Volare si Può, Sognare si Deve!

Curiosità

GROMPHADORHINA PORTENTOSA di Kai S. Paulus

(Scritto tempo fa per il nostro sito, ma non so come, non l’avevo inserito. Stamattina l’ho trovato e ve lo voglio far leggere)

Stamattina vado a trovare Prof. Pier Andrea Serra nel suo Istituto di Farmacologia per parlare del nostro progetto sull’alimentazione nel Parkinson (“Aggiungi un posto a tavola”) che prestissimo vi vede protagonisti, e per porre le basi del “protocollo d’intesa” della nostra Parkinson Sassari con l’Università di Sassari, un nuovo, ambizioso progetto di cui parleremo prossimamente.

Per farla breve, quando arrivo all’Istituto suono il campanello e Prof. Serra mi apre quasi subito. “Vieni veloce, che ti faccio vedere l’ultimo modello animale sul Parkinson”, mi invita eccitato e mi precede correndo nei corridoi della Farmacologia fino a giungere in un ampio e luminoso laboratorio. Da sempre mi affascinano i laboratori di ricerca e con essi i confini della scienza, e quindi lo seguo con gioia. Prof. Serra mi presenta ai suoi collaboratori e poi la star del momento: un enorme scarafaggio!

Blatta

Non posso credere ai miei occhi: uno scarafaggio sarebbe l’ultima frontiera della scienza in fatto di Parkinson? Ma a che punto siamo arrivati?!?

Invece l’euforico Pier Andrea Serra mi spiega il suo modello: si tratta di una blatta gigante del Madagascar (Gromphadorhina portentosa) allla quale è stato applicato sul dorso un microcircuito con elettrodi ancorati nel suo sistema nervoso. Questo scarafaggio, uscito direttamente da un film dell’orrore, si presta molto bene a questo tipo di esperimento, spiega il docente, perché possiede un sistema nervoso molto semplice e facilmente raggiungibile. Il microchip dell’insetto trasmette al programma del computer ogni movimento e reazione nervosa. Rimango affascinato. Il modello consente di creare velocemente un modello di Parkinson, comprendere meglio alcuni dei meccanismi ancora oscuri della malattia, e per quindi trarre delle conclusioni utili allo sviluppo di nuove cure.

Purtroppo, il tempo stringe e ci aspetta la nostra riunione, per cui saluto gli scienziati e seguo il professore nel suo studio. Strada facendo gli chiedo se posso lavarmi le mani da qualche parte e mi indica un bagno avvertendomi che forse ci sarebbe poca acqua. Aprendo il rubinetto, sul momento non succede niente, ma poi con una piccola esplosione schizza fuori un liquame color marrone che mi macchia camicia e pantalone. Ci facciamo una grossa risata: dieci secondi fa eravamo immersi nel affascinante mondo della scienza d’avanguardia, ma la realtà sassarese ci ha velocemente raggiunti.

Nel frattempo il gruppo di scienziati sassaresi intorno a Prof. Pier Andrea Serra ha pubblicato le prime ricerche con la blatta gigante su una rivista internazionale.

Un giro veloce nell’oltretomba – testo di Franco Simula


Da vecchi, apprendere la notizia della morte di un amico più giovane, con cui si sono condivise visioni del mondo, si son fatte discussioni interminabili sui “massimi sistemi” della esistenza umana, sulla vita e anche sulla morte, che fa parte essa stessa della vita, é pur sempre una tristezza.

Se poi é un ex collega di lavoro che ti precede nello spazio infinito, più in alto del sole, quasi ti meravigli che l’infausto passaggio sia capitato a Lei o a Lui. Eppure questa é la vita che talvolta per carenza di comunicazione ci riserva delle strane situazioni, e ciò che in un primo momento ci causa tristezza o dolore, può trasformarsi in una sorpresa inaspettata.

