Volare si Può, Sognare si Deve!

Scriviamo un libro

COSE CHE CAPITANO (1) (L’esame per apprendista) di S. Faedda

Tanto tempo fa, quando già ero formato come operaio presso la falegnameria dove lavoravo, l’Inapli di Sassari aveva messo a disposizione un posto di lavoro che richiedeva abilità nell’insegnamento manuale agli apprendisti.

Pensando di avere quei requisiti feci la domanda e, dopo un mese circa, tramite il mio datore di lavoro, mi comunicarono il giorno e l’ora stabilita per il colloquio.

L’esame consisteva nel costruire un cassetto a misura con una tolleranza di circa tre millimetri.

Nell’arco della mia attività lavorativa di cassetti ne avevo fatto a decine per cui, ben sapendo che le giunture andavano fatte a coda di rondine, mi diedi da fare mettendoci tutto il mio impegno.

Terminato quel manufatto, la giuria mi fece i complimenti per il poco tempo impiegato e per la precisione concludendo che, a breve, mi avrebbero fatto conoscere il risultato della prova.

Nel giro di una settimana mi richiamarono, perché avevo superato la prova pratica e, in quella occasione, mi dissero che avrei dovuto sottopormi ad un’altra di cultura generale.

Davanti ad una commissione composta da tre “esperti” mi venne chiesto dove era nato Giuseppe Garibaldi: “a casa sua credo…fu la mia risposta”. Poi un po’ sbalordito per una simile domanda chiesi a mia volta: “ma a voi cosa serve? Un falegname che sappia lavorare o uno che conosca dove è nato Garibaldi?”
Allora uno dei tre esaminatori, con voce pacata rispose: “noi dobbiamo formare in maniera corretta gli apprendisti che ci vengono affidati”.
Sopraffatto dalla delusione, prima d’andar via chiesi: “e voi sapete dirmi perché la statua di Mazzini si trova all’emiciclo Garibaldi?”. Silenzio assoluto.

Andai via sbattendo la porta con la certezza che avrei continuato a svolgere la mia attività lavorativa presso la falegnameria dove ho sempre lavorato…perché così era scritto da qualche parte.

Salvatore Faedda

COSE CHE CAPITANO (2) (La mangiata degli gnocchi) di S. Faedda

Mancavano circa due mesi al nostro matrimonio quindi, per quell’anno, non avremo potuto fare il campeggio come di consueto. I nostri amici, invece, che non avevano il nostro impegno, lo organizzarono e ci invitarono a trascorrere qualche fine settimana prima del grande evento.
Per noi quella soluzione andava più che bene perciò, una domenica mattina, carichiamo la nostra 500 di frutta e verdura (giusto per non andare a mani vuote) e arriviamo a Vignola verso le 11:00. A quell’ora e con 40 gradi all’ombra, tutti i nostri amici sono già in spiaggia; ci liberiamo dei nostri indumenti e, in costume da bagno, li raggiungiamo immediatamente.
Io, che sono dotato di una sensibilità straordinaria, mi sono subito reso conto che la nostra presenza non era particolarmente gradita e, durante il bagno, ne ho parlato con la mia “quasi moglie” che, come me, aveva avvertito un certo disagio.
Dopo aver preso un po’ di sole e asciugato i costumi, risaliamo nell’accampamento dei nostri amici con la segreta speranza che le sensazioni avvertite fossero soltanto sensazioni e con la certezza di poter piazzare la nostra tenda per trascorrere con loro il fine settimana.
Mentre aspettiamo un invito, o meglio un’indicazione dove montare la tenda, un rimbalzare di domande del tipo: “quanti siamo oggi a tavola? Quanti piatti dobbiamo mettere? Quante sedie occorrono?” ci danno la convinzione che le nostre sensazioni non erano infondate e che forse era il caso di prendere bagagli e bagaglini e fare rientro a casa.
D’accordo con Anna ci vestiamo e, nel momento di congedarci, qualcuno dice timidamente: “perché non restate qui a pranzo?” Ma, ormai, il gelo aveva preso il sopravvento e senza tanti ripensamenti, ci scusiamo dicendo che altri impegni ci attendevano.
Subito mi rimpossesso della mia fisarmonica, che avevo dato loro in custodia in previsione di un nostro week end, e ci rimettiamo in viaggio alla volta di Sassari.
Dopo un paio d’ore circa arriviamo a destinazione, accompagno Anna a casa sua ed io faccio rientro alla mia. Ed ecco che succede questo: a casa non c’era nessuno perché i miei genitori erano andati in campagna, in cucina trovo sulla tavola ciò che mia madre aveva lasciato per la cena di mio padre (gnocchi, carne e tanto altro). A casa mia era risaputo che non ho e non avrei mai mangiato pasta avanzata o riscaldata ma, a quell’ora e con lo stomaco in subbuglio, senza tanti ripensamenti mi butto a capofitto su quelle pietanze.
Al rientro dalla campagna mia madre comincia ad indagare con i miei fratelli per sapere chi aveva divorato la cena, escludendo me perché ero refrattario ai cibi avanzati.
I miei fratelli si sono sempre accusati a vicenda, senza mai scoprire la verità…cose che capitano!!!!

