La MORTE di Paolo Marogna – testo di Franco Simula
La morte. Paolo aveva evocato la morte in tante delle sue bellissime poesie che aveva composto negli anni raccogliendo quel che a mano a mano gli dettava il cuore fino a trovare riuniti in poco più di quaranta umili paginette i segni connotativi di una filosofia semplice fatta di “mille domande a cui non sai rispondere o meglio di cui temi la risposta”. Non omnis moriar ( non morirò interamente) diceva Orazio pensando certamente all’immenso patrimonio poetico lasciato in eredità ai posteri . Paolo, che spesso aveva chiamato la morte come un rifugio sicuro non verrà obliato del tutto perché uno scrigno prezioso, contenente i suoi versi malinconici e a volte tragici, ci riproporrà per sempre i suoi momenti lieti, le sue riflessioni tristi, le sue sofferenze patite in silenzio perché Paolo era di grande dignità anche nel dolore.
Qualche mese prima della morte di Paolo avevo cominciato a scrivere qualche riflessione sul mio incontro con Paolo persona e con Paolo poeta di cui avevamo cominciato a pubblicare le poesie con brevi commenti sul sito dell’Associazione Parkinson, poi avendo notato una certa assuefazione alla poesia di Paolo che sembrava non rappresentare più un evento letterario, rimandammo la pubblicazione dei testi poetici a tempi migliori. La morte di Paolo si è assunta l’onere di anticipare questi tempi. Ora Paolo si trova nello spazio infinito che a lungo ha desiderato occupare,più in alto del sole e delle stelle. Lì potrà vivere la libertà assoluta sognata per una vita, lì incontrerà i venti con cui colloquiava quotidianamente e da cui aspettava risposte alle tormentate domande che lo assillavano, lì riproverà” a non perdere il piccolo piacere malato di restare solo”. Lì troverà il “Dio di Misericordia” e gli chiederà “Dove eri tu…quando la terra ha tremato…e una trave…mi ha schiacciato…e con me il mio domani e quello dei miei bambini. Io sono morto e son venuto a cercarti per sapere il PERCHE’.” E vorrei anche rivolgerti tutti i perché incomprensibili che avvelenano questo mondo: i bambini innocenti che muoiono di malattie e di fame senza colpa alcuna; le persone e le cose che si rivoltano contro, quasi mi dispiace di non credere più in un Dio da pregare o bestemmiare”.
L’incontro con Paolo ha avuto momenti scanditi da particolari unici e significativi. Meraviglioso. Dal silenzio più profondo, che appariva come l’atteggiamento a Lui più congeniale, al più clamoroso ed eclatante dei risvegli. Due brani di poesia presentati una sera in maniera un po’ movimentata, hanno costituito “l’incipit” della sua rivelazione come poeta. Due poesie fra le più belle -a mio giudizio, delle quarantanove poesie ( compresa una dedicata agli amici Tonino e Adelaide per i 50 anni di matrimonio) contenute nella attuale provvisoria raccolta che, per non velare assolutamente la propria condizione di uomo sofferente, ha voluto intitolare Casa Parkinson. Siamo nel 2019, Paolo Marogna; da circa due anni frequenta l’Associazione Parkinson ma non mette in evidenza nessuna particolare propensione salvo quella connessa alla sua professione di commercialista che gli consente di rendersi subito utile all’associazione attraverso la compilazione del bilancio annuale. Nessun indizio, invece, che possa far pensare a un Paolo Marogna letterato, appassionato lettore di buoni romanzi e con sorpresa di tutti poeta. Poeta delicato, sensibile,dal linguaggio semplice quasi naif, ma dalle riflessioni profonde che afferiscono ai problemi che tormentano maggiormente il pensiero umano; dalla morte all’amore in tutte le sue svariate sfaccettature, dalle incomprensibili sofferenze degli innocenti alle catastrofi che in un attimo cancellano dalla faccia della terra migliaia di persone ignare del triste destino che le aspetta. Il tratto comune che caratterizza tutte le poesie è quello costante della semplicità: sembrano conversazioni confidenziali fatte al bar con un amico.
Una sera, dunque, Paolo arriva nel salone dove si tengono le varie esercitazioni programmate, tiene qualcosa in mano ma non si riesce a stabilire con esattezza di che cosa possa trattarsi: sembra una busta. Durante uno dei tanti movimenti che gli sono necessari prima di sedersi, la busta gli cade dalle mani, qualcuno si precipita a raccogliere “l’oggetto” che sembra essere molto prezioso. Paolo, ringraziando, riprende la busta, la depone sul piano di una sedia e ci si siede sopra. Stavolta finalmente è sicura.
Non so proprio se quella sera Paolo abbia pensato più al contenuto della sua busta che al Vecchio Frak, il quale sempre elegante ma ormai rovinato e disperato si lascia scivolare nelle acque del fiume. Certa è una cosa, appena finita la lezione del canto, Paolo prende la preziosa busta che ha persino rischiato di perdere e, vincendo la sua naturale ritrosia, mi viene incontro e consegnandomi la busta “Leggile-mi dice- ci sono due mie poesie vedi se vanno bene”. E sapendo che sono un ex insegnante di lettere, con grande umiltà (altro suo segno caratteristico) aggiunge:”Se c’è qualcosa da correggere fallo pure con la massima libertà”.
Fatta qualche eccezione per la punteggiatura -che peraltro rappresenta un aspetto molto soggettivo della grammatica italiana- i concetti dei vari brani poetici erano semplici, lineari, chiari, non davano adito a interpretazioni controverse mentre inducevano a ulteriori riflessioni. In mezzo alla confusione dell’uscita rimando l’apertura del plico, ma appena arrivato a casa apro il prezioso scrigno e trovo le poesie di cui parlavo poco prima , ancora col titolo provvisorio di “Considerazioni”: in una successiva catalogazione più razionale prenderanno rispettivamente il titolo di “Maestrale” e “Compagni di Viaggio”. Due delle poesie più belle del compendio -dicevo poc’anzi- rappresentano una,”Maestrale”, una metafora della vita fatta di prove, vittorie, sconfitte e con una sola allusione, il vento di Maestrale, a quella che è stata la passione di una vita il volo su quegli aerei ultraleggeri da diporto, che costituivano il suo mondo fatto di libertà, aria libera. La seconda poesia “Compagni di viaggio” rappresenta un programma di vita in cui due persone che vivono insieme -due coniugi, due amici, due parenti- cercano la giusta strada anche se non sempre è la più facile. Ma per trovarla bisogna anche… saper tornare indietro quando ci si accorge di aver preso quella sbagliata”. Questo è il Paolo ottimista che vede cieli sereni, che spera ancora nel futuro; ma presto sentirà “tutta la tristezza e la malinconia di un mondo che si dissolve”, come una vela che si allontana sul mare di cui si ha certa solo la partenza, Mentre il ritorno è solo una speranza”.
Franco Simula