Volare si Può, Sognare si Deve!

TENNIS TAVOLO – PARKINSON 2:1 di Kai S. Paulus

 

(Pillola n. 81)

Laila Fara mi ha parlato di un campionato di tennis tavolo per persone affette da malattia di Parkinson. Non volevo crederci, ed invece ho scoperto un mondo…

Qualche anno fa è uscito un lavoro di un gruppo di ricercatori giapponesi che hanno studiato gli effetti benefici del tennis tavolo, uno sport molto popolare nel mondo asiatico, sulle persone affette da malattia di Parkinson.

La ricerca giapponese ha rilevato che praticare il tennis tavolo (il “Ping Pong”) può migliorare i sintomi motori del Parkinson, ma non solo: questo sport può migliorare le comuni attività quotidiane di una persona, che vanno dalle solite attività fisiche, camminare, fare le scale, sedersi, alzarsi, ecc. fino alle attività personali (vestirsi, lavarsi, le faccende domestiche, ecc.). Ed infine, gli studiosi asiatici hanno concluso che il “ping pong” è un’attività fattibile e sicura per le persone con Parkinson.

Ma c’è di più:

A partire dal 2019 esiste il campionato del mondo per tennis tavolo per persone affette da Parkinson organizzato dall’associazione internazionale “PingPongParkinson” fondata nel 2017, che ha un significativo logo:

‘We build neurons’, cioè: “Noi costruiamo neuroni”

 

Anche in Italia si inizia a considerare il tennis tavolo come ottima integrazione nei programmi riabilitativi:

Il gruppo della Associazione Parkinson di Como sta organizzando corsi di tennis tavolo e nel novembre 2023 ha organizzato un torneo per i suoi soci e non. L’Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani riporta nel proprio sito online di atleti parkinsoniani che hanno partecipato al torneo mondiale “ITTF World Masters Table Tennis Championships” a Roma nello scorso mese di luglio.

 

Ma che cosa rende il tennis tavolo così interessante ed addirittura affascinante?

Come sappiamo, il Parkinson è una malattia che causa rallentamento dei movimenti e dei riflessi, ed il Ping Pong è un gioco che può diventare molto veloce e richiede riflessi pronti. In particolare, il Parkinson disturba l’esecuzione dei movimenti automatici, cioè quelli che, una volta acquisiti, compiamo senza pensarci, come il camminare. Il tennis tavolo, invece, mette il giocatore in ogni momento in una posizione nuova; quindi, niente automatismi e pertanto si supera il Parkinson con schemi motori nuovi e non automatici.

Logo progettato da Ramsha Khan (Fonte: web)

 

Poi, una volta che la persona con Parkinson prende confidenza e riesce a giocare, aumenta la consapevolezza che la malattia non ha sconfitto il corpo che invece può reagire egregiamente, e questo conferisce una enorme spinta psicologica.

Ed infine, non vogliamo mica trascurare il divertimento che come sappiamo benissimo, è dopamina pura.

Insomma, un altro divertente modo per sottrarsi alle grinfie del rapace infingardo.

 

Fonti bibliografiche:

Inoue K, Fujioka S, Nagaki K, Suenaga M, Kimura K, Yonekura Y, Yamaguchi Y, Kitano K, Imamura R, Uehara Y, Kikuchi H, Matsunaga Y, Tsuboi Y. Table tennis for patients with Parkinson’s disease: a single-center, prospective pilot study. Clinical Parkinsonism & Related Diseases, 2021; 4: doi.org/10.1016/j.prdoa.2020.100086

BLOCCARE L’ALPHA-SINUCLEINA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 80)

 

Sinora i cosiddetti sofisticati e costosi trattamenti “high-tech”, quali anticorpi, cellule staminali o terapia genica, sono ancora deludenti nella terapia della malattia di Parkinson, mentre con degli approcci “low-tech”, semplici e poco dispendiosi, si possono ottenere riguardevoli risultati. Così esordisce pochi giorni fa sul sito scientifico SpringerMedizin.de il neurologo Thomas Mueller nel suo commento al sorprendente lavoro di Wolfgang Oertel e collaboratori pubblicato appena una settimana fa sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications.

Il commento di Thomas Mueller: “Primi indizi: l’aminoacido frena il Parkinson precoce”.

Di cosa si tratta?

Nel lavoro citato da Thomas Mueller vengono descritte due persone con un disturbo comportamentale del sonno REM (sonno agitato, parlantina ed urla durante il sonno, ecc.), senza sintomi del Parkinson, ma con le tipiche alterazioni parkinsoniane all’indagine scintigrafica SPECT DATscan.