Indirettamente mi era pervenuta la notizia che Rosangela Pinna era morta. Lì per li non avevo avuto l’attenzione di approfondire il fatto né più ricordavo chi mi avesse fornito la triste novella. Ricordavo con nostalgia la mia collega Rosangela insegnante di Lettere nella Scuola media di Ittiri, sempre di buonumore. prorompente vitalità e spensieratezza. Più di una volta avevo ripensato a momenti belli passati in compagnia. Non avevo mai dimenticato una sua immersione subacquea, insieme all’amica del cuore, alla ricerca di attinie; la pesca era stata fruttuosa anche se le attinie non avevano fatto a meno di regalare in cambio qualche segno urticante. La prelibata frittura della sera, vissuta in allegria, doveva pur essere pagata in qualche modo.

Era ormai passata qualche settimana, mi ero infine dovuto rassegnare all’idea della mia collega Rosangela morta e sepolta quando, un fortunato pomeriggio, in occasione della presentazione di un libro, incontrai un’amica comune, alla quale chiesi qualche notizia sulla morte di Rosangela. L’amica capì immediatamente l’equivoco che si era ingenerato: la persona scomparsa non era la Rosangela Pinna nostra collega, ma era la cugina con lo stesso nome. Dunque Rosangela Pinna non era morta pur essendo vera la notizia che Rosangela Pinna era morta. Insomma, Rosangela Pinna é viva o morta? Potrà sembrare strano, ma Rosangela Pinna é viva e morta. In effetti esistevano due Rosangela Pinna, omonime, cugine fra loro,.

La notizia fu per me liberatoria perché aveva fatto svanire di colpo il senso di angoscia e tristezza che l’inaspettata notizia mi aveva creato.

Oggi pertanto, brindiamo per festeggiare questa felice circostanza di Rosangela Pinna rediviva dopo un brevissimo giro di perlustrazione nell’oltretomba.

Franco Simula                       AHO 26 agosto 2021


 

Sardegna. Vento e fuoco – testo di Egle Farris


Mi prendo le parole della nostra grande Grazia Deledda .

“Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?”

“Sì”, egli disse allora, “siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”

“Sì, va bene: ma perché questa sorte?”

“E il vento, perché? ……”

Perché il vento, amato e adorato dai sardi e da sempre  abitante di luoghi benedetti dal cielo ,ricchi di verde e di sale,  di  mare e di profumi di mirto e di cisto e di ginepri e di elicrisi, di corbezzoli e tamerici, è il complice involontario ed inconsapevole di individui senza morale, senza anima, senza vergogna, che strappano la dignità ad  un popolo tutto.

Perché il vento porta col fuoco morte, pianto, desolazione. Vedo bruciare anche il futuro della mia terra, inaridita sempre di più, devastata sempre di più, tribolata sempre di più, se mai ce ne fosse il bisogno .

Vedo cogli occhi della mente figuri senza scrupoli seppellire speranze di ripresa, vedo decine di contadini colle lacrime che scendono ignare da occhi ormai inariditi, uomini che hanno sacrificato vite per una qualsiasi attività rurale, vedo innocenti animali, bruciati vivi e terrorizzati, senza alcuna speranza di fuga o salvataggio. Perché questa non è più la terra dove noi sardi nasciamo, ma una terra che non lo ricorda più, una terra che non importa più a nessuno e prima di tutto a coloro che si dicono sardi, ma non ne comprendono il significato.

E così piango anche oggi  per i vecchi indifesi, i bambini dagli innocenti ed impauriti occhi, che devono abbandonare le loro case, gli uomini valorosi ed umili che si prodigano, gli animali incolpevoli.  Piango un’isola che era Sardegna ,benedetta dalla natura e dalle stelle. Piango perché non l’abbiamo più ,depredata, rubata, vilipesa, venduta, metro dopo metro per pochi centesimi, da individui senza scrupoli ad individui senza alcuna morale. Piango perché non la natura ha prodotto tutto questo che l’ha spazzata in poche, angoscianti ore, ma uomini laidi ed ignobili che per quattrini hanno distrutto boschi secolari, spiagge dorate sostituite da un cemento che ha inquinato anche le anime, piango, eppure desidero che le parole di Grazia Deledda possano darmi una speranza, quella che cambieremo.

