Volare si Può, Sognare si Deve!

Pillole sul Parkinson

SISTEMA GLINFATICO (2) di Kai S. Paulus

(Pillola n. 102)

seguito di ” SISTEMA GLINFATICO (1)

“Il sistema glinfatico, sonno e malattia di Parkinson, correlazioni, opportunità di ricerca, e potenziale per la modificazione della malattia”.

Solo da pochi anni si conoscono esistenza e funzione del cosiddetto “sistema glinfatico” nel cervello, rappresentato da un meccanismo di drenaggio di liquidi che parte dai capillari arteriosi, che si snodano tra le cellule del cervello, e versandosi nella controparte venosa.

Il sangue arterioso arriva dal cuore e, attraverso le carotidi e le arterie cerebrali, porta ossigeno e nutrimento al cervello; invece, il sangue venoso elimina dal cervello il sangue ‘sporco’ di anidride carbonica e rifiuti del metabolismo cellulare per consegnarlo al cuore scendendo le vene giugulari nel collo.

Dentro il cervello, tra le cellule cerebrali, interposto tra i comparti vascolari arterioso e venoso si trova il sistema glinfatico. Esso inizia con i canali di aquaporina 4 che si trovano sui prolungamenti delle cellule di sostegno, gli astrociti, che insieme alla parete dei capillari sanguigni formano la nota barriera emato-encefalica, attraverso la quale deve passare tutto quello che serve al cervello: acqua, ossigeno, nutrimento ed anche farmaci.

Tramite i canali dell’aquaporina 4, l’acqua, che si trova nello spazio perivascolare, che circonda i capillari, entra nel tessuto cerebrale e penetra tra le cellule.

Rappresentazione del drenaggio della proteina alfa-sinucleina alterata dallo spazio intercellulare verso i vasi venose con cui gli scarti vengono eliminati.

Mi chiedo, che cosa fa l’acqua tra le cellule cerebrali?

La risposta è semplice: l’acqua fa quello che sa fare sempre: innaffia e sciacqua.

L’acqua (detto più correttamente liquido interstiziale) supera la barriera ematoencefalica, lascia il capillare arterioso ed attraverso i canali dell’aquaporina 4 arriva dentro il cervello e lo innaffia e lo nutre. Nel suo passaggio dal capillare arterioso verso quello venoso rilascia il nutrimento e si trascina dietro gli scarti per versarsi nel torrente venoso e portando via tutto quello che non serve più. In questo modo, il sistema glinfatico, garantisce l’omeostasi, cioè l’equilibrio salutare, del cervello, che in questo modo viene messo nelle condizioni ottimali a funzionare bene.

Ed adesso arriviamo al punto:

la malattia di Parkinson è una proteinopatia, cioè caratterizzata dall’accumulo di una proteina, l’alfa-sinucleina, alterata e quindi tossica. L’alfa-sinucleina normalmente è una proteina funzionale estremamente importante per il cervello, ma nel Parkinson ne vengono prodotte in forma alterata e quindi dannosa e/o il sistema di eliminazione degli scarti è difettoso, con il risultato che gli scarti di questa proteina si accumulano nella cellula nervosa intossicandola. Inoltre, questi scarti diffondono verso altre cellule contagiandole e la malattia aumenta e progredisce. La diffusione, la migrazione da cellula a cellula avviene attraverso il liquido interstiziale, esatto, proprio lì dove lavora il sistema glinfatico.

“Mirare al sistema glinfatico per promuovere l’eliminazione dell’alfa-sinucleina: una nuova strategia terapeutica per la malattia di Parkinson” (articolo scientifico innovativo che sarà pubblicato nel 2026!)

Domanda: allora il sistema glinfatico dovrebbe ripulire lo spazio tra le cellule ed evitare la diffusione della proteina tossica evitando il peggioramento della malattia: perché non accade?

Nel Parkinson il sistema glinfatico è meno attivo per due motivi:

  • Il sistema glinfatico è attivo durante il sonno profondo, che però nel Parkinson è disturbato, e
  • Nelle malattie neurodegenerative i canali dell’aquaporina 4 sono spesso alterati.

Quindi, la soluzione al problema ci sarebbe: dormire bene.

Ma proprio questo è uno dei principali problemi nel Parkinson: il sonno è disturbato, il sistema glinfatico non funziona, gli scarti non vengono eliminati, e la malattia peggiora.

Conclusione:

Una maggiore attenzione alla qualità del sonno, l’igiene del sonno, la psicoeducazione, mindfulness, e l’ottimizzazione della terapia medica, promuovono il buon riposo notturno dando la possibilità al sistema glinfatico di svolgere il proprio lavoro; così facendo, il Parkinson progredisce di meno o addirittura diminuisce, ed inoltre il buon riposo notturno serve da prevenzione per tutti.

Quando si dorme male non è facile correggere il sonno, e nella “Pillola” precedente abbiamo elencato le tante difficoltà che una persona con Parkinson deve affrontare durante la notte, ma gli obiettivi della terapia devono necessariamente includere il miglioramento del sonno notturno, una opportunità per combattere il rapace infingardo che non possiamo permetterci di sottovalutare.

 

Fonti bibliografiche:

(tutte pubblicazioni recentissime del 2025, ed una addirittura che sarà pubblicata nel 2026, per sottolineare l’attualità della tematica)

Chen S, Wang H, Zhang L, Xi Y, Lu Y, Yu K, Zhu Y, Regina I, Bi Y, Tong F. Glymphatic system: a self-purification circulation in brain. Front Cell Neurosci, 2025; doi: 10.3389//fncell.2025.1528995.

Elliot BD, Kisamore CO, Nelson RJ, DeVries AC, Walker II WH. Circadian influences on central nervous system barriers and the glymphatic system. Front Phys, 2025; doi: 10.3389//fphys.2025.1622236.

Lian X, Liu Z, Gan Z, Yan Q, Tong L, Qiu L, Liu Y, Chen JF, Li Z. Targeting the glymphatic system to promote α-sinuclein clearance: a novel therapeutic strategy for Parkinson’s disease. Neural Regen Res, 2026; doi.org/10.4203/NRR.NRR-D-24-00764.