 

Come sappiamo (vedi “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI “) il disturbo del sonno REM fa parte dei cosiddetti “prodromi” del Parkinson e parkinsonismi, cioè una specie di campanello d’allarme che nei prossimi anni la persona possa sviluppare una patologia neurodegenerativa.

 

In questi mesi la ricerca internazionale studia intensivamente questi prodomi, a cui appartengono anche disordini intestinali, riduzione dell’olfatto e anedonia (ridotto interesse a cose piacevoli), perché essi presentano già le tipiche alterazioni della proteina alfa-sinucleina (vedi anche “ L’ALFA-SINUCLEINA“) e pare che curando questi problemi, si possa ritardare l’esordio della malattia, oppure, quando già conclamata, gestirla e ridurla.

 

Quindi, il gruppo intorno a Wolfgang Oertel ha somministrato a due persone con il disturbo del sonno un comune aminoacido, la leucina, in una forma modificata (acetil-DL-leucina, ADLL) per un tempo di 22 mesi.

 

La leucina è un aminoacido essenziale per la salute muscolare ed il metabolismo del nostro corpo e viene assunto con legumi e cereali.

Lo spettacolare articolo del gruppo di ricercatori intorno a Wolfgang Oertel descritto nel testo.

E sapete che cosa è successo?

Dopo 22 mesi di trattamento con acetil-DL-leucina nelle due persone si è normalizzato il riposo notturno (!) ma anche i risultati della SPECT DATscan di controllo (!!!)

 

Verosimilmente la ADLL riduce notevolmente gli ‘scarti’ di alfa-sinucleina e quindi salva i neuroni dopaminergici dal processo degenerativo.

 

Una notizia bomba, vero?

Ora, gli scienziati vogliono confermare i loro risultati con degli studi su una ampia popolazione di persone con prodromi e con sospetto Parkinson.

Se queste ricerche dovessero confermare l’ipotesi di Wolfgang Oertel, allora sarebbe davvero una notizia grandiosa, perché avremmo a disposizione una terapia a basso costo, facilmente reperibile, e senza effetti collaterali.

 

Non vedo l’ora di poter conoscere i risultati di queste ricerche, ma una cosa è certa: la battaglia contro l’odiosa alfa-sinucleina alterata, la causa del dramma del nostro rapace infingardo, è appena iniziata!

 

Fonti bibliografiche:

Mueller T. Verbesserte Biomarkerwerte. Erste Hinweise: Aminosaeure bremst fruehen M. Parkinson. SpringerMedizin.de, Parkinson-Krankheit Nachrichten: 05.09.2024

Oertel WH, Janzen A, Henrich MT, Geibl FF, Sittig E, Meles SK, Carli G, Leenders K, Booij J, Surmeier DJ, Timmermann L, Strupp M. Acetyl-DL-leucine in two individuals with REM sleep behavior disorder improves symptoms, reverses loss of striatal dopamine-transporter binding and stabilizes pathological metabolic brain pattern – case reports. Nature Communications, 2024; doi.org/10.1038/s41467-024-51502-7.

“IL PARKINSON E’ UNA MALATTIA AMBIENTALE” di Kai S. Paulus

(Pillola n. 79)

Il ricercatore statunitense Ray Dorsey ed il suo collega olandese Bastiaan R. Bloem vanno giù pesante nel loro articolo pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Journal of Parkinson’s Disease: La malattia di Parkinson è prevalentemente una malattia ambientale”.

Stop. Respiriamo profondamente.

L’articolo apre subito col botto: “Nel 1817 dott. James Parkinson descrive sei individui con una nuova malattia. Due secoli dopo si stimano oltre sei milioni di persone affette da malattia di Parkinson”.

Stop. Un altro respiro profondo.

Il Parkinson è una patologia neurodegenerativa che presenta una crescita esponenziale negli ultimi decenni, 1) per il miglioramento della capacità di fare diagnosi grazie alle maggiori conoscenze scientifiche e per l’avanzamento della diagnostica strumentale (RM, SPECT, PET, panel genetici), 2) per l’aumentata aspettativa di vita, e 3) grazie alla scoperta delle mutazioni genetiche coinvolte nella genesi del Parkinson.

Questi tre punti rappresentano i dogmi fermi dell’attuale spiegazione scientifica della crescita di prevalenza del Parkinson.

“La malattia di Parkinson è prevalentemente una malattia ambientale”.

