Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

TUTTI al MARE testi di Franco Simula


Una vecchia canzone diceva: ” Tutti al mare a veder le acque chiare” e qualcuno volgarizzando il verso correggeva “a veder le chiappe chiare”. Ieri 26 luglio 2022 un gruppo di parkinsoniani, rompendo gli indugi, le paure, le preoccupazioni, a bordo della nuova Mercedes che anonimi donatori hanno voluto generosamente regalarci, hanno deciso di andare al mare. All’arrivo, da subito, il colpo d’occhio iniziale dello spazio di spiaggia predisposto dal Comune a persone disabili ha offerto una panoramica gradevole: spazi ampi a disposizione, traversine in legno collegate fra loro formavano dei comodi collegamenti fra la sabbia e la battigia ma ne traeva beneficio anche l’estetica dal momento che si intuiva una visione d’insieme progettata con gusto e non abborracciata all’ultimo momento. Lo spazio è integrato da una cabina con servizio chimico e da due docce e una fontanina come servizi minimi dopo l’immersione nell’acqua salata. Eravamo in tredici tutti contenti di aver vissuto, in gruppo, una nuova avventura che finisce col rinsaldare nuovi vincoli di amicizia e solidarietà. La giornata al mare è consistita in una immersione all’interno di un gommone che ha fatto da nido protezione a delle persone che, con un eufemismo, diremo che non sono al massimo delle loro capacità di equilibrio. Francesca già alla seconda esperienza, sembrava trovarsi a suo agio in un ambiente, il mare, nel quale aveva vissuto da anni.
Timido e riservato, quasi commovente, l’ingresso in mare di Iside. Il nome evocava immediatamente lontani ricordi storici di regine egizie coeve di Piramidi immortali. E anche Lei è stata spontaneamente all’altezza del nome. Distesa con dignità su una lettiga, messa a disposizione dall’amministrazione comunale, è stata affidata alle carezze delle onde quasi a compiere un rito solenne di altri tempi. Adelaide è entrata in mare con l’eleganza di sempre. Per disfare il caschetto di raffinata fattura è stata necessaria una folata di vento impetuosa, una mini tromba d’aria, che per un attimo ha interrotto l’armonia che regnava sulla spiaggia di Platamona. Elisa si è divertita tanto fra le tiepide acque del bel mare turritano seguita a stretto contatto dalla fisioterapista Tiziana che a sua volta ha fatto le acrobazie per non essere ripresa; ma tant’è dal gruppo non poteva scansarsi. E poi perché? con quel fisico… Giannella teneva a bada il marito (cioè Franco) per evitare che andasse alla deriva mentre si prendeva beatamente il sole.
Tonino e Sergio si son ritagliati il compito discreto di vigilare sulle rispettive mogli anche perché a un certo punto si era messa un po’ di maretta. Giuseppe si è avventurato senza Dora ma di sostegni ne ha trovato in abbondanza. E Antonello dove era andato a finire? Per Antonello il lavoro non manca mai.
Ha fatto il sovrintendente di tutte le attività della mattinata. Ha piantato e spostato ombrelloni, ha scattato fotografie a tutti, ha fatto da stampella a chi ne ha avuto bisogno. Insomma ha interpretato alla perfezione il ruolo che si è ritagliato e che tutti gli riconosciamo.
Franco Simula

Lo SFRATTO dalla MURAGLIA – Testo di  Franco Simula

Quest’estate 2022 il ritorno alla Muraglia è preferibile chiamarlo lo”sfratto” dalla Muraglia perché nell’attribuzione degli spazi ai vari ristoratori la politica ha deciso di assegnare agli stessi ristoratori, a titolo gratuito, alcune aree attigue al muraglione sottraendole agli affezionati che trovavano uno spazio minimo a sedere tra i cannoni e i bei possenti sedili di lucido basalto.   La decisione, a  dire il vero, non è stata presa a cuor leggero ma in esecuzione di una disposizione ministeriale che prevede il risarcimento di parte dei danni causati dalla pandemia. Ma tant’è gli sfrattati dovevano a tutti i costi e senza esitazioni trovare un nuovo spazio: e nuovo spazio fu.  Rappresentato dalla gradinata in trachite rossa che collega il bastione con Piazza S. Croce. Quella era in un attimo diventata la nostra  “SCALA”.  L’occupazione è stata assolutamente pacifica e finalizzata a dare sfogo all’arte dato che musica e canto sono due arti nobili che accompagnano l’uomo sin dai tempi primordiali.

