vedi sopra). La stessa sostanza nera, SNc, è collegata anche all’area tegmentale ventrale, VTA, che a sua volta proietta vie dopaminergiche verso

  1. a) il sistema mesolimbico (emotivo) fino al nucleo accumbens, ACC, coinvolto nella motivazione, gratificazione ed apprendimento;
  2. b) l’ippocampo, crocevia della memoria, della modulazione emotiva e del guadagno gratificante;
  3. c) la corteccia cerebrale prefrontale e orbitofrontale, regioni importanti per le capacità motivazionali e l’elaborazione della gratificazione ottenuta; la corteccia prefrontale, in particolare, è correlata alle funzioni esecutive ed alle capacità di giudizio.

Potete immaginare cosa succede ad un individuo se questi sistemi non funzionano bene?

Ed è esattamente ciò che accade nel Parkinson, a causa della riduzione di dopamina: oltre ai noti sintomi motori e fisici, si osserva perdita di motivazione, apatia, difficoltà nell’apprendimento, nella pianificazione di movimenti e di pensieri, carenza di gratificazioni, con il risultato di un generale appiattimento emotivo e sofferenza dell’anima.

(segue con ” LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2“)

Qui ho cercato di sintetizzare l’effetto delle emozioni positive sul cervello; spiegazioni in “La Bellezza ed il Parkinson 1 e 2”.

LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2 di Kai S. Paulus

(Pillola n. 70)

(seguito di “ LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“)

Una volta stabilito che la carenza di dopamina causa rallentamento motorio, rigidità, ma anche apatia e sofferenza emotiva, è intuitivo che l’aggiunta di dopamina ripristini, almeno parzialmente, movimento ed anima.

Ed è questo che si fa con i farmaci: si somministra dopamina e sostanze che rafforzano quei sistemi dopaminergici colpiti dal rapace infingardo.

Purtroppo, non c’è lieto fine, perché i farmaci non riparano il “secchio bucato”, lo riempiono solo momentaneamente. Per questo bisogno assumere le pastiglie diverse volte al giorno, e si spiegano anche le fluttuazioni giornalieri con frequenti blocchi motori e malessere emotivo, quando finisce la dose ed il secchio si svuota.

Inoltre, siccome si tratta di un rapace neurodenerativo e progressivo, negli anni il secchio si buca sempre di più, si devono usare dosi sempre più alti, con aumento di effetti collaterali e pochi benefici.

Quindi, non ci resta che alzare la bandiera bianca?

Assolutamente no! Non dobbiamo arrenderci, perché stanno arrivando “i nostri”!

E questi “nostri” li conosciamo molto bene: la riabilitazione (vedi “LA RIABILITAZIONE NEL TEMPIO DEL PARKINSON di Pinuccia Sanna“), la famiglia (vedi “IL PORTATORE SANO“), le attività (vedi “ ATTIVITA’ MOTORIA NEL PARKINSON; videoconferenza con la dott.ssa Lucia Cugusi “), e soprattutto il divertimento (vedi “ Il Divertimento come fonte di Dopamina“).

Ed ora si aggiunge un nuovo alleato, efficace e piacevole: ” LA BELLEZZA“!

Come abbiamo visto nella pillola n. 67 (vedi “ I BRIVIDI”), le percezioni sensoriali (visive, uditive, tattili) piacevoli stimolano, attivano e potenziano i circuiti “a dopamina” motori (nuclei basali) ed emotivi (sistema mesolimbico) che abbiamo visito nella prima parte (vedi “ LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“).

Non mi stanco a ripeterlo: le emozioni positive, da un lato aumentano la dopamina ed i circuiti dopaminergici con conseguente miglioramento delle performance fisiche e psichiche, dall’altro lato, ed è questo il punto cruciale, le emozioni positive attivano la neuroplasticità, ovvero le cellule staminali già presenti nel cervello, e riducono la neurodegenerazione!

Concludendo, il Parkinson è difficile e duro, ma se ogni tanto riesco a divertirmi, a rallegrarmi con bei momenti in famiglia, con la compagnia di persone amiche, con l’ascolto di buona musica, la lettura di un brano interessante ed edificante, e la visione di una bellezza naturale o monumentale, allora in quel momento sto aumentando la dopamina nella mia testa, sto riempendo il secchio, e, microscopicamente e lentamente ma straordinariamente, lo sto riparando.

Ed è tutto gratuito e senza effetti collaterali. Meditate gente, meditate!