“E il vento, perché? ……”

Perché in Sardegna non si viene per una settimana a vedere la Costa Smeralda ed andarsene in fretta, in Sardegna si deve nascere. E non bisogna dimenticarsene. MAI .

Una signora col rossetto                                                                                          Egle Farris


Surrealismo – Testo di Egle Farris


Quanto dura un’eternità? Io ci vivevo da allora, nel freddo di una soffitta  sempre buia di Pattada. Ed un giorno più gelido degli altri si aprì con uno schianto un ampio varco nel tetto e tanti cristalli bianchi e svolazzanti inondarono di luce la mia oscura dimora. Sentii voci, grida e concitati passi salire verso di me. 

Un moto di paura mi assalì istantaneo.  Diommio non avevo più visto nessuno da …100 anni? Le voci corsero verso le macerie ma a disagio eppure con una sorta di commozione, sentii su di me uno sguardo indagatore ed una  calda mano femminile carezzarmi piano, piano  ma con entusiasmo. 

E dopo qualche giorno mi ritrovai, intontito e sballottato, in un luogo luminoso, con quelle calde mani che continuavano con le carezze.

Venni girato, rovesciato, tastato, disinfettato, certo non dovevo essere molto profumato, scusate sono un gentiluomo, ma certe cose non si possono tacere, d’altronde avevo sopportato decine di sipepe  per una vita intera! Poi un altro pennello fece finalmente finire  il rasp-scrunch  rasp- scrunch rasp-scrunch di quelle affamate bestioline appellate tarli , ed infine  venni stuccato, lucidato ed incerato con una aromatica  e morbida  crema ambrata. Ed eccomi qui, in un soleggiato salone, orgoglioso di dare asilo ad una piccola raccolta di vecchie tazzine,  non così come me, beninteso, e dove i miei simili sono più o meno coetanei, ma quella lampada, istoriata e belloccia, con il solo  stoppino  niente da dire, quella che mi sta in testa, sul marmo insomma, eh, no! quella non me la dà a bere. Quella che dichiara con sussiego di avere cento primavere ed invece si vede benissimo, sicuro come le tasse e la morte, brrrrr, dicono gli inglesi,  che ne ha almeno il doppio. Ah !  sesso femminile, tutte uguali! Cosa non farebbero o direbbero pur  di ringiovanirsi ai nostri occhi  di macho!

Spengo la luce. Buonanotte a tutti.

 

Un vecchio comodino  e una signora col rossetto                                Egle Farris


 

La Caduta – Testo di Franco Simula


La malattia di Parkinson ha la particolarità strana di manifestarsi in ciascuno di noi in una forma diversa, e se, poniamo, la forma prescelta è il tremore, esso si manifesta ancora con caratteristiche differenti in due parkinsoniani entrambi“tremebondi”. E’ originale il sig. Parkinson , tanto originale da far perdere le tracce non solo agli interessati ma persino ai neurologi che da anni lo studiano, cercano di approfondirne gli aspetti più reconditi e misteriosi ma ancora con risultati disarmanti.

L’ing. Stradjiot, studioso della malattia, in una conversazione col dott. Paulus ha cercato di spiegare il motivo per cui gli ammalati di Parkinson hanno risentito più di altri dei condizionamenti derivanti dalla pandemia. La motivazione tanto semplice quanto evidente consisterebbe nella “impossibilità di stare e muoversi insieme ad altri”. Dunque la solitudine potrebbe aver accentuato le manifestazioni negative di ciascun Parkinsoniano. (tremore- squilibrio posturale – distonie- freezing- cadute ). E in effetti, man mano che ci si incontra di persona, ci si ritrova più paffutelli, più impacciati, più colpiti dal solito Parkinson che approfitta di qualunque circostanza per consumare i suoi giochi “sporchi”, ci si ritrova cambiati L’escursione sociale a Riola Sardo del 25 giugno 2021 ha consentito un incontro di persona che ci ha permesso di rivederci negli occhi da vicino, di “annusarci”, di riprendere la vita di prima improvvisamente interrotta.

