Volare si Può, Sognare si Deve!

Gli amici della musica di Salvatore Faedda

madonna delle nevi

Tanti anni fa, con la mia famiglia ed un gruppo di amici, trascorrevamo le vacanze estive in quel di Folgarida, una ridente località di montagna vicino a Madonna di Campiglio.
Non avevamo problemi di prenotazione perché i proprietari dell’albergo, nostri amici, con una semplice telefonata ci garantivano l’ospitalità e noi stavamo bene con loro perché il vitto e l’alloggio erano di nostro gradimento.
Normalmente, una settimana prima di ferragosto e con le macchine colme di bagagli, puntavamo felici verso Portotorres per imbarcarci sulla nave che ci avrebbe portati a Genova.
Il giorno successivo, seguendo le indicazioni autostradali, come prima tappa raggiungevamo Verona per consumare un sobrio pasto e poi di nuovo in viaggio per raggiungere la meta preferita. Alla sera si arrivava a destinazione e così, finalmente, iniziava la nostra vera vacanza.
L’albergo “Madonna delle Nevi” era organizzato in maniera tale da consentire agli ospiti una adeguata informazione su tutti gli eventi che si sarebbero svolti, prima e dopo ferragosto, nei pressi di quella località.
Ovviamente, da amante della musica, mi soffermavo su quei dépliant che davano informazioni sui vari concerti a quota 2,500 metri.
Questi eventi avvenivano subito dopo pranzo e noi, che da 1,700 metri dovevamo raggiungere i 2,500, ci mettevamo in cammino di buona lena per non perdere nemmeno un accordo. Ognuno trovava posto su una comoda pietra (si fa per dire) e poi si aspettava l’inizio del concerto.
Se amate la musica e vi capiterà di ascoltarne almeno uno, vi assicuro che l’emozione sarà talmente grande come grande era il silenzio che regnava in quelle montagne, esaltato solo dalla musica che vibrava da quegli insoliti strumenti musicali.
Ho voluto proporvi questa breve esperienza col semplice intento di dimostrare che la musica è come il prezzemolo…sta bene dappertutto!!!

Salvatore Faedda

La nostra Associazione e le Istituzioni

L’Associazione Parkinson Sassari ONLUS è un’Associazione ancora giovane. E’ stata costituita nel 2013 ma conta già oltre 70 iscritti rappresentati prevalentemente da ammalati della malattia di Parkinson o da loro parenti ed amici. Gestire l’Associazione quando era costituita da pochi soci era abbastanza facile anche perché le attività alternative alle cure farmacologiche erano ancora in fase di assestamento; oggi che hanno trovato una configurazione consolidata le attività di Fisioterapia (Pinuccia Sanna) , Teatro (Franco Enna), Danza e movimentoterapia (Annalisa Manbrini), si percepisce , quotidianamente, in maniera concreta, la mancanza di spazi nei quali effettuare le molteplici attività che regolarmente vengono proposte ai malati di Parkinson che aumentano sempre più di numero, in particolare quelli più gravi, che richiedono attenzioni e spazi personalizzati.

Gli spazi appunto. Quelli di cui l’Associazione non usufruisce perché, per motivi vari, non gli e ne sono stati ancora assegnati. Per ovviare a questa carenza, l’Associazione sta cercando di sensibilizzare le Autorità preposte alla gestione dei Beni del Comune per l’assegnazione alla Parkinson ONLUS di locali adeguati allo svolgimento funzionale delle sue molteplici attività che spesso sono mortificate nel tempo e nello spazio. Attualmente l’Associazione Parkinson è ospitata in locali di fortuna messi a disposizione da una generosa e illuminata Dirigente scolastica.

Qualche giorno fa, durante una delle esercitazioni di fisioterapia son venuti a farci visita il Presidente della Commissione incaricata di stilare il nuovo Regolamento per l’assegnazione ad Associazioni di volontariato, sportive, culturali, i non pochi locali di cui il Comune medesimo è proprietario, Franco Era e, quasi contemporaneamente, l’Assessore all’Edilizia Urbana Alessio Marras.