Salvatore Faedda

Così è la vita di Nicoletta Onida

Da bambina abitavo al primo piano di un palazzo di periferia, un edificio quadrato, solido, senza ascensore, ma con scale larghe, luminose che univano i quattro piani su cui si affacciavano gli appartamenti. Vivevano lì giovani famiglie d’impiegati, insegnanti, piccoli commercianti che, pur conoscendo la vita di chi stava nella porta accanto, si limitavano ad avere, coi vicini di casa, rapporti formali.  Per i bambini era diverso. Di pomeriggio, quando il tempo lo permetteva, si ritrovavano nel cortile interno del palazzo o sul marciapiedi di fronte, dove maschi e femmine giocando separatamente, ravvivavano la monotonia della strada. La prima amicizia della mia vita nacque proprio allora; una compagna di scuola  venne ad abitare all’ultimo piano del palazzo e, in poco tempo, diventammo inseparabili. Andavamo insieme a scuola e, spesso, per vincere l’ansia delle interrogazioni, strada facendo, ci ripetevamo i versi della poesia studiata a memoria o l’ultimo capitolo di storia assegnato. Talvolta imitando la voce stridula della maestra, ridevamo a crepapelle. Le nostre giornate erano fatte di giochi sfrenati, di allegria, di ingenua complicità a scuola e di solidale affiatamento nei giochi di gruppo. Litigavamo e facevamo pace continuamente, ma con la spensieratezza della nostra età, pensavamo al divertimento senza porci domande sul futuro.

L’adolescenza portò i primi  dubbi, le insicurezze, ma anche sogni e speranze. Avevamo lasciato la vecchia casa per una più comoda e nuova; frequentavo la scuola media, avevo nuovi compagni ed insegnanti più severi. Su quei banchi nacquero, presto, nuove amicizie con cui imparai a condividere le esperienze della crescita e, in seguito, a compiere i primi passi verso l’ indipendenza. Ricordo ancora le irrefrenabili risate, le telefonate senza fine, le confessioni di piccoli segreti, ma anche le delusioni. Pian piano  mi resi conto che la vera amicizia è quella che non t’inganna, quella che ti sostiene e ti assicura la confidenza che, ad un certo punto, non  si può più avere con i genitori. E’ quella a cui ricorri per avere un suggerimento o il consiglio giusto nei momenti di sconforto e che ti aiuta a migliorare.  L’amicizia vera non si perde di vista e se gli impegni di lavoro, i doveri familiari, talvolta, ne affievoliscono il rapporto, è confortante pensare che puoi sempre contare  sul suo sostegno. Comunque la si voglia considerare, essa è indispensabile per ognuno di noi.