Nepozitek J, Dusek P, Sonka K. Glymphatic system, sleep, and Parkinson’s disease: interconnections, research opportunities, and potential for disease modification. Sleep, 2025; 48: 1-3.

Ohara M, Hattori T. The glymphatic system in cerebrospinal fluid dynamics: clinical implications, its evaluation, and application to therapeutics. Neurodegener Dis, 2025; doi: 10.1159/000546286.

Sun Y, Lv QK, Liu JY, Wang F, Liu CF. New perspectives on the glymphatic system and the relationship between glymphatic system and neurodegenerative diseases. Neurobiol Dis, 2025; 205: 106791.

SISTEMA GLINFATICO (1) di Kai S. Paulus

(Pillola n. 101)

Da molti anni vi raccomando di avere cura del vostro sonno, del vostro riposo notturno, e ne abbiamo parlato anche tante volte in queste “Pillole” (cliccare sul titolo celeste per visualizzare il testo):

IGIENE DEL SONNO 2.0

MALATTIA DI PARKINSON E SONNO

IL SONNO

RIABILITAZIONE DEL SONNO?

IL RITMO CIRCADIANO

PER FAVORE, DORMITE BENE

Pur dormendo male, avendo difficoltà nell’addormentarsi e svegliandosi tante volte, si è convinti che non sia importante e che sia più utile riferire ai medici di dolori, instabilità posturale, debolezze ed altri problemi ‘diurni’, e molto raramente una persona racconta spontaneamente al medico del proprio sonno. Molto male, considerando che per sopravvivere dobbiamo respirare, mangiare e bere, e dormire.

Come vi ho raccontato tante volte, le malattie neurodegenerative, come il Parkinson, sono molto difficili da gestire, per cui diventa obbligatorio trattare la malattia a 360 gradi per mantenere autonomie e qualità di vita soddisfacenti. Quindi, la terapia del Parkinson non include solo la terapia dopaminergica per tremore e rigidità, ma deve includere i miglioramenti del tono dell’umore, dell’ansia, dei dolori, delle problematiche gastrointestinali, e soprattutto del riposo notturno.

Nella malattia di Parkinson il sonno è molto spesso alterato per tanti motivi:

  • per le difficoltà fisiche (non si riesce a muoversi a letto e non si trova la posizione giusta a causa della rigidità, dolori, ecc.),
  • per le funzioni fisiologiche (le difficoltà nel doversi recare in bagno, anche più volte durante la notte),
  • per lo stato emotivo (ansia e preoccupazioni per la propria salute e del domani)
  • alterazione del ritmo circadiano (l’insonnia causa sonnolenza diurna che a sua volta aggrava l’insonnia)
  • per le alterazioni del sonno causate dalla malattia (riduzioni di neurotrasmettitore, quali la dopamina)

Queste problematiche possono essere affrontate sia farmacologicamente, specialmente con l’ottimizzazione della terapia in corso, sia non farmacologicamente, attenendosi alle semplici regole comportamentali dell’igiene del sonno e, se non dovesse bastare, con un supporto psicologico e la terapia comportamentale cognitiva.

Ma perché tutta questa attenzione sul sonno. Perché dobbiamo dormire di notte?

A questa domanda si risponde comprendendo la funzione fisiologica, naturale, del sonno.

Ne abbiamo parlato in “ IL SONNO“, dove abbiamo visto che il sonno serve ovviamente per riposare, ma durante il sonno accadono nel cervello importanti processi di rigenerazione, riparazione e di pulizia. Questo lo sapevamo già. Ma la straordinaria novità è che ora si è scoperto, come esattamente si attivano questi meccanismi e quando.

Ve lo svelerò nella prossima ‘Pillola’.

 

“Il sistema glinfatico nelle malattie neurologiche ed implicazioni per la salute mentale”.

Fonti bibliografiche:

Corbali O, Levey AI. Glymphatic system in neurological disorders and implications for brain health. Front Neurol, 2025; 16: doi.103389/fneur.2025.1543725.

ATROFIA MULTISISTEMICA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 100)

Esistono tante malattie neurodegenerative, che possono essere suddivise grossolanamente in tre grandi gruppi, le proteinopatie, in base alla predominante alterazione di una proteina, che causa il malfunzionamento delle cellule cerebrali.

E così di distinguono le amiloidopatie con alterazione di una proteina della membrana cellulare, la beta-amiloide (per es. Alzheimer), le tauopatie (alterazione della proteina strutturale tau, come nella Paresi Sopranucleare Progressiva), e le sinucleinopatie (Parkinson, demenza di Lewy, disturbo comportamentale del sonno REM) con alterazione della proteina funzionale alfa-sinucleina.

Tra le sinucleinopatie appartiene anche l’Atrofia multisistemica, MSA (multiple system atrophy), una malattia molto rara, dove si osserva l’accumulo di alfa-sinucleina non nelle cellule nervose dei circuiti motori (nuclei della base) come nel Parkinson, ma prevalentemente in un altro gruppo di cellule cerebrali, i cosiddetti oligodendrociti.

Gli oligodendrociti si trovano nelle vicinanze dei neuroni, le cellule nervose, e con dei prolungamenti avvolgono gli assoni dei neuroni conferendo ad essi protezione e funzionalità per la conduzione del segnale nervoso.

Proprio in questa differenza si trovano le caratteristiche peculiari della MSA, dove si possono riconoscere sintomi parkinsoniani (rigidità, rallentamento, tremore), cerebellari (alterazione del coordinamento dei movimenti), e disfunzioni neurovegetative (incontinenza sfinterica, disfunzioni erettili, ipotensione ortostatica); quando prevalgono segni parkinsoniani si parla di MSA tipo P(arkinsoniana), invece si chiama MSA-C(erebellare) quando prevalgono sintomi atassici o di incoordinazione. Si aggiungono debolezza muscolare, difficoltà a parlare, e disturbi del sonno.

La malattia, per fortuna molto rara, è velocemente progressiva, con una aspettativa di vita di circa 6-8 anni dall’esordio dei sintomi.

