La mia Terra poesia scritta da G.B.
g.b.
g.b.
L ‘Associazione Parkinson Sassari ha fatto – 13 – !! , proprio così, mercoledì 13 – novembre, al palazzetto dello Sport di piazzale Segni, una nutrita rappresentanza di associati ha fatto conoscenza con un nuovo “generatore dopaminico – il suo nome mitico è DI-NA-MO.
La new entry , col “botto” – visto il risultato finale – è la DINAMO BASKET Banco di Sardegna Sassari: squadra ai vertici della serie A , con una lunga militanza nel Basket nazionale con successi anche Europei.
Confermando il suo prezioso impegno nel sociale, il Presidente, Dottor Stefano Sardara, coadiuvato dalla sollecita e gradevole presenza della Dottoressa Viola Frongia che ha curato la logistica, ha consentito al gruppo Parkinson Sassari convenuto al palazzetto dello Sport , una “scintillante “ospitata” che ha goduto di una festa …. fatta di spettacolari canestri all’ultimo secondo, schiacciate, bombe, e adrenalina allo stato puro, condita da un risultato finale debordante – 90 Vs 67 – con un avversario (Strasburgo) “stralunato” fin dalle prime battute e già alle corde fin dal primo quarto.
Il tutto poi, si è tradotto in un esuberante pieno di dopamina: vitale energetico allo stato puro e, ulteriore attività terapeutica complementare, aggiunta alle altre già praticate dall’Associazione (fisioterapia mirata – canto – teatro – ballo/movimento terapia), nei programmi quotidiani.
Un sentito ringraziamento, per questa nuova esperienza al Palaserradimigni , va a tutta la dirigenza della Società Dinamo Banco di Sardegna, da parte del Presidente Franco Simula e di tutti gli associati , con l’auspicio di proficua continuità, in nuovi eventi sempre graditi.
g.b.
Sembrava vendere salute quando spuntava dalla porta d’ingresso del
salone dei nostri incontri, accompagnato dalla moglie Maddalena
vigile custode, care-giver fedele di ogni suo spostamento. Perché il
Parkinson, nel suo infido polimorfismo, aveva aggredito Giovanni
interessando il centro dell’equilibrio e costringendolo a rovinose
cadute all’indietro. Il suo fisico era tozzo e forte ma non poteva
reggere a lungo al ripetersi di tali dannose cadute: infatti l’ultima gli è
stata fatale.
Da tranquillo impiegato nella 4° circoscrizionale del Comune di
Sassari è transitato direttamente alla malattia: senza ferie, senza
sereno periodo di meritato riposo
Giovanni aveva una maniera originale tutta sua personale di
esprimere la sua simpatia che manifestava soprattutto nell’ora del
canto che gli piaceva tanto. Spesso, quando nessuno se
l’aspettava, con voce possente e appassionata intonava la canzone che
certamente riscuoteva il suo più alto gradimento:” No potho reposare
amore ‘e coro”. Qualcuno lo seguiva nel canto, qualche altro sorrideva,
e Giovanni si meravigliava che tutti gli altri non si unissero al canto
facendo coro con la canzone d’amore più bella di Sardegna.
Spontaneo e innocente in alcune sue manifestazioni nei rapporti
sociali. Una sera mi notò addosso un paio di bretelle:”Che belle queste
bretelle le vorrei anch’io”. Nel giro di ventiquattro ore venne
accontentato con grande sua soddisfazione. Una soddisfazione
ingenua da bambino.
La scomparsa di Giovanni ci ha profondamente commossi anche
perché avvenuta in maniera inaspettata e tragica.
A uno slargo dei Bastioni di Alghero, occupati in parte da desueti cannoni e catapulte spagnole, non approda solo Barabba per deliziare i passanti con le gradevoli note della sua chitarra che il prossimo mese, esporterà con le sue melodie in quel di Barcellona; ai Bastioni, o meglio alla “Muraglia”,così denominata dagli algheresi, confluiscono molti altri personaggi, amanti della musica, che si esibiscono per il solo piacere di rendere meno insopportabili a sé e agli altri queste calde giornate di afa agostana.
I più assidui frequentatori della ormai nota “postazione ” musicale della Muraglia sono: il versatile Louis Doppio che sa suonare e cantare qualsiasi tipo di canto in lingua sarda; è una guida turistica poliglotta che incanta i passanti cantando soavemente in spagnolo, in napoletano in romano Ma non è solo. Spesso lo accompagna Pietro, meglio noto come “il Conte” per il suo portamento sussiegoso. Bravo chitarrista anche da solo, talvolta mal s’adegua a far da “spalla” a qualcuno e non già per carenza di talento ma solo perché arriva tardi all’incontro. La terza chitarra è Armando: l’osservatore silenzioso che quando si scatena sulle corde della chitarra è inarrestabile.