Ciascuno di noi ha condiviso con altri le proprie nuove esperienze. Mi ha colpito il racconto di Rosalba fatto di cadute, cadute ripetute, quasi interpretate, sino a strapparmi una definizione quasi beffarda “sei una professionista della caduta”, uno stuntmen al femminile. L’aspetto più comico di queste cadute rovinose è che l’interessata non si é procurata niente di grave: escoriazioni, tumefazioni periferiche, incrinature ma non fratture, e meno male : perché un altro individuo, più robusto, con problemi di osteoporosi sarebbe passato da una frattura all’altra; lei abrasa, tumefatta ma non fratturata. Dal racconto dell’interessata l’ultima caduta è stata quella che ha generato più paura perché è stata un po’ più rovinosa delle precedenti. Mentre cercava di aprire un armadio i cardini dell’anta hanno ceduto e la pesante anta le è caduta addosso creandole non pochi problemi. Intanto il peso dell’anta le impediva non solo di alzarsi agevolmente ma addirittura le rendeva difficile la respirazione; dimenandosi in tutte le direzioni, con grandi sforzi, cercava di ricuperare la posizione meno scomoda. La disperazione gradualmente aumentava mentre le forze e la resistenza diminuivano soprattutto considerando che di fronte a tale difficile emergenza non poteva chiedere aiuto a nessuno perché a casa era sola. Alla soglia dello sfinimento un barlume di razionalità compare nella mente della malcapitata. Ha il telefono a portata di mano, chiama la badante che meno male abita al piano superiore. L’incidente anche stavolta si risolve con una pestatura dolorosa ma senza gravi conseguenze traumatiche.

Altro abitué della caduta é Giuseppe il quale, tanto per rispettare la notevole mutevolezza del Parkinson, non cade in maniera comune, in maniera rovinosa, no, no, Giuseppe cade con “stile”. Un suo stile tutto personale che gli deriva dall’essere stato da giovane un talentuoso e raffinato mediano impostatore in una squadra di calcio giovanile. Lo stile. Intanto Giuseppe non cade mai indietro il che non è di poco conto: cadendo in avanti sa dove mettere le mani. E poi ancora la caduta di Giuseppe non è casuale, avventata, no! È sempre preceduta da un momento di “riflessione” che non sempre si risolve nella caduta. E’ sufficiente che arrivi un amico, un parente che gli ponga un ostacolo davanti, quasi uno sgambetto, e Giuseppe supera l’ostacolo e non cade. Vatti a spiegare i misteri del sig. Parkinson! Ma la caduta, quando capita, è vissuta sempre con stile: uno sguardo fugace alle mani, niente segni di abrasioni o altri danni e poi di nuovo via a camminare.


SPECCHIO DELLE MIE BRAME di Kai S. Paulus

Stamattina ho avuto una interessante conversazione con Fulvio Stradjiot, bioingegnere piemontese, con cui collaboriamo a dei progetti sui blocchi motori e freezing nel Parkinson (progetti che per adesso hanno preso il via in Piemonte ma che presto porteremo a Sassari).

Tra le varie difficoltà ci siamo chiesti perché le persone affette da Parkinson hanno risentito così tanto delle restrizioni dovute alla pandemia del covid-19, e Fulvio aveva la risposta: l’impossibilità di stare e di muoversi insieme agli altri.

 

Sembra che non ci sia niente di particolare in questa risposta visto che tutti noi avevamo lo stesso problema; però, è il Parkinson che è stato particolarmente colpito. Ovviamente l’ansia, le preoccupazioni e l’incessante martellamento dei media hanno dato il loro contributo condizionando le emozioni che nel Parkinson, come sappiamo, rivestono un ruolo di primaria importanza.

Ma ciò che ha reso così vulnerabile il Parkinson è la mancata stimolazione dei Neuroni a specchio.