Giunta all’età adulta iniziò una nuova fase della vita; i giochi, le corse sfrenate, le arrampicate sugli alberi di periferia erano lontane, ma ne serbavo ancora un ricordo piacevole; ero una donna serena. Poi un giorno arrivò l’estratto conto della vita; c’era qualcosa che non andava nella mia salute e, come tanti altri, mi affidai ad un esperto, uno specialista. Fra gli altri rimedi mi consigliò un corso di fisioterapia, dove conobbi persone nuove con problemi più o meno gravi  che, come me, lottavano per non lasciarsi abbattere. Lo sconcerto iniziale venne vinto dalla solidarietà, dalla comprensione per quella insicurezza e fragilità  che anch’io sentivo ma, nonostante ciò, persisteva una certa difficoltà ad inserirmi, appieno, nel gruppo. Un pomeriggio in palestra una compagna del corso di fisioterapia, sedendomi accanto, mi sorrise e, pian piano, mi aprì il suo cuore senza vergogna. Provai subito un inspiegabile simpatia, un’emozione fatta di affabilità, tenerezza che ben conoscevo. Ci incontrammo ancora , poi, un giorno al pranzo di fine corso, le parlai di me. Quello che ci accomunava non era la sofferenza della malattia, era un dolore diverso, un dolore più intenso che non si cura con i farmaci perché sta in fondo al cuore. Dopo avermi ascoltata mi disse: – Non ci sono scappatoie, uscite d’emergenza, per sfuggire a quel tipo di dolore, bisogna andare avanti  senza paura. Fermarsi è inutile, perché, così è la vita. – Non era una frase studiata a memoria per interpretare una parte; lei, attrice esordiente, quel giorno non interpretava un ruolo. Prima di andar via ci abbracciammo; avevo trovato una nuova amica.

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II

 IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA parte II

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus 

(seguito di Il Divertimento come fonte di Dopamina)

Ciò che segue è probabilmente il capitolo più noioso dei quattro, però serve per introdurre il decorso naturale del Parkinson senza terapia, e quindi il significato delle terapie farmacologica e non farmacologica. 

La Malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva che colpisce principalmente una piccola rete di cellule nervose al centro del cervello, le vie dopaminergiche nigrostriatali deputate alla selezione e modulazione della corretta sequenza di movimenti; successivamente vengono alterati diversi circuiti neuronali che portano ad un quadro clinico caratterizzato inizialmente da sintomi motori quali tremore, rigidità, instabilità posturale, rallentamento motorio, e che durante la malattia possono trovarsi variamente associati a sintomi non motori, soprattutto dolori, insonnia, fatica, ansia e depressione, fino a problematiche psichiatriche costituite da turbe del controllo degli impulsi, allucinazioni e psicosi. Questi sintomi possono presentarsi in varie combinazioni ed a severità crescenti con la durata di malattia. I sintomi che caratteristicamente causano maggiori disagi nella Malattia di Parkinson sono quelli motori, per i quali con l’avanzare della malattia saranno necessari presidi per la postura e per la deambulazione in quanto l’ammalato non sarà più in grado di spostarsi autonomamente esponendosi sempre di più a rischi di cadute.

Per la malattia di Parkinson attualmente non esiste ancora una cura risolutiva e guarigione; per questo, l’obiettivo principale della neurologia è di gestire la patologia e l’ammalato, di alleviare i disagi, di conservare le autonomie individuali, e di cercare vie per modificare il corso della patologia per prevenire quadri clinici complessi e difficili. Il Parkinson viene tradizionalmente curato con trattamenti farmacologici; essendo essa una patologia a deplezione di dopamina, la principale cura è costituita dalla terapia sostitutiva somministrando il precursore della dopamina, la levodopa. Oltre alla levodopa ci sono altri farmaci che agiscono similmente alla dopamina, i cosiddetti dopaminoagonisti, e sostanze che aiutano a risparmiare dopamina, gli inibitori enzimatici delle MAO e COMT. Per gli stadi più avanzati di malattia, quando l’assunzione orale dei farmaci diventa difficile, ci sono le pompe di infusione di farmaco per via sottocutanea (apomorfina) oppure tramite PEG (duodopa); per casi complicati e selezionati si presta la stimolazione cerebrale profonda (DBS, deep brain stimulation). Paradossalmente, molti farmaci, e soprattutto la levodopa, possono provocare loro stessi un peggioramento della malattia, e pertanto con il corretto utilizzo dei farmaci da parte degli specialisti si possono evitare le complicazioni farmacologiche e conservare discrete qualità di vita.