Il trio è stato ribattezzato “il trio delle meraviglie” per l’intesa e l’affiatamento che tre “prime donne” riescono a raggiungere quando sono motivati dall’ispirazione ritmica della musica, o quando riescono a “temperare” le corde vocali con qualche bicchiere di birra.
Al trio si uniscono anche Tore e Paolo con qualità artistiche più che accettabili certamente con meno pretese da prime donne, il che non guasta in un gruppo che ha necessità più di coesione musicale che di fughe solitarie. Tore e Paolo, entrambi caratterialmente tranquilli suonano rispettivamente le nacchere e la batteria e riescono ad ottenere un amalgama convincente con le tre chitarre guidate dall’estro libero dei chitarristi.
La notte del 24 agosto. la Muraglia e il suo popolo composto da residenti e “accudiddi”, ha vissuto
una serata memorabile. Le tre chitarre, un po’ all’unisono, un po’ affidandosi istintivamente al personale caos ritmico accompagnate dalle calde e palpitanti cadenze di nacchere e batteria hanno creato un’atmosfera di così intenso coinvolgimento che un gruppo di ragazze spagnole si è lanciato in un ballo sfrenato che ha trascinato Louis ed altri in una improvvisata e bellissima coreografia da festa paesana. Il ballo tzigano scaturito spontaneamente da una musica che appariva caotica ma aveva un’efficacia così trascinante che molti spettatori incuriositi si erano improvvisamente trasformati in abili ballerini.Intanto Paolo, per un attimo, aveva ceduto la batteria a un batterista milanese – Alessandro che in men che non si dica era entrato in ”
trance” suonando la sua musica prediletta, mentre Tore, dimenticando per qualche ora i suoi problemi suonava le nacchere con un ritmo e un’intensità da giocoliere. Come gli prescrive il suo medico curante.
Il tanto vituperato popolo della MURAGLIA si era preso la sua splendida rivincita suonando istintivamente – attraverso alcuni artisti da strada – bellissime musiche scaturite spontaneamente dal cuore.
E se questi giovani avessero avuto uno spazio adeguato invece della strada che cosa sarebbero stati capaci di fare?
Franco Simula
BARABBA
27 Luglio 2019, ore 24. Piazza Santa Croce è deserta, silenziosa. Sembra offrire uno scenario irreale, completamente diverso da quello che si gode tutte le sere quando è animata da mille passanti che, come formichine impazzite si scontrano, si fermano, cambiano direzione, salgono sul bastione a “difendere le mura della città da possibili attacchi pisani o genovesi”. Mezz’ora fa si è scatenato un violento temporale che, come per incanto, ha ripulito tutto ciò che c’era di superfluo e di sporco stratificato. Cessata la tempesta, l’aria è diventata fresca, tenera, inebriante, amica, completamente diversa dall’afa opprimente dominante fino a poco prima. Nonostante il bel fresco, la passeggiata si era interrotta per la pioggia battente e improvvisa, annunciata ripetutamente nel corso della serata con tuoni e lampi in lontananza. Solo qualche coppia di amanti della natura aveva deciso di sfidare la possibile ripresa dell’acquazzone perché nel cielo non si vedevano stelle, e ogni tanto qualche bagliore brillava in lontananza. Intanto un signore, solitario, incede nella piazza e realizza in un attimo che gli appartiene tutta, tutta per sé, padrone della piazza. Tasta con la mano una sedia di ferro semibagnata, sembra che vada bene: si accomoda tutto soddisfatto, finalmente può iniziare il complesso ma piacevole rito del caricamento della pipa e della sua accensione. Occorrono effettivamente alcuni tentativi prima che l’uomo, finalmente soddisfatto, cominci a tirare lunghe boccate. Si intravedono ampie volute di fumo dissolversi lentamente nell’aria ancora umida di pioggia. In lontananza si sente la voce di qualche cameriere che smonta dal lavoro e passa frettoloso attraverso i vicoli. A mezzanotte, dopo un violento temporale, questa è la solenne quiete che regna in piazza Santa Croce. Intanto, non smette di attirare la mia attenzione l’uomo solitario che finalmente gode il fumo della propria pipa. Ma chi è? Mi sembra di conoscerlo, nella penombra. Mi sembra Pietro Ledda, alias “Barabba”. No, non è lui, anche se assomiglia.
