Volare si Può, Sognare si Deve!

Pillole sul Parkinson

DELIRIO NELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 93)

Questa volta vorrei presentarvi un sintomo raro e molto particolare che può presentarsi nella malattia di Parkinson: il delirio.

La malattia di Parkinson è caratterizzata da rallentamento motorio (bradicinesia) ed almeno un altro segno, tra tremore, rigidità ed instabilità posturale. Come sappiamo, oltre ai classici segni motori, il Parkinson comprende anche tanti sintomi non motori, quali depressione, ansia, disturbi del sonno, dolori, allucinazioni, demenza e, appunto, delirio.

Il delirio viene definito come un disturbo dell’attenzione, della vigilanza e della cognizione che si presenta per un breve periodo di tempo, e può essere dovuto ad una malattia, un trattamento farmacologico, l’intossicazione da sostanze nocive oppure da sospensione di sostanze (crisi di astinenza).

Il delirio viene suddiviso in un tipo ipoattivo (riduzione di attività psicomotoria), iperattivo (aumento di attività psicomotoria) oppure il tipo misto con il fluttuare tra ipo- ed iperattività.

Il delirio si può curare e per questo è importante riconoscerlo, specialmente nel Parkinson, ma dove è di difficile diagnosi a causa della sovrapposizione di molti sintomi, quali disturbi dell’attenzione e della vigilanza, disturbi cognitivi, allucinazioni visive, disturbi del sonno, sonnolenza diurna, cadute, depressione e delusioni.

Specialmente il delirio di tipo ipoattivo, con rallentamento ideomotorio ed apatia, può essere confuso con depressione ed il rallentamento parkinsoniano, e quindi non responsivo alle terapie antidepressive ed anti-parkinson; questo comporta, se non riconosciuto, conseguenze per la salute della persona e notevole sforzo nella gestione da parte dei familiari.

Invece, una corretta e pronta diagnosi può essere molto favorevole per la gestione globale della malattia di Parkinson, per la persona interessata e la sua famiglia e/o caregiver.

 

Fonti bibliografiche:

Cullinan RJ, Richardson SJ, Yarnall AJ, Burn DJ, Allan LM, Lawson RA. Documentation and diagnosis of delirium in Parkinson’s disease. Acta Psychiatr Scand, 2023; 147: 527-535.

TROPPA PLASTICA NEI NOSTRI CERVELLI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 92)

Spesso mi chiedete delle cause del continuo aumento delle malattie neurodegenerative e vi rispondo che, oltre ad una certa predisposizione genetica, molte responsabilità cadono sullo stile di vita, o troppo stressante o troppo sedentario, sull’alimentazione con cibi industriali e sofisticati e contenenti pesticidi, diserbanti, conservanti, antibiotici ed ormoni, per non parlare della cattiva salute dell’intestino ed una non sufficiente qualità del riposo notturno. Di tutto questo abbiamo già scritto in queste “Pillole”.

Ma si sta aggiungendo un altro, inquietante, tassello: la plastica.

Ovvero l’accumulo di microplastiche dentro il cervello.

Il perché è presto detto:

l’umanità ha prodotto troppe quantità di plastica e, siccome non è biodegradabile, non si è trovato un modo per smaltirla correttamente, con il risultato che si accumula nell’ambiente in forma sbriciolata, appunto la microplastica (circa 50 milioni di tonnellate ogni anno!!!), nei terreni, nelle falde acquifere e nei mari; e così entra nella catena alimentare ed infine sulla nostra tavola.

 

Le micro- e nanoplastiche, da un lato entrano direttamente in circolo e giungono al cervello; dall’altro, esse alterano la popolazione batterica della flora gastrointestinale, il microbiota, e si creano patologie intestinali e disbiosi.

 

Il resto conosciamo già: l’irritazione della mucosa intestinale causa infiammazione cronica che a sua volta comporta alterazioni proteiche nelle terminazioni nervose che migrano tramite il nervo vago (ricordate l’asse intestino-cervello?) fino al cervello dove possono dare origine a processi neurodegenerativi.

Titolo della ricerca di Nyhart e colleghi: “Accumulo biologico di microplastiche nei cervelli umani deceduti”.

Secondo i ricercatori statunitensi intorno a Alexander Nihart ogni persona ha circa 6 grammi di plastica nel cervello, che corrisponde alla quantità di un cucchiaino di plastica (!!!).

Ma la storia diventa ancora più inquietante: negli ultimi otto anni la quantità di microplastiche dentro il cervello è aumentata del 50% (!!!) nella popolazione generale e nelle persone con demenza di Alzheimer si trovano addirittura 60 grammi di plastica, il che corrisponde ad una bottiglietta di shampoo vuota.

 

Possiamo fare qualcosa per evitare l’accumulo di plastica nel nostro cervello?