Entrambi hanno rappresentato quelle che intendono essere le linee guida dell’Amministrazione nell’assegnazione dei locali disponibili per le associazioni. Massima trasparenza, consistenza numerica e qualitativa delle Associazioni, tipo di attività svolte, soggetti a cui le attività sono riservate , esigenze di specifici locali, obblighi del concessionario. Un’assicurazione che entrambi ci hanno fatto, e che noi abbiamo registrato con piacere, mirava a tener conto dell’efficacia dell’attività svolta a costo zero verso gli ammalati di Parkinson, soprattutto i più gravi. Questa sottolineatura in positivo sul nostro operato ci fa ben sperare in una considerazione concreta al momento dell’attribuzione dei locali alle varieassociazioni

 

Mio zio calzolaio di Salvatore Faedda

Tra i vari ricordi della mia giovinezza ho un piccolo episodio da raccontare che ancora oggi mi stupisce. Avevo circa 18 anni e frequentavo uno zio un po’ più grande di me; da bambino era stato colpito dalla poliomielite (all’epoca non esisteva il vaccino) ed il suo lavoro, come tutti coloro che zoppicavano, consisteva nel riparare le scarpe…cioè il calzolaio. Eravamo vicini di casa e così ogni sera, quando rientravo dal lavoro, mi piaceva fargli compagnia.
Spesso andavamo al cinema o a teatro per qualche “rivista” ma quando era oberato di lavoro restavamo nel suo laboratorio e questo gli consentiva di raccontarmi fatti di guerra che lui ricordava bene.
Era una persona buona e sensibile e parte di ciò che guadagnava la metteva a disposizione per i nostri semplici svaghi.
Un giorno d’estate decidemmo di andare al mare e così col primo tram disponibile andammo a Platamona. Scendemmo alla rotonda e ci dirigemmo sulla parte destra della spiaggia allora piena di baracche in legno. Tra una cabina e l’altra lasciammo i nostri indumenti e poi, per quanto possibile data la disabilità del mio amico/zio, di corsa in acqua a rinfrescarci. Giunta l’ora del rientro a casa ci vestimmo e in quel frangente mio zio si rese conto di non avere più le monete per il viaggio del ritorno. Iniziammo a cercarle fra la sabbia senza alcun risultato e così decidemmo di rischiare e di salire sul bus senza biglietto. Il mezzo era stracolmo e questo ci convinse che difficilmente il bigliettaio ci avrebbe trovati in flagrante. Ahinoi!!! Poco prima d’arrivare alla stazione il bigliettaio che aveva già trovato qualcuno senza biglietto e che a causa del mezzo stracolmo non riusciva a controllare i restanti passeggeri, disse all’autista di recarsi direttamente in deposito senza aprire gli sportelli. In un attimo si accese una grande disputa tra passeggeri e controllore ma, appena il bus si fermò, tutti coloro che si trovavano in piedi, con una grande spinta aprirono le porte d’accesso e cominciarono a scappare. Con mio zio in quelle condizioni non potemmo far altro che aspettare e incappare nelle fauci del controllore. Ci portò presso gli uffici dell’azienda ma, vista la disabilità di mio zio ci lasciarono andar via senza pagare una lira.
La domenica successiva ci recammo nuovamente in spiaggia e occupammo lo stesso spazio della volta precedente. Prendemmo in affitto un “pattino” e così tra pedalate e bagni passammo una bella giornata. Quando fummo stanchi a sufficienza ci adagiammo sulla spiaggia e mentre mio zio, tra un racconto e l’altro distrattamente accarezzava la sabbia, ecco che ad una ad una riaffiorarono le monetine perse. Un vero colpo di fortuna che ci consentì di mangiare una pizza senza gravare sulle nostre tasche.