Dimenticavo: si può imparare ad apprezzare la bellezza e quindi utilizzarla specificamente per il trattamento del Parkinson; ma di questo parliamo un’altra volta.

Osservate bene questo dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1558, che trovate su Wikipedia. Forse non vi dirà molto, ma conoscendo il titolo, l’opera acquista tutt’un altro significato. Titolo: “La caduta di Icaro”. (avete scoperto Icaro nel dipinto?)

Fonti bibliografiche:

Oliva A, Iosa M, Antonucci G, De Bartolo D. Are neuroaesthetic principles applied in art therapy protocols for neurorehabilitation? A systematic mini-review. Frontiers of Psychology, 2023; doi: 10.3389/psyg.2023.1158304.

Peloswki M, Spee BTM, Arato J, Doerflinger F, Ishizu T, Richard A. Can we really ‘read’ art to see the changing brain? A review and empirical assessment of clinical case reports and published artworks for systematic evidence of quality and style changes linked to damage or neurodegenerative disease. Phys Life Rev, 2022; 43: 32-95. doi: 10.1016/jplrev.2022.07.005.

LA BELLEZZA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 68)

(seguito di ” I BRIVIDI“)

 

Il bello piace.

Su quello, credo, siamo tutti d’accordo.

Ma che cos’è la bellezza e perché piace?

La bellezza è qualcosa che esercita una forte attrazione su di noi: un fiore, la vista di una bella persona, del mare, della montagna, del cielo, della Luna e delle stelle. La bellezza, di qualsiasi tipo si tratti, ci fa star bene.

Ma perché?

Il bello, la bellezza, provoca in noi un’esperienza sensoriale piacevole che viene elaborata nel cervello da determinati circuiti.

Questi circuiti, reti fittissime di neuroni, uniscono diversi elementi, quali i ricordi di esperienze vissute in passato, il desiderio di rivivere esperienze simili e la motivazione ad avvicinarsi alla bellezza. L’ape riconosce il fiore colorato, che rappresenta cibo, ed il ricordo della gratificazione spinge l’ape ad avvicinarsi. La bellezza esiste in natura per un motivo ben preciso: essa è essenziale per la sopravvivenza degli esseri viventi.

La regiana egiziana Nofretete 1370-1330 a.C. circa. Copyright 2024 rrb-online.de

Negli esseri umani si è arrivati ad una sublimazione della percezione del bello, che non serve più solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per la nostra ricreazione ed il nostro svago; e così la bellezza è piacere e gratificazione, rappresenta il germe della cultura, la base dell’educazione, e la spinta della nostra società ad andare avanti.

Possiamo parlare di una bellezza universale che da tutti viene percepita come gradevole, come, per esempio un prato fiorito in primavera, la schiuma bianca delle onde del mare che si infrangono sulla spiaggia tropicale, oppure il famoso busto della regina egiziana Nofretete.

Poi esiste la bellezza soggettiva, che ogni individuo percepisce in base alla cultura nella quale è cresciuto/a, il contesto socio-familiare, l’educazione e le proprie esperienze.

L’esperienza del bello ed il sentimento del piacere vengono racchiusi nell’estetica, che è sostanzialmente l’espressione della soddisfacente visione/udito/tatto di ciò che di bello e piacevole ci circonda. La scienza che studia l’estetica, e l’influenza che la percezione del bello e del piacere esercitano sul nostro comportamento, viene chiamata neuroestetica.

(segue con ” LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1“)

 

La serie della neuroestetica comprende (per leggere l’articolo cliccare sul titolo celeste):

” I BRIVIDI

”  LA BELLEZZA

”  LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 1

”  LA BELLEZZA ED IL PARKINSON 2

 

Fonti bibliografiche:

Magsamen S, Golden TL, Towriss CA, Allen J. The impact thinking framework: a process for advancing research-to-practice initiatives in neuroaesthetics. Front Psych, 2023; doi: 10.3389/fpsyg.2023.1129334.

Zeki S. Clive Bell’s “Significant Form” and theneurobiology of aesthetics. Front Human Neurosci, 2013; doi: 10.3389/fnhum.2013.00730.

Skov M, Nadal M. The nature of beauty: behavior, cognition, and neurobiology. Ann NY Acad Sci, 2021; 1488(1): 44-55. doi:10.1111/nyas.14524.