Però, Dursey e Bloem smontano questi dogmi uno dopo l’altro:

  • Miglioramenti diagnostici: certo, oggi abbiamo strumenti molto sofisticati per fare diagnosi, la risonanza magnetica di ultima generazione, le scintigrafie SPECT e PET, i panel genetici, ma queste migliorie riguardano tutte le malattie, mentre le patologie neurodegenerative, e soprattutto il Parkinson, stanno galoppando molto più di altri;
  • Aumento dell’aspettativa di vita, cioè, logicamente vivendo più a lungo è più probabile di contrattare il Parkinson. Giusto, ma non per la vecchiaia come sostiene la scienza internazionale, ma, sostengono i due provocatori, per il fatto che più a lungo si rimane su questa terra più a lungo si è esposti ai fattori ambientali, quali inquinamento dell’aria, dell’ambiente e dell’acqua, sofisticazione alimentare, prodotto chimici industriali;
  • La genetica, che oggi viene chiamata in causa molto volentieri per spiegare l’incredibile aumento del Parkinson. Ma, le comuni mutazioni genetiche coinvolte nella genesi del Parkinson rappresentano appena il 2% di tutte le cause, e poi, le classiche mutazioni di GBA, PARK, PINK, LRRK2 e così via ci sono nel genoma umano da migliaia di anni, quindi non possono giustificare l’aumento del Parkinson negli ultimi decenni; pur tuttavia, esse rappresentano una certa suscettibilità, cioè vulnerabilità, detta anche predisposizione genetica, che con certe circostanze, per esempio fattori ambientali, possono essere slatentizzate, svegliate, e portare a malattia (“cane che dorme…”).

Insomma, roba forte, non facile da digerire e comprendere.

Gli autori concludono quindi, che non diagnostica strumentale, età e genetica, stanno alla base dell’esponenziale crescita di casi di Parkinson negli ultimi decenni, ma i fattori ambientali chimici, pesticidi, conservanti, coloranti, ecc., che tutti noi assumiamo quotidianamente; e chi porta con sé delle alterazioni genetiche, di per sé silenti, esse possono essere attivate da certi fattori ambientali e dare inizio alla patologia neurodegenerativa, destinata ad incredibile crescita nei prossimi anni. Al contrario, riducendo i fattori ambientali nocivi, allontanandoci da allevamenti intensivi e dal bruciare fossili (petrolio, gas, ecc.), si riduce automaticamente l’incidenza delle malattie neurodegenerative, innanzitutto la malattia di Parkinson.

 

L’articolo è sicuramente provocatorio, però ci deve far riflettere; ciò che mangiamo, beviamo e respiriamo non è certo salute pura (invece per definizione dovrebbe esserlo!)

 

Fonte bibliografica:

Dorsey ER, Bloem BR. Parkinson’s disease is predominantly an Environmental Disease. Journal of Parkinson’s disease, 2024; 14: 451-465. doi: 10.3233/JPD-230357

BUON MICROBIOTA = MENO PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 78)

Quando una prestigiosa rivista scientifica come “Frontiers in Pharmacology” si occupa della salute dell’intestino e propone strategie non farmacologiche contro la malattia di Parkinson, allora bisogna riflettere.

 

Da molto tempo ci stiamo occupando della corretta alimentazione e della salute dell’intestino (vedi “PARKINSON E MICROBIOTA”, ed anche “IL RUOLO DEL MICROBIOTA NEL PARKINSON”); addirittura abbiamo contribuito a delle ricerche universitarie e collaborato a delle tesi di laurea sul tema dell’alimentazione nel Parkinson (vedi “AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA”). Infine, abbiamo cercato di dare utili consigli di una buona alimentazione (vedi “SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO”, oppure anche “IL PARKINSON SI COMBATTE A TAVOLA”), e diretti l’attenzione sull’importanza della prevenzione e cura del Parkinson mediante una buona salute intestinale (vedi “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI”).

 

Ora, nell’appena pubblicato lavoro di ricercatori dell’Università di Pisa, il gruppo intorno alla dott.ssa Laura Benvenuti e Prof. Matteo Fornai riassume le attuali conoscenze del vitale collegamento tra cervello e intestino, e presenta varie strategie per ottimizzare la flora gastrointestinale, il microbiota, al fine di prevenire e curare la malattia di Parkinson.

Titolo della pubblicazione del gruppo italiano di Laura Benvenuti e colleghe e colleghi: “Terapia della malattia di Parkinson mirata all’intestino”.

L’intestino, con il suo microbiota, produce sostanze essenziali per la salute del cervello, come i neurotrasmettitori serotonina, noradrenalina, ed in piccola parte anche dopamina, e sostanze neuroprotettive ed antiinfiammatori.

In caso di malattia, le funzioni digestive e protettive intestinali non sono garantite, e tutto l’organismo soffre.

Si è visto, inoltre, che in alcuni casi il Parkinson inizia nell’intestino, cioè gli aggregati di alfa-sinucleina, i corpi di Lewy, si formano nei plessi nervosi dell’intestino, e negli anni migrano attraverso il nervo vago verso il cervello, dove, una volta raggiunti i nuclei della base, causano rallentamento motorio, rigidità, tremore, ecc.