Salvatore Faedda

Pillola nr. 7: Vincere la “brutta bestia” di Kai S. Paulus

Brutta bestia’ la chiama Piero Faedda (in: “Il Parkinson: brutta bestia”, pubblicato sul nostro sito il 3 novembre 2015), ‘un rapace infingardo appollaiato sul trespolo della coscienza, il male oscuro, una muta di cani latranti pronta ad affondare i denti digrignanti’ si scaglia contro di esso il nostro G.B. in “Parkinson che sorpresa!” (26 novembre 2015), insomma, quel “su nemigu” come lo ha schedato più volte Peppino Achene. Ecco, lui è lì e non mi fa fare nulla, mi impedisce di vivere una vita degna di essere vissuta, è lì, presente in ogni istante, mi trasforma, mi tortura, mi procura immobilità, contratture, tremori, dolori, ansia, insonnia. Mi rende …
Stop, fermi, halt!
In questi ragionamenti manca qualcosa: dove è la vita, la famiglia, gli altri?
Per vincere la brutta bestia, per gestire il Parkinson quotidianamente non bastano le medicine e neanche la fisioterapia, ci vuole un altro elemento fondamentale: la disciplina. Forse il termine è un po’ forte, allora chiamatelo buon senso e rispetto verso se stessi e verso gli altri.
Se guardiamo la vicenda dal punto di vista del parkinsoniano potrebbe esserci la tendenza a pensare che tutta la mia esistenza si gira intorno al mio disagio, i miei problemi, la mia assistenza. Ma la vita non è certo questa! Uno degli errori principali che facilmente si possono commettere è quello di dare troppa importanza al ‘nemigu’, talmente tanta che la propria vita è completamente assorbita dal ‘rapace infingardo’. D’accordo, c’è il Parkinson, ma non per questo spariscono i propri cari, gli affetti, le emozioni di tutti i giorni.
Ovviamente non è facile affrontare la giornata quando la si deve iniziare già da subito al risveglio cercando di vincere la rigidità dopo una notte insonne; stordito dal mal di testa resto in attesa che le pastiglie facciano effetto, chiedo aiuto per essere alzato, lavato, vestito, voglio colazione, pranzo e cena pronti alla stessa ora, devo prendere le pillole alle ore 8, 9, 10, ecc., e che sempre ci sia qualcuno con me perché non si sa mai. In questo modo, però, il ‘portatore sano di Parkinson’ (come ama definirsi Tonino) sarà sempre meno sano e da partner, familiare, e persona amica, viene degradato ad infermiere, assistente personale, maggiordomo, donna delle pulizie, servo, ecc.
Come dice sempre dott. Giovanni Carpentras, non ci sono regole universali, ma penso che una persona che sfortunatamente si è ammalata di Parkinson va aiutata, non servita. Sto facendo questa riflessione perché vorrei che la persona malata non si arrenda e che non scivoli in una condizione di passività ed immobilità più per preoccupazione e tristezza che non per i reali limiti posti dalla malattia. E vorrei invece che la persona reagisca, non conceda spazio al ‘nemigu’ e che cerchi di conservare e di ampliare le proprie autonomie; in questo modo la ‘muta di cani latranti’ retrocede e fa passare la persona determinata e volenterosa. Quasi miracolosamente i sintomi diminuiscono e magari si potrà togliere qualche mezza pastiglia di qua e di là. Mi viene in mente lo spirito del padre di Adelaide Sanna in “Fra di noi è nata una bella amicizia” (15 ottobre 2015), e le parole di Nicoletta Onida “bisogna andare avanti senza paura” in “Così è la vita” (5 luglio 2015).
Dall’altro lato ci sono i ‘portatori sani’ che accudiscono il Parkinsoniano in maniera totale, perfetta, 24 ore su 24. Questo può succedere per tanti motivi: per la convinzione che “l’altro” è malato e ne abbia bisogno, per un possibile senso di colpa per non riuscire a fare di più, o magari semplicemente perché i servizi vengono pretesi dall’altra parte. Ma facendo così nascono tensioni che comportano fraintendimenti e malumori, nervosismo fino allo sfiancamento ed esaurimento, con il risultato che il clima in casa non è più buono e ci sarà una escalation tra richieste di continua assistenza e lamentele di affaticamento, in parole povere: litigi. Anche qui non esiste un vademecum universale che possa essere applicato ad ogni situazione, ma la disciplina, il buon senso, può aiutare a migliorare le condizioni generali: l’ammalato deve trovarsi degli impegni propri, siano essi degli hobby, attività lavorative, impegni in parrocchia oppure in una associazione (la nostra!) oppure lo sbrigare di commissioni, e comunque deve partecipare alle attività quotidiane domestiche, mentre il familiare si deve ritagliare degli spazi suoi per i propri svaghi, se non altro per ricaricare le pile; in questo modo si conserva l’armonia domestica e la serenità, e ci sarà spazio per vivere tutti insieme le emozioni importantissime per una vita degna di essere vissuta. Penso alla ‘quarta candela’ dedicata a tutti noi della Parkinson Sassari dalle Sorelle della colonia di San Pietro in “La tenerezza è la forza più umile” (15 ottobre 2015).
Non si deve dimenticare che la malattia di Parkinson è sì una patologia neurodegenerativa che inesorabilmente peggiora continuamente – quando non si fa nulla per impedirlo. Ma con il giusto atteggiamento, la disciplina, i farmaci e le attività sia intellettuali che fisiche si può notevolmente modulare la progressione della malattia, oserei dire rallentarla, bloccarla, ed anche ridurla, e quindi gestire il quadro clinico conservando molte autonomie funzionali fino a tarda età. Ricordatevi l’articolo pubblicato sul nostro sito: “Il divertimento come fonte di dopamina”, ma più di tutto tenete sempre in mente il motto della nostra Parkinson Sassari: Volare si può, sognare si deve! in cui ‘Volare si può’ sta per lo spirito di non mollare mai, e ‘Sognare si deve’ esprime l’imperativo di avere obiettivi e desideri, e di vivere le emozioni.