Le cause della MSA possono essere genetiche, dove si parla di alcune mutazioni coinvolte anche nel Parkinson, come quelle dei geni SNCA e GBA, ma vengono discusse, come per tutte le malattie neurodegenerative, cause infiammatorie, quali quelle delle vie urinarie e dell’intestino nelle forme croniche.

Il recente articolo pubblicato quest’anno sulla prestigiosa rivista scientifica Annual Reviews e che riporta le attuali conoscenze sulla Atrofia Multisistemica.

Una vera cura farmacologica non esiste per l’atrofia multisistemica, e la dopamina risulta efficace sui sintomi parkinsoniani solo nei primi stadi di malattia.

Però, si può intervenire in vario modo per trattare i singoli sintomi e per mantenere e/o migliorare la qualità di vita. Si possono trattare l’ipotensione, e l’impotenza, con la riabilitazione neuromotoria si può contrastare la debolezza muscolare, l’incoordinazione e l’instabilità posturale.

Ma soprattutto, si possono, e si devono, affrontare sin dall’inizio le infiammazioni sistemiche, urinarie e gastrointestinali, ma anche quelle osteoarticolari (vedi “   “), situazioni che spesso danno inizio o comunque aggravano le malattie neurodegenerative, e specialmente in una patologia ad aspettativa di vita breve come la MSA, dove non si deve perdere tempo. E si possono trovare soluzioni comportamentali e farmacologiche per gestire la pressione arteriosa bassa, uno dei sintomi iniziali maggiormente invalidante.

Particolarmente pronunciati nella MSA sono i disturbi del sonno, che, come nelle altre sinucleinopatie, possono rappresentare l’esordio della malattia molti anni prima dei primi sintomi fisici, e pertanto diventa particolarmente cruciale intervenire sul sonno, sia in termini preventivi sia per l’ipotesi di un possibile rallentamento della progressione.

L’atrofia multisistemica a tutt’oggi è definita una patologia non curabile, ma negli ultimi anni si sono fatti tanti progressi nel comprendere i meccanismi cellulari e molecolari che portano a questa malattia, e questo è la base per possibili cure prossime future.

 

Fonte bibliografica:

Ndayisaba A, Halliday GM, Khurana V. Multiple System Atrophy: Pathology, Pathogenesis, and Path Forward. Annu Rev Pathol, 2025; 20(1): 245-273.

Ndayisaba A, Halliday GM, Khurana V. Supplemental material to: Multiple System Atrophy: Pathology, Pathogenesis, and Path Forward. Annu Rev Pathol Mech Dis, 2025; doi.org/10.1146/annurev-pathomechdis-051122-104528.

HEAVY METAL E PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 99)

Qualche giorno fa ci ha lasciato il cantante britannico e compositore di musica rock, il leggendario leader del gruppo “Black Sabbath”, John Michael “Ozzy” Osborne.

Da alcuni anni ammalato di malattia di Parkinson, ha vissuto, dopo un’infanzia difficile, una vita sopra le righe, piena di eccessi, costellata di alti e bassi, fama mondiale, successi indiscussi e periodi bui sprofondando nella droga, nell’alcol e nella violenza. Con una voce non particolarmente brillante ha scritto alcune pagine della musica mondiale e creato un genere di rock duro (Heavy metal) innovativo, e canzoni come “Paranoid”, “Crazy”, “War Pigs”, e “Iron man”, oltre ad essere attuali anche oggi, appartengono alla storia.

Primo album del gruppo rock Black Sabbath “Paranoid” pubblicato nel 1970.

Molto commovente è stato l’ultimo concerto di Ozzy Osborne poche settimane fa a Birmingham, la sua città natale, quando si scusò davanti ad uno stadio strapieno di non potersi alzare in piedi perché la sua malattia di Parkinson in stadio avanzato non glielo consentiva, ma ci teneva esserci nonostante la sofferenza, perché voleva salutare un’ultima volta il suo pubblico, un evento che stava preparando da mesi.

Uno degli album di successo del gruppo rock Black Sabbath “13” pubblicato nel 2013.

In quella occasione raccontò che aveva sospeso i farmaci e specialmente gli antidolorifici perché preferiva il dolore allo stordimento, e per mantenere la sua voce in grado di affrontare le fatiche di un concerto heavy metal.

Da solista Ozzy Osborne pubblica nel 2005 “Under cover”.

Osborne ha donato l’intero incasso di questo suo ultimo concerto alla ricerca scientifica per le cure della malattia di Parkinson.

Alla fine, il “Principe delle tenebri” della musica rock se n’è andato con una testimonianza forte e coraggiosa, e con un gesto nobile ed inaspettato che aiuterà tante persone nella battaglia quotidiana contro Su nemigu.

L’ultimo disco di Ozzy Osborne del 2024 “Patient number 9” (paziente numero 9) dove il leggendario rocker fa riferimento alla sua situazione di salute.

Un’altro esempio di personaggi della musica rock affetti da malattia di Parkinson è il musicista Mick Jones del gruppo rock “Foreigner” affetto da circa dieci anni di Parkinson, che ha organizzato recentemente, insieme alla Michael J. Fox Foundation, la “Passeggiata Uniti contro il Parkinson” che sarà organizzato, insieme alla LIMPE (Lega Italiana Malattia di Parkinson e Sindromi Extrapiramidali) anche a Sassari ed Alghero in occasione della Giornata Nazionale Parkinson il 29 novembre 2025.

Ironia della sorte, i “heavy metal”, i metalli pesanti, quali manganese, mercurio, zinco, rame, ferro, possono indurre delle sindromi parkinsoniane, spesso dovute ad esposizioni ambientali e professionali, ed a volte per alterazioni genetiche che causano, per esempio, nella malattia di Wilson un accumulo di rame nel cervello (vedi “ELEMENTARE, WILSON!”).