Può capitare che un’alimentazione non equilibrata causi una alterazione del microbiota con prevalenza di germi patogeni e processi infiammatori che quindi predispongano alla formazione di proteine alterate, che si aggregano e formano corpi di Lewy.

 

Domanda: “Considerata la vitale importanza del microbiota, come possiamo tenere in buona salute l’intestino?”

Risposta: “Con una alimentazione ricca di fibre, verdure, frutta e cereali.”

 

In mancanza della possibilità di potersi alimentare correttamente e di assumere le sostanze giuste, possono aiutare:

  • Prebiotici: fibre alimentari non digeribili, fermentati da alcuni ceppi di batteri, come i Bifidobacteria, con la produzione di acidi grassi a catena corta (acido butirrico, acetato e propionato) che esercitano effetti benefici sulla mucosa intestinale, e posseggono effetti antiinfiammatori, neuroprotettivi, e neurotrofici contrastando la neurotossicità
  • Probiotici: microorganismi vivi (Clostridium butyricum, Akkermansia, Bifidobacterium breve, Lactobacillus), sempre con effetti neurotrofici, neuroprotettivi ed antiinfiammatori
  • Sinbiotici: la combinazione di pre- e probiotici.
  • Trapianto di microbiota fecale: inserendo del microbiota fecale di donatori sani, per colonizzare l’intestino con germi e batteri utili ri-equilibrando il rapporto tra microorganismi buoni e cattivi. (curiosità: in laboratorio si creano modelli animali di Parkinson infettando l’intestino delle cavie con materiale fecale parkinsoniano)

 

Secondo un altro studio del gruppo della ricercatrice olandese Indy van der Berg, l’alimentazione nel Parkinson è importante per almeno tre motivi:

  • Fattori dietetici giocano un ruolo nella fase preclinica determinando il rischio di sviluppare la malattia in modo positivo o negativo in base alla qualità dell’alimentazione
  • Il cibo può modulare l’assorbimento della levodopa e regola l’attività peristaltica dell’intestino
  • L’alimentazione può modificare il decorso della malattia incidendo sulla funzione mitocondriale (la centrale energetica delle cellule), sull’infiammazione centrale (causata dalla malattia cronica), e sulla risposta immunitaria (la capacità dell’organismo a difendersi)

Sia il gruppo italiano che quello olandese scelgono la dieta mediterranea come l’alimentazione ottimale per ottenere i benefici sopraesposti.

Ma sorge una domanda spontanea: “visto che tutto il mondo ci invidia della nostra dieta mediterranea, così gustosa e salutare, come mai proprio in Italia abbiamo la stessa incidenza delle malattie neurodegenerative come in altre parti del mondo?”

Altre domande: “quindi, non è vero niente? Pomodori, sedano e grano non ci proteggono? O forse, il massivo utilizzo (legale!) di pesticidi, antibiotici, ormoni, conservanti e coloranti frena i potenziali benefici del cibo?”

Risposta: “Belle domande, molti dubbi, ma ne parleremo di sicuro prossimamente”.

 

Fonti bibliografiche:

Benvenuti L, Di Salvo C, Bellini G, Seguella L, Rettura F, Esposito G, Antonioli L, Ceravolo R, Bernardini N, Pellegrini C, Fornai M. Gut-directed therapy in Parkinson’s disease. Frontiers in Pharmacology, 2024; doi: 10.3389//fphar.2024.1407925.

Van der Berg I, Schootemeijer S, Overbeek K, Bloem BR, de Vries NM. Clinical Trial highlights: dietary interventions in Parkinson’s disease. Journal of Parkinson’s disease, 2024; doi: 10.3233/JPD-230366.

 

PARKINSON E DEMENZA di Kai S. Paulus

(Pillola n. 77)

 

Esiste molta preoccupazione sul fatto che una persona affetta da malattia di Parkinson possa ammalarsi anche di demenza.

 

Domanda: “Che cos’è la demenza?”

Risposta: “La demenza è un deterioramento delle funzioni cognitive (parola, pensiero, memoria, ecc.), dovuto ad un processo neurodegenerativo progressivo, cioè continua perdita di tessuto cerebrale, dovuto all’età, a malattie vascolari, cardiologiche o metaboliche, oppure ad alterazioni genetiche.”

 

Domanda: “Qual è la differenza tra Parkinson e demenza?”