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Il logo della nostra Parkinson Sassari voluto dal presidente Franco Delli: le pietre apparentemente dure ma che invece contengono delle storie, la quercia forte che resiste alle intemperie, ed il gabbiano che nell’aria perde pesantezza e rigidità. Volare si può…

 

Avevo scritto questa Pillola n. 7 qualche settimana fa e stavo per consegnarla al nostro webmaster Gian Paolo Frau, quando l’intensa ed emozionante riunione dei familiari del 26 febbraio scorso mi ha fermato per una ulteriore riflessione. Non ho cambiato il senso dei miei appunti, ma la riunione, convocata da dott. Giovanni Carpentras insieme alle psicologhe dott.ssa Lidia Spanu e dott.ssa Angela Merella, questa volta nella prestigiosa biblioteca dell’Istituto di Scienze Radiologiche, mi ha portato a sottolineare alcuni aspetti quali il punto di visto dell’ammalato, quello del familiare e caregiver, e la consapevolezza della malattia per quello che è e non quello che noi temiamo possa essere. La riunione, sicuramente la più sentita ed utile di tutta la serie, è stata carica di forti emozioni, ma anche di cordiale divertimento. L’insieme di Dora, Nanna, Giannella, Anna, Graziella e Tonino si è rivelata una miscela scoppiettante che dopo importanti testimonianze ha suscitato risate e buon umore in tutti i presenti. Oltre all’ormai collaudato gruppo c’erano anche diverse ‘new entry’ che sin dall’inizio si sono trovati a loro agio. Questa riunione sarà sicuramente ricordata da tutti i partecipanti come quella più proficua in un clima amichevole e simpatico che ha fatto divertire anche gli psicologi del Servizio di Psicologia Clinica della Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari.