ARTROSI E PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 98)

 

L’artrosi è una malattia ortopedica caratterizzata dalla progressiva degenerazione della cartilagine articolare. Cioè, negli anni si consuma la superficie liscia all’interno delle articolazioni che normalmente consente il facile scivolamento delle ossa dentro l’articolazione consentendo così flessione ed estensione dell’arto. Invece, deteriorando le due estremità ossee dell’articolazione, la motilità dell’arto diventa sempre più difficoltosa e dolorosa.

“Dolore nella malattia di Parkinson: un approccio basato sulla neuroanatomia”.

Ma come mai vi sto raccontando una patologia ortopedica, che cosa c’entra con la malattia di Parkinson?

 

Il Parkinson è fondamentalmente un disturbo del movimento, che si cura principalmente proprio con movimento e le attività fisiche. Se, però, si soffre di dolori alla schiena, ginocchio o spalla, muoversi e fare esercizi diventa difficile.

Succede quindi, che, per evitare i dolori, si tende a muoversi di meno.

 

Non essendo un ortopedico, non posso dirvi, se fa bene o male non muoversi in caso di artrosi, ma certamente fa malissimo non muoversi in caso di Parkinson.

E qui il gatto si morde la coda: spesso le persone, invitate da fisiatri e terapisti a rimanere in movimento, riferiscono che non sono in grado a fare gli esercizi, ad alzarsi, a camminare, a ballare, a fare attività fisiche e sportive, perché dolgono ginocchia, schiena ed anche.

 

Succede quindi, che la persona con Parkinson e problemi ortopedici diventa sempre più sedentaria, si muove di meno e la malattia neurologica avanza con una sempre maggiore disabilità. Per non sottovalutare che la lombalgia non fa dormire, dove sappiamo che proprio il buon riposo notturno è essenziale per curare il Parkinson.

“Associazione tra osteoartrite e malattia di Parkinson negli USA (NHANNES 2011-2020)”

Diventa necessario risolvere il problema che ostacola il corretto comportamento nel Parkinson, e quindi, è necessario eliminare, o comunque ridurre e rendere sopportabili i dolori articolari.

 

Nel Parkinson con patologia ortopedica ci vuole l’ottimizzazione della terapia farmacologica, fisioterapica ed eventualmente chirurgica, per ridurre i disturbi posturali ed algici ortopedici, per consentire il movimento e la riabilitazione neuromotoria.

 

Ma c’è di più: si è osservato che persone affette da osteoartrite hanno un rischio di ammalarsi di Parkinson del 30% maggiore rispetto alla popolazione generale. Questo perché l’artrite è un processo infiammatorio locale cronico, e come tale, rilascia delle sostanze pro-infiammatorie che con la circolazione sanguigna si diffondono in tutto l’organismo, ed anche nel cervello, dove queste sostanze, per la maggior parte citochine ed interleuchine, possono iniziare un processo di neuroinfiammazione che successivamente può degenerare e portare ad una malattia neurologica centrale, quale Parkinson, Alzheimer, o Sclerosi multipla, specialmente quando esiste una preposizione genetica oppure una maggiore vulnerabilità.

“Osteoartrite e diagnosi di malattie neurologica negli adulti: una meta-analisi che esamina l’associazione con la malattia di Parkinson, la sclerosi multipla, e la malattia di Alzheimer”

Inoltre, non dimentichiamo che la percezione di dolore rappresenta un possibile fattore di aggravamento del Parkinson, e come avevamo visto in “DOLORE E PARKINSON“, il trattamento del dolore in una persona con Parkinson costituisce già un importante approccio per la riduzione dei sintomi neurologici.

 

A maggior ragione, quindi, bisogno intervenire tempestivamente con le cure ortopediche e reumatologiche per “spegnere l’incendio” finché è possibile, per evitare che si possa diffondere, proprio con l’intento, aldilà della necessità di curare la malattia ortopedica/reumatologica, di impedire un peggioramento del Parkinson e di rendere possibile il percorso riabilitativo tradizionale ed associativo, che diversamente non potrà essere affrontato, o solo con enormi difficoltà.

 

Riassumendo, la persona affetta da malattia di Parkinson ha bisogno di un trattamento riabilitativo globale (motorio, creativo, associativo) per contrastare la progressione della malattia e per ridurre i suoi disagi e disabilità. Ciò è reso difficile, quando altre problematiche di salute, in particolare patologie ortopediche e/o reumatologiche, causano o aggravano l’immobilità, disequilibrio e dolori, che spesso mettono la persona in condizioni di non poter seguire anche i migliori consigli anti-Parkinson, aumentando la sofferenza e mettendo la morale a dura prova.

 

Allora come si può fare?

Non bisogna dire, per esempio, questo esercizio non lo faccio perché mi fa male la schiena.

Un modo potrebbe essere: vorrei fare questo esercizio, ma ho difficoltà a causa del dolore.

E quindi, ci si fa seguire da terapisti ed operatori competenti in un percorso multidisciplinare per la gestione globale della salute della persona, ben disposta e con atteggiamento volenteroso.

Ed allora “Volare si può” (si può migliorare), “Sognare si deve” (bisogna volerlo e crederci, mettendo in campo tutte le risorse possibili).

 

 

Fonti bibliografiche:

Liu Y, Zhou X, Chen C, Li X, Pan T, Liu Z, Wu D, Chen X. Association between osteoarthritis with Parkinson’s disease in the US (NHANES 2011-2020). Front Neuosci, 2024; doi: 10.3389/fnins.2024.1393740.

Nardelli D, Gambioli F, De Bartolo MI, Mancinelli R, Biagioni F, Carotti S, Falato E, Leodori G, Puglisi-Allegra S, Vivacqua G, Fornai F. Pain in Parkinson’s idsease: a neuroanatomy-based approach. Brain Commun, 2024; 6(4): doi: 10.1093/braincomms/fcae210.

Peoples BM, Harrison KD, Renford G, Bethea D, Santamaria Guzman KG, Wilson AE, Samaan MA, Roper JA. Osteoarthritis and neurological disorder diagnoses in adults: a meta-analysis examining associations with Parkinson’s disease, Multiple Sclerosis, and Alzheimer’s disease. Cureus, 2024; 16(10): e71458.