Onestamente poco.

Ma, in attesa che il Legislatore e la Sanità Nazionale affrontino seriamente la problematica, possiamo cercare di usare meno contenitori di plastica possibile, di differenziare scrupolosamente la plastica negli appositi bidoni, e di seguire speranzosi le continue novità della scienza.

Immagini di microscopio elettronico: sopra, dettaglio di tessuto cerebrale; sotto, dettaglio di parete di un vaso sanguigno cerebrale con il lume pieno di globuli rossi. Le microplastiche nelle sezioni si riconoscono come puntini bianchi. Da: Nyhart AJ et al, 2025

Fonti bibliografiche:

Ghosh A, Gorain B. Mechanistic insight of neurodegeneration due to micro/nano-plastic-induced dysbiosis. Archives of Toxicology, 2025; 99(1): 83-101.

Nihart AJ, Garcia MA, El Hayek, et al. Bioaccumulation of microplastics in descedent human brains. Nature Medicine, 2025; https://doi.org/10.1038/s41591-024-03453-1

Mueller T. Immer mehr Mikro- und Nanoplastik: Ein pulverisierter Plastikloeffel im Gehirn. Springermedizin.de, Umweltmedizin; 7 febbraio 2025.

Sofield CE, Anderton RS, Gorecki AM. Mind over microplastics: exploring microplastic-induced gut disruption and gut-brain-axis consequences. Curr Issues Mol Biol, 2024; 46(5):4186-4202.

PARKINSON: INVERSIONE DI TENDENZA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 91)

Vi devo riportare una notizia meravigliosa:

Conosciamo la malattia di Parkinson anche troppo bene, su nemigu, una patologia neurodegenerativa e progressiva, con tanti disagi fisici, psicologici e sociali. Pare che non ci siano farmaci che possano arrestarla, ed i numeri delle persone colpite sono in continua crescita in tutto il mondo.

Ma ora arriva il lavoro dei neuroscienziati intorno a Anne Fink del Centro Tedesco di Patologie Neurodegenerative di Bonn in Germania con la clamorosa notizia che l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi all’anno, di persone affette da Parkinson, in Germania è diminuita del 20% negli ultimi dieci anni!!!

La notizia ha dell’incredibile ed il 2025 inizia col botto!

Traduzione del titolo della recente pubblicazione scientifica dei ricercatori di Bonn (Germania): “Tendenza in declino dell’incidenza di malattia di Parkinson: studio di coorte in Germania.”

Nessun ulteriore aumento di numeri, ma addirittura una riduzione di nuovi casi. Ed ancora: anziché colpire individui sempre più giovani, l’esordio della malattia sembra spostarsi più in là (1,9 anni negli uomini, 0,8 anni nelle donne) e manifestarsi quindi più tardi.

Non ci sono dubbi sulla veridicità della notizia: i dati provengono dall’AOK, la più grande assicurazione sanitaria pubblica tedesca!

Ma come è possibile?

Gli autori sostengono che questa osservazione sia da ricondurre ad una maggiore attenzione ai fattori di rischio ambientali e sanitari, e più cura e monitoraggio nelle malattie cardiocircolatorie e dismetaboliche, specialmente il diabete mellito.

Questa straordinaria tendenza non si osserva globalmente, ma sinora solo in alcuni paesi, quali Olanda, Corea del Sud ed Estonia, ma non negli Stati Uniti, specialmente nelle regioni con maggior uso di pesticidi nell’agricoltura.

Ottimi ed incoraggianti risultati. E non oso immaginare cos’altro potremmo osservare se ora aggiungessimo anche una maggior attenzione al riposo notturno, alla salute dell’intestino ed a maggiori attività psicofisiche. Ma ne parleremo ancora …

 

Fonte bibliografica:

Fink A, Pavlov MAS, Roomp K, Schneider JG. Declining trends in the incidence of Parkinson’s disease: a cohort study in Germany. Journal of Parkinson’s Disease, 2024; doi. 10.1177/1877718×24-306-32.

Mueller T. Analyse von AOK-Daten: Parkinsoninzidenz in Deutschland geht zurueck. Springermedizin.de, Parkinson Krankheit Nachrichten: 24.01.2025.

RICERCATORI SASSARESI CURANO IL PARKINSON CON LO SPORT di Kai S. Paulus

(Pillola n. 90)

Quasi due anni fa la Prof.ssa Lucia Cugusi, docente del Dipartimento di Scienze Motorie dell’Università di Sassari, ha presentato all’Aula Magna della Facoltà di Medicina l’ambizioso progetto riabilitativo per persone con malattia di Parkinson “Progetto Sardegna – Palestra a cielo aperto”. La novità della proposta aveva richiamato tanti professionisti, interessati e curiosi nella strapiena aula universitaria, in presenza del Sindaco della Città di Sassari e tanti professori e ricercatori, nonché i presidenti delle nostre associazioni di Sassari ed Alghero, Dora Corveddu e Marco Balbina (leggi il resoconto della presentazione “ PROGETTO SARDEGNA ; PALESTRA A CIELO APERTO“).