Il Ragazzo di Koblenz ha perso la Bussola di Kai S. Paulus

Stamattina rientro a casa da una guardia notturna in Clinica, e siccome non riesco a dormire, cerco di sbrigarmi delle commissioni. Tutto fila liscio ed in breve tempo riesco fare tutto e, visto che sono in giro, decido di andare a Baddimanna per visitare la Basilica del Sacro Cuore.Bussola 0 Qualche giorno fa il nostro amico Salvatore Faedda ha pubblicato sul nostro sito un articolo molto interessante, in cui racconta come lui da giovane, quando lavorava in una falegnameria, ha avuto “l’onore e l’onere” di collaborare ai lavori degli interni della Basilica Sassarese.
Penso che non vi sia sfuggita la mia ammirazione per Salvatore, persona umile e silenziosa che continua a sorprendermi con i suoi talenti e la sua storia. Prima mi ha stupito con le sue doti musicali che mi hanno portato ad iniziare a strimpellare l’armonica a bocca (lo so che il termine “strimpellare” si usa per strumenti a tasti oppure a corde, ma proprio ieri nostra figlia mi ha chiesto cosa significhi e quindi mi è rimasto in testa), poi continua ad affascinarmi con i suoi racconti di viaggi, della sua famiglia, in cui riportando la sua storia ci propone ogni volta un piccolo tassello della Sassari che fu (leggete proprio in questi giorni “La notti di Fribagiu di lu ‘56” pubblicato qualche tempo fa sul nostro sito: Sassari sessant’anni fa – fa un certo effetto); ma Salvatore tocca le corde di tutti noi quando parla della sua esperienza con il Parkinson, dove per me i suoi pezzi, quali “L’eredità”, e le poesie “Lu Parkinson” e “Lu muccaroru”, sono dei veri capolavori. Poi si distingue anche per i suoi divertenti reportage sulle nostre attività associative.
Quindi, questa è la mia stima nei confronti di quest’uomo. Ora potete immaginarvi quanto io sia rimasto di stucco leggendo il suo “La Bussola del Sacro Cuore”: conosco la Basilica, ci sono andato diverse volte, ma, confesso, non mi ricordo della Bussola. Avevo fatto delle ricerche in internet, dove si legge: “di notevole pregio sono anche le opere di falegnameria che arredano gli interni” (www.geoplan.it).
Ecco, visto che stamattina ho tempo, decido di andare alla ricerca della Bussola di Salvatore. Il suo racconto diventa intrigante quando menziona che nello stesso tempo ci lavorava anche Costantino Spada e che lui ottenne regolarmente del vino, mentre per Salvatore ed i suoi colleghi non era permesso neanche dell’acqua. Che ingiustizia! Ora vado a scoprire l’opera del nostro musicista!
C’è un acquazzone (finalmente l’inverno si è deciso a fermarsi anche sulla Sardegna) ed entro di corsa nella navata. Dopo essermi scrollato di dosso un bel po’ di acqua piovana faccio il giro tra i banchi, ammiro, come anche le volte precedenti, gli affreschi di Spada, l’organo, il bellissimo altare, sempre di falegnameria, dedicato a Mons. Pala, l’allora parroco e datore dei lavori; è una chiesa bellissima che ogni volta mi piace di visitare. E la bussola? Non la trovo. Faccio un secondo giro, scendo anche nella cripta dedicata alla Madonna di Lourdes, ma niente. Consulto il nostro sito e rileggo le righe di Salvatore per capire dove si possa trovare la sua opera, ma niente da fare (col senno di poi Salvatore dà indicazioni precise ma io non ho colto). Allora telefono a Piero Faedda, lui dovrebbe saperlo, ma anche lui in quel momento non ha idea. Allora, da vero amico che è, scomoda la gente che ha in casa in visita (quasi mi vergogno) e fa un sondaggio tra di loro, ma comunque non riesco ad avere indicazioni precise. Che faccio adesso? Mica me ne posso andare. Sono qui, oltre che come curioso anche come giornalista: voglio trovare la bussola e fotografarla per mettere le foto sul nostro sito. Chiedo a qualche turista (a febbraio a Sassari?) ma figurati. Inizio a diventare nervoso (e qui il libro di Westendorp presentato recentemente da Nicoletta Onida non c’entra niente!). Temo che devo arrendermi per il momento; forse posso tornare dopodomani con Peppino Achene visto che dobbiamo vederci con il nostro webmaster Gian Paolo Frau per parlare del libro sulla nostra associazione. Quasi sconfitto me ne sto andando quando intravedo entrare in chiesa un tipo non rasato, un po’ così; no, a quello non ha senso chiedere, e gli passo accanto. Ma proprio nel mentre, in una frazione di secondo il mio cervello cambia idea (altro che Westendorp!) e presento allo sconosciuto la mia disperazione. “Buongiorno a Lei” risponde gentilmente l’uomo, “sono il sacrestano, certo, la bussola, venga, gliela faccio vedere.” L’uomo non rasato è fantastico e mi salva la giornata.Bussola 1

Bussola 3Finalmente mi trovo davanti all’oggetto delle mie ricerche, cioè ‘davanti’ non è il termine esatto, ‘sotto’ è meglio visto che la bussola troneggia sopra l’ingresso centenato a oltre quattro metri. La bussola, spiega il sacrestano, riporta il simbolo papale essendo questa una basilica. La guardo con grande rispetto. Ho trovato finalmente l’opera del giovane falegname Salvatore. Sono molto contento; la ammiro e faccio delle foto. Il falegname non deve disperare perché ci rifacciamo alla prossima occasione con i “Petali di rose” di Peppino (alla faccia di Costantino).
Fuori piove ancora tanto e corro alla macchina. Mi riposo e contemplo gli scatti, forse non bellissimi perché non sono un bravo fotografo, ma anche per le condizioni di luce e la difficile angolatura. Per la gioia del successo della ricerca, il ragazzo di Koblenz tira fuori dalla tasca la sua armonica…

Ricordi….. di Dora Corveddu

     Ricordi……….

Qualche giorno fa, invitata da delle amiche per un pomeriggio di chiacchiere e per  un buon tè, si è parlato della vita,  delle nostre esperienze, dei nostri problemi, delle nostre gioie e , come spesso accade, delle nostre mamme.