Slouma M, Hajji H, Rahmouni S, Dhari R, Metoui L, Gharsallah I. Rheumatic manifestations of Parkinson’s disease: an overview. Curr Rheumatol Rev, 2023; 19(3): 294-302.

FLUTTUAZIONI MOTORIE E NON MOTORIE NEL PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 97)

Le fluttuazioni pluri-giornaliere dello stato di salute rappresentano verosimilmente il disagio principale per una persona affetta da malattia di Parkinson, e contemporaneamente rappresentano anche la sfida principale per il medico.

Ma, che cosa sono esattamente le fluttuazioni e perché si manifestano?

Per spiegare in modo semplice la malattia di Parkinson vorrei tornare al mio vecchio esempio del secchio bucato:

Immaginiamo che per ogni funzione cerebrale esista un meccanismo specifico che funziona correttamente tramite l’immissione di una sostanza facilitante, il neurotrasmettitore, che nel caso nostro è la dopamina, contenuta in un contenitore, il secchio, che si trova nella sostanza nera dei nuclei della base al centro del cervello. Ogni qual volta, che vogliamo muoverci, da quel secchio viene rilasciata una piccola quantità di dopamina, che mette in moto il circuito ed alla fine riusciamo a compiere il movimento.

Nel Parkinson, il secchio si buca e perde dopamina, per cui il circuito non funziona correttamente e si verificano i disordini del movimento (rallentamento, tremore, rigidità, instabilità posturale, ecc.). Questa fase di carenza di dopamina viene chiamata fase “off” caratterizzata da tutti i sintomi parkinsoniani che conosciamo.

Logica vuole che, se vogliamo far funzionare il sistema, e quindi far sparire i sintomi motori, dovremo riempire il secchio; e questo facciamo con l’assunzione di levodopa, il precursore chimico della dopamina, nelle varie formulazioni di Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo, e Duodopa.

Molto bene, abbiamo riempito il secchio ed i sintomi sono regrediti, siamo in fase “on” e stiamo bene.

Presto però si presenta un problema: la fase ‘on’ dura poco, solo qualche ora, e scivoliamo nuovamente in fase ‘off’ con il blocco motorio.

Come mai?

Abbiamo riempito il secchio, è vero, ma esso, non dimentichiamolo, è bucato e continua a perdere dopamina, e quindi dovremo riempirlo di nuovo, e così assumiamo più volte al giorno la nostra pillola.

A questo punto, ci possiamo accontentare ed arrangiarci con tre-quattro assunzioni di farmaco al giorno e vivere la nostra vita.

Ma, sappiamo purtroppo molto bene, che non funziona così, e che le cose si aggravano. Perché?

Ricordate che il Parkinson è una malattia degenerativa progressiva? Ciò vuol dire che il secchio si buca sempre di più e che quindi si deve riempire sempre più spesso.

Ma succede un’altra cosa:

quando il secchio si svuota, si svuota sempre di più e la fase ‘off’, quella di “fine dose” di farmaco, diventa sempre più invalidante, con accentuazione dei sintomi parkinsoniani sempre più invalidanti, e si possono aggiungere malessere generale, dolori, ansia e riduzione del tono dell’umore.

Allora, in fretta riempiamo il secchio con una nuova dose di dopamina, ma ora il secchio trabocca, è troppo pieno, non riusciamo a calibrare bene la quantità giusta che ci vuole; ciò comporta un eccesso di efficacia e la confortevole fase ‘on’ si trasforma in fase di “picco dose” con un eccesso di movimento, le discinesie, e stati d’ansia.

Infine, passiamo la giornata, ed anche le nottate, sballottati tra eccesso di movimenti e blocco motorio; queste sono le fluttuazioni, e più la malattia va avanti, più il secchio si buca, più le fluttuazioni diventano pronunciate e sempre più disabilitanti.

Si può fare qualcosa per evitarlo?

Si e no.

All’inizio, si può aggiungere un piattino che raccoglie una parte di ciò che perde il secchio per riversarlo nuovamente dentro il secchio con il risultato che il secchio si svuoti più lentamente e la singola assunzione di dopamina duri di più; questo si fa con i cosiddetti inibitori enzimatici (inibiscono la degradazione della dopamina che così rimane più a lungo in circolo), che sono i noti Jumex, Aidex, Rasabon, Roldap, Xadago, ed Ongentys.

Ma, inevitabilmente il secchio si danneggia sempre di più (degenera progressivamente) ed anche i piattini non basteranno più. Allora si sostiene la cura con l’aggiunta di sostanze simili alla dopamina ma che non hanno bisogno del secchio, meno efficaci ma più duraturi, i cosiddetti dopamino-agonisti (Requip, Ropinirolo, Mirapexin, Pramipexolo, Neupro, Rotigotina); alla fine, quando il secchio non tiene più, si arriva alle pompe ad iniezione continua di farmaco, quelle intestinali e quelle sottocutanee; altre opzioni sono la stimolazione cerebrale profonda e gli ultrasuoni, ma anche essi con risultati raramente soddisfacenti, perché la degenerazione procede ed i farmaci ed interventi chirurgici non sono in grado di bloccarla.

Quindi, partita persa in partenza?

Qui ho cercato di sintetizzare l’effetto delle emozioni positive sul cervello; spiegazioni in “La Bellezza ed il Parkinson 1 e 2”.

In effetti, con questo messaggio della ‘partita persa in partenza’ sono stati formati i neurologi negli ultimi decenni. Per fortuna, oggi esistono le terapie ‘non convenzionali’, le arti, musica e sport terapie, che rappresentano approcci validi nel tentativo di riparare il secchio. Ed ai quali si sono aggiunte le conoscenze sul buon riposo notturno e sulla buona salute dell’intestino come formidabili riparatori di secchi.

E sappiamo anche che uno degli strumenti più efficace di riparazione è il buon umore, le emozioni positive, il divertimento (vedi “Il Divertimento come fonte di Dopamina“). Ma forse, quest’ultimo, apparentemente così immediato e semplice, si rivela essere il più difficile.