I BRIVIDI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 67)

Rabbrividiamo per dispiaceri, malesseri, per febbre, per stupore e per rabbia, e qui entra in gioco il nostro sistema nervoso autonomo, quello simpatico e parasimpatico (vedi “ DISFUNZIONI AUTONOMICHE NEL PARKINSON”; e “ ATTACCO O FUGA”) per prepararci all’azione: attacco o fuga.

Tutti conosciamo però anche la piacevole sensazione di brividi e di pelle d’oca quando ci emozioniamo per qualcosa di bello, come un abbraccio, una carezza, ma anche durante l’ascolto di un brano di musica, la lettura di un racconto, o l’osservazione di un’opera d’arte, che ci coinvolgono particolarmente; rabbrividiamo per piaceri e divertimento, per gioia e felicità, insomma, per emozioni positive. Questi brividi, a differenza dei brividi da emergenze fisiche come la febbre o lo spavento, vengono chiamate brividi estetici.

Ovviamente dovremo fare tutte quelle attività molto più spesso, dovremo emozionarci molto più spesso, dovremo sentire i brividi estetici molto più spesso.

Ma che cosa sono i brividi e perché li sentiamo quando ci emozioniamo?

Recentissima pubblicazione dello studio: “La neurobiologia dei brividi estetici: come le sensazioni corporee formano le esperienze emotive”.

Possiamo dire, in modo semplice, che i brividi estetici rappresentano l’espressione fisica dell’emozione. Delle emozioni, dei loro meccanismi e del loro significato, abbiamo parlato già tante volte (vedi “ BIOCHIMICA DELLE EMOZIONI – cronaca della video conferenza di Prof. Pier Andrea Serra”, e “ PREVENIRE LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE?”), ma perché rabbrividiamo?

Le emozioni sono espressione di una forte impressione ad un evento straordinario che richiede una reazione, di avvicinamento in caso di un evento ritenuto positivo, piacevole e bello (invece di allontanamento da una situazione sgradevole e spaventosa).

Le emozioni positive vengono generate nel nostro cervello nel sistema della ricompensa e delle gratificazioni, un sistema di proiezioni nervose dopaminergiche che partono dall’area tegmentale ventrale, VTA, e si dirigono sia verso il nucleo accumbens e la corteccia prefrontale dove si creano le sensazioni piacevoli, sia verso la sostanza nera parte compatta, SNc, ed i nuclei della base, strutture cerebrali deputati alla selezione dei movimenti ed alla preparazione all’azione.

Il circuito cerebrale della ricompensa e della gratificazione. VTA=area tegmentale ventrale, SNc=sostanza nera parte compatta. (modificato da Valerio Manippa 2019)

L’attivazione di tutte quelle regioni cerebrali in risposta ad emozioni positive aumenta la motivazione e l’apprendimento: sperimentiamo cosa ci fa star bene e siamo portati a indirizzare anche in futuro la nostra condotta ed i nostri obiettivi verso quella meta.

Effettuato dal sistema nervoso autonomo e tecnicamente dovuti a contrattura dei muscoli periferici (causando tremori diffusi) e dei muscoli erettori del pelo (la pelle d’oca), i brividi estetici sono il risultato dell’aspettativa di un evento positivo e la conferma dell’avvenuta piacevolezza paragonata ad esperienze precedenti. I brividi sono quindi seguiti da una fase di soddisfazione sensoriale che predispone all’apprendimento, cioè la memorizzazione delle azioni che hanno portato alla gratificazione emotiva.

(E pensare che questi meccanismi determinano tutta la nostra esistenza: impariamo così a camminare, ad andare in bicicletta, a studiare per esami, riusciamo a svolgere il nostro lavoro, corteggiamo la persona amata, e pianifichiamo la nostra vita in base all’esperienza di emozioni positive vissute ed immagazzinate, le gratificazioni emotive ottenute con il raggiungimento dei nostri obiettivi.)

In tutte quelle fasi e meccanismi la dopamina gioca un ruolo fondamentale, ed i circuiti dopaminergici sono attivati e stimolati quando percepiamo qualcosa di bello e di straordinario.

Penso che ora mi comprendete, se vi dicessi che la bellezza può curare il Parkinson.

Ma di questo parliamo prossimamente.

(segue con ” LA BELLEZZA“)

 

Fonti bibliografiche:

Schoeller F, Jain A, Pizzagalli DA, Reggente N. The neurobiology of aesthetic chills: how bodily sensations shape emotional experiences. Cognitive, Affective, Behavioral Neuroscience, 2024; doi.org/10.3758/s13415-024-01168-x.