Sabato 9 luglio2022 i musici e i cantori della muraglia si sono dati appuntamento per liberare, dopo un altro anno difficile, l’arte repressa per troppo tempo. Il fascino della notte stellata ha facilitato le esecuzioni di canzoni e brani musicali. Alla spicciolata in pochi minuti si forma il gruppo che per un paio d’ore allieterà la serata.  Pietro Ledda, che nessuno conoscerebbe se non lo si chiamasse “Barabba” è il decano della compagnia. Sullo stipite della porta di casa spicca una ceramica  con la scritta “ Aqui vive un musico”. Ramingo per mezzo mondo, è riuscito in oltre 50 anni di vita artistica, ad acquistare competenza e dimestichezza con un buon numero di strumenti musicali dalla chitarra all’armonica, dal mandolino all’arpa che ospita tutti in un stanza della casa: un leader, un punto di riferimento.

Luis Doppio, che ha trascorso la giovinezza in Germania, fa la guida turistica, è anche lui un cosmopolita, cantante poliglotta: tutte le varietà e modalità del canto sardo e catalano fanno parte del suo ricco repertorio.  Luis  è un un uomo di cultura, non esibita ma manifestata con misura. Per lui la cultura non è una cosa ma è un modo di essere personale e un modo di considerare gli altri. 

Pietro  Migoni, il più giovane della brigata,  è  un uomo dai molti talenti che non sempre riesce a  valorizzare in maniera adeguata perché “si stufa “. Di volta in volta si applica con genialità a effettuare realizzazioni nella lavorazione del legno e  possiede  una singolare creatività nel trasformare pezzi di legno comuni in singolari creazioni. Con la chitarra potrebbe fare cose egregie se nell’applicazione fosse accompagnato da adeguata costanza. Che non è una donna. Il paradosso di Pietro è rappresentato dalla sua sottile capacità filosofica ad argomentare rimandando o mettendo in discussione ciò che al momento non è di suo gradimento.  

Tore ha esercitato l’attività di carpentiere prima all’estero e poi in alcune imprese cittadine e ha poi praticato sempre per passione la pesca subacquea, mettendo a disposizione la propria esperienza di subacqueo tutte le volte che lo ha richiesto il pietoso recupero di dispersi in mare; fa parte del gruppo che suona, ma non è appariscente perché accompagna con le nacchere; se però è assente per qualche motivo se ne sente la mancanza.

Gino partecipa agli incontri serali fornendo il suo contributo sonoro col crepitio della raspa e rendendosi disponibile a soddisfare le esigenze che si creano di momento in momento. 

Sabato, all’incontro musicale, Armando si è limitato a fare il chitarrista accompagnatore esprimendo anche in questo ruolo non preminente una musica che scaturiva da un’ispirazione profonda e sofferta, pur avendo un’ esperienza più che decennale di esibizioni in pubblico con un suo gruppo. L’anima vera di Armando è scaturita 24 ore dopo la serata canora. Aveva dovuto affrontare con gli amici  una giornata alquanto “operosa” al solaio.  Gamberoni e calamari, braciole e salsiccioni arrostiti dallo chef Sandro Multineddu (uomo di ingegno versatile e di raffinata ricercatezza nella scelta dei condimenti) hanno deliziato il pranzo pantagruelico degli amiconi. Tutto questo ben-di-dio non ha mancato di essere  innaffiato da abbondanti libagioni. Che, nel caso di Armando, hanno facilitato  uno sfogo-verità liberatorio che gli ha permesso anche di esporre in maniera istintiva la sua filosofia sulla musica e sulla vita.  “Io, dice Armando, non ho studiato al Conservatorio ma ho “succhiato” con avidità ciò che i miei amici studenti mi raccontavano. Io ci riflettevo e istintivamente, di getto, riuscivo a comporre delle sovrapposizioni da  aggiungere alle loro composizioni che gli stessi autori consideravano  di qualità eccellente e preziosa, talvolta superiore al lavoro originario”.  “E non pensavi di poterne trarre anche tu un beneficio economico”?  “L’idea del vantaggio economico non mi stimolava più della soddisfazione morale derivante dall’essere riuscito, da solo, a ottenere risultati superiori a quelli dell’intero gruppo; le loro valutazioni spontanee per me erano il massimo della soddisfazione”.   