 

 

Fonti bibliografiche:

(la tematica sembra arci-nota, ma le fonti scientifiche qui riportate sono delle ultime settimane)

Ebersbach G. Management von Levodopa-induzierten motorischen Fluktuationen. InFo Neurologie+Psychiatrie, 2025; 27(6): 42-48.

Radojevic B, Milovanovic A, Petrovic I, Svetel M, Marianovic A, Jancic I, Stanisavljievic D, Milicevic O, Savic MM, Kostic VS, Dragasevic-Miskovic NT. The role of genetic factors in the occurrence of levodopa-induced motor complications in Parkinson’s disease. Neurol Res, 2025; 9: 1-9.

Riederer P, Strobel S, Nagatsu T, Watanabe H, Chen X, Loeschmann PA, Sian-Hulsmann J, Jost WH, Mueller T, Dijkstra JM, Monoranu CM. Levodopa treatment: impacts and mechanisms throughout Parkinson’s disease progression. J Neural Transm, 2025; 132(6): 743-779.

PARKINSON E VACCINI – CI SIAMO QUASI di Kai S. Paulus

“Prasinezumab riduce la progressione motoria della malattia di Parkinson: oltre il dato clinico”

 

(Pillola n. 96)

 

Credo proprio che ci siamo!

 

E comunque ci manca davvero poco; seguitemi attentamente:

La malattia di Parkinson è (ancora) una malattia neurodegenerativa progressiva, cioè ad andamento lentamente peggiorando.

I farmaci a disposizione sino ad oggi possiedono solo un effetto sintomatico, cioè aiutano a diminuire temporaneamente le difficoltà motorie, ma non curano la malattia e non modificano il suo decorso.

Per modificare il decorso della malattia ci si avvale attualmente delle raccomandazioni di correzione dello stile di vita (alimentazione sana, buon riposo notturno, intestino in salute, buone attività quotidiane, motivazioni ed obiettivi, però difficili da chiedere ad una persona messa a dura prova dal Parkinson) e delle strategie complementari, quali riabilitazione, arti e sport terapia, e vita associativa, che però richiedono dalla singola persona notevoli e duraturi sforzi fisici e mentali che solo in pochi riescono a mettere in campo continuamente senza perdere la speranza.

Ci vorrebbe una medicina che invece modificasse la malattia e la riducesse, e, con le prime avvisaglie, la prevenisse. Insomma, una specie di vaccino.

Ecco, e pare proprio che un vaccino stia per arrivare.

Memorizzate questo nome: PRASINEZUMAB,

un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina alfa-sinucleina alterata, che nel Parkinson si accumula perché non può essere smaltita e questo accumulo, tossico per la cellula nervosa, dà quindi inizio ai danni e problemi che conoscono sin troppo bene.

 

Già da diversi anni si sta lavorando a questo tipo di anticorpi, perché appare intuitivamente la strada più logica da percorrere per sconfiggere il rapace infingardo (cit G.B.), cioè neutralizzando quella sostanza che provoca i danni.

Ma la strada era molto difficoltosa e lastricata di insuccessi e fallimenti, finché uno di questi anticorpi, il prasinezumab appunto, iniziava a superare le prime fasi della sperimentazione clinica, fino ad arrivare lo scorso mese alla fase III che è cruciale nello sviluppo di un nuovo farmaco, ed in cui viene valutata l’efficacia e la sicurezza del trattamento su un ampio numero di pazienti.

Questi dati incoraggianti sono stati presentati al recente Congresso della Accademia Europea di Neurologia (Eurpean Accademy of Neurology) nello scorso giugno.

Sinora, prasinezumab non ha mostrato effetti collaterali rilevanti, ed è stato effettivamente in grado di ridurre diversi sintomi motori del Parkinson; e tali benefici sono stati confermati anche dopo molti mesi dal trattamento.

Stiamo entrando in una nuova era.

“Ehi tu, su nemigu (cit. Peppino Achene), credo che tu debba presto fare i bagagli!”

 

 

Fonti bibliografiche:

(tutte degli ultimi mesi del 2025, per sottolineare l’attualità e l’importanza del tema)

 

Heim TM. Parkinson: Erster Antikoerper gegen alpha-Synuklein erreicht Phase III. Kongressbericht, SpringerMedizin, 26/06/2025.

Nikolcheva T, Pagano G, Pross N, Simuni T, Marek K, Postuma RB, Pavese N, Stocchi F, Seppi K, Monnet A, et al. A Phase 2b, multicenter, randomized, double-blind, placebo-controlled study to evaluate the efficacy and safety of intravenous prasinezumab in early-stage Parkinson’s disease (PADOVA): rationale, design, and baseline data. Parkinsonism Relat Disord 2025;132:107257

Pagano G, Trundell D, Simuni T, Pavese N, Marek K, Postuma RB, Shariati N, Monnet A, Moore E, Davies EW, Svoboda H, Pross N, Bonni A, Nikolcheva T, for the PASADENA Investigators and Prasinezumab Study Group. Time-to-event analysis mitigates the impact of systematic therapy on therapeutic benefit in Parkinson’s disease trials. NPJ Parkinsons Dis 2025; 11(1): 193. doi: 10.1038/s41531_025-01041-9

Russo M, Costa T, Calisi D, Sensi SL. Prasinezumab: a bayesian perspective on its efficacy. Mov Disord 2025; 40(4): 619-624

Taylor KI, Lipsmeier F, Scelsi MA, Volkova-Volkmar E, Rukina D, Popp W, Lambrecht S, …, PASADENA Investigators and Prasinezumab Study Group. Exploratory digital outcome measures of motor sign progression in Parkinson’s disease patients treated with prasinezumab. NPJ Digit Med 2025; 8(1):365. doi: 10.1038/s41746-025-01572-8

Xiao B, Tan EK. Prasinezumab slows motor progression in Parkinson’s disease: beyond the clinical data. NPJ Parkinsons Dis 2025; 11(1):31. doi: 10.1038/s41531-025-00886-4.

“STOP AL PARKINSON E RICOMINCIA A VIVERE” recensione di Kai S. Paulus

(Pillola n. 95)

Leggete attentamente il titolo e memorizzatelo.

Fatto?

Bene.

