Volare si Può, Sognare si Deve!

ANCORA NIENTE NOVITA’ PER L’ALZHEIMER di Kai S. Paulus

(Pillola n. 64)

Le malattie neurodegenerative sono tecnicamente malattie di alcune, sorprendentemente poche, proteine, cioè di alcuni mattoni che costituiscono le cellule nervose, i neuroni. Nelle varie malattie possiamo osservare la prevalenza di una o due proteine, alterate o difettose, per cui non funzionano bene determinati circuiti, e così parliamo di malattia di Parkinson quando è difettosa l’alfa-sinucleina, si accumula nelle celle cerebrali e disturba il loro corretto funzionamento, mentre nella malattia di Alzheimer sono alterate altre due proteine, la beta-amiloide e la proteina tau. Ma di tutto questo parleremo in una prossima ‘Pillola’.

Ora vorrei informarvi sugli enormi sforzi della scienza nel campo delle patologie neurodegenerative alla ricerca di risposte e cure più efficaci.

E’ intuibile che alcune linee di ricerca sono indirizzate direttamente all’eliminazione di quelle proteine difettose, per liberare e proteggere la cellula e per farla funzionare correttamente, e per, infine, guarire la malattia. Ma sinora si sono riscontrate grossissime difficoltà, come mostra l’attuale ricerca di anticorpi contro la proteina tau:

Il microtubulo, struttura portante di ogni cellula nervosa. In alto, lo schema di una cellula nervosa con corpo cellulare contenente il nucleo e l’assone con all’interno il microtubulo; in basso, la struttura perfetta di un microtubulo.

La proteina tau è una importantissima proteina strutturale nella cellula nervosa, dove è di vitale importanza per la composizione dei cosiddetti microtubuli, strutture assonali che servono sia come struttura portante dell’assone, sia come mezzo di trasporto del neurone, attraverso il quale la cellula può trasferire velocemente nutrimento e mattoni dal corpo cellulare fino alla periferia cellulare, la terminazione assonica e la sinapsi, struttura terminale dell’assone con cui le cellule nervose si trasmettono le informazioni.

Ora, quando la proteina tau è alterata, non può mantenere i microtubuli nella giusta configurazione, e quindi il neurone muore, il circuito non funziona più, e quindi, nel caso dell’Alzheimer, si perde la memoria.

L’idea di per sé è semplice: togliere l’elemento che disturba, in questo caso gli aggregati della proteina tau alterata.

La scienza è attualmente impegnata a trovare degli anticorpi in grado di neutralizzare queste proteine alterate che per la cellula sono altamente tossiche.

Per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, si stanno studiando diversi approcci per modificare il decorso della malattia, soprattutto cercando di sviluppare degli anticorpi in grado di combattere ed eliminare molecole e proteine dannose per la cellula. La malattia di Alzheimer è notoriamente caratterizzata dalle placche di beta-amiloide che distruggono i circuiti cerebrali, e pertanto si è cercato di creare degli anticorpi monoclonali diretti contro di esse (Aducanumab, Lecanemab, Donanemab, ecc.) che però sinora non si sono rilevati efficaci oppure correlati a importanti effetti collaterali. Allora la ricerca si sta indirizando verso l’altra proteina responsabile della demenza, la proteina tau alterata. Ma come riferisce lo studioso statunitense Adam Fleisher, insieme ai suoi colleghi, nel lavoro appena pubblicato, la somministrazione del nuovo anticorpo Zagotenemab non ha portato ad alcun miglioramento. Questo è verosimilmente dovuto al fatto che l’anticorpo ha difficoltà ad entrare nella cellula, e per questo motivo, non riuscendo ad eliminare la proteina tau alterata, questa strategia terapeutica non riesce a modificare la progressione della malattia di Alzheimer, almeno non ancora.

Continueremo a seguire da vicino questi affascinanti studi perché essi sono fondamentali per tutte le malattie neurodegenerative, e quindi anche per il nostro rapace infingardo.

L’argomento è affascinante quanto difficile. Però dovremo abituarci ai meccanismi cerebrali danneggiati da proteine ‘impazzite’ ed a nomi di anticorpi monoclonali impronunciabili, perché questi scenari saranno il prossimo futuro dei trattamenti delle malattie neurodegenerative.

 

Fonte bibliografica:

Fleisher AS, Munsie LM, Perahia DGS, Andersen SW, Higgins IA, Hauck PM, Lo AC, Sims JR, Brys M, Mintun M, Periscope-ALZ Site Investigators. Assessment of efficacy and safety of Zagotenemab; results from Periscope-ALZ, a phase-2 study in early symptomatic Alzheimer Disease. Neurology, 2024; 102 (5): doi.org/10.1212/WNL.0000000000208061.

USO DEI FARMACI NELLE PERSONE ANZIANE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 64)

Ho appena seguito un illuminante corso sullo “Uso di farmaci nell’anziano” promosso dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri (FNOMCEO), che mi è apparso molto interessante per la gestione della persona anziana con polipatologia.

