(Pillola n. 79)
Il ricercatore statunitense Ray Dorsey ed il suo collega olandese Bastiaan R. Bloem vanno giù pesante nel loro articolo pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Journal of Parkinson’s Disease: “La malattia di Parkinson è prevalentemente una malattia ambientale”.
Stop. Respiriamo profondamente.
L’articolo apre subito col botto: “Nel 1817 dott. James Parkinson descrive sei individui con una nuova malattia. Due secoli dopo si stimano oltre sei milioni di persone affette da malattia di Parkinson”.
Stop. Un altro respiro profondo.
Il Parkinson è una patologia neurodegenerativa che presenta una crescita esponenziale negli ultimi decenni, 1) per il miglioramento della capacità di fare diagnosi grazie alle maggiori conoscenze scientifiche e per l’avanzamento della diagnostica strumentale (RM, SPECT, PET, panel genetici), 2) per l’aumentata aspettativa di vita, e 3) grazie alla scoperta delle mutazioni genetiche coinvolte nella genesi del Parkinson.
Questi tre punti rappresentano i dogmi fermi dell’attuale spiegazione scientifica della crescita di prevalenza del Parkinson.
Però, Dursey e Bloem smontano questi dogmi uno dopo l’altro:
- Miglioramenti diagnostici: certo, oggi abbiamo strumenti molto sofisticati per fare diagnosi, la risonanza magnetica di ultima generazione, le scintigrafie SPECT e PET, i panel genetici, ma queste migliorie riguardano tutte le malattie, mentre le patologie neurodegenerative, e soprattutto il Parkinson, stanno galoppando molto più di altri;
- Aumento dell’aspettativa di vita, cioè, logicamente vivendo più a lungo è più probabile di contrattare il Parkinson. Giusto, ma non per la vecchiaia come sostiene la scienza internazionale, ma, sostengono i due provocatori, per il fatto che più a lungo si rimane su questa terra più a lungo si è esposti ai fattori ambientali, quali inquinamento dell’aria, dell’ambiente e dell’acqua, sofisticazione alimentare, prodotto chimici industriali;
- La genetica, che oggi viene chiamata in causa molto volentieri per spiegare l’incredibile aumento del Parkinson. Ma, le comuni mutazioni genetiche coinvolte nella genesi del Parkinson rappresentano appena il 2% di tutte le cause, e poi, le classiche mutazioni di GBA, PARK, PINK, LRRK2 e così via ci sono nel genoma umano da migliaia di anni, quindi non possono giustificare l’aumento del Parkinson negli ultimi decenni; pur tuttavia, esse rappresentano una certa suscettibilità, cioè vulnerabilità, detta anche predisposizione genetica, che con certe circostanze, per esempio fattori ambientali, possono essere slatentizzate, svegliate, e portare a malattia (“cane che dorme…”).
Insomma, roba forte, non facile da digerire e comprendere.
Gli autori concludono quindi, che non diagnostica strumentale, età e genetica, stanno alla base dell’esponenziale crescita di casi di Parkinson negli ultimi decenni, ma i fattori ambientali chimici, pesticidi, conservanti, coloranti, ecc., che tutti noi assumiamo quotidianamente; e chi porta con sé delle alterazioni genetiche, di per sé silenti, esse possono essere attivate da certi fattori ambientali e dare inizio alla patologia neurodegenerativa, destinata ad incredibile crescita nei prossimi anni. Al contrario, riducendo i fattori ambientali nocivi, allontanandoci da allevamenti intensivi e dal bruciare fossili (petrolio, gas, ecc.), si riduce automaticamente l’incidenza delle malattie neurodegenerative, innanzitutto la malattia di Parkinson.
L’articolo è sicuramente provocatorio, però ci deve far riflettere; ciò che mangiamo, beviamo e respiriamo non è certo salute pura (invece per definizione dovrebbe esserlo!)
Fonte bibliografica:
Dorsey ER, Bloem BR. Parkinson’s disease is predominantly an Environmental Disease. Journal of Parkinson’s disease, 2024; 14: 451-465. doi: 10.3233/JPD-230357
Signori buona sera a tutti noi, caro il mio Frank ammiro la serenità con la quale vivi il tutto, mi rilassa e riesci a trasmettere serenità cosa della quale, per portare avanti la lotta contro SU NEMIGU abbiamo tutti un grande bisogno. Buon proseguo di serata a tutti.
Carissimo Presidente onorario, mi permetta di dissentire: “di Parkinson non si muore” non è una convinzione comune, ma evidenza scientifica. E poi non “vince sempre Lui”, assolutamente no! Oggi la scienza è in grado di competere con il ‘rapace infingardo’ molto bene, non ancora a armi pari, ma moltissimo è stato fatto negli ultimi dodici mesi (!) per delimitare il suo raggio d’azione.
Concordo con “tutto va vissuto con la massima serenità possibile.”
Sempre e comunque.
Dicevamo: “Lo spirito è forte ma la carne è debole”. La debolezza della carne è tutto ciò che costituisce la provocatorietà dell’ambiente che ci sta intorno. Di Parkinson non si muore -dice una convinzione comune- ma riesce a mettere in movimento una massa tale di satelliti che finisce col vincere sempre Lui. Dopo tutto non ci aspettavamo niente di diverso. Tutto va vissuto con la massima serenità possibile.