Ma la sola terapia farmacologica e chirurgica non è sufficiente per gestire la malattia di Parkinson. Di fondamentale importanza è la riabilitazione neuromotoria; con gli esercizi si cerca di migliorare la postura, i cambi posturali e la deambulazione, e si rieducano gli automatismi motori, alterati a causa della malattia. Spesso le persone hanno difficoltà nei comuni atti quotidiani ed allora può essere d’aiuto la terapia occupazionale. Importante diventa il supporto psicologico per l’ammalato che a causa del rallentamento motorio e della crescente disabilità rischia di perdere il suo ruolo familiare e sociale, ma essenziale è il sostegno psicologico anche per il familiare che si trova davanti un carico assistenziale continuamente in aumento. Proprio per aiutare il parkinsoniano a riconquistarsi il suo ruolo nella vita quotidiana, possono diventare determinanti la ginnastica di gruppo dove ci si sprona a vicenda, e la teatro terapia, recentemente inserita nelle linee guida del Ministero della Sanità per le cure della malattia di Parkinson, nella quale l’ammalato torna ad essere protagonista ritrovando stimoli e responsabilità. Significativi sono, a questo proposito, i risultati della ricerca di Nicola Modugno e collaboratori (2010) che hanno osservato in un gruppo di pazienti parkinsoniani coinvolti in un laboratorio teatrale per tre anni un miglioramento di punteggio nelle scale di valutazione motorie e non motorie, e la non necessità di aumenti di terapie, rispetto ad un gruppo parkinsoniano in trattamento riabilitativo tradizionale. Questi approcci terapeutici possiedono in aggiunta il vantaggio di poter offrire agli interessati il divertimento, elemento fondamentale nelle terapie complementari, stando insieme ad altre persone con gli stessi problemi, si sdrammatizza, e si ride, il che conferisce una enorme carica psicologica ed emotiva e che supporta i progressi del lavoro fisico.

teatro3

Fino a qui lo stato dell’arte della terapia del Parkinson. Nel prossimo capitolo cercheremo di capire che cosa succede nel nostro cervello quando ci divertiamo, quando balliamo, recitiamo “Romeo e Giulietta: 40 anni dopo” oppure quando ascoltiamo musica.

(segue con Il Divertimento come fonte di Dopamina parte III)

27 giugno 2015 di Piero Faedda

Per chi non mi conosce, mi presento, Piero Faedda faccio parte dell’Associazione Parkinson come socio fondatore ed economo nel direttivo. Sono molto contento di far parte di questa Associazione, anche se ahimè  anche io faccio parte di questa grande famiglia di parkinsoniani da qualque anno. Quest’anno è stato molto importante per l’Associazione,  perché abbiamo realizzato tanto in base al programma: vedi la fisioterapia e teatroterapia, abbiamo fatto, in prospettiva per il prossimo anno, un piccolo assaggio di balloterapia e sono sicuro che ci divertiremo tanto. Poi, cosa molto importante per tutti noi pazienti, parenti e medico, la grande soddisfazione di aver organizzato la GIORNATA SASSARESE, NAZIONALE e per finire la MONDIALE. Pensate, tutto questo senza avere uno “straccio” di sede, per questo , dobbiamo ringraziare tutti noi ad iniziare dal Dott. kai Paulus e finire con l’ultimo tesserato, perché in queste “GIORNATE”, abbiamo ricevuto tanto dagli ospiti invitati dal Dott. Kai pero’ anche noi con le nostre domande penso che siamo stati bravi, rinfresco a parte, perchè li i mondiali siamo stati noi.
Un saluto a tutti arrivederci a settembre, ciao ciao. HOPS, scusate, tanto ho iniziato scrivendo 27 giugno 2015, non ricordo bene cosa è sucesso, ho guardato il nostro sito ed ho trovato delle bellissime foto. Di nuovo ciao ciao a settembre.