Questi personaggi eterogenei , spesso anche con idee divergenti, quando si incontrano alla muraglia nelle belle notti d’estate riescono a trovare una coesione, un accordo straordinario, forse anche perché si conoscono da tutta la vita; riescono a formare un complesso coeso e armonioso veramente eccezionale che attira l’attenzione e gli applausi di tutti i numerosi turisti che si fermano incantati ad  ascoltare . La riproposizione delle tradizionali nostalgiche canzoni algheresi accompagnate dalle classiche canzoni spagnole o catalane costituiscono un complesso musicale dal fascino imperdibile che non può lasciare indifferente il passante.  E mentre i capannelli si alternano in continuazione per evitare di interrompere il flusso della passeggiata, fra la gradinata di trachite rossa e il Bastione si perde  l’ultimo canto nostalgico nella notte afosa di questo Luglio dominato dall’anticiclone africano.

                                                     

                             Franco  Simula                                                                                  

KILOMETRO – Testi di Egle Farris


I cani di Sassari sono quelli che di notte trovano lo zerbino di un palazzo e lo credono casa.

I cani di Sassari sono quelli che vedi con lo sguardo di smarrito disprezzo, accucciati in un canto.

I cani di Sassari sono quelli che frugano nell’ immondizia alla ricerca di un sognato osso.

I cani di Sassari sono quelli artritici e sciancati che invocano una carezza ed un luogo caldo.

Un cane di Sassari era un errabondo randagio macedonia tipo bassotto , che mani pietose accudivano sotto i portici Crispo, diventati  tutto il suo mondo . Dove adesso una stinta piastrella di ceramica ci ricorda il suo nome.

Kilometro , un nome lungo mille nomi, tutti i randagi di Sassari che ,assieme a lui , in silenzio e senza le nostre povere, inutili parole  sono andati in un posto che a noi non è permesso, poiché esiste, si, un paradiso dove i cani vanno, dopo. Perché l’inferno loro lo  hanno già vissuto in questa terra.

E perché non dovrebbero, andare in un posto dove il crudele uomo non c’è , in un paradiso, appunto , per cani ? E dove ,vedendoci al di fuori ,ci manderebbero un abbaio di felicità per dirci ” Staremo per sempre assieme, accomodatevi “.

Una signora col rossetto                               Egle Farris


A Salvatore Faedda – Testi di Franco Simula

IN MEMORIA

Visualizza immagine di originefoto di ©Giovanni Petretto


Nella chiesa di S. Apollinare, affollatissima, ad accogliere Salvatore Faedda c’era il seicentesco Cristo ligneo, straziato dal dolore sulla croce a capire e condividere le sofferenze di coloro che, dopo il transito terreno, si presentano a Lui alla ricerca della Luce . A condividere questo dolore, oltre ai parenti più stretti, erano presenti quasi tutti gli amici dell’Associazione Parkinson e una folla di estimatori dai quali si è fatto apprezzare nel tempo.
La cerimonia religiosa è stata partecipata e sofferta. In certi momenti del rito funebre in cui si sospendeva la parola si percepiva un silenzio immenso, ”assordante”: la preghiera del silenzio. Ma l’intera celebrazione è stata intensa e commovente, sino alla fine quando il celebrante, derogando dalle rigorose norme ecclesiali, con sensibilità e apertura encomiabili, ha consentito che il coro cantasse la canzone “Savitri” (Cantico d’amore) che
tanto piaceva a Salvatore e che Lui aveva cantato con tanto trasporto nel coro dell’Associazione “Volare si può” sino a venti giorni fa. Con questa semplice intuizione di bontà il sacerdote è riuscito a “umanizzare” profondamente un rito che poteva rischiare di assumere connotati solo formali. Con la scomparsa di Salvatore ci è mancata una ricchezza. Chi era Salvatore?

