Volare si Può, Sognare si Deve!

Il Tempio Greco

CONOSCERE “SU NEMIGU” di Kai S. Paulus

tempio greco

(Il Tempio Greco: La Rampa)

 

[All’inizio del nostro Progetto “Il Tempio Greco” abbiamo parlato dell’accettazione della malattia come prerogativa necessaria per poter comprendere e affrontare le tante problematiche del Parkinson, e quindi l’accettazione rappresenta le fondamenta del nostro Tempio (vedi “ CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA“ e “ STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2“). E pertanto riprendiamo la costruzione del Tempio anteponendo il capitolo della conoscenza, una specie di Rampa d’accesso al nostro Tempio, perché ritengo che, se conosco il mio avversario, lo temo di meno e quindi potrò contrastarlo meglio]

 

Ieri pomeriggio ci siamo incontrati nella nostra Casa Park in via Ardara a Sassari per il primo di una serie di appuntamenti di un nuovo progetto, quello di conoscere meglio la malattia di Parkinson, quel rapace infingardo, su nemigu.

In questo primo incontro abbiamo affrontato la storia, e cioè di come James Parkinson ha raccolto le sue osservazioni in un libretto “The shaking palsy” (La paralisi agitante, 1817) dando il via a “la malattia di Parkinson”, che poi non fu neanche lui a coniare questo termine, ma lo scienziato francese Jean-Martin Charcot che si riferiva, circa 40 anni dopo la pubblicazione de ‘La paralisi agitante’, alla malattia “di quel Parkinson” in una delle sue lezioni su persone rallentate e con tremore.

Ci siamo quindi occupati del quadro clinico ed abbiamo appreso che i sintomi e segni del Parkinson possono essere distinti in

1) segni motori, che sono quelli classici, come il tremore, il rallentamento motorio e la rigidità muscolare che generalmente rispondono alla terapia anti-Parkinson dopaminergica,

 

 

2) segni non motori, quali l’insonnia, i dolori e la depressione, che necessitano di farmaci specifici,

3) i sintomi psichiatrici (disinibizione, compulsioni, ossessioni, ecc.) che ovviamente vanno trattati separatamente ma anche con l’ottimizzazione della terapia farmacologica, ed infine

4) le complicazioni farmacologiche, causate proprio dagli stessi farmaci, che servono per far star meglio la persona ammalata, ma che possono provocare degli effetti spiacevoli e che rendono la gestione globale ulteriormente difficile.

Successivamente abbiamo affrontato i segni prodromici, cioè i sintomi che possono precedere per molti anni l’esordio vero e proprio del Parkinson, e che oggi rivestono enorme importanza perché possono aiutare a fare diagnosi preclinica, a intraprendere dei percorsi preventivi che, anche se non possono evitare la malattia, possono comunque ritardarla e magari rendere il suo decorso meno grave.

La cura di tali prodromi, quando presenti durante il Parkinson, è invece importante, per la sua gestione globale e per mantenere sufficienti autonomie e qualità di vita.

E’ importante sottolineare, che la presenza di uno di questi segni non è assolutamente indicativo per un Parkinson, e che, per esempio, la riduzione dell’olfatto è dovuta verosimilmente ad un raffreddore oppure ad una patologia otorinolaringoiatrica; oppure, la stitichezza può essere ricondotto ad una alimentazione non equilibrata; o ancora, si può essere tristi per una perdita o una delusione. Ovviamente in questi casi non pensiamo minimamente ad una malattia neurodegenerativa. Invece, i prodromi che potrebbero farci pensare ad un Parkinson sono quelli che si presentano per lunghi tempi, anche molti anni, ed apparentemente senza cause note.

Vorrei ringraziare il nostro ‘webmaster’ Gian Paolo Frau ed il nostro ‘fac totum’ Antonello Soro, senza i quali non saremo riusciti a tenere questa impegnativa lezione nella nostra bellissima nuova sede.

 

La prossima volta ci occuperemo delle cause di Parkinson, dove esattamente inizia nel nostro corpo, ed anche del perché. Ne vedremo delle belle!

 

Progetto “Il Tempio Greco – Le Sei Colonne del Parkinson”.