Il progetto stesso è stato un grande successo e vissuto dai protagonisti con immenso divertimento (vedi i resoconti dei nostri amici: “ Progetto Sardegna; palestra a cielo aperto. Perché partecipare? testo di Romano Murineddu“, “  Giornata indimenticabile a Porto Ferro; testo di Dora Corveddu“, “   Cera una Volta il 6 luglio 2023; testi di Antonello Park“, e “UNA PAGAIATA AL GIORNO “).

L’elaborazione dei tantissimi dati scientifici raccolti prima, durante e dopo i percorsi sportivi è durata quasi un anno, ma finalmente il formidabile gruppo di ricercatori sassaresi (Martina Meloni, Alessandra Caria, Ilaria Giuseppina Porco, Lucia Ventura, Davide Natale) guidati dalla docente Lucia Cugusi è riuscito a pubblicare i risultati sulla rivista scientifica internazionale “Sport Science for Health” (tradotto: Scienza Sportiva per la Salute).

Traduzione del titolo: “Attività sportive acquatiche e su terra ferma in ambiente naturale come esercizio di gruppo per la malattia di Parkinson: studio pilota di dimostrazione di fattibilità”

Un grande successo per la comunità scientifica e sanitaria di Sassari! Una memorabile impresa delle nostre associazioni Parkinson di Alghero e di Sassari!

Presto i nostri eroi verranno a Casa Park per riferire di tutti risultati. Ma intanto possiamo anticipare che il risultato principale è stato che l’attività fisica aiuta a gestire meglio la malattia di Parkinson, e nello specifico che le attività modicamente sportive praticate in gruppo ed all’aria aperta migliorano le condizioni fisiche e psichiche dei partecipanti e complessivamente la qualità di vita.

Un risultato importante che fa ben sperare, perché non finisce qui:

il gruppo di Lucia Cugusi sta già organizzando un nuovo progetto, più semplice ed alla portata di tutti ed ancora più coinvolgente e divertente!

Fonte bibliografica:

Meloni M, Natale D, Caria A, Porco IG, Ventura L, Di Blasio A, Modugno N, Paulus K, Solla P, Bandiera P, Della Croce U, Deriu F, Manca A, Cugusi L. Land- and water-based sports activities in natural environments as a group exercise for Parkinson’s disease: proof-of-concept pilot study. Sport Sci Health, 2025; http://doi.org/10.1007/s11332-024.01321-6

Un gruppo dei nostri partecipanti a Porto Torres dopo una “gara” di canottaggio

LA SIGNORA PARKINSON 2025 di Kai S. Paulus

(Pillola n. 89)

Da quando esiste la nostra associazione abbiamo sempre posto molta attenzione alla condizione della donna, sia come ammalata di malattia di Parkinson con tanti aspetti e disagi diversi rispetto all’uomo, sia come familiare sulla quale pesano assistenza e responsabilità. Nel 2019 abbiamo dedicato ad Alghero un intero convegno sul tema “La Signora Parkinson” che è stato accolto con grande entusiasmo e partecipazione. Ed anche in questo sito siamo più volte intervenuti per spiegare le difficoltà della donna e le differenze tra Sig. e Sig.ra Parkinson, che vi consiglio di consultare:

LA MOGLIE CAREGIVER” (giugno ’24)

IL DISTURBO DEL SONNO NELLA DONNA“ (dicembre ’23)

PARKINSON: DIFFERENZE DI GENERE“ (novembre ’21)

PARKINSON: DIFFERENZE TRA DONNE E UOMINI” (gennaio ’21)

Alcune testimonianze rese da donne parkinsoniane“ (ottobre ’19)

La Nuova Sardegna: “La malattia di Parkinson nel racconto delle donne  (settembre ’19)

LA SIGNORA PARKINSON“ (settembre ’19)

SIGNORA O SIGNOR PARKINSON?” (agosto ’18)

A questo punto, anche per continuità, ritengo utile presentarvi un lavoro appena pubblicato all’inizio di questo mese sulla rivista internazionale “Neurology and Therapy” che riassume le attuali conoscenze delle differenze del Parkinson tra uomini e donne. La ricerca del biologo e responsabile medico farmaceutico Carlo Cattaneo e del neurologo spagnolo Javier Pagonabarraga evidenzia le tante differenze di genere che vanno considerati nella corretta gestione globale della malattia.

Intanto esiste una differenza di prevalenza tra i generi di circa 1,5:1 per gli uomini con il doppio di nuovi casi ogni anno (incidenza) rispetto alle donne.