Pietro Ledda “Barabba”
Il Barabba vero ha l’aspetto di un patriarca biblico: alto di statura, viso altero e squadrato, sguardo fiero, ammaliante e volitivo, tipico delle guide e degli uomini avvezzi al comando. Capelli lunghi raccolti a crocchia sopra la nuca, abiti bianchi e fluenti, come i mantelli dei tuareg del deserto. Nel suo complesso il fisico appare possente, anche se si appoggia ad un bastone nodoso, di ginepro, lavorato a mano, e formato da due rami intrecciati che sembrano due serpenti avvinghiati in un interminabile amplesso d’amore. Dove abita Barabba? In una casa di pochi metri quadri del centro storico di Alghero. Troppo piccola per un talento come il suo, che di una casa di dimensioni più ampie avrebbe fatto una casa del canto e del suono, dove certamente avrebbe offerto ospitalità alla voce dolce e garbata di Claudia Crabuzza, donna dal carattere mite che ben si lega col temperamento forte di Barabba.
Claudia Crabuzza
Come Diogene si accontenta di vivere in uno spazio poco più grande di una botte ma dove c’è di tutto: dall’arpa in restauro ai minuscoli vetrini ricuperati nel “solaio” che è la mini-spiaggia riservata degli abitanti della “muraglia”. Accanto al numero civico, una targhetta con la scritta “Aquì vive un mùsico”. Non basta scriverlo per esserlo, ma lui, Barabba, lo ha scritto perché lo è. Infatti suona con disinvoltura la chitarra e in contemporanea anche l’armonica, che -a tratti, però- deve accantonare per poter cantare con Claudia le belle canzoni algheresi. Suona anche l’ocarina e il violino, e quando avrà pronte le corde suonerà anche l’arpa. Un particolare che colpisce chi osserva Barabba è l’originale e fantasiosa foggia nel vestire: indossa con disinvoltura il saio del patriarca biblico o del pastore nomade del deserto, o una grande paglia nera, rotonda, a falde larghe, somigliante molto a Morgan, corsaro del Settecento. E tutto indossa con gran disinvoltura, come un attore consumato che sta interpretando la parte di protagonista dell’ultimo film. Invece Barabba sta interpretando spontaneamente sè stesso. In effetti leggere Barabba non è semplice, perché è in grado di interpretare oggi un personaggio e domani il suo contrario. Barabba. Da dove viene questo soprannome? Intanto gli è stato affibbiato per caso, come conseguenza di una delle sue trovate che nascevano nella mente vulcanica di Pietro. Durante il periodo dell’adolescenza Pietro frequentava, come tutti i suoi coetanei, d’altronde, la bella chiesa di San Francesco in stile gotico-aragonese. La frequenza della chiesa non era connessa a particolari devozioni da parte di Pietro, oh, manco per sogno!, ma alle svariate attrattive organizzate da Padre Simone, un frate del convento che aveva messo su un oratorio per ragazzi perfettamente funzionante. Non solo con ping-pong e calcio-balilla, ma soprattutto con una sala cinematografica. Il sogno di Pietro Ledda. Che a dire il vero era il più vivace dei ragazzi ma in tutti i sensi: non solo nell’architettare monellerie, ma nella scelta della varietà dei giochi. Un giorno Pietro ne combinò una grossa: mentre Padre Simone sorvegliava i ragazzi leggendo mezzo distratto una rivista, Pietro, approfittando di questo momento di rilassamento, con una funicella legò i sandali del frate a un banco su cui sedevano alcuni ragazzi, che a un tratto avevano cominciato a lamentarsi perché qualcuno aveva lanciato dell’erba puzzolente. La programmazione della serata prevedeva la proiezione del film “Barabba”. La puzza dell’erba aveva scatenato un parapiglia fra i ragazzi. A questo punto anche padre Simone provò ad alzarsi dalla sua postazione per ristabilire un po’ d’ordine, ma suo malgrado si trovò intrappolato con i sandali legati ad un banco. Padre Simone in un attimo capì tutto, e anche Lui perse la pazienza e andò in escandescenze: “Questo è stato Pietro Ledda! Barabba, maledetto Barabba!”. Così nacque un secondo Barabba, meno famoso del primo che se l’era giocata con Gesù Cristo e aveva vinto. Mentre Pietro Ledda aveva avuto la piccola soddisfazione di fare uno scherzo un po’ pesante al povero padre Simone. Dio l’abbia in gloria. Prima di morire chiese di parlare con Barabba. Venivano cancellate in un attimo tutte le marachelle che aveva combinato a padre Simone in tanti anni.