Ora vi racconto di questa specie di guida e vademecum alla malattia di Parkinson che il naturopata australiano John C. Coleman ha pubblicato con il significativo sottotitolo “Inverti i sintomi della malattia di Parkinson”.

Coleman non è un medico, e quindi a che titolo ci può parlare di Parkinson?

L’australiano parla della propria esperienza e come a causa del Parkinson non riesce più a lavorare (nasce spontaneo il collegamento alla storia simile del nostro Antonello Soro, vedi “SII FELICE SIEMPRE“), il duro percorso dai disagi e limitazioni, dalla diagnosi, la difficile accettazione, i tanti medici e vari approcci terapeutici standard e complementari, fino al reinventarsi la propria vita con nuovi stimoli ed obiettivi. Coleman cade nel baratro del Parkinson fino allo stadio di Hoehn-Yahr 4 (medio-grave), per poi rialzarsi condividendo la sua esperienza con altre persone ammalate ed aiutandole in qualità di naturopata.

Vi dico subito che il libro mi è piaciuto sin dalle prime pagine, sia per il linguaggio chiaro e di facile lettura, sia per le strategie proposte per affrontare Su nemigu (cit. Peppino Achene): si passa dalla alimentazione alla meditazione, dalle attività fisiche e ginnastica a musica, canto e ballo, insomma in piena linea con tutto ciò di cui si occupa anche la nostra Parkinson Sassari.

Obiettivamente devo accennare anche ai difetti di questo validissimo testo, ma non per colpa dell’autore: il libro viene pubblicato per la prima volta nel 2012 (con questa edizione italiana nel 2019) e quindi il lungo capitolo sui farmaci non è aggiornato e si può saltare. Stranamente non si accenna al sonno che notoriamente nel Parkinson è alterato causando progressione e tante complicazioni; ma anche qui Coleman è scusato perché l’importanza del riposo notturno nel Parkinson fino a pochi anni fa non era ancora scoperto ed i benefici ed i precisi meccanismi cerebrali del sonno profondo si sono compresi solo un anno fa.

 

Rimane da constatare che “Stop al Parkinson” (versione italiana a cura di Guido Caravaggi, Franca Cuccione e Paola Caruso) è un utile libro e penso faccia molto coraggio a chi si trova in difficoltà e si sente minacciato dal rapace infingardo (cit. G.B.).

Il libro dedica molto spazio ad una alimentazione sana, ma anche alle sostanze potenzialmente tossiche usate comunemente per le pulizie in casa e per l’igiene personale, si sofferma sui vari approcci di introspezione, di rilassamento e meditazione, agli affetti e sessualità, e soprattutto al coraggio, alla consapevolezza ed all’azione personale:

Se vogliamo raggiungere veramente una buona salute, dobbiamo assumere un ruolo principale nel creare quella salute. Non possiamo pensare che medici, naturopati, consulenti o altri terapeuti lo facciano per noi.”

Siamo noi gli esperti della nostra salute.”

Sei l’unica persona in grado di apportare cambiamenti per la tua salute ed il tempo per farlo è ORA.”

Non importa quanto sia avanzato il morbo di Parkinson, puoi fare scelte per la salute e cambiare la tua vita ORA.”

Stop al Parkinson e ricomincia a vivere” è un bel libro che posso davvero consigliare.

Esiste una nuova versione del 2023 “Rethinking Parkinson’s Disease” (tradotto letteralmente: ripensare la malattia di Parkinson) ma non ancora disponibile in italiano.

Buona lettura!

Leggetelo e fatelo!

PS: mille grazie alla nostra Laila Fara ed al collega Gabriele Lai che mi hanno molto arricchito con questo regalo.

 

Fonti bibliografiche:

Coleman JC. Stop Parkin’ and start linvin’: reversing the symptoms of Parkinson’s disease. Ed. ReadHowYouWant, 2012

Coleman JC. Stop al Parkinson e ricomincia a vivere: inverti i sintomi della malattia di Parkinson. Print Service Editore, Pavia, 2019

Coleman JC. Rethinking Parkinson disease. The definite guide to known causes of Parkinson’ disease and proven reversal strategies. Ed. ReadHowYouWant, 2023.

MARTE? NO, GRAZIE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 94)

Locandina del film “Volo su Marte” (Flight to Mars, 1951) diretto da Lesley Selander.

La malattia di Parkinson è dovuta ad una certa percentuale di predisposizione genetica e poi determinata da fattori ambientali (stile di vita, alimentazione, sostanze chimiche, ecc.) attualmente oggetti di intensi studi.

A questo riguardo appaiono sorprendenti i risultati delle ricerche svolte sulla Stazione Spaziale Internazionale e riassunte da Nilufar Ali e colleghi dell’Università di Boise (Idaho, USA) che il soggiorno nello spazio può portare ad alterazioni delle cellule nervose molto simili a quelle osservate nel Parkinson.

Titolo dell’articolo “Esplorazione spaziale ed il rischio di malattia di Parkinson: una revisione prospettica” pubblicato nel gennaio 2025 nella rivista scientifica Microgravity serie specializzata di Nature Portfolio Journal.

Queste alterazioni riguardano cambiamenti della funzione dei mitocondri (le centrali energetiche delle cellule), la carenza di dopamina, ed alterazioni strutturali nei nuclei della base (i centri cerebrali che effettuano la selezione del movimento e che, se non funzionano correttamente, causano rallentamento motorio, rigidità, instabilità posturale e tremore).

Tutto questo perché, per quanto si possa proteggere l’organismo umano dentro una navicella o la stazione spaziale, esso rimane esposto alle radiazioni ionizzanti (raggi cosmici e particelle solari) microgravità, ipossia, ipotermia, ipercapnia (accumulo di anidride carbonica nel sangue), limitazioni fisiche e stress psicologici.

Ovviamente gli astronauti vengono allenati per affrontare le sfide fisiche e psicologiche e la NASA ha posto dei limiti di radiazioni giornalieri sopportabili dai viaggiatori spaziali ad un valore di 1,5mGy di radiazioni al giorno. Per esempio, il previsto volo su Marte dovrebbe durare complessivamente 900 giorni ed esporrebbe l’equipaggio ad una radiazione complessiva di 1 Gy.