Risposta: “Il Parkinson è dovuto ad una sofferenza dei circuiti sottocorticali motori, causati da eccessivi depositi di una proteina funzionale, alterata e scartata (alpha-sinucleina), mentre la demenza si basa, se non secondaria a malattie cardiovascolari, sulla sofferenza di regioni corticali e sottocorticali determinati dall’accumulo di altre proteine difettose, quali le proteine strutturali tau e beta-amiloide.

Strutture principali del cervello, a sinistra nel piano coronale (www.mypersonaltrainer.it, modificato), a destra nel piano sagittale (www.focus.it, modificato)

In realtà, bisogna immaginarsi le malattie neurodegenerative su un ampio spettro, dove ad una estremità si trova il Parkinson puro con “solo” disturbi motori (rigidità, tremore, ecc.) e depositi di alpha-sinucleina nei nuclei della base al centro del cervello; all’altra estremità c’è l’Alzheimer, con demenza pura, per accumulo delle proteine tau e beta-amiloide. In mezzo si trova un’infinità di malattie neurodegenerative ‘miste’ dove prevalgono disturbi motori oppure sintomi cognitivi, in base alla distribuzione e prevalenza degli scarti.”

 

Domanda: “Una persona con Parkinson si ammala per forza anche di demenza?”

Risposta: “No.”

 

Domanda: “Una persona con Parkinson può andare incontro ad una demenza?”

Risposta: “E’ possibile, anche perché i comuni fattori di rischio della demenza (età avanzata, sesso maschile, bassa scolarità, comorbidità cardiocircolatoria, patologia cerebrovascolare e dismetabolica, stile di vita sedentario) valgono per tutti.”

 

Domanda: “Il rischio di ammalarsi di demenza nel Parkinson è maggiore che nella popolazione generale?”

Risposta: “Verosimilmente sì, ma bisogna distinguere: intanto, esistono rare forme genetiche e parkinsonismi atipici che già all’esordio della malattia presentano forme di demenza di vario grado.

Nella malattia di Parkinson più comune e classica, la forma idiopatica, la demenza è possibile per diverse situazioni; 1) la comorbidità, cioè la presenza di altra patologia neurologica, cardiologica, metabolica, ecc; 2) il grado di severità e la durata della malattia di Parkinson con la diffusione dei corpi di Lewy (accumuli di alpha-sinucleina) oltre i nuclei della base, fino alla corteccia cerebrale”.

 

Uno dei fattori di rischio di demenza nel Parkinson è sicuramente la disabilità fisica: con la durata della malattia aumentano rigidità, rallentamento ed instabilità posturale, che costringono la persona ad una vita sempre più sedentaria: con le minori attività, diminuiscono metabolismo e circolazione con ulteriore accentuazione del Parkinson, peggioramento fisico, minore sonno notturno, con maggiore rischio di deterioramento cognitivo.

 

Un circolo vizioso difficile da interrompere: la disabilità fisica limita il movimento, rigidità e preoccupazioni tolgono il sonno, l’intestino sciopera e le medicine rovinano l’appetito.

 

Domanda: “Ma come si può fare? Esistono cure? Si può prevenire la demenza?”

Risposta: “Sì. Ma di questo parleremo un’altra volta.”

 

 

Fonti bibliografiche:

Gallagher J, Gochanour C, Caspell-Garcia C, Dobkin RD, Aarsland D, et al. Long-term dementia risk in Parkinson Disease. Neurology, 2024, 103(5): e209699. doi: 10.1212/WNL.0000000000209699.

Xia X, Qiu C, Rizzuto D, Grande G, Laukka EJ, Fratiglioni L, Guo J, Vetrano DL. The age-dependent association of Life’s Simple / with transitions across cognitive states after age 60. Journal of Internal Medicine 2023; 0: 1-12.

NON PIU’ NEURODEGENERAZIONE, MA RIGENERAZIONE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 76)

 

Siamo abituati a definire la malattia di Parkinson tristemente come patologia neurodegenerativa progressiva, cioè un continuo degrado dei circuiti cerebrali. Ma qualcosa sta cambiando.

Sinora, l’obiettivo della ricerca internazionale era di trovare cure capaci di rallentare il processo degenerativo, ma con risultati piuttosto deludenti.

E’ vero, diversi comportamenti mirati, attività fisiche e mentali, ed uno stile di vita sano e positivo possono aiutare (vedi “PREVENIRE LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE?”), e su queste conoscenze si basano anche le attività della nostra associazione, ma una cura vera e propria, una medicina che possa radicalmente cambiare il percorso della malattia, non esiste ancora.

Ora, alla Conferenza Internazionale della Associazione Alzheimer (AAIC) a Philadelphia negli Stati Uniti è stato presentato un metodo che non solo blocca il processo patologico, ma che lo inverte comportando riparazione e rigenerazione.