Ci sono anche differenze di genere per quanto riguardano i fattori di rischio, dove, oltre al sesso, anche l’età incide maggiormente negli uomini, così come altri noti fattori di rischio, quali traumi cranici, malattie immunologiche, pesticidi, solventi e metalli. Diversamente, la caffeina pare abbia un maggior effetto protettivo nei maschi che non nelle femmine.

Il ridotto rischio nelle donne è verosimilmente da ricondurre ad un’origine multifattoriale che riguarda differenze nella biologia, nei livelli ormonali, nell’esposizione a fattori ambientali e nei comportamenti.

Dal punto di vista neurochimico esistono differenze anatomiche, strutturali e biochimiche nella sostanza nera e nei nuclei della base (le strutture cerebrali tipicamente colpite nel Parkinson) che espongono gli uomini maggiormente al rischio di ammalarsi.

Pare, inoltre, che le differenze genetiche intrinseche tra uomo e donna predispongano per una diversa predisposizione e suscettibilità verso il rischio di sviluppare la malattia; e si sono osservati anche diversità nella presenza di mutazioni genetiche che causano il Parkinson, con mutazioni dei geni GBA e LRRK2 maggiormente rappresentate nelle donne, e quelle di SNCA e PINK1 negli uomini, e che possono spiegare alcune delle diversità dei quadri clinici.

 

E così il quadro neurologico

  • nelle donne è caratterizzato maggiormente da tremore, instabilità posturale, cadute, ansia, tristezza, depressione, fatica, disfagia (difficoltà a deglutire), stitichezza, e dolore,
  • mentre in quello degli uomini prevalgono rigidità, posture anormali, camptocormia (inclinazione del busto in avanti), blocco motorio (freezing), scialorrea (eccesso di saliva), disfunzioni urinarie, ipotensione, disturbi comportamentali del sonno, sonnolenza diurna, e deterioramento cognitivo.

L’assetto ormonale è uno dei principali fattori che determinano le differenze strutturali e funzionali del cervello, e gli estrogeni, in particolare il 17-beta-estradiolo, sono noti per la loro azione neuroprotettiva ed antiinfiammatoria, contribuendo alla minore prevalenza ed incidenza del Parkinson nella donna.

Seppure il Parkinson nella donna sia meno frequente e l’inizio appare più lieve, la malattia femminile si complica successivamente per maggiori fluttuazioni causate dai farmaci con discinesie da picco dose e ridotta durata delle dosi rispetto alla controparte maschile; ed un eccesso di farmaco può provocare nelle donne ‘shopping’ patologico ed alimentazione compulsiva, a differenza degli uomini, dove incide maggiormente un comportamento sessuale compulsivo.

Un’altra importante differenza di genere è la gestione domiciliare della malattia: le donne con Parkinson sono spesso vedove, vivono da sole e necessitano maggiormente di assistenza professionale, mentre gli uomini sono frequentemente assistiti dalle mogli. Qui nascono le problematiche dei caregiver familiari: con il tempo il Parkinson diventa sempre più invalidante e necessita di sempre maggiore assistenza: per la moglie caregiver ciò comporta un crescente lavoro, responsabilità e fatica, che la rendono vulnerabile con il rischio di complicanze ansioso-depressive.

Gli autori concludono che nella malattia di Parkinson ci sono notevoli differenze di genere e disparità non solo nella prevalenza, nei fattori di rischio e nel quadro clinico, ma anche nella terapia e nell’approccio complessivo a Sig.ra e Sig. Parkinson.

Quindi, la tematica è particolarmente attuale ed importante, e ci vogliono ulteriori studi per comprendere pienamente le differenze di genere per curare, gestire ed assistere adeguatamente il Parkinson femminile e quello maschile.

E con questo si conclude un anno ricco di importanti novità scientifiche nel campo della ricerca e della terapia della malattia di Parkinson raccontato in questo sito in 29 “Pillole”.

Auguro a tutti che nel 2025 si possa compiere un decisivo passo verso trattamenti efficaci e concreti miglioramenti nella qualità di vita per ammalati/e e familiari.

Buon Anno Nuovo!

 

Fonte bibliografica:

Cattaneo C, Patagonbarraga J. Sex differences in Parkinson’s disease: a narrative review. Journal of Neurology and Therapy. 2024. doi.1007/s40120-024-00687-6.

MINDFULNESS E PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 88)

Da qualche mese vengono offerte nella sede della nostra Parkinson Sassari sedute di “Mindfulness” con l’operatrice olistica del benessere Laila Fara (vedi anche “PROGETTO CASA PARK 2024”).