Sinora pubblicati: (cliccare sul titolo celeste per visualizzare l’articolo)

LE SEI COLONNE DEL PARKINSON

TEMPIO GRECO: CAMBIAMENTO PROGETTO

CREPIDOMA: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA

STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2

COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI

COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE

COLONNA DEL PARKINSON: LA RIABILITAZIONE

LA RIABILITAZIONE NEL TEMPIO DEL PARKINSON di Pinuccia Sanna

RIABILITAZIONE E DANZA di Annalisa Mambrini

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (2)

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (3)

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER (2)

 

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER di Kai S. Paulus

tempio greco

(della serie Il Tempio Greco iniziata con LE SEI COLONNE DEL PARKINSON)

 

Ritornando alla riabilitazione delle persone affette da malattia di Parkinson (vedi COLONNA DEL PARKINSON: LA RIABILITAZIONE) dobbiamo aggiungere un’altra metodica, modernissima, che è quella che utilizza la tecnologia elettronica per superare le disabilità, e cioè quella dell’interfaccia cervello computer (brain computer interface, BCI).

L’idea è questa:

Tutti i nostri movimenti volontari vengono ideati nella corteccia del nostro cervello, e dopo un complicato processo di elaborazione e selezione del movimento desiderato, parte il commando nervoso che arriva in periferia fino al muscolo da azionare; così riusciamo a muovere la mano, fare un passo, parlare, ecc.

L’attività cerebrale è costituita da correnti bioelettriche che corrono lungo i neuroni di determinati circuiti neuronali deputati ad una certa azione. Queste attività si possono ‘leggere’.

Quando pensiamo una cosa, nel nostro cervello si attiva una precisa attività elettrica che si può registrare mediante un elettroencefalogramma, EEG, un elettrocorticografia, ECoG, oppure attraverso la registrazione dei potenziali evento-correlati, ERP, cioè l’attività cerebrale che si forma in previsione di un intento fisico oppure anche solo immaginario. Stiamo parlando di eventi elettrici che si verificano nell’arco di pochi millisecondi.

Negli anni ’90 e primi 2000 studiavamo in Clinica Neurologica queste metodiche, ancora rudimentali e puramente sperimentali, e le loro possibili applicazioni cliniche; eravamo l’unico gruppo in Sardegna; raggiungemmo ottimi risultati, ma i nostri professori non erano interessati e quindi dopo sette anni si chiusero le ricerche a Sassari. Ovviamente nel mondo si andò avanti, ed oggi si riescono a leggere i pensieri, nel vero senso delle parole.

Alcune pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali che ricordano un intenso periodo di tanto lavoro e incredibile entusiasmo

Attualmente si riesce a creare un collegamento tra il cervello e dispositivi elettronici e computer (BCI) in grado di superare l’interruzione causata, per esempio, da un ictus. L’ischemia ictale è causata da una zona cerebrale dove non giunge il sangue e quindi non funziona; alla lunga rimane una cicatrice che interrompe definitivamente il circuito colpito, e rimane come esito una disabilità. Per esempio, l’ictus ha reso plegico un braccio, e quindi, pur volendo non riusciamo a muovere il braccio; abbiamo l’idea, il desiderio, di muovere il braccio, ma il nostro organo esecutore, il muscolo, non risponde perché la linea, il nervo, è disturbato.

Tramite l’interfaccia possiamo mettere in collegamento il cervello con il braccio: la nostra idea di voler muovere il braccio adesso viene elaborata dal computer che aziona il muscolo; in questo modo saremo nuovamente in grado di muovere il braccio attivamente, volontariamente.

E la riabilitazione?

Sinora abbiamo solo ripristinato il collegamento tra centro e periferia. La riabilitazione avviene quando aggiungiamo un segnale di ritorno che ci informa se il nostro intento è andato a buon fine. Per esempio, vogliamo muovere il braccio, ma verosimilmente sbagliamo perché è difficile selezionare il movimento corretto tra migliaia di possibilità (selezione che normalmente viene effettuata dai nuclei della base). Allora un segnale di ritorno ci informa sull’esito della nostra azione e ci dà la possibilità di correggere ‘il tiro’.

Questo segnale di ritorno il chiama feedback, che applicato in medicina viene definito anche biofeedback, e nel nostro caso specifico, neurofeedback.

 

(prosegue con COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER (2))

 

Fonti bibliografiche:

Behboodi A, Lee WA, Hinchberger VS, Damiano DL. Determining optimal mobile neurofeedback methods for motor neurorehabilitatione in children and adults with non-progressive neurological disorders: a scoping review. Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation, 2022; 19:104-127.

Chamola V, Vineet A, Nayyar A, Hossain E. Brain-Computer Interface-Based Humanoid Comtrol: a review. Sensors 2020, 20: 3620-3643.