Con nostalgia e con dolce rimpianto non ho potuto fare a meno di ricordare la vita vissuta con il mio babbo e con la mia mamma che da quasi tre anni non è più con noi; ho ripercorso le fasi della mia vita: la mia infanzia,  l’adolescenza,  gli anni degli studi, l’università, l’età adulta e tanto altro ancora.

Ma  prima di parlare della mia esperienza di vita , ho sentito il desiderio  di riportare uno dei testi che mia mamma ha scritto per raccontare episodi che hanno caratterizzato la sua giovinezza, ma soprattutto per mettere nero su bianco quanto amava raccontare ai figli ed ai nipoti, che adoravano stare seduti intorno alla loro nonna ad ascoltare con meraviglia e curiosità i racconti della vita da lei  vissuta.  Nel racconto – memoria  che vi proporrò  narra del periodo della guerra, quando fratelli amici e parenti si trovavano lontani per combattere quelli che venivano considerati nemici, ma che poi col tempo sono, nella sua mente, diventati giovani che condividevano un’esperienza simile ma su fronti bellici diversi.  A questo punto mi piace inserire lo  scritto   della mia mamma per ricordarla  e per farla , per così dire, conoscere agli amici che avranno voglia di leggere questa testimonianza,  tesoro per noi figli incomparabile, che lei ha voluto lasciarci e che rappresenta quasi  una finestra su quel mondo forse  piccolo, ma ricco di esperienze, persone e  valori umani straordinari che caratterizzavano il nostro paese di origine,  Pattada, così come  tanti paesi della Sardegna. Mia mamma ha scritto queste , che noi consideriamo memorie di famiglia,  nel 2008 quando aveva ormai 86 anni.

1940    Pattada

Sono passati ormai 68 anni, ma anche se tanto vaghi i ricordi di allora tornano alla mente e ogni tanto ne parliamo insieme  e riviviamo un po’ di quei tempi un po’ difficoltosi ma allo stesso tempo importanti per una serie di avvenimenti che hanno avuto il loro seguito. Era l’anno dell’inizio della seconda guerra mondiale. Io ero tanto giovane, ma ricordo ancora come il mio paese si spogliò di tanti giovani che dovettero andare in guerra perché richiamati tutti a fare il servizio militare e, oltre a vivere quel momento con tensione e  paura,  dovettero abbandonare famiglie e lavoro. Tra i tanti amici che conoscevo ce n’era uno in particolare perchè era amico di mio fratello. Questi ragazzi che erano lontani da casa sicuramente si sentivano un po’ soli, ma  ebbero l’idea che, attraverso la corrispondenza, potessero scegliere ognuno la propria madrina di guerra per ricevere notizie del paese  e sentirsi un po’ in compagnia di coloro che avevano lasciato.   Da questo mio amico ricevetti questa proposta che mi fece tanto piacere e divenni quindi la sua madrina di guerra.  In una delle tante lettere c’era scritta una bellissima poesia nel dialetto tipico della mia Pattada.  Iniziò allora una sincera e amichevole corrispondenza.

POESIA

Pro madrina e gherra ti domando

Si nde tenes tue piaghere,

daghi a Pattada già bi ando

tando già ti domando pro muzere.

Como eo so inoghe cumbattende

E sa patria nostra servende

Ca este unu dovere sacrosantu

E de salvare sa patria mi anto.

1944   Dopo quattro anni di sofferenze e privazioni la guerra finì….   Tornarono allora in paese tanti giovani , anche se molti mancarono all’appello.  Tornarono tanti amici fra i quali il mio figlioccio di guerra.   Ci ritrovammo allora tra feste e scampagnate che nel 1945 si susseguirono per festeggiare la fine dell’incubo bellico.

Ebbe inizio  così la nostra storia che da una semplice amicizia si trasformò in un autentico sentimento profondo e che si consolidò dopo quattro anni. Ci sposammo e fu un matrimonio bellissimo da festeggiare con tanti amici e parenti fra i quali tutti i reduci di guerra.  Abbiamo avuto quattro splendidi figli e otto nipoti ai quali vogliamo un mondo di bene. Ora siamo vecchi ma loro ci aiutano a vivere sereni e ci fanno tanta compagnia in questa ultima fase della nostra vita.

POESIA

Sa nostra istoria bos amus contadu

Ca piaghiada a Andrea de l’ischire.

Como sun sos ammentos a rifiorire.

Dae tando tantu tempus c’ha passadu

Nos torran a sa mente cussos tempos

Chin unu pagu de difficultade

Como nois amus una zelta edade

Ma de custa già semus cuntentos.