 

La notizia ha dell’incredibile!

 

Come sappiamo (vedi “ANCORA NIENTE NOVITA’ PER L’ALZHEIMER”), le malattie neurodegenerative si basano fondamentalmente sull’alterazione di tre proteine molto importanti per il corretto funzionamento del cervello: alfa-sinucleina, beta-amiloide e tau.

L’innovativa ricerca si riferisce a degli anticorpi (oligonucleotidi antisenso, ASO) in grado di ridurre e di eliminare gli accumuli di proteina tau alterata.

Quindi, non più degenerazione, ma rigenerazione e riparazione, sono le parole d’ordine della terapia delle malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.

 

Per fortuna, d’ora in poi ne parleremo sempre più spesso!

 

Fonte bibliografica:

Miller T. “Antisense oligonucleotide therapeutics for neurodegenerative diseases.” AAIC Philadelphia USA, August 2024

Mueller T. “Antisense-Therapien gegen toxisches Tau. Zeit fuer Neuroregeneration: weg mit den Taufibrillen!” Springermedizin.de Nachrichten, agosto 2024

PARKINSON, MOLTO SMART di Kai S. Paulus

(Pillola n. 75)

La moderna tecnologia, con app(-licazioni) per computer e smartphone, realtà virtuale, intelligenza artificiale e robotica, trova sempre più applicazioni in medicina.

Un anno fa ci siamo occupati di dispositivi da polso, tipo orologi, i cosiddetti “smartband”, con cui si può monitorare l’andamento quotidiano di una persona affetta da malattia di Parkinson (vedi “ PARKINSON – DISPOSITIVI INDOSSABILI”), fluttuazioni motorie, freezing, ecc., e che possono essere molto utili ai fini di prevenzione e di ottimizzazione della terapia.

Durante questo caldo mese di luglio è stato appena pubblicato, da un gruppo di ricercatori dell’Università di Praga, un lavoro davvero molto interessante ed innovativo, che riguarda una ‘app’ per telefonini con cui si possono rilevare dei segni premonitori del Parkinson. Questi segni, detti prodromi, possono precedere l’esordio dei classici segni motori (rallentamento, tremore, rigidità) di tanti anni. La sfida della scienza internazionale sta proprio nel trovare un modo per accedere a questa fase “preclinica” del Parkinson, dove è ancora possibile intervenire e modificare il decorso della futura malattia.

Sappiamo, che, ad oggi, il Parkinson è una malattia non guaribile ed i farmaci disponibili non aiutano a modificare il suo decorso progressivamente degenerativo. Per questo è essenziale individuare degli indizi (biomarker) e fattori di rischio per poter agire ancora prima che il Parkinson si manifesti clinicamente.

Per conoscere meglio i prodromi e biomarker, vi invito a consultare “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI” e ” PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER” pubblicati su questo sito un anno fa.

Il problema è che è estremamente difficile riconoscere le persone potenzialmente a rischio. Per questo motivo si cercano indizi (prodromi e biomarker) e fattori di rischio inconfutabili con metodiche fattibili, sicure ed obiettivabili.

Ed è qua che il lavoro degli scienziati intorno a Vojtèch Illner potrebbe aprire una strada, facile e percorribile, adattandosi alle abitudini quotidiane della popolazione generale, come la voce registrata durante le telefonate.

L’articolo di Vojtèch Illner e collaboratori pubblicato questo mese sulla rivista scientifica Movement Disorders: “Le telefonate tramite cellulare rappresentano un precoce biomarker di Parkinsonismo nel disturbo comportamentale del sonno REM”.

Lo studio consisteva nella registrazione della voce durante le comuni telefonate quotidiane con amici e familiari tramite una innovativa applicazione del cellulare con la quale i ricercatori hanno potuto studiato la voce di 26 persone con Parkinson in stadio iniziale, 21 persone con disturbo comportamentale del sonno REM, e 25 controlli. Il disturbo comportamentale del sonno REM appartiene, come il Parkinson, alle cosiddette sinucleinopatie (accumulo di alfa-sinucleina alterata che modifica le connessioni nervose), ed il 90% delle persone con questo disturbo notturno svilupperà il Parkinson dopo 5-15 anni.

Venivano monitorati l’articolazione delle parole, la fluidità, il timbro e la melodia della voce durante le telefonate (in tutto 120 minuti a persona), ed è stato osservato che i dati dei gruppi con Parkinson e disturbo del sonno (disartria, monotonia, ipofonia, lentezza, parola strascicata) erano sovrapponibili!