(franco simula)
L’INVETTIVA
Nelle notti immote, quando per la TUA perfidia
non arriva il giusto riposo, con la mente,
ripercorro i sentieri aspri dove mi hai confinato,
così sgorga veemente la mia più feroce INVETTIVA :
Da vigliacco quale sei , silenziosamente,
con movenze feline,
ti sei insinuato proditoriamente
nelle pieghe profonde del mio essere
col preciso scopo di devastarmi l’anima,
logorando le mie resistenze e straziandomi le membra,
rendendomi succube del tuo insano progetto,
DEMONE che sei !
Per riconoscerti ho dovuto faticare anni , subendo
umiliazioni dal mio corpo che vagava incerto,
senza controllo, alla tua sola dipendenza.
Ho passato il tempo a chiedermi perché ?!
Non trovando alcuna risposta,
ho imparato a conoscere il dolore e la sofferenza
ma non mi sono arreso,
Ti ho confinato nei recessi più remoti della coscienza
incatenandoti al ceppo dell’ignavia , relegato in catene
per non sentirti e poterti ignorare.
Ma tu, sei infido come una serpe, e lo dimostri ogni volta
che le mie resistenze vacillano, sento che le catene
che ti imprigionano stridono e si assottigliano
per il tuo furioso dibatterti, sento che vuoi ritornare
al tuo ruolo infame, per essere ancora padrone del
mio tempo e rendermi giullare nelle tue mani.
Ma ho imparato a combatterti e la mia volontà
è più forte del tormento che mi infliggi, e con te ,
ingaggerò una lotta cruenta, combattente armato
di sciabola tagliente per decapitare la tua infamia,
e non darti vantaggi in questa disputa senza tempo.
Questo, fino a quando avrò vita !
Il tuo acerrimo nemico.
IO , Principe del tormento, sentendo i tuoi “finti” propositi,
rido …… e rido fino alle lacrime……Tu, non puoi nulla contro di ME !
Hai ragione, sono infido, subdolo, infame , ma da RAPACE
quale so di essere, non ti darò tregua , mai , e che battaglia sia !
Il tuo odiato compagno !
Continui la tua ignobile recita , stonata , becera,
consapevole di avere i giorni contati, perché già sai …
che oltre alla mia incrollabile volontà a combatterti,
presto verrai annientato dalla SCIENZA !!!
Ho pronto il tuo epitaffio : Qui giace l’ INFINGARDO,
che nella sua infame esistenza ” visse seminando veleni”
e alla fine ” raccolse solo improperi ”
AMEN.
g.b.
In occasione di un incontro organizzato fra l’Associazione Parkinson Sassari e i bambini della quarta e quinta elementare dell’istituto figlie di Maria, anche io decisi di partecipare alla manifestazione.
Le mie condizioni non buone mi preoccupavano e cercavo un modo per essere al meglio nell’incontro con questi bambini. E allora mi venne in mente il periodo della mia fanciullezza che coincideva con la fine della guerra e con i problemi che ne derivarono.
Ricordo che a otto anni, finita la terza elementare, mio padre mi portò in campagna e mi insegnò a raccogliere le spighe di grano che la falce non riusciva a recuperare perché troppo in basso. Quel lavoro iniziò a farmi sentire meno bambino.
Ritornai a scuola senza mancare mai e anche con merito. Finita la quinta finì anche il mio periodo da bambino e iniziò la mia vita da lavoratore a tempo pieno. Questo era diventato motivo di malumore tra mio nonno e mio padre.
Mio nonno voleva che continuassi ad andare a scuola ma mio padre non ne volle sapere . Col passare del tempo capii che mio nonno vedeva giusto.
Valutando tutto questo, il fatto di dovermi presentare a questi ragazzi in condizioni non buone mi tormentava.
Così decisi di posticipare l’assunzione dei farmaci in modo che la mia autonomia fosse più lunga. Arrivato a destinazione mi inserii in un gruppo di bambini che mi guardarono stupiti e mi invitarono a giocare con loro. In quel momento una ventata di gioventù mi prese in pieno. Scherzavo con loro saltavo più di loro … in me era subentrata un’energia sconosciuta.
Durante la ricreazione fu offerto un buffet . Io presi anche qualcosa per i bambini . Da loro ricevetti un bel grazie. Quando ricominciammo a fare gli esercizi alcuni bambini mi chiesero il mio nome e così cominciarono a chiamarmi nonno Peppino.