In questo corso è stato presentato il rapporto dell’Osservatorio Impiego Medicinali della Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), relativo al 2022, anno in cui la popolazione italiana oltre i 65 anni contava 13,9 milioni di persone con netta prevalenza femminile. Questa ampia popolazione assumeva in media 7,6 farmaci diversi, in prevalenza per malattie dell’apparato cardiocircolatorio (80%), seguito da medicinali dell’apparato gastrointestinale e del metabolismo (64%) che includevano soprattutto gastroprotettori ed ipoglicemici.

L’utilizzo dei farmaci nella persona anziana comporta diversi problemi che sono stati individuati in queste sei situazioni seguenti:

  1. Politerapia: la presenza di diverse patologie necessita l’assunzione di farmaci diversi
  2. Aderenza al trattamento: specie nelle malattie croniche l’aderenza, cioè lo scrupoloso seguire delle indicazioni mediche, nel tempo è fondamentale per ottenere l’efficacia voluta
  3. Cascata prescrittiva: a causa di effetti collaterali di un farmaco se ne prescrive un altro, e così via, non curando pertanto la malattia ma gli effetti collaterali causati da altri farmaci
  4. Sottotrattamento o sovratrattamento: l’uso appropriato dei farmaci non mira solo a ridurre l’uso di farmaci inappropriati, ma anche a far sì che i farmaci necessari vengano prescritti e vengano dati a dosaggi adeguati
  5. Interazione farmacologica: l’uso di più farmaci deve tener conto delle possibili interazioni che possono aumentare o ridurre l’efficacia dei vari farmaci ed aumentare il rischio di effetti avversi
  6. Farmaci da evitare: nella persona anziana è consigliabile evitare certi farmaci se non in condizioni particolari, e questo vale per molti farmaci che invece vengono spesso prescritti in questa fascia d’età, quali gastroprotettori e benzodiazepine (vedi anche ” ABUSO DI BENZODIAZEPINE“).

La persona anziana è molto complessa e fragile e necessita di molte attenzioni, anche perché oltre alla fisiologica fragilità data dall’età, la persona anziana si ammala spesso di diverse malattie, per cui il rischio di assumere tanti farmaci, e con esso l’elevato rischio di effetti collaterali, con conseguente riduzione della qualità di vita, è molto alto. Bisogna tener conto di tanti fattori e l’approccio deve essere multidisciplinare (cardiologo, neurologo, gastroenterologo, terapisti, ecc.) per gestire al meglio le condizioni di salute della persona anziana.

Per la gestione di questa complessità, nel prossimo futuro potremo avvalerci dei vantaggi dell’Intelligenza Artificiale, ma di questo parleremo sicuramente prossimamente.

 

Fonti bibliografiche:

Corsi di Formazione a distanza in Farmacovigilanza. L’uso dei farmaci nell’anziano. Dossier n. 1-2024. Editore Zadig, Milano, 2024.

Ma B, Wong FKY, Wong AKC, Meng J, Zhao Y, Wang Y, Lu Q. Artificial intelligence in elderly healthcare: a scoping review. Ageing Research Review, 2023; 83: doi: 10.1016/j.arr.2022.101808.

ABUSO DI BENZODIAZEPINE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 63)

 

Nella nostra comunità del Parkinson siamo purtroppo abituati a farmaci che vanno assunti anche più volte al giorno, che a volte aiutano ma spesso non si vedono chiari miglioramenti, e di cui vanno tollerati tanti effetti collaterali.

 

Ma esistono farmaci che funzionano per davvero, e tra essi ci sono le Benzodiazepine. Le benzodiazepine sono dei calmanti, dei sedativi, che conosciamo un po’ tutti: Alprazolam, Bromazepam, Delorazepam, Depas, Diazepam, EN, Etizolam, Halcion, Lexotan, Lorazepam, Minias, Pasaden, Tavor, Valium, Xanax, ecc.)

 

Queste sostanze sono efficacissime e funzionano velocemente: quando si è nervosi o agitati una piccola dose di benzodiazepine risolve velocemente il malessere, ed un po’ di gocce la notte ci fanno dormire beatamente.

Farmaci quasi miracolosi: efficaci ed utili se assunti con criterio e molta cautela.

 

Ma, ATTENZIONE!

 

Proprio a causa della ottima risposta, dietro l’angolo si nasconde un grosso rischio: visto che il farmaco risolve immediatamente un problema, si è portati ad usarlo anche un’altra volta, ed un’altra volta ancora, intanto ci si convince che “poche gocce non fanno male”. Poi, ci si abitua e si assumono le benzodiazepine praticamente tutti i giorni, così spesso, che, quando non vengono assunte, causano malessere e quindi si è portati ad assumerli regolarmente. Ci si autoconvince sempre di più che “piccole dosi non possono far male”.

 

Ed è proprio qui che si fa un grande errore: si continua ad usarle e si diventa dipendenti da esse.