Titolo dell’articolo “Luna, Marte, e Cervelli: Valutazione della mortalità della malattia di Parkinson tra lavoratori esposti a basse radiazioni e veterani statunitensi nello studio Un milione di persone” pubblicato nel luglio 2024 nella rivista tedesca Zeitschrift fuer Medizinische Physik.

Onestamente, non so cosa vuol dire “radiazione di 1 Gy”. Ma mi viene in aiuto la recente ricerca scientifica su un milione di lavoratori esposti a bassa radiazione (“One Million Person Study”, 2022) che ha osservato che 5 su 6 gruppi di persone hanno sviluppato la malattia di Parkinson quando esposti a radiazioni complessive comprese tra 0,76 e 2,7 Gy.

Quindi, il calcolo attuale della NASA con 1 Gy è preoccupante ed espone l’astronauta ad un eccessivo rischio di ammalarsi di Parkinson.

 

E tutta questa scienza che non capisco” (And all this science I don’t understand) canta Elton John nella sua famosa canzone “Rocket man” del 1972.

Copertina del video della canzone “Rocket man” (1972) di Elton John/Bernie Taupin

Ma, accidenti, “tutta questa scienza” spaziale ed incomprensibile, a noi che ci importa?

Ma proprio questo è il punto: come la tecnologia spaziale ci ha portato internet, cellulari e tanto altro per aiutarci nella vita quotidiana, la scienza medica spaziale ci sta aiutando a comprendere meglio i processi patologici, e già da alcuni anni si stanno studiando i meccanismi molecolari che stanno alla base del Parkinson nelle condizioni di microgravità della Stazione Spaziale, e che ci stanno aprendo nuove prospettive di cura e di prevenzione di Su nemigu.

Non so voi, ma io per quest’estate cambierò idea: non sceglierò né la Luna e né Marte, ma prediligerò Maria Pia, Balai e Platamona.

 

PS: sappiamo che il Parkinson è una malattia molto impegnativa e difficile da gestire, i medici non hanno cure sufficientemente efficaci per far star bene le persone; però, a mio avviso, notizie come questa, che addirittura si studia il Parkinson nello spazio, dovrebbe dare fiducia e speranza; la persona affetta da Parkinson non è sola, non è trascurata, ed in tutto il mondo, sulla terra e nello spazio, si sta lavorando per trovare risposte, per migliorare sempre di più i disagi causati dal Parkinson. Anche a Sassari, il nostro gruppo è coinvolto attualmente in tre progetti scientifici per sconfiggere il rapace infingardo.

Daì, ce fa faremo!

 

Fonti bibliografiche:

Ali N Behesthti A, Hampikian G. Space exploration and risk of Parkinson’s disease: a perspective  review. NPJ Microgravity, 2025: https://doi.org/10.1038/s41526-024-00457-6.

Boice Jr JD, Quinn B, Al-Nabulsi I, Ansari A, Blake PK, Blatting SR, et al. A million persons, a million dreams: a vision for a National Center of Radian Epidemiology and Biology. International Journal of Radiation Biology, 2022; 98(4): 795-821.

Dauer LT, Walsh L, Mumma MT, Cohen SS, Golden AP, Howard SC, Roemer GE, Boice jr JD. Moon, Mars and Minds: Evaluating Parkinson’s disease mortality among U.S. radiation workers and veterans in the million person study of low-dose effects. Z Med Phys, 2014; 34: 100-110.

Marotta D, Ijaz L, Barbar L, Nijsure M, Stein J, Pirjanian N, Kruglikov I, Clements T, Stoudemire J, Grisanti P, Noggle SA, Loring JF, Fossati V. Effects of microgravity on human iPSC-derived neural organoids on the International Space Station. Stem Cells Translational Medicine, 2024;13:1186-1197.

DELIRIO NELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 93)

Questa volta vorrei presentarvi un sintomo raro e molto particolare che può presentarsi nella malattia di Parkinson: il delirio.

La malattia di Parkinson è caratterizzata da rallentamento motorio (bradicinesia) ed almeno un altro segno, tra tremore, rigidità ed instabilità posturale. Come sappiamo, oltre ai classici segni motori, il Parkinson comprende anche tanti sintomi non motori, quali depressione, ansia, disturbi del sonno, dolori, allucinazioni, demenza e, appunto, delirio.

Il delirio viene definito come un disturbo dell’attenzione, della vigilanza e della cognizione che si presenta per un breve periodo di tempo, e può essere dovuto ad una malattia, un trattamento farmacologico, l’intossicazione da sostanze nocive oppure da sospensione di sostanze (crisi di astinenza).

Il delirio viene suddiviso in un tipo ipoattivo (riduzione di attività psicomotoria), iperattivo (aumento di attività psicomotoria) oppure il tipo misto con il fluttuare tra ipo- ed iperattività.

Il delirio si può curare e per questo è importante riconoscerlo, specialmente nel Parkinson, ma dove è di difficile diagnosi a causa della sovrapposizione di molti sintomi, quali disturbi dell’attenzione e della vigilanza, disturbi cognitivi, allucinazioni visive, disturbi del sonno, sonnolenza diurna, cadute, depressione e delusioni.

Specialmente il delirio di tipo ipoattivo, con rallentamento ideomotorio ed apatia, può essere confuso con depressione ed il rallentamento parkinsoniano, e quindi non responsivo alle terapie antidepressive ed anti-parkinson; questo comporta, se non riconosciuto, conseguenze per la salute della persona e notevole sforzo nella gestione da parte dei familiari.

Invece, una corretta e pronta diagnosi può essere molto favorevole per la gestione globale della malattia di Parkinson, per la persona interessata e la sua famiglia e/o caregiver.

 

Fonti bibliografiche:

Cullinan RJ, Richardson SJ, Yarnall AJ, Burn DJ, Allan LM, Lawson RA. Documentation and diagnosis of delirium in Parkinson’s disease. Acta Psychiatr Scand, 2023; 147: 527-535.

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