Per mindfulness (mind = mente; fulness = pienezza) si intende un approccio meditativo per raggiungere la consapevolezza di sé e della realtà nel momento presente ed in maniera non giudicante. Il biologo e scrittore statunitense Jon Kabat-Zinn, fondatore del “Centro per Mindfulness” dell’Università del Massachusetts (USA) definisce l’approccio della mindfulness come “prestare attenzione, ma in modo particolare: a) con intenzione, b) al momento presente, c) in modo non giudicante”; un modo per coltivare una maggiore consapevolezza dell’esperienza del momento.

Questa meditazione di consapevolezza si adatta ai contesti quotidiani, all’esperienza di vita normale di tutti i giorni. Ma la mindfulness ha anche a che fare con “accettazione” di disagio, sofferenza e dolore, che non vengono negati ma utilizzati positivamente per farne motivo di crescità e persino di creatività.

Cito dal sito della Associazione Italiana per la Mindfulness: “Il lato negativo della vita non possiamo evitarlo, ed allora la prospettiva della consapevolezza (mindfulness) ci offre una possibilità a prima vista strana, contro intuitiva, forse assurda: entrare in relazione più diretta con il disagio e la sofferenza, imparare a rivolgere piena attenzione, a fare spazio anche a quello che non ci piace, che non vorremmo o che ci fa soffrire (…), facendo questo ci mettiamo nelle migliori condizioni possibili per trovare, quando ci sono, le vie e i modi più efficaci per gestire o risolvere le cause di sofferenza. A volte anche attingendo a intuizioni creative.”

All’ultima seduta prima di Natale, guidata dalla bravissima Laila Fara, ho voluto partecipare anch’io. Sono rimasto positivamente sorpreso dall’entusiasmo dei tanti partecipanti e dalla loro disciplinata collaborazione. Nel mentre eseguivo gli, apparentemente semplici, esercizi ed osservando anche i nostri amiche ed amici, mi sono reso conto della loro efficacia a ridurre tensioni, ansia, preoccupazioni, a consentire i movimenti nonostante blocchi motori e freezing, e come questo approccio non farmacologico può effettivamente contribuire a ridurre i sintomi motori e non motori della malattia di Parkinson.

Ma come può essere possibile?

Tremore, rigidità, rallentamento ed instabilità posturale causano enormi disagi, paure, ansie ed anche riduzione del tono dell’umore, sintomi ‘psicologici’ che a loro volta aumentano i sintomi e difficoltà motori.

Quindi, tecniche mirate alla riduzione del carico emotivo negativo portano ad una riduzione dei sintomi parkinsoniani, permettendo una migliore gestione delle proprie condizioni fisiche e mentali, e contribuendo infine ad una riduzione della malattia stessa.

“Protocollo di ricerca per lo studio MIND-PD: un trail randomizzato e controllato per valutare gli effetti clinici e biologici della terapia cognitiva basata sulla mindfulness in persone con malattia di Parkinson”

Una attuale ricerca di un gruppo di ricercatori olandesi intorno a Anouk van der Heide, che si concluderà nel mese di agosto 2025, sta studiando gli effetti clinici e biologici, a breve e lungo termine, della terapia cognitiva basata sulla mindfulness (mindfulness-based cognitive therapy, MBCT), con iniziali risultati molto promettenti ed incoraggianti riguardanti la riduzione dello stress nelle persone affette da Parkinson, e la riduzione dei sintomi, e pare ci siano concreti indizi che la mindfulness sia in grado di modificare il corso della malattia.

I farmaci non modificano il corso della malattia, ma riducono temporaneamente i sintomi riempiendo solo il secchio (vedi anche “IL SECCHIO BUCATO”), mentre la mindfulness può contribuire a ripararlo!

Buon Santo Stefano a tutti.

 

Fonti bibliografiche:

Van der Heide A, Goltz F, De Vries NM, Bloem BR, Speckens AE, Helmich RC. Study protocol for the MIND-PD Study: a randomized controlled trial to investigate clinical and biological effects of mindfulness-based cognitive therapy in people with Parkinson’s disease. BMC Neurology, 2024; 24:219. doi.org/10.1186/s12883-024-03736-7.

“HOUSTON, CI SENTITE?” di Kai S. Paulus

(Pillola n. 87)

Secondo il gruppo di ricercatori otorinolaringoiatrici statunitensi capitanati da Lee Neilson la riduzione dell’udito può rappresentare un fattore di rischio per sviluppare la malattia di Parkinson.

Whaoo, che frase forte!

Questa affermazione, pubblicata pochi giorni fa, il 21 ottobre scorso, è molto coraggiosa e provocatoria, visto che sinora si sosteneva che la perdita dell’udito non sarebbe correlato al rischio di riscontrare il Parkinson, come confermano anche il geriatra cinese Pingping Ning e colleghi solo pochi mesi fa. Poi, ieri, il 31 ottobre, il neurologo tedesco Thomas Mueller si inserisce nella discussione, ripercorrendo i dubbi su causa ed effetto, e cioè, se la neurodegenerazione comporti anche una compromissione dell’udito, oppure che i disturbi auricolari causino o comunque accelerino una neurodegenerazione.