 

Parlando di abuso di benzodiazepine, non ci si riferisce a gravi casi di assunzione di alte dosi e di intossicazione, ma si intende la molto frequente abitudine dell’assunzione quotidiana di piccole dosi che appunto si assumono tranquillamente nella convinzione che non possano far male. Purtroppo, il contrario è il caso, e l’assunzione quotidiana anche di piccole dosi (“poche gocce”) possono causare dipendenza e sintomi di astinenza (agitazione, sudorazione, malessere generale) quando si decide di sospenderli.

Uno dei problemi principali delle benzodiazepine è la loro lunga emivita, cioè, pur assunte solo una volta al giorno, rimangono in circolo spesso oltre le 24 ore, e quindi alla prossima assunzione, seppur distante, possono accumularsi ed aumentare sedazione ed effetti collaterali.

 

Le benzodiazepine diminuiscono la vigilanza e la capacità di reazione, per cui non devono essere assunte da persone che guidano la macchina e che lavorano.

Per quanto riguarda la persona con difficoltà di equilibrio, le benzodiazepine sono controindicate perché aumentano il rischio di cadute.

Inoltre, le benzodiazepine possono causare tremore, o, se già presente, possono accentuarlo.

Infine, queste sostanze, spesso assunte di notte per vincere l’insonnia, invece alterano la struttura del sonno e non portano ad un riposo ristoratore.

 

Quindi, nella malattia di Parkinson sono proprio da evitare perché possono aumentare il rischio di cadute, tremore ed altri disordini del movimento.

 

Fonti bibliografiche:

Haider MR, Jayawardhana J. Opioid and benzodiazepine misuse in the United States: the  impact of socio-demographic characteristics. Am J Addict, 2024; 33(1): 71-82.

Holzbach R. Das Dilemma der Niedrigdosisabhaengigkeit. Neurotransmitter, 2022; 33(5): 24-27.

Kozak Z, Urquart GJ, Rouhani S, Allen ST, Park JN, Sherman SG. Factors associated with daily use of benzodiazepines/tranquilizers and opioids among people who use drugs. Am J Addict, 2024; 33(1): 83-91.

Simone CG, Bobrin BD. Anxiolytics and sedative-hypnotics toxicity. StatPearls Publishing, 2024. PMID:32965980.

Soyka M. Benzodiazepinabhaengigkeit. CME, 2022; 19(4): 19-26.

IL TRIANGOLO SI’ di Kai S. Paulus

(Pillola n. 62)

 

Immaginatevi una semplice visita medica:

si entra nell’ambulatorio speranzosi di essere aiutati.

Ovviamente, per essere compresi dal medico, bisogna riferire dettagliatamente il problema e raccontare ciò che ci affligge. Questo momento è cruciale e fondamentale, perché da quello che raccontiamo dipende tantissimo, perché il medico viene informato dalle problematiche, e su quel racconto baserà buona parte della diagnosi e delle cure. Quindi, più preciso ed esaustivo è il racconto (i medici lo chiamano “anamnesi”) meglio si potrà procedere con eventuali indagini.

 

Ma, raccontiamo sempre tutto?

Ovviamente no. Pudore, timidezza, disagio e novità delle circostanze ci impediscono spesso a “svuotare il sacco”. Allora viene in soccorso la persona che ci accompagna, che a volte però ci mette in imbarazzo davanti a medici ed infermieri; e poi, non è mica detto che il nostro familiare/caregiver dica per forza tutta la verità.

L’anamnesi ed il colloquio, da cui dipende buona parte del successivo procedere, e da cui dipende soprattutto la nostra salute (!), ha pertanto tante variabili e tre protagonisti: noi, il nostro familiare/caregiver, ed il medico.

Di questa situazione parla il gruppo di geriatri ed infermieri dell’Università del Colorado capitanato dalla dottoressa Hillary Lum nel loro studio, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “PEC Innovation” che si occupa di educazione e comunicazione in campo sanitario.

Titolo della ricerca: “Omissioni nella comunicazione con i medici: prospettive di pazienti e caregiver nella malattia di Parkinson”

Si parla soprattutto delle possibili conseguenze a causa di omissioni nel riferire un disagio. Il non riferire tutti i fatti importanti, dipende soprattutto dalla novità della situazione e spesso non si ritiene importante un dettaglio che invece per il medico potrebbe essere utile.

Per esempio, chi è affetto/a da malattia di Parkinson si rivolge al medico per il tremore, per l’equilibrio, per dolori, e per le difficoltà nei movimenti. Difficile pensare, quindi, che al medico possa interessare come si dorme o se si va di corpo regolarmente, e pertanto, non si fa cenno del nostro rapporto con Morfeo, o come funziona la nostra digestione.

Ovviamente, l’attento/a lettore/lettrice di questo nostro sito sa benissimo, che proprio il sonno e l’intestino rappresentano due pilastri importantissimi della cura del Parkinson, ed anche della sua prevenzione; ma chi si reca per la prima volta ad un ambulatorio sanitario per un sospetto Parkinson, ha in testa ben altre preoccupazioni.

Dallo studio dell’Università del Colorado emergono anche difficoltà nel riferire problemi della sfera cognitiva e di quella urogenitale, ritenuti intimi e non riferiti spesso per pudore.