Era una fisarmonica che per anni ha allietato le serate e gli incontri conviviali di noi amìci parkinsoniani, disposti a condividerne le sofferenze che ormai lo avevano stretto in una morsa implacabile.
Era un lungo e semplice racconto naif che ha narrato con colori pastello teneri e delicati la vita dei vicoli di S.Apollinare, o una narrazione esposta con stile asciutto, sostanzioso, immediato.
Era una musica di tutte le canzoni dagli anni ‘60 e ‘70 sino ai nostri giorni che Anna sua inseparabile compagna di una vita, cantava con una voce dolcissima e melodiosa: “the voice” appunto.

Per quanto apparisse evidentemente provato dalla malattia di Parkinson, poco più di quindici giorni fa, cercai di avviare un mini dialogo: -Salvatore mi riconosci? -Si. -Come mi chiamo? La richiesta stavolta era stata impegnativa. E solo dopo che Anna suggerì il mio nome, sulle sue labbra notai un accenno di sorriso significando che quel nome lo conosceva bene ma non gli era pervenuto alla memoria al momento giusto. Esattamente come accade regolarmente a molti di noi. Era di carattere riservato, gentile nel tratto, affabile, alieno da polemiche. Sin da giovane era stato un valente artigiano del legno e aveva contribuito con altri operai alla costruzione della bella Bussola all’ingresso della Basilica del Sacro Cuore. All’inaugurazione della Bussola Salvatore dovette subire una cocente delusione perché il capo cantiere aveva impedito a tutti gli operai di partecipare alla colazione offerta generosamente dal parroco dott. Piga.
Pur nella sua modestia e riservatezza Salvatore aveva capito immediatamente l’importanza del sito Parkinson di cui, da subito, è stato uno degli scrittori più prolifici e di talento. E’ raro trovare uno scrittore autodidatta, privo di titoli accademici, con una innata e spontanea tendenza all’ironia e all’autoironia, da maestro navigato. Basta leggere per tutti il racconto che si intitola: L’eredità.

<< Dopo la morte di mamma l’avvocato ha chiamato tutti noi perché doveva leggere il testamento. Siamo cinque figli: Salvatore ,Giovanni, Annalisa, Piero e Antonello. A Giovanni, Annalisa e Antonello mamma non ha lasciato niente mentre a me e a Piero…il morbo di Parkinson.
Io pensavo che Parkinson fosse la marca di una penna stilografica ma l’ho capito dopo che Piero ha fatto le visite sanitarie e gli hanno detto che si trattava di un regalo di mamma.
Intanto, sotto sotto, indagavo perché tanti miei disturbi erano uguali a quelli di Piero. Infatti, quando andavo al bar con gli amici, non prendevo mai nulla perché mi tremava la mano e io mi vergognavo.