Come vedete, botta e risposta in pochissimo tempo, il che sta a significare l’attualità della tematica nel contesto della corrente scientifica attuale che cerca indizi precoci per diagnosticare e trattare il Parkinson (vedi anche ” ALL ORIZZONTE LA DIAGNOSI PRECOCE DELLA MALATTIA DI PARKINSON”, PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“ e ”  DIAGNOSI DI MALATTIA DI PARKINSON: CAMBIA TUTTO!“).

E’ davvero affasciante, perché stiamo assistendo, praticamente ‘in diretta’, ad una discussione scientifica internazionale di alto livello.

Ma di che cosa si tratta esattamente?

(da: Studio Sentire srl 2024)

Il nostro cervello si orienta elaborando continuamente segnali che provengono dall’ambiente circostante, e lo fa raccogliendo dati sensoriali (visivi, uditivi, tattili, termici, olfattivi) che poi servono per reagire, e determinano le nostre azioni ed i nostri comportamenti. Quando invece un canale sensoriale è difettoso e non arriva il solito flusso di informazioni, il cervello viene stimolato di meno e non svolge le abituali compiti correttamente; la ridotta stimolazione comporterebbe alla lunga una disfunzione dei circuiti cerebrali ed un maggiore rischio ad innescare oppure velocizzare dei processi degenerativi.

Ning e colleghi affermano di non aver riscontrato alcuna correlazione tra riduzione/perdita dell’udito e la malattia di Parkinson, mentre il gruppo di Neilson sostiene che la relazione esiste e che la correzione dell’udito con apparecchiature e protesi potrebbe ridurre il rischio di Parkinson.

Dal conto suo, Mueller prende atto del lavoro di Neilson ma non trova un chiaro collegamento tra disturbo otorino e malattia di Parkinson.

Continuiamo a seguire questa interessante discussione che aggiunge altri tasselli per una sempre migliore comprensione del funzionamento del cervello e del possibile sviluppo di patologie neurodegenerative.

 

Fonti bibliografiche:

Mueller T. Vorteil fuer Hoergeraetetraeger: Hoerverlust beguenstigt Morbus Parkinson. SpringerMedizin.de, Parkinson-Krankheit, Nachrichten, 31.10.2024.

Neilson LE, Reavis KM, Wiedrick J, Scott DS. Hearing Loss, Incident Parkinson’s Disease, and Treatment with Hearing Aids. JAMA Neurol, 21 october 2024; doi.org/10.1001/jamaneurol.2024.3568.

Ning P, Mu X, Guo X, Li R. Hearing loss is not associated with risk of Parkinson’s disease: a Mendelian randomization study. Heliyon, 6 June 2024; doi.org/10.1016/j.heliyon.2024.e32533.

DIAGNOSI DI MALATTIA DI PARKINSON: CAMBIA TUTTO! di Kai S. Paulus

(Pillola n. 86)

Sappiamo che la malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata da sintomi motori, quali rallentamento motorio, rigidità muscolare, instabilità posturale e tremore a riposo, e da molti sintomi non motori, tra i quali ansia, depressione, disturbi del sonno, costipazione, riduzione dell’olfatto, dolori, fatica, e tanti altri.

Sappiamo anche che la diagnosi di Parkinson si basa sui sintomi cardinali (rallentamento, rigidità, tremore) e che non esistono né prevenzione e neanche alcuna terapia in grado di modificare il decorso della malattia.

Davvero?

No, in realtà le cose non stanno più così.

Da quest’anno, come raccontano le ricercatrici tedesche Henrike Knacke e Daniela Berg nell’attuale numero della rivista scientifica “InFo Neurologie+Psychiatrie“, la diagnosi della malattia di Parkinson è diventata molto più complessa, non più solo basata sull’osservazione clinica, ma ora include anche i reperti neuroradiologici (RM encefalo, SPECT cerebrali), le basi genetiche e la presenza o meno di alfa-sinucleina alterata nei liquidi corporei (saliva, liquor cefalorachidiano) e nella cute. E per la prima volta vengono considerati anche i sintomi precoci e preclinici, i cosiddetti “prodromi” (vedi anche “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“), quali disturbi del sonno, costipazione, ipotensione ortostatica, disfunzioni erettili, disturbi funzionali vescicali.