Jain A, Schoeller F, Horowitz A, Hu X, Yan G, Salomon R, Maes P. Aesthetic chills cause an emotional drift in valence and arousal. Front Neurosci, 2023; doi 10.3389/fnins.2022.1013117.

PAROLA, LINGUAGGIO E DISARTRIA NEL PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 66)

La lingua, il linguaggio, serve per la comunicazione ed è essenziale per la nostra vita sociale; essa è una funzione cognitiva che è costituita dalle strette connessioni nelle regioni cerebrali del lobo temporale dell’emisfero dominante, che è comunemente quello sinistro, raramente quello destro (anche nelle persone mancine nel 70-80% il centro del linguaggio si trova nell’emisfero sinistro).

Diverse reti cerebrali elaborano i segnali neuronali, e funzionalmente si possono distinguere dei processi di elaborazione sia per la comprensione e sia per la produzione della parola. Queste reti del linguaggio vengono influenzati da circuiti bilaterali, cioè di entrambi gli emisferi cerebrali, appartenenti a funzioni cognitive superiori, quali attenzione, memoria, e funzioni esecutive. Queste interconnessioni con tante regioni del cervello spiega il fatto che lesioni del cervello al di fuori del centro del linguaggio possono comunque compromettere le funzioni linguistiche.

La comprensione linguistica riguarda il riconoscere del significato delle parole e dei suoni, che viene elaborato nella corteccia temporale anteriore e posteriore (area di Wernicke), mentre la produzione della lingua, situata nella corteccia frontale inferiore (area di Broca), include la composizione ed imitazione di suoni, parole e frasi secondo le capacità linguistico-semantiche apprese. Il centro di comprensione (area di Wernicke) ed il centro di produzione (area di Broca) sono interconnesse tramite il fascicolo arcuato.

modificato da www.my-personaltrainer.it

Nel parlare vengono azionati meccanismi motorio-articolari che originano da circuiti cerebrali frontali. La pianificazione e coordinazione dei programmi motori degli organi esecutori di suoni (corde vocali) e parola (lingua e muscoli della cavità orale) vengono prodotte nella corteccia premotoria frontale dell’emisfero sinistro.

Le alterazioni del linguaggio, difficoltà nella comprensione (disfasia/afasia percettiva) o nella produzione di parole (disartria/afasia espressiva), possono essere dovuta a tante cause, quali ictus, tumori cerebrali, epilessia, sostanze psicoattive e sedative, e malattie neurodegenerative.

Nella malattia di Parkinson si osserva prevalentemente una disartria ipocinetica, caratterizzata da una parola strascicata e lenta, con timbro vocale monotono e piano, ipofonico, spesso causa di notevole disagio sociale.

La disartria ipocinetica risponde poco ai farmaci, e pertanto il trattamento è principalmente riabilitativo. Le linee guida indicano la logoterapia con vocalizzi e tecniche respiratorie, ed il canto è formidabile per migliorare l’espressione verbale. Recentemente vengono proposte anche metodiche con realtà virtuale, programmi computerizzati ed intelligenza artificiale, ma penso che sia molto più efficace e divertente cantare.

Quindi, carissime ugole, mi raccomando, tutti/e a squarciagola nel nostro coro “Volare si può” diretto dal nostro maestro Fabrizio Sanna.

 

Fonti bibliografiche:

Knowles T, Adams SG, Jog M. Effects of speech rate modifications on phonatory acoustic outcomes in Parkinson’s disease. Front Hum Neurosci, 2024; doi: 10.3389/fnhum.2024.1331816.

Perry SE, Troche M, Huber JE, Curtis J, Kiefer B, Sevitz J, Dennard Q, Borders J, Browy JR, Dakin A, Gonzales V, Chapman J, Wu T, Katz L, Britton D. Behavioral management of respiratory/phonatory dysfunction for dysarthria associated with neurodegenerative disease: a systematic review. Am J Speech Lang Pathol, 2024; 33(2): 1069-1097.

Stockert A, Saur D. Sprachstoerungen: Leitsymptom Aphasie. InFo Neurologie Psychiatrie, 2023; 25(6): 28-36.

Suppa A, Costantini G, Asci F, Di Leo P, Sami Al-Wardat M, Di Lazzaro G, Scalise S, Pisani A, Saggio G. Voice in Parkinson’s disease: a machine learning study. Front Neurol, 2022; 13: doi: 10.3389/fneur.2022.831428.