L’insegnante mi invitò a fare l’ultimo esercizio e impacciato feci roteare un nastro non come altre volte ero riuscito e così riprovai. Fui circondato dai bambini e in quel momento avevo capito: ero diventato uno di loro. L’incontro stava volgendo al termine e mi accorgo che mister Parkinson stava iniziando a togliermi quell’energia che mi aveva fatto vivere una mattina come mai avevo sperato. Ormai il giocattolo si stava rompendo , volevo scappare, non mi volevo far vedere di non essere più quello di prima.
Acconsentii di buon grado a fare con loro le fotografie. Intanto SU NEMIGU si stava approfittando di me e così mi impegnai che sarei tornato a stare un po’ con i bambini che erano commossi e scappai anche perché stava per sopraggiungere il magone.
Ringrazio la direzione dell’istituto e tutti quelli che hanno voluto questo incontro ed in particolare dott. Paulus per avermi dato la possibilità di sentirmi utile con questi fantastici bambini.
Nonno Peppino Achene
VISITA A TRAMARIGLIO
Sabato 30 marzo 2019, l’Associazione Parkinson Sassari ONLUS ha effettuato una gradevolissima visita a Tramariglio.
-Il viaggio è stato realizzato anche grazie a un contributo messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio Regionale. La giornata di quest’inizio di primavera, bellissima e inondata di sole, ha caratterizzato almeno la metà dell’ottima riuscita della visita che non è stata la solita gita spensierata fuori porta perché ha riservato dei risvolti culturali molto interessanti. L’organizzazione di Dora puntuale e ineccepibile, ha rappresentato l’altra metà di una giornata indimenticabile e di notevole interesse culturale Tramariglio, in passato, era nota più come colonia penale che per il suo mare cristallino circondato da un manto di verde di mille tonalità: cisto, lentischio, ginepro, corbezzolo, oleandro. Ora il luogo di sofferenze è stato trasformato in spazio museale di grande pregio: oltre alla raccolta di registri vari che raccontano le tristi storie dei vecchi detenuti, è stata allestita una esposizione di tutti gli uccelli che nidificano nella zona. Altri spazi, invece, sono utilizzati come immenso laboratorio da Elio Pulli geniale figura di artista che lavora indifferentemente e con grande e abile talento le tele, la ceramica, e svariati altri materiali come il legno e le radici degli alberi: uno, in particolare, colpisce per la spettacolarità dell’elaborato: ti trascina immediatamente all’immagine della
Medusa del Caravaggio, con i capelli-serpenti selvaggiamente intricati, ricomposti e rivitalizzati da una “bufera infernal che mai non resta”. La più bella scultura lignea del laboratorio-mostra. Non si può non rimanere incantati osservando le inimitabili ceramiche smaltate con colori iridescenti che raccontano la fantastica fiaba del Piccolo Principe.
Un altro passaggio esaltante è rappresentato dagli elmi “donchisciotteschi” enfatizzati da una fantasmagoria di colori applicati per poter sconfiggere più agevolmente l’improbabile nemico con i loro riflessi abbaglianti. Figlio d’arte, ha saputo utilizzare al meglio il talento del padre Oronzo Pulli – scultore che la città di Sassari ha voluto ricordare intitolandogli una via. Abbiamo avuto l’occasione di conoscere oltre a un raffinato artista, un irresistibile e simpatico affabulatore che ci ha deliziato con una serie di gustose barzellette in sassarese che hanno posto un gradevole sigillo a una indimenticabile giornata. Che dire dei 55 parkinsoniani? Tutti puntualmente stanchi ma soddisfatti anche per l’estemporanea visita a Capo caccia: anche solo visto dall’alto rimane sempre e per tutti uno spettacolo mozzafiato.
Franco Simula
Sabato 30 marzo 2019, l’Associazione Parkinson Sassari ONLUS ha effettuato una gradevolissima visita a Tramariglio.
In passato, era nota più come colonia penale che per il suo mare cristallino circondato da un manto di verde di mille tonalità: cisto, lentischio, ginepro, corbezzolo, oleandro. Ora il luogo di sofferenze è stato trasformato in spazio museale di grande pregio: oltre alla raccolta di registri vari che raccontano le tristi storie dei vecchi detenuti, è stata allestita una esposizione di tutti gli uccelli che nidificano nella zona. Altri spazi, invece, sono utilizzati come immenso laboratorio da Elio Pulli geniale figura di artista che lavora indifferentemente e con grande e abile talento le tele, la ceramica, e svariati altri materiali.
Franco Simula