Kashif M, Ahmad A, Mohseni Bandpei MA, Farooq M, Iram H, Fatima R. Systematic review of the application of virtual reality to improve balance, gait and motor function in patients with Parkinson’s disease. Medicine 2022, 101: 31-42.

Simon C, Bolton DAE, Kennedy NC, Soekadar SR, Ruddy KL. Challenges and Opportunities for the Future of Brain-Computer Interface in Neurorehabilitation. Frontiers in Neuroscience, 2021;15:

Wen D, Fan Y, Hsu SH, Xu J, Zhou Y, Tao J, Lan X, Li F. Combining brain-computer interface and virtual reality for rehabilitation in neurological diseases: a narrative review. Annals of Physical and Rehabilitation Medicine, 2020; 64: 101404.

COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER (2) di Kai S. Paulus

tempio greco

(seguito di COLONNA DEL PARKINSON: INTERFACCIA CERVELLO – COMPUTER)

Il neurofeedback è una tecnica che non solo viene utilizzata in caso di traumi e danni cerebrali, ma può essere applicata anche per promuovere la salute psicologica e le performance cognitive, e come trattamento riabilitativo per diverse condizioni patologiche, quali i disturbi attentivi (ADHD), di apprendimento e di comportamento, disturbi d’ansia e d’umore, e disturbi del sonno.

Ed adesso arriva la parte più affascinante:

Il collegamento cervello – elettronica non è solo un’opportunità passiva che ci permette unicamente di superare un ostacolo, di compensare una disabilità; al contrario, l’interfaccia BCI ci dà la possibilità, grazie al neurofeedback, di allenare il nostro sistema nervoso, di stimolare la neuroplasticità, cioè meccanismi intrinseci del cervello capaci di rigenerare e riparare il tessuto nervoso danneggiato, che infine aiutano a recuperare le funzioni perdute.

Incredibile, vero?

Ora aggiungiamo alla rete cervello-computer la realtà virtuale, VR, per allenare e riabilitare la persona affetta da Parkinson con difficoltà di equilibrio e blocchi motori. La riabilitazione con la VR ci dà la possibilità di creare scenari ogni volta diversi, di personalizzarli e di adattarli alle esigenze della singola persona; in questo modo si possono esercitare singoli movimenti così come anche movimenti complessi dei cambi e passaggi posturali. Il neurofeedback consente alla persona di correggersi in ogni momento e di migliorarsi in maniera sostanziale.

Troppo noioso?

Allora aggiungeremo ancora il divertimento con i videogiochi, che in riabilitazione si chiamano Exergames, di cui abbiamo già parlato (vedi CONGELATI A TRADIMENTO: QUALCOSA SI MUOVE), e che combinano esercizio al divertimento con il vantaggio che la riabilitazione viene eseguita con maggiore interesse e coinvolgimento. Come sappiamo, il divertimento aumenta la dopamina e stimola la neuroplasticità (vedi Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV) il che rafforza il miglioramento globale, fisico, psichico, ed ovviamente anche della qualità di vita.

Ma non finisce qui:

Tutto quello che abbiamo raccontato è già realtà, ma apre anche a scenari prossimi futuri sinora inimmaginabili. BCI, feedback, e VR, vengono utilizzati soprattutto a fini riabilitativi, ma qualcuno porta la ricerca avanti al fine di potenziare le capacità del cervello, di creare persone dotate di capacità sempre maggiori. Qui si sconfina nel transumanesimo, una corrente filosofica che promuovere il potenziamento per ottenere essere umani migliori. Recentemente nei media si è parlato della possibilità, fattibile già nel 2023, di impianti di microchip nel cervello per potenziare diverse funzioni. Al lettore attento viene forse in mente il “laccio neurale” dello scrittore di fantascienza Ian M. Banks, ma sembra che anche altre fonti fantascientifiche verranno presto realizzati; e ne parla anche il nostro Marco Balbina, presidente della Associazione Parkinson Alghero, e stimato scrittore e poeta, nel suo romanzo “Faccia di cera” (Edizioni Italiane, 2020).

 

Pericoloso?

La scienza va avanti: dai semplicistici lavori sui potenziali evento correlati di giovani studenti di 25 anni fa si è arrivati al collegamento cervello-computer con tanto di neurofeedback correttivo con numerose applicazioni in medicina e psicologia; e dalla stimolazione cerebrale profonda, DBS, trattamento invasivo per il Parkinson, che si avvale di una stimolazione monodirezionale che idealmente ripristina la frequenza con cui comunicano i neuroni dentro i nuclei della base (alterati dal Parkinson), si è arrivati alla stimolazione bidirezionale, cioè il feedback elettronico con cui la metodica neurochirurgica registra l’andamento della propria stimolazione per poterla continuamente correggere ed adattare.