Il problema è che il non raccontare fatti perché ritenuti secondari, potrebbero invece essere di vitale importanza, e che ci priva poi dell’opportunità di cure mirate ed efficaci.

Per questo motivo, concludono i ricercatori statunitensi, è importante coinvolgere familiari ed accompagnatori che conoscono bene le condizioni della persona ammalata, non per spifferare segreti, ma per integrare e completare il racconto, al fine di informare gli operatori sanitari su tutti gli aspetti della vita quotidiana a 360 gradi per dare loro la possibilità di intervenire nel modo più mirato ed opportuno possibile.

 

Fonte bibliografica:

Ayele R, Macchi ZA, Jordan S, Jones J, Kluger B, Maley P, Hall K, Sumrall m, Lum HD. Holding back in communications with clinicians: patient and care partner perspectives in Parkinson’s disease. PEC Innovation, 2024; 100255: doi.org/10.1016/j.pecinn.2024.100255

POCHE ATTENZIONI ALLE PERSONE PARKINSONIANE “DI VECCHIA DATA” di Kai S. Paulus

(Pillola n.61)

E’ vero, e vorrei rispondere ad un caro amico, attualmente le principali attenzioni della ricerca neurologica sono dirette verso una migliore e precoce diagnosi del Parkinson ‘de novo’, di nuova diagnosi, ed alla sua prevenzione, mentre nelle persone affette da malattia di Parkinson da molto tempo, potrebbe sorgere il sospetto di non venire sufficientemente considerate o addirittura trascurate dal mondo scientifico.

Io stesso mi sono concentrato nelle ultime Pillole sulla tematica della diagnosi precoce e della prevenzione del Parkinson; l’ho fatto principalmente per due motivi.

Primo:

l’attuale frontiera della scienza internazionale è proprio la ricerca della comprensione dell’origine del Parkinson, i suoi fattori di rischio (vedi anche “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 2: FATTORI DI RISCHIO“) e la sua prevenzione (vedi anche “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 1: INTRODUZIONE“). Ne parlo nelle Pillole perché ci tengo che il nostro gruppo sia aggiornato su ogni possibile linea di ricerca che riguarda il Parkinson; e, poter presentare lavori scientifici addirittura non ancora pubblicati, penso sia testimonianza della straordinaria attualità e della primaria importanza dell’argomento; per non parlare della fortuna del nostro gruppo di aver accesso a novità in anticipo rispetto alla comunità medica in generale.

Secondo:

le novità sul Parkinson iniziale si riflettono ovviamente anche su quello di “vecchia data”, così come in tutti questi anni le attenzioni sul Parkinson di vecchia data (ottimazione della terapia, sonno, intestino, umore, attività quotidiane, ecc.) e le scoperte sulle cause (genetiche ed ambientali) hanno aperte le porte ad una maggiore comprensione dell’inizio della malattia. A mio avviso, i vari filoni della ricerca si completano e si integrano, ed oggi, inizio 2024, sappiamo molto di più del rapace infingardo rispetto ad appena un anno fa. Sembra incredibile, ma è così. Ed a gennaio 2025 lo scenario sarà ulteriormente rivoluzionato, e questo a beneficio anche dei “parkinsoniani di vecchia data“.

 

Le persone affette da Parkinson perdono spesso la fiducia, perché generalmente, dopo aver metabolizzato il “verdetto”, la brutta diagnosi, arrivano i fuochi d’artificio di interventi farmacologici e riabilitativi che fanno star meglio e conferiscono molta speranza: i farmaci funzionano bene, gli effetti collaterali sono irrisori, e la vita continua. I medici chiamano questo periodo “luna di miele” (vi invito a rileggere “ LUNA DI MIELE“ incluso il commento di Antonello).

Ma, come sempre nella vita, le cose belle hanno una fine, e così, la terapia farmacologica inizia a creare problemi, i sintomi e disagi aumentano, il tono dell’umore è messo a dura prova, ed il medico, inizialmente osannato, non vale più e serve al massimo come scribano di certificazioni e rinnovi di piani terapeutici.

Ha ragione il nostro amico, in caso di sospetta farmacoresistenza, il malessere generale sembra invincibile e la ricerca a rimedi efficaci diventa sempre più difficile.

In realtà, per le persone parkinsoniane “di vecchia data” si fa tantissimo: un ambulatorio della sanità pubblica dedicato, un ampio panorama di decine di farmaci (quando ho iniziato a studiare la malattia di Parkinson ne esistevano appena due o tre), le pompe di iniezione continua di apomorfina e di dopamina, la stimolazione cerebrale profonda, la riabilitazione, l’assistenza, lo straordinario lavoro delle nostre Associazioni Parkinson di Sassari e Alghero, e le importanti linee guida, comparse solo negli ultimi due-tre anni, per il contenimento del rapace infingardo riguardanti lo stile di vita, il sonno, l’alimentazione e la digestione, che possono fare la differenza.