A casa mi chiedevano il perché del mio malumore: io alzavo le spalle e dicevo che non avevo nulla ma…le lacrime scendevano copiose.
Un giorno Piero mi dice:”Ti prenoto una visita da dott: Paulus che è molto bravo”. Così con mia moglie andiamo all’appuntamento e lui, dopo aver confermato la patologia con un modo di fare molto rassicurante mi dice:
“Iniziamo la lotta…sei d’accordo?”
Ho iniziato la terapia ed i risultati si sono visti subito. Ora entro al bar con più tranquillità perché la mano non trema più ed anche perché sono decisamente più allegro….tranne qualche volta.
Ogni tanto mi chiedo: con Piero ci somigliamo moltissimo, siamo precisi a babbo (che è morto a 94 anni ed era sano come un pesce), mentre gli altri tre fratelli somigliano a mamma e allora…come si spiega questo incrocio???.
Ora che ne ho la possibilità voglio dire al dottore che quando sono di malumore reagisco scrivendo tutto quello che mi passa per la testa. Ho anche la fortuna di suonare qualche strumento musicale che mi fa cambiare l’umore perché la musica mi fa compagnia. Speriamo che la scienza riesca a trovare una soluzione più che soddisfacente…soprattutto per i nostri figli. >>
Nel filone della passione musicale di Salvatore qualche volta ci siamo inseriti dott. Paulus, P. Marogna ed io, in occasione di qualche riunione conviviale, da dilettanti strimpellatori, abbiamo improvvisato un quartetto di armoniche a dir poco esilarante. Anche perché…buon riso fa buon sangue e per noi buona dopamina.
Ora Salvatore, concluso il suo percorso terreno ci lascia anche lui un’eredità morale rappresentata dalla generosità e riservatezza nell’operare al servizio degli altri. Con Salvatore abbiamo condiviso la gioia di percorrere lunghi tratti di strada insieme, durante i quali abbiamo conosciuto speranze deluse ma anche molti sogni realizzati, sogni che si spengono solo quando il sole decide di spegnersi su di noi.

Franco Simula


I locali scomparsi nel tempo – testi di Egle Farris

Ogni uscita era buona  per poterci andare , anzi ci andavamo apposta , risparmiando su quell’esiguo stipendio settimanale, in quella pescheria? friggitoria? paninoteca?

 Come si fa a definirla con un  termine odierno?     Forse con street-food?

Ma forse era tutto ,tutto questo . Si trovava all’inizio della via Turritana , a destra, appena voltavi da via B.Sassari, nell’angolo dove una vecchia paesana, pioggia vento o sole , stazionava per vendere lumache e finocchietti selvatici  e mazzetti di alloro e di aglio , olive verdi e nere.

E già prima di entrare sentivi il  succulento profumo del mare, e subito, ma allora si poteva, ti venivano servite una dozzina di cozze  a mezzo guscio, stillate di olezzante limone.  Di mezzi limoni era pieno un banco separato da un vetro  dai pochi tavolini a disposizone dei clienti ed esposti ai tuoi desideri  . Vedevi piatti ovali pieni di profumo di mare , vedevi  lunghe pagnotte bionde e morbide  pronte per essere aperte e farcite con   piccolissimi , teneri polpetti in umido o in guazzetto,frittura  e polpette di minuscoli calamari , un’insalata di mare che si scioglieva in odori e gusti sopraffini . E non vedevi neppure che il locale non era certo  molto elegante , rivestito com’era di piccole piastrelle bianche , proprio non te ne accorgevi, perchè due erano le cose che ti distraevano.

La prima il tuo grande amore di allora, e alzi la mano chi a diciotto anni non aveva un amore grande, la seconda la beatitudine di assaporare ad occhi chiusi un gusto  che oggi ha una struggente nostalgia, che oggi non trovi più, di dolcezza e sapidità e acidità  che continui a sentire nella testa e nel ricordo, ma che ti manca.

Perchè era l’essenza stessa del mare ,quel mare da dove venivano trigliette e calamaretti,  arselle e vongole che si aprivano un poco, un poco solo, per non disperdere quel sapore che si sarebbe  conservato per sempre nel tempo  per te , solamente per te .

Una signora col rossetto

Egle Farris

SU PULLMAN CUN SU FREEZING – Poesia di Franco Simula

SU PULLMAN CUN SU FREEZING

Dadu chi Maschu mi l’ad’ammentada
mi custringhet a mantenner sa prommissa
sa gita eallu già nos est costada
de ogni colore nos ‘ndat capitadu
Abba a trainu falaiat da-e chelu
randine mannu chi pariat ninzola
e nois che maccos sutta sa ranzola
chilchend’e nos coberrer cun giornales.
Invece ‘e istare in fila che crabolos
intrados esseremus a su pullman
a su mancu a-i custhu esserat selvidu.
Su pullman – betzu – no cheriat connottu
su motore andaiat toppi-toppi
e pariat chi aeret peldidu su motu. (Culpidu da-e Freezing improvvisu))
12 de Lampadas 2022
IL PULLMAN COL FREEZING