Un Viaggio…(fuori dal normale) di Salvatore Faedda

Quando una nostra amica ci ha chiesto di accompagnarla nel nord Italia per una visita particolare, io e mia moglie non abbiamo avuto alcuna esitazione per via dell’amicizia che ci lega. Per noi l’amicizia è una cosa seria che non ha bisogno di chiedersi né perché né per come, per cui ci siamo subito buttati a capofitto per vedere cosa fare.

Per prima cosa abbiamo cercato di far coincidere il giorno della visita con il volo aereo di andata e ritorno (questa è la prima difficoltà che noi isolani incontriamo e che ci fa sentire esclusi dall’Italia).
Il caso ha voluto che a circa 100 km dall’Istituto oncologico europeo, vivono alcuni nostri amici ai quali ci siamo rivolti per avere assistenza e ospitalità. (Dicono che noi sardi siamo ospitali per antonomasia ma vi assicuro che i nostri amici di Oleggio sono i migliori della terra).
Come abbiamo telefonato ai nostri amici Fusè-Paracchini (scrivo nomi e cognomi perché tutti sappiano ciò che hanno fatto) si sono prodigati per far si che il nostro impegno andasse in porto.
La sera prima della visita programmata, Giuseppe e Tina sono venuti a prenderci all’aeroporto di Orio al Serio di Bergamo, affrontando un viaggio di circa 200 km (andata e ritorno) in un orario abbastanza insolito.
Dopo una serie di saluti con cartelloni particolari, abbracci e baci, ci portano a casa loro dove ci attendono Angela, Luciana e consorte, Marco e Vera, cane e gatti…tutti ansiosi di conoscere la nuova ospite.
Il giorno successivo, dopo una levataccia doverosa, ci mettiamo in viaggio alla volta di Milano e con alla guida il nostro amico Giuseppe che, per arrivare puntuali all’appuntamento allo I.E.O., guida la macchina al limite della norma.
Dopo aver parcheggiato ci presentiamo all’ingresso principale e la nostra amica Jole fa vedere i documenti alla persona addetta all’accettazione che l’accoglie con un grande sorriso. Con un sistema automatico di numeri, l’addetta alla reception consegna i numeri relativi ai suoi appuntamenti con le indicazioni di locazione.
Tutta un’altra realtà!!! Io che ho diverse patologie, ho potuto valutare le differenze tra i nostri ospedali e quello dove ci troviamo. Da noi, quando vai a fare delle visite, solitamente le macchinette elimina code non funzionano e quindi ti vedi costretto a chiedere “chi è l’ultimo” e ricordare quello che arriva dopo.

Sono un grande osservatore e seguo tutto ciò che mi circonda per cui sarei anche in grado di farvi conoscere tante disavventure che mi sono capitate ma, oggi, il problema che ci interessa sono le visite che la nostra amica deve affrontare. Mentre aspettiamo, con qualche piccolo stratagemma cerco di distrarla per smorzare l’ansia che si fa sempre più tangibile.
Dopo un’intera mattinata fra visite e pause, finalmente lei e Anna escono dall’ultima visita con il viso sorridente e rilassato. Subito la tempestiamo di baci e abbracci con qualche lacrima di gioia. Io, poi, che in questo periodo viaggio con le lacrime in tasca, mi allontano con la scusa del bagno per lavare il viso e riportarlo alla normalità.
Mentre usciamo per riprendere la via del ritorno, nonostante la contentezza per le buone notizie avute, davanti ai miei occhi c’è un susseguirsi di persone che, con una radiografia in mano, aspettano il loro turno con gli occhi spenti, fissi su un tabellone che riporta il tempo d’attesa prima della sentenza finale.
Durante il viaggio Giuseppe si mette in contatto con Tina per preparare il pranzo all’ora giusta d’arrivo.
La distanza è tanta perciò, inevitabilmente, mi soffermo a riflettere sulla sfortuna che può capitare a ciascuno di noi e, allo stesso tempo, penso alla grande disponibilità dei nostri amici di Oleggio ai quali va tutto il nostro affetto. Ora siamo qui che aspettiamo con impazienza l’esito degli esami di Giuseppe per poterli avere con noi al grande evento della “Cavalcata Sarda”.