Certo, la delusione rimane e la guarigione non è dietro l’angolo. Però, stiamo parlando di una malattia neurodegenerativa, di cui anche dopo oltre 200 anni non si conoscono ancora bene tutti i meccanismi, ma gli strumenti oggi a nostra disposizione per gestire questa malattia sono davvero tantissime e che non hanno eguali in Neurologia. Pensate, l’epilessia, malattia arci-nota e arci-studiata, non possiede un solo farmaco di cui si sappia esattamente cosa fa.

Avete ragione, tutto quello che si sta facendo e che si sa attualmente non è sufficiente perché la sofferenza fisica e psicologica è comunque troppa.

Ma, e per questo scrivo le Pillole, si sta lavorando tanto, sia per scoprire le cause, per la prevenzione, ed anche per una accettabile gestione globale del Parkinson di vecchia data.

Si sta facendo davvero tanto ed insieme andiamo avanti e non molliamo. Nel frattempo, date retta ad Antonello che traduce la nota equazione divertimento=dopamina=meno Parkinson in questo modo: serve “una buona dose di fiducia in noi stessi e la voglia matta di godersi la vita”.

ALL’ORIZZONTE LA DIAGNOSI PRECOCE DELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai S. Paulus

(Pillola n. 60)

A tutt’oggi, la diagnosi della malattia di Parkinson è clinica, cioè si basa sull’osservazione dei medici.

Questo è un grosso dilemma, non solo in termini di accuratezza e precisione, ma anche in termini di tempo: per fare diagnosi clinica di Parkinson ci vuole tempo, e soprattutto ci vuole la presenza di segni clinici della malattia (rallentamento, rigidità, tremore, ecc.) che però appaiono in realtà in uno stadio, quando la malattia è talmente avanzata che le strategie terapeutiche non riescono più a modificare il decorso degenerativo.

Cioè, quando ci si rivolge al medico per la recente comparsa di un sintomo sospetto, inizia l’importante terapia sintomatica per ridurre i tanti disagi e problemi, con farmaci, riabilitazione, attività, ecc., ma per bloccare e modificare in maniera significativa la progressione della malattia praticamente è già troppo tardi.

L’articolo della rivista statunitense “Movement Disorders”, non ancora pubblicato, che sottolinea la necessità di una stadiazione della malattia di Parkinson secondo criteri obiettivi, inconfutabili, che permette l’individuazione della malattia molto prima dell’attuale valutazione clinica.

Da questa consapevolezza nasce l’esigenza di fare diagnosi prima, di poter individuare la malattia prima dei classici sintomi motori, e perciò si necessita di indizi preclinici inconfutabili che ci possono far pensare al Parkinson e che ci possono mettere nella condizione di agire prima che sia troppo tardi. Questi indizi pre-clinici sono i cosiddetti “prodromi” (leggi anche “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“), di non facile individuazione e difficilissima valutazione, perché non esiste ancora una stadiazione, una classificazione univoca, che possa guidare scienziati e medici nel percorso diagnostico precoce.

Ora, finalmente qualcosa si sta muovendo.

Diversi gruppi di ricercatori, tra cui il gruppo di Prof. Günter Höglinger di Monaco di Baviera, stanno proponendo dei criteri su basi biologiche (per esempio, la ricerca della “infingarda” proteina alfa-sinucleina tramite semplici prelievi) per la diagnosi della malattia di Parkinson che permetteranno la diagnosi nella fase preclinica, prodromica, e lo sviluppo di trattamenti efficaci in grado di bloccare o comunque modificare il decorso del Parkinson.

Le fonti scientifiche riportate qui di seguito sono appena uscite o non ancora pubblicate, per sottolineare l’attualità e l’importanza della tematica che rivoluzionerà a breve le conoscenze della malattia di Parkinson e quindi il modo con cui affrontarla, diagnosticarla e curarla.

 

Fonti bibliografiche:

Cardoso F, Goetz CG, Mestre TA, Sampaio C, Adler CH, Berg D, Bloem BR et al. A statement of the MDS on biological definition, staging, and classification of Parkinson’s disease. Movement Disorders, 2024 (non ancora pubblicato)

Hoeglinger GU, Adler CH, Berg D, Klein C, Outeiro TF, Poewe W et al. A biological classification of Parkinson’s disease: the SynNeurGe research diagnostic criteria. Lancet Neurol 2024; 23; 2: 191-204

Mueller T. SynNeurGe – neue Parkinsonklassifikation vorgeschlagen. Parkinson-Krankheit Nachrichten, Springer Medizin 26.01.2024

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 1: INTRODUZIONE di Kai S. Paulus

 

(Pillole n. 55-59)

 

 

La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa progressiva e non guaribile, cioè una continua perdita di cellule nervose nel cervello non arrestabile e non riparabile. Lo sappiamo purtroppo molto bene, o forse dovrei dire, lo sapevamo molto bene, fino al 2022, perché durante l’attuale 2023 si sono aggiunte tante nozioni che potrebbero cambiare il destino di tante persone.