Tante possibilità, tante opportunità, complici anche le nanotecnologie. Da lì a manipolare il cervello è un attimo. Come sempre siamo chiamati a scegliere il giusto utilizzo tra le tante opzioni che ci vengono proposte.

Tematica molto complessa ed importante che ho potuto solo accennare, la discussione è aperta. Ma i vantaggi riabilitativi per tante malattie ed esiti traumatici sono indiscutibili ed evidenti. E questo mi fa ben sperare.

 

Fonti bibliografiche:

Feitosa JA, Fernandez CA, Casseb RF, Castellano G. Effects of virtual reality-based motor rehabilitation: a systematic review of fMRI studies. J Neural Eng. 2022; 19(1): doi: 10.1088/1741-2552.

Kashif M, Ahmad A, Bandpei MAM, Gilani SA, Hanif A, Iram H. Combined effects of virtual reality techniques and motor imagery on balance, motor function and activities of daily living in patients with Parkinson’s disease: a randomized controlled trial. BMC Geriatrics 2022; 22(1): doi: 10.1186/s12877-022

Maranesi E, Casoni E, Baldoni R, Barboni I, et al. The effects of non-immersive virtual reality exergames versus traditional physiotherapy in Parkinson’s disease older patients: preliminary results from a randomized-controlled trial. Int J Environ Res Public Health, 2022; 19(22): 14818, doi: 10.3390.

Mangone M, Agostini F, de Sire A, Cacchio A, Chiaramonte A, Butterini G, Martano A, Paolini M, Bernetti A, Paolucci T. Effect of virtual reality rehabilitation on functional outcomes for return-to-work patients with Parkinson’s disease: an umbrella review of systematic reviews. Neurorehabilitation, 2022; 51(2): 201-211.

Sarasso E, Gardoni A, Tettamanti A, Agosta F, Filippi M, Corbetta D. Virtual reality balance training to improve balance and mobility in Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Journal of Neurology 2022; 269(4): 1873-1888.

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (3) di Kai S. Paulus

tempio greco

(il seguito di COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA e COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (2))

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, il disturbo la disfagia è un sintomo molto complesso e pericoloso. Ma è possibile curarla, o, ancora meglio, prevenirla?

Vediamo che cosa può fare la persona con disfagia:

Esistono delle regole comportamentali che ogni persona interessata può rispettare per prevenire, o comunque ridurre, le drammatiche conseguenze del disturbo della deglutizione:

Dopodiché c’è la squadra paziente-famiglia-medico che deve collaborare:

Con questi comportamenti possiamo già evitare tante problematiche e mantenere una soddisfacente qualità di vita.

Per i casi più importanti esistono delle terapie riabilitative e mediche:

Alla fine, se il rischio delle complicanze, quali soffocamento e/o polmonite, è troppo elevato, si può procedere, per un breve periodo, con il posizionamento di un sondino naso-gastrico, oppure, per tempi più lunghi, di quello della gastrostomia endoscopica percutanea, PEG. Queste procedure non sono sempre ben accettate e tollerate, ma, garantendo la corretta introduzione di cibo, liquidi e farmaci, prevengono importanti stati carenziali, quali malnutrizione e disidratazione, e consentendo anche il proseguimento della terapia medica, infine si evita una precipitosa progressione della malattia neurologica e di altre patologie. Però, sia il sondino che la PEG, non proteggono completamento dalla disfagia, in quanto rimane il rischio dell’aspirazione di saliva.

Un altro scenario drammatico è il soffocamento, quando all’improvviso un boccone va “di traverso” ed ostruisce le vie aeree superiori con conseguente emergenza respiratoria.

Illustrazione presa dal web

Per questa urgenza, che spesso avviene a domicilio durante un pasto, è necessario che il familiare e/o caregiver conosca la manovra di Heimlich, che consiste nell’abbracciare da dietro la persona in difficoltà appoggiando il pugno della mano non dominante subito sotto lo sterno e applicando con l’altra mano una serie di improvvise spinte sul pugno, con un movimento inizialmente dentro l’addome e poi verso l’alto, per fare pressione contro diaframma e polmoni facilitando l’espulsione dell’ostacolo.