Dato che Marco me l’ha ricordata
mi costringe a tenere la promessa
ecco la gita già ci è costata
di tutti i colori ne son capitate
Acqua scendea dal cielo a catinelle
chicchi di grandine che parean nocciole
e noi qual matti sotto le gragnuole
cercavam di coprirci col giornale.
Più che restare in fil come caproni
entrare dovevamo sul pullmino
almeno a coprirci sarebbe servito
Il pullman - vecchio – non voleva visto
procedea zoppiccando il suo motor
sembrava avere perduto il bel fragor.
( Colpito da improvviso Freezing.)
12 giugno 2022

Franco Simula

P.S. Sia il testo italiano che quello sardo-logudorese sono scritti in rima sciolta, molto sciolta ...quasi liquida per poter rigustare meglio la fifa e le
risate dei giorni della gita del 28 maggio 22.

LA MOSTRA PARKINSON di NUORO – Testi di Franco Simula

Finalmente sabato 28 maggio 2022 si parte per Nuoro dopo aver spostato la data più volte per motivi di salute. Tutti puntuali per le 8,30 in modo da avere uno spazio temporale adeguato per una visita alla mostra sulla Malattia di Parkinson organizzata in maniera ineccepibile dall’Associazione Parkinson di Nuoro e sotto il patrocinio della Associazione Parkinson Italia che ne ha curato l’impostazione culturale e medico-scientifica. Tutti puntuali meno la nostra presidente che, avendo dimenticato un documento essenziale per il viaggio ha dovuto “prendere in prestito” qualche minuto in più. Niente di grave: aliquando dormitat Omerus , anzi questo è il più piccolo dei ritardi che caratterizzeranno la giornata e talvolta anche in maniera gradevole. A un certo punto della Carlo Felice troviamo una prima deviazione che dovrebbe farci rientrare dopo qualche chilometro ma forse qualche buontempone ha invertito le direzioni e il nostro autista, incolpevole, ci traghetta nella direzione di Banari per trasferirci inconsciamente nel centro del cratere di un immenso, bellissimo vulcano, arricchito dai colori di tutti i verdi possibili che il mese di maggio ci sa riservare. La parte sud del vulcano, attivo qualche milione di anni fa, è costituito dagli attuali centri di Banari, Siligo, Bessude, mentre la parte nord è costituita dalle propaggini meridionali del Monte Pelao che chiudeva l’immenso vulcano. Immersi in questo tripudio di verde, qualcuno che qualche anno prima, da insegnante, percorreva tutti i giorni queste contrade, realizza che non siamo arrivati alla Carlo Felice ma stiamo beneficiando di un paesaggio di immensa bellezza. Grazie…all’autista. Intanto verifichiamo, nostro malgrado, che le strade di Banari sono troppo strette per un pullman troppo lungo visto che nell’affrontare una curva il pullman ha divelto un cartello stradale, ma con un po’ di pazienza tutto ritorna normale. Dopo una breve sosta per rifocillarci si riprende il viaggio per Nuoro. Anche alla città di Grazia Deledda, e Sebastiano Satta e Giorgio Asproni e Salvatore Satta e tanti altri personaggi illustri della città barbaricina arriviamo con un ritardo che si accumula sempre di più tanto è vero che rinunciamo a visitare la Chiesa della Solitudine tanto cara a Grazia Deledda Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. Non possiamo rinunciare invece alla visita della Mostra sul Parkinson che è stata la motivazione principale della gita che poi ha assunto dimensioni più ampie.