Amus chin nois fizos e nebodes

Chi nos pienan su coro de allegria

Pro issos su Signore bi siada

Ca de su sou gialdinu sun fiores.

Issos vivan a chentu e pius annos

Chin amore, armonia e chena affannos.

Questi i primi  ricordi che mia mamma ha voluto mettere per iscritto su richiesta di mio figlio Andrea, che ascoltava sempre i nonni raccontare insieme la loro giovinezza, la loro storia d’amore. Voglio far notare che la prima poesia è stata scritta da mio babbo; questa viene considerata la sua quasi prima  dichiarazione per la sua futura moglie, e  che ancora, alla veneranda età di 96 anni, babbo ama recitare. La poesia finale, invece,  è stata composta da mia mamma ed  è diventata una sua abitudine concludere ogni suo scritto con una poesia, anche se lei continuava a  sottolineare  di non avere velleità poetiche. Da allora sollecitata da noi figli continuò a scrivere le sue memorie, pur professando sempre le  sue scarse capacità, in realtà sentendosi sempre un po’ lusingata. Ed allora comprava i fogli protocollo perché , diceva lei, le cose importanti si scrivono su fogli importanti. E allora iniziava a raccontare emozionandosi sempre per i ricordi dei tempi andati.  Mia mamma aveva una certa facilità nella scrittura anche perchè  ha sempre amato la lettura…….si vantava perfino di aver letto per quattro volte “ I Promessi Sposi” . Leggeva sempre, soprattutto nell’età avanzata, quando aveva ormai tanto tempo da dedicare ai suoi interessi. E lo scambio ,con figli e nipoti, di libri da leggere era ormai diventata un’abitudine. Ha letto tanto nella sua vita , nonostante la sua istruzione si sia fermata alla quinta elementare. Ha fin da giovane esercitato la sua professione di sarta, circondata dalle sue sartine che imparavano il loro futuro mestiere e l’aiutavano nel suo quotidiano lavoro. Questo è uno dei tanti aspetti della personalità di mia mamma che ha vissuto nel grande amore per suo marito,  per i suoi figli e nipoti che, diceva lei, le rendevano la vita  gioiosa e ricca di soddisfazioni.

26 febbraio 2016                                             Dora Corveddu

Recensione di: “Come invecchiare senza diventare vecchi di Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

“Come invecchiare senza diventare vecchi: la scienza della longevità felice”  Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

foto libro

Recensione di Nicoletta Onida

Il saggio del medico danese Westendorp prende le mosse da una considerazione molto semplice: poiché in Occidente, rispetto al passato, l’aspettativa di vita è notevolmente cresciuta, oggi tutti noi vorremmo vivere meglio la nostra vita da “vecchi” e godere più a lungo l’età pensionabile. Se un tempo, dopo aver cresciuto e indirizzato i figli ad una vita autonoma, si aveva la tendenza a mettersi in disparte, oggi la terza età appare sempre più come una nuova e – per certi versi – entusiasmante fase della vita. Una frontiera da esplorare e godere appieno e non un crepuscolo in cui ritirarsi spegnendosi lentamente. Perché questo avvenga, tuttavia, dovrebbero variare ancora molte cose nel modo di vivere e pensare della società. A cominciare dalle giovani generazioni. Quando si è molto giovani, infatti, carichi di curiosità ed inventiva, il desiderio più grande è entrare a far parte del mondo degli adulti pensando di poter compiere tutto ciò che fino ad allora ci è stato vietato. Si guarda, pieni di speranza, al futuro, che rappresenta più o meno ciò che ognuno si attende. Raramente a quell’età si pensa ai problemi legati alla vecchiaia, si spera anzi di invecchiare in buona salute e morire senza soffrire troppo, magari all’improvviso. E con questa spensieratezza si è portati a trascurare la propria salute, ad assumere uno stile di vita che non disdegna gli eccessi, confondendo il bisogno di divertimento “a tutti i costi” con abitudini dannose le cui conseguenze, purtroppo, arriveranno presto o tardi a farsi sentire.