Questa manovra non porta sempre al successo sperato anche se eseguita da mani esperte, per cui si raccomanda di non arrivare neanche a questa emergenza: una persona affetta da disfagia non dovrebbe neanche introdurre in bocca cibi di consistenza tale da poter ostruire le vie aeree.

Pur diviso in tre parti, non ho potuto trattare tutti gli aspetti della disfagia e ci sono tante difficoltà individuali che differiscono da caso a caso, per cui vi invito a dire la vostra con commenti, critiche e suggerimenti.

Fonti bibliografiche:

Cosentino G, Avenali M, Schindler A, Pizzorni N, Montomoli C, et al. A multinational consensus on dysphagia in Parkinson’s disease: screening, diagnosis and prognostic value. Journal of Neurology 2022, 269: 1335-1352

Gong S, Gao Y, Liu J, Li J, Tang X, Ran Q, Tang R, Liao C. The prevalence and associated factors of dysphagia in Parkinson’s disease: a systemic review and meta-analysis. Frontiers in Neurology 2022, doi 10.3389/fneur.2022.1000527

Schindler A, Pizzorni N, Cereda E, Cosentino G, Avenali M, Montomoli C, Abbruzzese G, et al. Consensus on the treatment of dysphagia in Parkinson’s disease. Journal of Neurological Sciences 2021, 430; doi 120008

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (2) di Kai S. Paulus

tempio greco(seguito di COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA)

Avendo visto nel capitolo precedente quanto sono complessi e complicati i meccanismi della deglutizione, per la maggior parte involontari cioè automatici e non influenzabili dalla nostra volontà, possiamo comprendere a quali difficoltà si possono andare incontro quando questi meccanismi non funzionano correttamente; allora si parla di disfagia.

La disfagia si riscontra in tante malattie neurologiche (ictus, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, miastenia gravis, distrofie, e tante altre), ma qui mi limiterò alle problematiche del Parkinson; il meccanismo della disfagia è fondamentalmente identico nelle varie malattie, ciò che cambia è l’approccio preventivo e terapeutico, che è quello che ci interessa di più.

La disfagia è definita come difficoltà di deglutire con conseguente non corretto transito del bolo alimentare dalla cavità orale fino allo stomaco.

Si distingue una disfagia orofaringea, di cui parleremo qui, ed una disfagia esofagea, quando è disturbato il transito del bolo dentro l’esofageo a causa di ostruzioni, stenosi oppure alterazioni della peristalsi (contrazione ondulatoria del tubo esofageo dall’alto verso il basso che spinge il contenuto fino allo stomaco).

Perché dobbiamo parlare di disfagia?

La malattia di Parkinson non è una malattia mortale, se pur può diventare molto invalidante ed accelerare altre patologie concomitanti, specialmente cardiocircolatorie o dismetaboliche. La disfagia, però, rappresenta un sintomo con possibile esito fatale, quali soffocamento e polmonite ab ingestis (aspirazione di cibo che finisce nei polmoni dove causa una importante infezione difficile da curare). Ed è per questo che sia la persona affetta da Parkinson sia familiari e caregiver devono conoscere questo sintomo e collaborare nella sua prevenzione, diagnosi e terapia.

Quali sono i fattori di rischio della disfagia nel Parkinson?

Tra i principali fattori di rischio ci sono soprattutto l’età avanzata, dove si riscontra una riduzione della forza muscolare (ricordiamo che nella deglutizione sono coinvolti 55 muscoli); la durata di malattia (la disfagia raramente può presentarsi negli stadi iniziali del Parkinson, ma diventa molto più frequente negli stadi più avanzati); predispone ugualmente alla disfagia la gravità del quadro neurologico, sia riguardo allo stadio di malattia sia relativo alle continue fluttuazioni on-off e specialmente a rigidità e bradicinesia che in fase off sono molto più pronunciati.

Come si fa diagnosi di disfagia?

La diagnosi della disfagia è certamente clinica, avviene tramite l’osservazione ed il colloquio con paziente e familiari, dove curiosamente il problema viene spesso non riconosciuto nonostante domande dirette dell’operatore sanitario. Allora esistono dei questionari che il paziente potrà compilare da solo oppure somministrati dallo specialista. Un modo molto semplice ed efficace per scoprire un disturbo della deglutizione è il test del bicchiere di acqua che il paziente dovrà bere e che, in caso di disfagia, causerà tosse, rigurgito o perdita di acqua dalla bocca.