La Mostra aveva un titolo ben preciso:”Non chiamatemi morbo” termine che evoca contagio e pandemia .La Mostra, come abbiamo già accennato, ha avuto un’impostazione originale e del tutto nuova e coinvolgente. Era composta da circa 40 fotografie parlanti che raccontano storie vere di uomini e donne che resistono al Parkinson con i loro care giver. Naturalmente l’ascolto di storie spesso velate di tristezza ripropongono all’ascoltatore percorsi che, per quanto sopiti, fanno riemergere nella coscienza dell’ascoltatore parkinsoniano gli echi del male sempre presente e incalzante ma anche la volontà determinata di combatterlo con tutti i mezzi possibili. I meriti innegabili di questa mostra, unica nel suo genere, consistono nell’aver proposto all’attenzione dei visitatori la fragilità di coloro che vengono colpiti da questa malattia neurodegenerativa e dal conseguente coinvolgimento dell’intero nucleo familiare. La visita è stata utile anche ad apprezzare la cortesia e la disponibilità del gruppo dirigente dell’Associazione Parkinson di Nuoro che guidato dalla Presidente Gian Piera Deiana ha illustrato con intelligenza e cura le novità e l’originalità del progetto.

L’ora del pranzo squilla da sola, ma per raggiungere il locale “istentales” che si trova in un bel sito verdeggiante ma in culo al mondo occorre avviare un taxi-service in modo da trasferire in ristorante tutti i passeggeri del pullman, che, barrasone per eccellenza, non può raggiungerlo. Finalmente in ristorante ci si riconcilia col mondo. Le pietanze gustose e genuine non ci fanno pentire di aver scelto quel ristorante. Dopo un genuino digestivo e qualche canto del repertorio del coro (che ci è servito come esercitazione in vista del concerto di martedì 31) intorno alle 5 del pomeriggio, felici e contenti ci apprestiamo ad intraprendere il viaggio di ritorno. Felici e contenti?Giove Pluvio non è dello stesso parere. In men che non si dica assistiamo a un ammassarsi di nuvole nere e appresso a una scarica violenta di acqua accompagnata da una gragnuola di chicchi di grandine grossi come nocciole. Il generoso Antonello ha pagato per tutti perché per dare una mano a tutti si è inzaccherato sino ai piedi. Dice bene un proverbio sardo: “Frittu ‘e maju s’ainu nde tremede”. Gradualmente la violenza del temporale va attenuandosi sino a prevedere un viaggio di ritorno più tranquillo ma il viaggio è destinato a mantenere la connotazione dell’avventura. E infatti al primo rettilineo in cui il vecchio pullman può

finalmente sfogarsi e dispiegare il massimo della sua velocità, dalla fiancata destra si sente un tonfo strano: l’autista, accompagnato dall’onnipresente Antonello, va a fare un doveroso sovralluogo e scopre che si è rotta la serratura del portellone laterale. Che fare? I due ingegnosi meccanici non possono fare altro che affidarsi alla “tenuta” di un pezzo di cordicella. All’interno del pullman le battute si sprecano e trasformano in risate qualche grado di tensione che comincia a trasparire su qualche volto. Dopo qualche chilometro una breve sosta per verificare la bontà dell’intervento precedente. Tutto bene? Un piffero! Il pullman è posizionato alla base di una leggera salita. Il momento della ripartenza, problematica, da farsa si trasforma in piccolo dramma: il pullman non riesce a “spuntare”: un metro avanti e due indietro, due metri avanti e tre in dietro. A questo punto, col macchinone che sembra impennarsi, si formano due schieramenti di opinioni: uno che è preoccupato pensando a una possibile avaria, e l’altro che si sganascia dalle risate pensando a una particolare forma di freezing trasmesso al pullman dai parkinsoniani. E meno male che solo stamattina la Mostra recava come titolo: ”Non chiamatemi morbo” Finalmente l’ultimo tratto di strada è privo di particolari sussulti salvo alcuni “giri Trionfali” fatti dall’autista; eravamo già arrivati all’ampio piazzale del posteggio e lui continuava a “girare” intorno. Forse erano giri di ringraziamento per gli scampati pericoli.

Franco Simula

La gita a Nuoro – Testi di Franca Ghezzi

Seppure in pochi come “gruppo di Alghero”, abbiamo aderito all’invito di visitare la mostra fotografica realizzata al Museo di Nuoro da persone malate di Parkinson, che hanno voluto narrare il loro disagio, coinvolgendo  il visitatore in prima persona. È stato un momento unico, dove il raccontarsi attraverso la fotografia ha fatto scaturire sensazioni e emozioni che spesso tendiamo a nascondere dietro una maschera, per paura di essere feriti, davanti al pietismo altrui.