Salvatore Faedda

Lu Parkinson – Il Parkinson di Salvatore Faedda


Aggiu lu parkinson da càlchi annu
e pigliu dezi pasthìgli dugna dì.
A vosthi mi sentu bè e soggu allegru
ma càndu soggu trìsthu non mi lamentu.

Càndu mi veni la trimurédda
marasòrthi cantu è fea;
tàndu pigliu la midizìna chi mi fazi umbè sudà,
un pogu freddu e un pogu càldhu, ma daboi isthogu be.

Ma lu nosthru Dottor Paulus
dugna tantu zi incuraggia
e zi dizi chi la scienza
già è fendi passi manni.

Noi vi cridimmu e vi ipiremmu assai
e, sigumenti, zi intindimmu forthi
semmu priparendi una commedia
cun tutti l'altrhi di la cumpagnia.

Candu femmu li probi chi zi fazzini ridì,
zi intindimmu ripagati di tutti li sacrifizi
e puru lu duttori zi poni alligria
acchì, pa tutti noi, è chissu chi vi vò
Salvatore Faedda
Ho il parkinson da qualche anno
e ogni giorno prendo dieci pastiglie.
A volte sto bene e sono allegro
ma quando sono triste non mi lamento.

Quando mi viene la tremarella
malasorte...quanto è brutta;
allora prendo le medicine che mi fanno sudare,
un po' freddo e un po' caldo ma poi sto bene.

Ma il nostro Dottor Paulus
ogni tanto ci incoraggia
e ci dice che la scienza
sta facendo passi da gigante.

Noi ci crediamo e ci speriamo molto
e, siccome ci sentiamo forti
stiamo preparando una commedia
con tutti gli altri della compagnia.

Quando facciamo le prove che ci fanno ridere
ci sentiamo ripagati di tutti i sacrifici
e pure il medico ci mette allegria
perché, per tutti noi, è quello che ci vuole.
Salvatore Faedda

 

A Peppinu Achene di Franziscu Antoni Simula


Su male chi c'hat postu in discussione

sa mira (1) e-i sos progettos de una vida

nascher deviat in atera nassione

pro iscansare sa mal'accudida.



Lu ido chi 'ene no l'hasa leada

cust'attinzione de sa mala sorte.

“Poite -ti domandas- m'est falada

custa batosta seria che morte?



“Propriu a mie deviat capitare

custu malannu chena mancu sensu

a mie chi m'onoro 'e cumbidare

amigos e istranzos de ogni cunsensu (2)



cun binu fattu cun sas manos mias

chi como fragelladas sempre piusu

sunt,dai unu tremulone senza pasu

chi mezus haia cherfidu 'inu a rasu”.



Franziscu Antoni Simula
Il male che ha messo in discussione

gli obiettivi e i progetti di una vita

doveva radicarsi altrove

per evitare la mal-arrivata.



Lo vedo che non l'hai presa bene

Quest'attenzione della mala sorte

“Perché-ti domandi-mi è piombata

questa disgrazia grave come morte?



“Proprio a me doveva capitare

questo malanno senza senso alcuno

a me che mi onoro di invitare

amici ed estranei di ogni opinione

con vino fatto con le mie mani

che adesso sempre più son tormentate

da un forte tremore senza tregua

che meglio avrei voluto vino a raso



Francesco Antonio Simula

(1) mira= obiettivi- prospettive

(2) cunsensu= opinione