Il 2023 tra pochi giorni volge al termine, non ci ha portato cure clamorose, però sicuramente ha posto le basi per un radicale cambiamento dell’atteggiamento nel confronto delle malattie neurodegenerative, perché durante l’anno si sono trovate diverse risposte al “perché?” di questo gruppo di malattie ed in particolare, si sono aggiunti molti tasselli utili ad una migliore comprensione delle origini della malattia di Parkinson, che potranno essere messi in pratica per migliorare la gestione della malattia, e per iniziare a porre le basi di una vera prevenzione, cioè strategie mirate all’evitamento della patologia, oppure, in caso della sua presenza, alla sua riduzione.

Clamoroso, sembra fantascienza, vero?

Vorrei riportarvi con questa piccola serie la mia relazione tenuta durante il Convegno “La Malattia di Parkinson” svoltosi il 24 novembre 2023 a Sassari, con la quale ho cercato di riassumere le ultimissime scoperte e conoscenze in fatto di prevenzione della malattia di Parkinson.

Ovviamente non possiamo ancora cantare vittoria, ma il “rapace infingardo” (cit. G.B.) avrà vita sempre più dura.

Per una migliore comprensione ho diviso l’argomento in quattro piccole parti che si possono leggere in ordine numerico oppure consultare anche separatamente, e nelle quali riconoscerete diversi temi familiari ora inseriti in un contesto logico.

Iniziamo allora con “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 2: FATTORI DI RISCHIO “.

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 2: FATTORI DI RISCHIO di Kai S. Paulus

(seguito di “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 1: INTRODUZIONE“)

 

Nel suo celebre “Saggio sulla paralisi agitante” (An essay on the shaking palsy, 1817) James Parkinson raccomandava già da subito che “prima si inizia con le cure, maggiore sarà la probabilità di successo”. Assolutamente logico. Ma uno dei principali problemi della malattia di Parkinson è che al momento che la malattia si manifesta e spinge la persona a rivolgersi al medico, per iniziali sintomi quali un lieve tremore o un insolito rallentamento nei movimenti, in realtà la malattia è iniziata tanti anni prima, in maniera subdola ed apparentemente non individuabile. Ciò significa, ed è questo il nocciolo della questione, che al momento della diagnosi la neurodegenerazione è talmente progredita che non c’è più modo di modificare il suo inarrestabile declino.

Quindi, seguendo la raccomandazione di James Parkinson, dobbiamo intervenire prima ed essere in grado di riconoscere la malattia prima del tremore, cioè prima dell’esordio dei classici sintomi motori, ovvero nella fase preclinica (ne parliamo nella prossima parte), ma soprattutto, dobbiamo interrogarci sulle possibili cause del Parkinson, i suoi fattori di rischio.

Per fattori di rischio si intendono condizioni fisiche, chimiche, ambientali ed altro che possono favorire l’insorgenza di una malattia.

Per la malattia di Parkinson si conoscono allo stato attuali i seguenti fattori di rischio:

Fattori di rischio non modificabili:

ETA’: la malattia di Parkinson è correlata all’età, e con l’avanzare dell’età aumenta la probabilità di ammalarsi di Parkinson. Ci sono delle eccezioni come il Parkinson giovanile che esordisce prima dei 40 anni e dovuto a mutazioni genetiche, e sindromi parkinsoniane dovute a fattori ambientali che possono presentarsi a qualsiasi età.

SESSO MASCHILE: in tutti gli studi epidemiologici sul Parkinson viene riportata una lieve prevalenza degli uomini; questo fatto si spiega, da un lato, con la costituzione maschile del cervello con un maggiore sviluppo della parte deputata alle funzioni motorie, dall’altro, con un verosimile effetto protettivo degli ormoni femminili, in particolare gli estrogeni.

GENETICA: da molto tempo si sono individuate delle mutazioni genetiche che stanno alla base di alcune rare forme parkinsoniane, ma ci sono sempre più evidenze scientifiche che alcune mutazioni, quali quelle dei geni GBA, LRRK2 e SNCA, stiano alla base della predisposizione genetica di un notevole numero di casi, sinora creduti idiopatici, cioè senza causa.

DIABETE MELLITO TIPO 2: esistono molte correlazioni tra diabete e Parkinson e pare che il diabete di tipo 2, cioè quello acquisito, predisponga, o comunque aumenti la possibilità, a contrarre la malattia, a causa di una maggiore vulnerabilità all’iperglicemia dei neuroni dopaminergici nigrostriali, cioè quelli principalmente coinvolti nel Parkinson; d’altro canto, gli ipoglicemizzanti orali, tipo metformina, posseggono un effetto neuroprotettivo.

Fattori di rischio modificabili:

Tra i fattori di rischio del Parkinson che sono potenzialmente modificabili troviamo diversi fattori di cui ci occupiamo già da molto tempo:

INSONNIA: un cervello che non riposo bene non può difendersi contro un processo che lentamente ed indisturbato avanza

SEDENTARIETA’: essendo il Parkinson fondamentalmente un disturbo del movimento, scarse attività fisiche ed una vita sedentaria predispongono alla malattia, viceversa, il movimento e le attività fisiche sono tra le più efficaci strategie terapeutiche contro il Parkinson

FATTORI AMBIENTALI: sono ormai consolidate le conoscenze sui fattori ambientali che possono favorire la malattia di Parkinson, quali pesticidi, metalli (manganese, piombo, ferro, rame), prodotti chimici industriali (monossido di carbonio, metanolo), che spesso non possiamo evitare  a causa della sofisticazione alimentare e dell’allevamento intensivo del bestiame; anche alcuni virus responsabili di encefaliti vengono chiamati in causa, per non parlare di molti farmaci attualmente in commercio, quali alcuni psicofarmaci, antiemetici, antiepilettici, antidepressivi, e tanti altri.