Titolo dell’articolo di Henrike Knacke e daniela Berg “Diagnosi Parkinson: dalla classificazione clinica a quella biologica.” InFo Neurologie+Psychiatrie, ottobre 2024

Nel febbraio di quest’anno, il prof. Guenter Hoeglinger, insieme ad un prestigioso gruppo di esperti internazionali della malattia di Parkinson, ha proposto questo nuovo metodo di classificazione, SynNeurGe (che ricorda la parola inglese per “sinergia” e sta per Syn = alfa-sinucleina, Neur = neurodegenerazione, Ge = genetica) in cui vengono anche proposti per il periodo prima dell’esordio motorio della malattia tre fasi:

  1. Fase di rischio: condizionata dalla presenza di fattori genetici (predisposizione genetica), non modificabili, ed ambientali (esposizione a pesticidi, diserbanti, solventi, ecc.), modificabili (!!!)
  2. Fase preclinica: i processi neurodegenerativi sono iniziati ma ancora non rilevabili
  3. Fase prodromica: comparsa di sintomi non motori, non specifici, che però rappresentano un campanello d’allarme che permettono l’inizio dell’iter diagnostico e terapeutico, che rispetto a prima, può iniziare anche anni prima del noto esordio motorio del Parkinson.

Questo nuovo approccio diagnostico è molto importante per anticipare la diagnosi e migliorare la sua precisione, e soprattutto per sviluppare nuove strategie terapeutiche in grado di modificare il decorso della malattia, rallentarla, e per trovare terapie causali, cioè terapie per guarire dal rapace infingardo.

Il futuro è iniziato.

 

Fonti bibliografiche:

Hoeglinger GU, Adler CH, Berg D, Klein C, Outeiro TF, Poewe W, Postuma R, Stoessl AJ, Lang AE. A biological classification of Parkinson’s disease: the SynNeurGe research diagnostic criteria. Lancet Neurol, 2024;23(2): 191-204. doi: 10.1016/s1474-4422(23)00404-0.

Hoeglinger GU, Boxer AL, Lang AE. Clinical versus biomarker-based diagnosis of neurocognitive disorders. Lancet Neurol, 2024; 23(8): 765-766. doi: 10.1016/s1474-4422(24)00274-6.

Knacke H, Berg D. Diagnose Parkinson: Von klinischer zu biologischer Klassification. InFo Neurologie+Psychiatrie, 2024; 26(10): 40-49.

MALATTIA DI HUNTINGTON (1) di Kai S. Paulus

(Pillola n. 83)

La malattia di Huntington è una rara patologia genetica dovuta ad una mutazione del gene della proteina huntingtina, HTT. Questa mutazione comporta una eccessiva ripetizione della tripletta di basi nucleotidiche (tutti i geni sono formati da una serie di nucleotidi), C-A-G, che, quando superano le 40 ripetizioni, porta alla formazione della proteina huntingtina alterata, tossica per la cellula nervosa.

Copertina del numero speciale sulla Malattia di Huntington della prestigiosa rivista scientifica “Movement Disorders” del novembre 2022.

Ma perché parlare della malattia di Huntington sul sito dedicato alla malattia di Parkinson?

  • Entrambe le malattie sono delle patologie neurodegenerative progressive e basate sull’alterazione di una proteina essenziale per il corretto svolgimento delle funzioni dei neuroni,
  • entrambe rientrano nel capitolo dei Disordini del movimento con interessamento del centro della selezione del movimento, i nuclei della base, al centro del cervello,
  • l’Huntington viene utilizzato anche per studiare altre patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer ed appunto il Parkinson.

Il fatto curioso è, che dal punto di vista clinico, una è il contrario dell’altra: il Parkinson è una malattia ipocinetica caratterizzata da rallentamento motorio, mentre l’Huntington è ipercinetico con eccesso di movimento.

 

QUADRO CLINICO

La “corea” viene descritta per la prima volta dal ventiduenne statunitense George Huntington nel 1872, ed è caratterizzata clinicamente dalla triade:

  • Sintomi motori: le coree, cioè ampi movimenti involontari, irregolari, afinalistici, che inizialmente interessano un arto o una parte del corpo, ma che successivamente possono coinvolgere tutto il corpo; rigidità e distonie; perdita dell’equilibrio, disartria (difficoltà nell’espressione verbale), e disfagia (difficoltà a deglutire)
  • Sintomi cognitivi: deficit della memoria a breve termine, disfunzioni esecutive (difficoltà nella pianificazione e riduzione delle flessibilità mentale), bradifrenia (rallentamento del pensiero)
  • Sintomi psichiatrici: ansia, depressione, apatia, disturbo del controllo degli impulsi, aggressività, psicosi; tra le persone con Huntington il rischio di suicidio aumenta di sette-dodici (!) volte rispetto alla popolazione generale. Altro dato drammatico è l’ipersessualità all’inizio della malattia e l’iposessualità negli stadi più avanzati con ulteriore aggravamento della vita di coppia.