Quindi, stando ai ricercatori di Praga, il gruppo delle persone ad alto rischio di sviluppare un Parkinson hanno mostrato le stesse alterazioni di quelle con Parkinson conclamato, confermando che il disturbo comportamentale del sonno REM è una fase preclinica del Parkinson.

In conclusione, questa “app” potrebbe aiutare ad individuare, precocemente ed in modo semplice, persone con maggiore rischio di sviluppare una sinucleinopatia, però sono necessari altri studi su una ampia popolazione per convalidare questa promettente metodica, oltre a risolvere le questioni di privacy.

Uno studio affascinante che aggiunge un importante tassello alla lotta contro Su nemigu.

 

Fonti bibliografiche:

Illner V, Novotny M, Kouba T, Tykalova T, Simek M, Sovka O, Svihilk J, Ruzicka E, Sonka K, Dusek P, Rusz J. Smartphone voice provide early biomarkers of Parkinsonism in Rapid Eye Movement Sleep Behavior Disorder. Movement Disorders, 2024; https://doi.org/10.1002/mds.29921

Oberdorfer E. Parkinson-Prodromi per Smatphone-App erkennen? Parkinson-Krankheit Nachrichten, 2024; Springer Verlag 19.7.2024

VERTIGINI di Kai S. Paulus

(Pillola n. 74)

Un anno fa ci siamo occupati di vertigini (PARKINSON ESTIVO: CAPOGIRI E VERTIGINI) che, specialmente nel periodo estivo, possono creare importanti disagi nelle persone affette da malattia di Parkinson, perché l’effetto ipotensivo del caldo si somma a quello dei farmaci e della malattia stessa. Ed abbiamo visto che l’antidoto può essere semplicemente bere più acqua.

Ma che cosa sono esattamente le vertigini e dove originano?

Le vertigini sono espressione di una alterazione del sistema dell’equilibrio.

Il sistema dell’equilibrio ci permette di contrastare la forza di gravità, di stare in piedi e di muoverci.

Il sistema dell’equilibrio è costituito dai sistemi sensoriali, visivo, uditivo, propriocettivo e tattile, che informano il cervello in ogni istante della nostra posizione; ed il cervello può mantenere l’equilibrio, correggere posture errate, o prepararci al movimento, integrando l’informazione visiva (la vista è uno strumento formidabile di orientamento; in effetti al buio si sbanda) con quella propriocettiva e tattile (muscoli, tendini e cute informano il cervello sul contatto del corpo a pavimento, sedia, letto, ecc). Ovviamente, le informazioni devono essere congrue, diversamente il sistema non riesce ad integrare correttamente le diverse informazioni sensoriali.

Per esempio, se ci si sporge da una altezza e si guarda in basso, il sistema propriocettivo e tattile informa il cervello che il corpo appoggia a circa 90 cm, mentre la vista rivela una distanza di diversi metri; questa discrepanza viene percepita come errata e si percepiscono le vertigini.

 

Oppure, all’interno dell’orecchio si trovano i canali semicircolari, tre per lato, per ogni dimensione dello spazio. Questi canali fungono un po’ come delle livelle e che devono sempre essere allineate. Se un canale è danneggiato (trauma, infezione, ecc.), quello controlaterale prende il sopravento ed il cervello lo registra come cambio di direzione, che però non è avvenuto, quindi disequilibrio e quindi vertigini. Oppure, in un canale si staccano degli otoliti (che servono da contrappeso nei canali semicircolari) e che vagano senza controllo nei canali stimolando il nervo vestibolare come se ci si fosse mossi, ma non c’è stato nessun movimento, quindi disequilibrio e vertigini.

A sinistra: anatomia dell’orecchio esterno ed interno; a destra: l’orecchio interno suddiviso in coclea e nervo cocleare per l’udito, ed il sistema vestibolare con i canali semicircolari e nervo vestibolare, responsabili per l’equilibrio.

Le cause delle vertigini sono tantissime: età, altezze, dislivelli, alterazioni dell’udito, della vista, della postura, infezioni, malattie cardiocircolatorie, dismetaboliche (diabete), e neurodegenerative (come il Parkinson), ma anche elevate temperature estive e farmaci.

Che cosa possiamo fare?

Il caldo ovviamente si combatte con il refrigerio e con l’acqua, le malattie che possono causare vertigini vanno trattate correttamente, farmaci che possono dare problemi vanno evitate, ed infine, il disequilibrio si cura con il miglioramento dell’equilibrio statico-dinamico con il movimento, il ballo e la riabilitazione neuromotoria.

Fonti bibliografiche:

Dlugariczyk J. “Schwierige” Patient:innen – Vestibularisdiagnostik unter erschwerten Bedingungen: Teil 2. HNO, 2024; 72: 129-140.