STRESS: viviamo in un modo sempre più frenetico e veloce che ci pone quotidianamente a tante sfide e pressioni, che spesso possono agire come dei catalizzatori, cioè velocizzare potenziali eventi patologici.

CONFORMAZIONE DELLA CAVITA’ ORALE e delle vie aeree superiori: secondo recentissimi studi una cavità orale non ben occludente o vie aeree superiori ostacolate anatomicamente possono causare disturbi respiratori notturni (russare, apnee, ecc.) che compromettono il sonno ma soprattutto una minore ossigenazione del cervello, il che potrebbe aumentare il rischio di patologie neurodegenerative.

Individuati molti dei possibili fattori di rischio che, quando possibile, sarà opportuno evitare, ci occupiamo adesso dei cosiddetti prodromi, cioè le avvisaglie che possono metterci in guardia quando il Parkinson sta per iniziare senza ancora dare i tipici sintomi motori.

(Segue con “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“)

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI di Kai S. Paulus

 

(seguito di “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 2: FATTORI DI RISCHIO“)

 

I prodromi sono i segni e sintomi che si manifestano all’inizio di una malattia prima che diventi clinicamente manifesta. Questa fase è molto importante perché ci dà la possibilità di intervenire precocemente e quindi di poter modificare il decorso della malattia.

Nel caso del Parkinson la fase prodromica, preclinica, è quella fase dove attualmente si stanno dirigendo le maggiori attenzioni della scienza internazionale, perché, individuando un Parkinson sul nascere, possiamo ancora intervenire per ritardare l’esordio clinico, cioè motorio, della malattia, o eventualmente anche modificare la gravità del futuro percorso disabilitante.

Tra questi prodromi ci sono:

IL DISTURBO COMPORTAMENTALE DEL SONNO REM, cioè quando si parla, urla, si scalcia e ci si muove durante il sonno, come si vivesse il proprio sogno. Questo disturbo precede, anche di 10-15 anni l’esordio delle sinucleinopatie, a cui appartiene il Parkinson

I DISTURBI DEL SONNO, quali insonnia, parasonnie, sindrome delle gambe senza riposo, ecc., cioè tutte le situazioni che compromettono il necessario sonno profondo e, nel caso della sindrome delle gambe senza riposo, ci sono già in atto alterazioni cerebrali interessati anni dopo dal Parkinson.

PATOLOGIA INTESTINALE, tra cui costipazione, coliti, gastriti, ecc. L’intestino è una delle porte d’entrata di fattori ambientali e tossine che possono irritare la mucosa gastrointestinale ed alla lunga modificare la sua costituzione; l’infiammazione cronica della mucosa può portare nelle fibre nervose del plesso mioenterico che innerva il tubo intestinale e garantisce il movimento ondulatorio, la peristalsi, essenziale per la digestione e l’eliminazione degli scarti, le stesse alterazioni della alfa-sinucleina che troviamo nel Parkinson cerebrale, ed, a volte, la malattia di Parkinson ha inizio proprio nell’intestino con la formazione di aggregati di alfa-sinucleina alterata e corpi di Lewy che negli anni migrano attraverso il nervo vago verso il cervello.

ANOSMIA o IPOSMIA, ovvero perdita o riduzione dell’olfatto, per meccanismi che si svolgono nella mucosa olfattiva sovrapponibili a quelli che accadono nella mucosa intestinale.

LA DEPRESSIONE può precedere di molti anni la malattia o addirittura presentare il sintomo d’esordio del Parkinson; in quel caso la diagnosi è particolarmente difficile e la terapia antidepressiva non soddisfacente.

L’IPOTENSIONE ORTOSTATICA fa parte dei cosiddetti sintomi neurovegetativi, cioè alterazioni del sistema nervoso autonomo, insieme ad alterazioni sessuali e incontinenza sfinterica, che si possono riscontrare come sintomi dominanti nei Parkinsonismi atipici, quali l’atrofia multisistemica. L’ipotensione ortostatica, cioè la riduzione della pressione sanguigna quando si assume la posizione eretta, ortostatica, e che non permette di muoversi a causa di vertigini e malessere, se non dovuta ad altre cause, può rappresentare un campanello d’allarme per le sinucleinopatie, come il Parkinson.

DOLORE e FATICA: in caso di un dolore cronico e persistente per molto tempo, misto e diffuso o localizzato, spesso la spalla del braccio che in futuro svilupperà tremore e rigidità, non dovuto ad altra causa, ci deve metter in guardia; e così anche la fatica cronica, non diversamente spiegabile.