 

“Il sistema dei neuroni a specchio (mirror neuron system, MNS), studiato da tanti anni ma ancora non pienamente compreso, è costituito da una rete di gruppi di neuroni che si attivano quando un individuo esegue un’azione osservando un altro individuo compiendola” (Jeons e Lee, 2018). Questo sistema è essenziale nelle fasi di sviluppo e di apprendimento quando, per esempio, i bambini imparano a camminare ed a parlare imitando gli adulti.

A differenza degli altri sistemi deputati all’apprendimento che seguono il classico schema di “percezione – elaborazione cognitiva – movimento“, il sistema a specchio è immediato e segue una logica intrinseca dei propri neuroni. Questi neuroni non elaborano ma ‘copiano’ ciò che percepiscono e ciò si traduce immediatamente in movimento. L’unica condizione è che il movimento ‘da copiare’ faccia già parte del repertorio motorio dell’osservatore.

In questo modo, il sistema a specchio raggira i lenti processi associativi – compromessi nel Parkinson – facilitando l’esecuzione del movimento.

Ed è questo che rende la vita sociale e le attività di gruppo così preziose per la riabilitazione parkinsoniana perché i neuroni a specchio permettono di superare il blocco motorio.

Cioè, la persona parkinsoniana tende a bloccarsi ma l’osservazione di altri che si muovono può rappresentare un meccanismo di sblocco. Ecco perché la “solitudine covidiana” è stata devastante per il Parkinson ed ora, gite come quella recente nei campi di lavanda e la ripresa delle nostre attività sociali, ricreative e riabilitative sono essenziali quanto curative, e contribuiscono pertanto al miglioramento della qualità di vita.

Il sistema a specchio pare sia molto importante nel campo delle “terapie delle arti creative” (creative arts therapies, CATs), la nostra amata riabilitazione complementare con musicoterapia, teatro, ballo e coro.

(Fulvio mi ha aperto gli occhio su un argomento molto intrigante e stimolante che sicuramente approfondirò.)

 

Fonti bibliografiche:

Jeon H, Lee SH. From Neurons to Social Beings: Short Review of the Mirror Neuron System Research and its Socio-Psychological and Psychiatric Implications. Clinical Psychopharmacological Neuroscience 2018; 16(1): 18-31

Palermo S, Morese R, Zibetti M, Romagnolo A, Carlotti EG, Zardi A, Valentini MC, Pontremoli A, Lopiano L. What happens when I watch a ballet and I am dyskinetic? A fMRI case report in Parkinson’s disease. Frontiers in Psychology 2020; 11: 1-9.

La prima gita sociale dopo la pandemia


Riola Sardo “La lavanda di Elvio” 25 giugno 2021

Sono li con voi, la lavanda, le emozioni. Testo di Egle Farris


Ph. Lorella Luche

Il viola appassionato ed avvincente é nato un giorno di primavera in un campo di lavanda.

Deve aver cercato a lungo un luogo come questo dove i filari vanno dritti verso l’orizzonte come se fossero invitati a un ballo con l’infinito.

L’aria é impregnata di lavanda. Solo profumo di lavanda e vento, che se ne porta altri della nostra Sardegna.

Mi piace pensare che se l’amore avesse un profumo sarebbe quello dei campi di lavanda che impregna l’aria al sorgere del sole donando ai filari, accarezzati ai raggi, mille sfumature di colore.

Sarei voluta essere li con voi e camminare su una strada costeggiata da campi di lavanda.

Dicono che gli steli di quei fiori siano così alti che i prati dove crescono sembrano una distesa blu-viola come l’oceano.

da una finestra avrei voluto scorgere i campi di lavanda: lillà, violetti,celesti, azzurri.

Guardarli e annusarli sarebbe stata la felicità.