La Endoscopia esofagea a fibre ottiche, da: Labeit B. et al., Neurogastroenterol Motil., 2019

Per la conferma della diagnosi, e dopo aver escluso problematiche gastroesofagee (reflusso, tumori, stenosi, gastriti, ecc.) possiamo avvalerci della Endoscopia esofagea a fibra ottica (FEES) con cui si possono visualizzare le strutture faringee ed esofagee, l’Elettromiografia del muscolo cricofaringeo, parte principale dello sfintere esofageo superiore, e la Videofluorografia digitale (VFG), un’indagine radiologica con la quale si può seguire un bolo radioattivo nel suo tragitto fino allo stomaco ed individuare eventuali ritardi o blocchi.

Come già detto, le conseguenze della disfagia possono essere drammatiche, però, riconoscerla è importantissimo per poter intraprendere molte misure per ridurre i rischi e per trattarla, come vedremo nella prossima ed ultima parte, COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (3)

COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA di Kai S. Paulus

tempio greco(due settimane fa, alla 18° Giornata Sassarese della Malattia di Parkinson, abbiamo parlato di uno dei sintomi più importanti e drammatici, la disfagia, insieme alla logopedista della ASL di Nuoro, dott.ssa Pina Frau, che ha suscitato grande interesse tra i presenti. Stamane, al V Congresso Polispecialistico della ASL di Sassari, si è parlato di nuovo della disfagia. Si inizia a parlarne di più grazie anche alle nuove tecniche di diagnosi e strategie terapeutiche. Vorrei pertanto riassumere la problematica di una deglutizione difficoltosa, la sua diagnosi, la sua terapia e, soprattutto, la sua possibile prevenzione. Un capitolo del Parkinson che merita una colonna del nostro Tempio, vedi LE SEI COLONNE DEL PARKINSON)

 

La Deglutizione:

Quando sono coinvolti 55 muscoli, innervati da 5 nervi cranici e due radici nervose cervicali, allora deve trattarsi per forza di un atto importantissimo: parliamo della deglutizione, meccanismo essenziale per la nostra nutrizione e la nostra salute in generale.

L’apparato complesso della deglutizione con la cavità orale, la faringe e l’esofago.

La deglutizione è essenziale per la nutrizione perché con essa viene trasferito il cibo assunto dalla bocca e trasformato tramite la masticazione in un impasto grossolanamente uniforme, il bolo.

Tutto sommato, molto semplice.

Ma la difficoltà sta nel fatto che il bolo deve attraversare una cavità posta sulla via respiratoria e quindi deve essere interrotto il flusso d’aria d’entrata, e per questo deve essere interrotta la respirazione. Roba mica da poco!

La deglutizione può essere divisa fondamentalmente in tre fasi: orale, faringea e esofagea.

La prima fase della deglutizione, la preparazione del bolo, è volontaria, le altre due fasi, quella faringea e quella esofagea, non sono soggette alla nostra volontà e quindi difficilmente influenzabili. Durante questa prima fase orale, e comunque sempre quando non si deve deglutire, lo sfintere esofageo superiore rimane chiuso per proteggere l’esofago (tubo muscolare che unisce la faringe allo stomaco) e per permettere il flusso d’aria attraverso la laringe dentro la trachea e quindi i polmoni.

Nella seconda fase (faringea), infatti, accade il momento più delicato: la lingua blocca posteriormente la cavità orale, il palato molle si alza e chiude la cavità nasale, mentre si abbassa l’epiglottide per chiudere la laringe permettendo in questo modo al bolo di giungere nell’esofago senza entrare nell’apparato respiratorio; subito dopo il palato molle si rialza, la lingua si abbassa e l’epiglottide si rialza, per permettere nuovamente la respirazione.

Alla fine (terza fase, esofagea), il bolo, giunto nell’esofago, viene spinto, un po’ grazie alla forza di gravità ma soprattutto attraverso la peristalsi (contrazione ondulatoria dall’alto verso il basso) fino allo stomaco chiudendo alle sue spalle il ‘cardias’, l’anello muscolare gastroesofageo, per evitare il reflusso; il palato molle si abbassa, l’epiglottide si alza, lo sfintere esofageo superiore chiude l’esofago, e la respirazione può riprendere.

Come abbiamo visto, la deglutizione è un meccanismo perfetto (ci avete mai fatto caso quando mangiate?). Ma cosa succede quando questo meraviglioso meccanismo si inceppa, si altera, e quando non garantisce più una corretta deglutizione, quando si presenta la disfagia?

Ne parliamo nella seconda parte, COLONNA DEL PARKINSON: LA DISFAGIA (2)