Li X, Wei C, Gao X, Sun J, Yang J. Global trends in the research on older population dizziness/vertigo: a 20-year bibliometric and visualization analysis. Braz J Otorhinolaryngol, 2024; 90(5): doi: 10.1016/j.bjorl.2024.101441.

Zwergal A, Lehner L, Goldschagg, Strupp M. Akuter, episodischer und chronischer zentraler Schwindel – differenzialdiagnosen kenn, richtig behandeln. DNP Neurologie & Psychiatrie, 2024; 25(3): 55-65.

Copertina di una mia recente lezione sulle vertigini per il corso regionale di formazione dei medici di medicina generale.

MISTER PARKINSON SU MARTE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 73)

Gli esseri umani intraprendono sempre più spesso voli nello spazio, oltre alla scienza sta decollando il turismo spaziale, e per il prossimo futuro sono previsti voli sulla Luna e su Marte.

Ma come reagisce il nostro sistema nervoso all’assenza di gravità ed alla radiazione cosmica?

Da studi condotti su astronauti della stazione orbitale si è osservato che con l’assenza di gravità il cervello si sposta verso l’alto, spingendo il liquor (liquido che circonda il cervello e lo protegge) verso le regioni inferiori, aumentando il volume dei ventricoli (serbatoi del liquor situati nella parte centrale ed inferiore del cervello) del 7-25%. Queste modifiche, che provocano una sofferenza ischemica, cioè riduzione della ossigenazione del cervello, persistono per anni dopo una missione spaziale di solo qualche settimana.

La stazione orbitale, le navicelle e le tute sono fornite di strati protettivi ma non evitano del tutto le radiazioni, e si è calcolato che ogni singola cellula di un/a astronauta viene colpita in media ogni tre giorni da un protone (particella subatomica a carica positiva), ogni due settimane da un’ione di elio, ed ogni due-tre mesi da un nucleo atomico altamente energetico. Questo ha conseguenze sui tessuti organici, che sono attualmente oggetto di ricerche scientifiche; da studi condotti su cavie si è visto che topi, che sono rimasti 13 giorni nello spazio, hanno riportato una degenerazione neuronale simile a quella della malattia di Alzheimer.

Sinora esiste uno studio di gemelli, di cui uno è rimasto 340 giorni sulla stazione spaziale e che ha mostrato una riduzione delle capacità cognitive ancora quattro mesi dopo il rientro sulla Terra. Si discute, però, quanto, oltre alle radiazioni cosmiche, possano influenzare il cervello altri fattori, quali isolamento, disturbi del sonno e la maggiore concentrazione di CO2 sulla stazione orbitale.

L’astronauta Michael R. Clifford (1952-2021)

I cambiamenti gravitazionali mettono a dura prova il cervello, e la risultante sofferenza ischemica può portare ad alterazioni cerebrali sovrapponibili a quelle della malattia di Parkinson. Ne è un esempio il famoso caso dell’astronauta americano Michael R. Clifford che in seguito alla permanenza di 27 giorni sulla stazione orbitale russa MIR, ha sviluppato ad appena 42 anni il Parkinson. Non è chiaro, se lo stress gravitazionale esercitato sul cervello sia stata effettivamente la causa del Parkinson oppure se abbia accelerato e slatentizzato un processo neurodegenerativa già in atto.

Comunque sia, le agenzie spaziali internazionali ed i ricercatori di tutto il mondo stanno portando avanti le loro ricerche per proteggere il cervello dai molteplici fattori di rischio dei viaggi spaziali.

Nel dubbio, io quest’anno passerò le mie ferie ad Alghero.

 

Fonti bibliografiche:

Jaster JH, Ong J, Ottaviani G. Visual motion hypersensitivity, from spaceflight to Parkinson’s disease – as the chiasmatic cistern may be impacted by microgravity together with normal terrestrial gravity-opposition physiology in the brain. Exp Brain Res, 2024; 242(3): 521-523.

Jaster JH, Ottaviani G. Gravitational ischemia in the brain: how interfering with its release may predispose to either Alzheimer’s or Parkinson’s -like illness, treatable with hyperbaric oxygen. Physiologia, 2023; doi.org/10.3390/physiologia3040037.

Oberender A. Transformation im All: Wie Raumfahrt das Gehirn veraendert. Neurologische Diagnostik, 2024; Springer Medizin 12.07.2024.

Seidler RD, Mao XW, Tays GD, Wang T, Zu Eulenburg P. Effects of spaceflight on the brain. Lancet Neurol, 2024; doi: 10.1016/S1474-4422(24)00224-2.

Il coro Volare si Può si esibisce a Tissi


Tissi, Piazza del Comune, 27/06/2024</p

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2024© Isabella Soriga

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