Avvertenza: non voglio creare allarmismi: tutti i sintomi sopraesposti sono comuni e tutti noi possiamo provarli tante volte per innumerevoli motivi; quindi, non devono metterci in allarme; invece, dovrebbero preoccuparci solo quando si presentano apparentemente senza altra spiegazione e causa, in maniera continua. Per esempio, se non dormo bene ogni tanto, capita che occasionalmente mi scappa qualche parola nel sonno, un incubo, una scossa, non devo preoccuparmi che sta iniziando un Parkinson, oppure, se sono già ammalato, che il Parkinson sta peggiorando; oppure, può capitare, specialmente in estate, di avere la pressione più bassa del solito e quando mi metto in piedi soffro di vertigini, ma è spiegabile e quindi non da mettere in relazione con il Parkinson; inoltre, persone che affette da Parkinson possono riscontrare valori pressori bassi, spesso dovuto ai farmaci neurologici.

Quindi, tutte situazioni spiegabili e riconducibili a cause bene precise; i prodromi, invece, sono quelle situazioni persistenti non spiegabili.

(segue con “PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER“)

PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 4: BIOMARKER di Kai S. Paulus

 

 

(Seguito di “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 3: I PRODROMI“)

 

Nei precedenti capitoli abbiamo imparato quali possono essere i fattori di rischio della malattia di Parkinson e quali possono essere le sue avvisaglie, i prodromi.

Ma esiste un modo per individuare questi segni preclinici, ci sono dei parametri misurabili e obiettivabili, o addirittura ‘predire’, la malattia di Parkinson?

Da tanti anni si stanno cercando degli indizi che potrebbero indicare un possibile futuro Parkinson; questi indizi sono i cosiddetti biomarker, cioè indicatori obiettivi sul cambiamento nell’organismo verso la malattia.

Negli ultimi anni se ne sono individuati davvero molti, il che fa ben sperare. Vediamo brevemente quali sono:

IL DISTURBO COMPORTAMENTALE DEL SONNO REM: come già accennato nel precedente capitolo, questo disturbo è molto predisponente alla malattia di Parkinson e si può diagnosticare e monitorare tramite la polisonnografia che documenta il comportamento di un individuo durante il sonno

ANOSMIA: una alterazione dell’olfatto si può valutare tramite dei test olfattivi ed in caso di riduzione, l’olfatto può rappresentare un indizio obiettivo, un biomarker, per un possibile Parkinson

ALVO: anche l’attività intestinale e soprattutto la composizione della mucosa intestinale può essere misurata; la riduzione di alcuni germi e l’aumento di agenti patogeni nella mucosa possono essere indicativi di Parkinson

GENETICA: oramai si conoscono tante mutazioni genetiche correlate al Parkinson e quindi specifici test genetici possono individuare tali mutazioni e aumentare le probabilità di Parkinson

CUTE: il sistema nervoso è ubiquitario ed innerva tutto il nostro corpo garantendo il funzionamento di tutti gli organi ed apparati, anche la pelle. Si è visto che nella pelle si trovano depositi di aggregati di alfa-sinucleina alterata in tutti gli stadi di malattia e quindi anche nella fase preclinica; questo dato può essere molto importanti ai fini della diagnosi precoce quanto per la diagnosi differenziale con altre patologie. Si effettua con una semplice (si fa per dire) biopsia cutanea.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE: da molti anni si usano le metodiche di neuroimaging, cioè le scintigrafie SPECT DAT scan, la PET cerebrale, e la SPECT del miocardio, per la diagnosi della malattia di Parkinson e la diagnosi differenziale con altri Parkinsonismi. Ora ci si spinge all’utilizzo di questi esami al primo sospetto di Parkinson, in una fase quando la malattia non è ancora clinicamente manifesta. Metodica molto costosa ma con una specificità del 80%.

MOTILITA’ OCULARE: i sei muscoli deputati al movimento di ogni globo oculare sono riccamente innervati e molto sensibili ad alterazioni dentro il cervello. Quindi lo studio manuale, ma soprattutto strumentale, della motilità oculare, può individuare delle alterazioni (saccadi ipometriche, dismetrie, ecc.) già nelle fasi precoci di malattia.

LIQUOR, PLASMA, SALIVA, URINE: i liquidi corporei contengono i metaboliti di neurotrasmettitori (dopamina) e delle proteine alterate che si possono facilmente dosare e rappresentano, in caso di eccessiva quantità, la presenza di malattia, e sono facilmente accessibili, tranne il liquor (il liquido che circonda cervello e midollo spinale) che necessita di una puntura lombare. Pur costituendo una infallibile conferma della diagnosi, ancora non esistono univoche evidenze per la loro applicazione nelle fasi precoci.

Sinora abbiamo visto tanta roba, ma, per il nostro intento di prevenzione, dobbiamo metter insieme i singoli tasselli e trovare una sintesi, delle strategie facilmente applicabili per fare diagnosi precoce per poter, infine, prevenire la malattia di Parkinson.

Lo facciamo nel prossimo “ PREVENIRE IL PARKINSON. PARTE 5: CONCLUSIONI“.