Tutti i sopramenzionati sintomi hanno un andamento progressivo iniziando lievemente ed aumentando nel corso della malattia diventando sempre più invalidanti, imponendo un crescente peso anche per la famiglia ed i caregiver.

Come nel Parkinson, l’esordio della malattia è preceduto da una fase prodromica, della durata anche di molti anni, in cui si presentano i futuri sintomi in forma molto lieve e che spesso sfuggono ad una diagnosi precoce.

Ma andiamo a vedere nella prossima parte che cosa succede esattamente nella cellula nervosa e perché e quando si sviluppa questa malattia.

(segue con “MALATTIA DI HUNTINGTON (2)“)

Tappe principali dei progressi nella ricerca sulla malattia di Huntington, con l’importante scoperta della mutazione genetica nel 1993 (da: Movement Disorders, 2022)

MALATTIA DI HUNTINGTON (2) di Kai S. Paulus

(Pillola n. 84, seguito di “MALATTIA DI HUNTINGTON (1)“)

Nella prima parte abbiamo conosciuto i sintomi ed il quadro clinico con cui si presenta questa malattia neurologica; ora vediamola un po’ più da vicino.

PATOGENESI

La causa della malattia è un’alterazione di una proteina, huntingtina, HHT, una grossa proteina che svolge diverse importanti funzioni dentro le cellule nervose: contribuisce alla struttura e stabilità cellulare come componente del citoscheletro, gioca un ruolo cruciale nello sviluppo del sistema nervoso centrale, ed è essenziale per il trasporto intracellulare di ‘mattoncini’ e trasmettitori (dopamina, ecc.), ma soprattutto l’huntingtina è coinvolta nella formazione e nel mantenimento della sinapsi, il punto di collegamento tra neuroni con cui viene trasmessa l’informazione nervosa.

Infine, e da non sottovalutare l’HTT serve per la sopravvivenza della cellula nervosa ed è coinvolta nei meccanismi che portano alla morte cellulare fisiologica e programmata, l’apoptosi (a differenza della morte cellulare da danno e malattia, la necrosi).

Ora, possiamo immaginarci cosa succede, quando questa importante componente cellulare non funziona correttamente.

E già, siamo alle solite; come sappiamo dalla alfa-sinucleina alterata, la proteina huntingtina mutata si aggrega e forma dei corpi di inclusione intracellulari.

Un mio grafico che ho già proposto in altre occasioni, che vuole illustrare in forma semplificata la sinpasi, cioè il punto cruciale di contatto tra due neuroni, dove avviene la trasmissione dell’informazione neuronale

Vi ricordate i corpi di Lewy pieni di alfa-sinucleina? Ecco, nel caso della huntingtina mutata succede la stessa cosa: siccome gli aggregati di huntingtina mutata sono altamente dannosi per la cellula, quest’ultima si difende raccogliendo questi aggregati in dei sacchi di spazzatura pensandosi momentaneamente salva; ma la mondezza si accumula e finisce per occupare tutta la cellula che infine si deve arrendere. Però, questo è un processo relativamente lento. Ciò che è peggio è, che la proteina alterata non è più in grado di svolgere i propri compiti. E quindi la cellula nervosa avrà problemi strutturali e di stabilità, avrà problemi energetici per il danno provocato ai mitocondri, le centrali energetiche della cellula. Inoltre, il neurone non potrà garantire il trasporto ed il rilascio di neurotrasmettitori e la comunicazione tra i neuroni per l’alterazione delle sinapsi: e con la perdita di neurotrasmettitori e sinapsi la cellula nervosa perde il suo senso di esistere!

 

DIAGNOSI

La diagnosi di Huntington si basa sulla raccolta della storia personale e familiare, e sulla valutazione neurologica; Risonanza magnetica e/o TC cranio saranno utile per escludere altre problematiche neurologiche; con il test genetico si conferma infine il sospetto diagnostico.

 

TERAPIA FRAMACOLOGICA

A tutt’oggi non esiste una terapia farmacologica specifica per la malattia di Huntington, ma ci sono trattamenti sintomatici, come i cosiddetti antagonisti dopaminergici, utili a ridurre gli invalidanti movimenti coreici ma non privi di effetti collaterali, e farmaci dopaminergici, anti-parkinson, che aiutano in caso di rigidità e distonia.

Per le problematiche psichiatrici ci si avvale di ansiolitici, antidepressivi e neurolettici per mantenere il più a lungo possibile una sufficiente qualità di vita.

 

Detta così, la terapia sembra molto deludente, ma nell’ultima parte scopriamo i tanti interventi che si possono adottare per far stare meglio ammalati/e e familiari.

(segue con “MALATTIA DI HUNTINGTON (3)“)

Titolo della recentissima pubblicazione sugli attuali progressi nella ricerca della Malattia di Huntington, del gruppo di ricercatori cinesi intorno a Huichun Tong