Purtroppo non c’è stato il tempo per una lettura più approfondita, perché il viaggio in pullman ci ha riservato sorprese inaspettate.

Durante la prima parte del tragitto mi ha colpito piacevolmente sentire il canto di “quel mazzolin dei fiori” accanto a quelli in logudorese, quasi a voler unificare le distanze e annullare i confini.

Il pullman però all’improvviso si è ritrovato in una posizione trasversale e non riusciva più a muoversi perché la strada era stretta. L’autista, ingannato da indicazioni scorrette, aveva sbagliato strada e nel tentativo di uscire da quello ”stallo“ è finito contro due muretti, un balcone e diversi vasi.

Spavento, paura, richieste di scendere, anche qualche momento di ironia per la buffa situazione. Finalmente dopo diverse manovre l’autista è riuscito ad uscire dal “sentiero” e a riprendere piano piano il cammino.

Dal finestrino abbiamo visto emergere le bocche di un cratere  dove in tempi remoti la lava, risalita dalle zone profonde, aveva reso fertile il terreno.

Dopo aver consumato un pranzo con prodotti tipici, ed essere stati allietati da altri canti, all’uscita del ristorante ci aspettava un’altra sorpresa: nel giro di pochi attimi una tempesta di grandine e scrosci d’acqua si sono abbattuti su di noi e , ritrovati bagnati e fradici,  ci siamo dovuti difendere come potevamo con maglioni, cappelli e magliette. Fortunatamente d’improvviso il paesaggio è cambiato e il verde della macchia mediterranea ci ha accompagnato per lunghi tratti.

Dopo l’accaduto nel gruppo permeava la certezza che non ci sarebbero più stati ostacoli per il rientro, mera illusione, perché di colpo con un forte fragore si è aperta la porta laterale del pullman e ci siamo trovati all’improvviso davanti ad una situazione a dir poco imprevedibile. Per poter porre rimedio a quanto era appena successo, e poter così  riprendere il viaggio, la porta è stata bloccata con un pezzo di spago. Esausti e stupiti siamo arrivati nella piazza di San Giovanni, dove ci siamo salutati, sfiniti e senza la forza di commentare ciò che avevamo vissuto.

Nei giorni successivi ho immaginato questa nostra avventura come il viaggio di una nave che fende  i flutti con coraggio e determinazione,  una nave sulla quale abbiamo affrontato gli ostacoli che quotidianamente la vita ci presenta e che tutti insieme, come gruppo, siamo riusciti ad affrontare, dimostrando a noi stessi che il nostro spirito è più forte delle avversità. Noi siamo più della nostra malattia.

Saluti                  Franca Ghezzi

Il coro Volare si Può si esibisce a Sassari al Teatro Astra

Maria Luisa Congiu scrive:

“Volare si Può” in scena ieri sera al Teatro Astra Sassari. Porto a casa tante belle emozioni e, soprattutto, un’importante lezione di vita
Il Coro “volare si può”, formato da persone affette dal morbo di Parkinson e diretto da Fabrizio Sanna, davvero ammirabile per l’iniziativa, è un esempio di come l’amore per la vita dia la forza di lottare contro un male che non ha cura ma lo si può combattere e affrontare con iniziative che tengono alto l’umore concentrando gli sforzi verso un fine collettivo: fare musica insieme, condividendo dolori e gioie. Altra emozione sono stati i bambini del coro “Piccole Note di Tissi” diretti da Laura Santucciu, una ventata di vita ed entusiasmo per tutti. Grazie a tutti, pubblico meraviglioso compreso, per questa bellissima esperienza. A medas annos

🍀❤️🍀


L’EMOZIONE NON HA VOCE

 

IL PESCATORE

Fisioterapia sotto gli olivi a cura di Elenia Maniero

Mercoledì 18 maggio