Da adulti la vita cambia: si ha più libertà, ma anche maggiori responsabilità e preoccupazioni. Capita, così, che nei momenti di stanchezza e insoddisfazione, quando sembra che la vita voglia metterci alla prova, i nostri pensieri tornino indietro nel tempo. Risvegliando ricordi torniamo alla giovinezza e, con nostalgia, ripensiamo alla spensieratezza e all’allegria di allora. Malgrado le difficoltà lottiamo con coraggio e determinazione per portare avanti i nostri progetti, non ci arrendiamo, ma nei momenti di stanchezza e apprensione, istintivamente, pensiamo fiduciosi ad una vecchiaia tranquilla in cui potremo godere il meritato riposo. Già, chi non desidera invecchiare serenamente? Tutti noi lo vorremmo, ma senza diventare vecchi, bensì conservando inalterate la nostra mente e il nostro corpo, vivendo in autonomia e senza limitazioni, senza pesare sugli altri.

Purtroppo, ci dice Westendorp, non esiste una ricetta per invecchiare senza diventare vecchi; ogni cosa si logora: le piante, gli animali, gli oggetti… ed anche per noi arriva il momento in cui l’organismo arriva all’esaurimento e le minacce al nostro benessere diventano più concrete. Dato che non possiamo rimanere inermi in attesa che cali il sipario, ci adoperiamo per difendere la nostra salute. Finalmente guardiamo in faccia il presente e decidiamo di cambiare. È troppo tardi? Forse no, ci rassicura lo studioso: l’importante è saperlo fare nel modo giusto, dopo aver individuato le abitudini e i comportamenti dannosi che ci trasciniamo dietro da anni. Dopo aver fatto, insomma – da soli o con l’aiuto di medici e altre figure che possano affiancarci –, un bilancio accurato del nostro stile di vita.

È questo, secondo me, l’aspetto più interessante del saggio, una lettura che aiuta ad orientarsi meglio nella fase della vita che personalmente mi trovo ad attraversare. Ma una volta concluso il libro, mi è venuto spontaneo domandarmi: se tutto ciò lo avessimo fatto fin da giovani, se già allora avessimo assunto comportamenti salutari, saremmo arrivati a vecchiaia in condizioni migliori, evitando certe patologie?

Westendorp, pur non fornendo una risposta matematicamente certa, lascia pensare di sì. Ed è per questo che consiglierò caldamente la lettura di questo saggio non solo alle mie amiche e a quanti, come me, si trovano alle soglie della terza età, ma soprattutto ai figli e ai nipoti, che forse sono ancora in tempo a correggere le proprie abitudini per garantirsi una vecchiaia più sana. Come diceva quella vecchia réclame? “Prevenire è meglio che curare”.

La bussola del Sacro Cuore di S. Faedda

Fin da ragazzo ho sempre lavorato in una falegnameria artigianale e, fra i vari lavori eseguiti, ho avuto l’onere e l’onore di costruire la bussola (porta d’ingresso centinata) della chiesa del “Sacro Cuore”
Il progetto fu ideato da Mons. Antonio Piga ma la costruzione, in legno di noce “Daniela”, è da attribuire solo ed esclusivamente al sottoscritto. Era tanto grande la mia soddisfazione che per consolidarla scrissi, all’interno delle placche incollate, il mio nome e cognome quale unico artefice di quell’opera.


Una volta terminata la bussola, la portammo presso l’ingresso principale e grande fu la soddisfazione quando la presentammo nell’incavo con la parte superiore centinata; Mons. Piga, per la contentezza, non stava nella pelle. In concomitanza con i nostri lavori il noto pittore, Costantino Spada, stava pitturando l’interno della chiesa affiancato da un buon “boccione” di vino che il reverendo puntualmente gli procurava.
Quello stesso giorno consegnammo anche un mobile per la sacrestia e due porte d’ingresso, rigorosamente controfirmate dal sottoscritto nelle parti non visibili.
A lavoro concluso Mons. Piga invitò me e i miei colleghi a recarci al più vicino bar, da lui precedentemente avvertito, per ringraziarci e gratificarci di ciò che avevamo fatto con tanto impegno.
Avevamo appena preso posto attorno ad un tavolo quando una voce, poco gradevole ed a noi ben nota, ci incitò a lasciare immediatamente il locale per fare rientro nello stabilimento….dato che non eravamo pagati per oziare!!!
Ovviamente andammo via dal locale con tanta delusione e amarezza per la mancata colazione gratuita.
Ora, dopo aver lavorato per più di 50 anni nella stessa ditta e tanti anni di pensione, ricordo quell’episodio con tristezza per la mancanza di fiducia nei confronti di tutti noi.

Salvatore Faedda