In Provenza nasce la leggenda della Fata Lavandula che i suoi occhi blu e le sue lacrime piene di tristezza diede origine ai fiori di lavanda. Questa leggenda é legata al paese di Velensole, dove a luglio si svolge proprio la festa della lavanda; qui si narra che la Fata Lavandula, dagli occhi azzurri e i capelli biondissimi, nata fra le lande selvagge della montagna di Lure, un giorno decise di cambiare vita e di cercare un nuovo posto da abitare. Prendendo un librodi paesaggi vide le valli della Provenza che in quell’epoca erano aride e brulle, senza vita, cos^ la fata, presa dallo sconforto si mise a piangere e le sue lacrime macchiarono di blu le pagine del libro; per rimediare al danno fatto Lavandula prese un pezzo di cielo e lo stese sulle lande desolate della Provenza e da allora su quelle terre deserte iniziarono a nascere ricche distese di fiori blu, e si dice anche che le ragazze bionde nate in quelle terre abbiano anch’esse negli occhi il color della lavanda.

E poiché molte leggende le attribuiscono un messaggio particolare, ossia “il tuo ricordo é la mia unica felicità”, regalare quindi una pianta o un rametto di lavanda potrebbe nascondere un messaggio di amore o di sincera amicizia, o mettere in luce un legame molto profondo.

Fiore messaggero di amore, di amicizia, di diletto, mi commuovi ed incanti col tuo leggero profumo che permane per tantissimo tempo e col tuo splendido colore.

In una distesa di lavanda vorrei fare bracciate di meraviglia.

Una signora col rossetto a tutte le amiche ed amici.


 

Photo Riola Sardo “La lavanda di Elvio”

La prima gita sociale dopo la pandemia:

Riola Sardo “La lavanda di Elvio” 25 giugno 2021

La bottega dei desideri – Testo di Egle Farris


Per me che venivo da un piccolo paese ,dove esisteva un solo emporio  con tre portoni, di cui due eternamente chiusi e senza vetrine e che vendeva indifferentemente zappe e zucchero  in zolle irregolari, conservato in grossi sacchi di juta, che te ne trovavi sempre un filo tra i denti, scampoli e concimi, chiodi e bottoni, lana e damigiane, vedere quella piccola vetrina ed innamorarmene fu tutt’uno.  Faceva angolo tra la piazza e via Università e dovevi piuttosto indovinare cosa c’era dietro quei vetri opachi ,dove la polvere regnava sovrana e tiranna .  Ma dentro, ah, dentro trovavi bocce di vetro piene di girelle ,radici e more e nastrini di liquirizia, ciucci collosi e gelati di zucchero dai colori improbabili, bracciali e collane di corallini confettati e amabili ,mentine iridate e gomme americane dalle forme  sferiche ,stirate e arrotolate .  E i fruttini cotognata Zuegg ( dove sono finiti ?) e i minuscoli biberon ripieni di un finto rosolio e i morettini  dal cuore che sapeva di panna e ricoperti di un croccante, impareggiabile cioccolato, che era un piacere soave scrocchiarlo coi denti,  nascosti silenziosamente dietro una tenda, e i cremini Ferrero che si scioglievano in bocca .  Il tutto in una folle mescola con il lievito e l’ovolina Bertolini,  l’Idrolitina e lo sciroppo Fabbri ,rigorosamente gusto amarena. E quando  entravo e trovavo qualcuno che comprava concentrato di pomodoro versato col mestolo di legno dai bordi sempre neri , sulla carta oleata  e i capelli d’angelo a matassine, tirati su da un oscuro cassetto e si attardava a scegliere altra pasta da quei tiretti dalle maniglie a forma di conchiglia  e tre etti di zucchero ed uno di caffè, mi pareva di perdere tempo ad aspettare il conto rigorosamente scritto sulla carta da involto con una matita sempre bagnata con la saliva, perchè attardava  il momento di assaggiare  delizie, che nella mia testolina di bambina ingenua e fantasiosa mi dicevano “prendimi, prendimi ” e non potessero aspettare e pensavo ancora fossero loro che potevano aprirmi  la porta a quelli che allora mi sembravano sapori paradisiaci, adesso così irrimediabilmente lontani e dimenticati. Ed inaspettatamente  riportati al mio tempo attuale solo da una passeggiata in una notte troppo tiepida e solitaria ed  uno sguardo nostalgico a quell’angolo che, nella penombra, era rimasto intatto ed incontaminato come allora.

La signora col rossetto                                                       Egle Farris