Volare si Può, Sognare si Deve!

Archivio mensile: Febbraio 2016

Il Ragazzo di Koblenz ha perso la Bussola di Kai S. Paulus

Stamattina rientro a casa da una guardia notturna in Clinica, e siccome non riesco a dormire, cerco di sbrigarmi delle commissioni. Tutto fila liscio ed in breve tempo riesco fare tutto e, visto che sono in giro, decido di andare a Baddimanna per visitare la Basilica del Sacro Cuore.Bussola 0 Qualche giorno fa il nostro amico Salvatore Faedda ha pubblicato sul nostro sito un articolo molto interessante, in cui racconta come lui da giovane, quando lavorava in una falegnameria, ha avuto “l’onore e l’onere” di collaborare ai lavori degli interni della Basilica Sassarese.
Penso che non vi sia sfuggita la mia ammirazione per Salvatore, persona umile e silenziosa che continua a sorprendermi con i suoi talenti e la sua storia. Prima mi ha stupito con le sue doti musicali che mi hanno portato ad iniziare a strimpellare l’armonica a bocca (lo so che il termine “strimpellare” si usa per strumenti a tasti oppure a corde, ma proprio ieri nostra figlia mi ha chiesto cosa significhi e quindi mi è rimasto in testa), poi continua ad affascinarmi con i suoi racconti di viaggi, della sua famiglia, in cui riportando la sua storia ci propone ogni volta un piccolo tassello della Sassari che fu (leggete proprio in questi giorni “La notti di Fribagiu di lu ‘56” pubblicato qualche tempo fa sul nostro sito: Sassari sessant’anni fa – fa un certo effetto); ma Salvatore tocca le corde di tutti noi quando parla della sua esperienza con il Parkinson, dove per me i suoi pezzi, quali “L’eredità”, e le poesie “Lu Parkinson” e “Lu muccaroru”, sono dei veri capolavori. Poi si distingue anche per i suoi divertenti reportage sulle nostre attività associative.
Quindi, questa è la mia stima nei confronti di quest’uomo. Ora potete immaginarvi quanto io sia rimasto di stucco leggendo il suo “La Bussola del Sacro Cuore”: conosco la Basilica, ci sono andato diverse volte, ma, confesso, non mi ricordo della Bussola. Avevo fatto delle ricerche in internet, dove si legge: “di notevole pregio sono anche le opere di falegnameria che arredano gli interni” (www.geoplan.it).
Ecco, visto che stamattina ho tempo, decido di andare alla ricerca della Bussola di Salvatore. Il suo racconto diventa intrigante quando menziona che nello stesso tempo ci lavorava anche Costantino Spada e che lui ottenne regolarmente del vino, mentre per Salvatore ed i suoi colleghi non era permesso neanche dell’acqua. Che ingiustizia! Ora vado a scoprire l’opera del nostro musicista!
C’è un acquazzone (finalmente l’inverno si è deciso a fermarsi anche sulla Sardegna) ed entro di corsa nella navata. Dopo essermi scrollato di dosso un bel po’ di acqua piovana faccio il giro tra i banchi, ammiro, come anche le volte precedenti, gli affreschi di Spada, l’organo, il bellissimo altare, sempre di falegnameria, dedicato a Mons. Pala, l’allora parroco e datore dei lavori; è una chiesa bellissima che ogni volta mi piace di visitare. E la bussola? Non la trovo. Faccio un secondo giro, scendo anche nella cripta dedicata alla Madonna di Lourdes, ma niente. Consulto il nostro sito e rileggo le righe di Salvatore per capire dove si possa trovare la sua opera, ma niente da fare (col senno di poi Salvatore dà indicazioni precise ma io non ho colto). Allora telefono a Piero Faedda, lui dovrebbe saperlo, ma anche lui in quel momento non ha idea. Allora, da vero amico che è, scomoda la gente che ha in casa in visita (quasi mi vergogno) e fa un sondaggio tra di loro, ma comunque non riesco ad avere indicazioni precise. Che faccio adesso? Mica me ne posso andare. Sono qui, oltre che come curioso anche come giornalista: voglio trovare la bussola e fotografarla per mettere le foto sul nostro sito. Chiedo a qualche turista (a febbraio a Sassari?) ma figurati. Inizio a diventare nervoso (e qui il libro di Westendorp presentato recentemente da Nicoletta Onida non c’entra niente!). Temo che devo arrendermi per il momento; forse posso tornare dopodomani con Peppino Achene visto che dobbiamo vederci con il nostro webmaster Gian Paolo Frau per parlare del libro sulla nostra associazione. Quasi sconfitto me ne sto andando quando intravedo entrare in chiesa un tipo non rasato, un po’ così; no, a quello non ha senso chiedere, e gli passo accanto. Ma proprio nel mentre, in una frazione di secondo il mio cervello cambia idea (altro che Westendorp!) e presento allo sconosciuto la mia disperazione. “Buongiorno a Lei” risponde gentilmente l’uomo, “sono il sacrestano, certo, la bussola, venga, gliela faccio vedere.” L’uomo non rasato è fantastico e mi salva la giornata.Bussola 1

Bussola 3Finalmente mi trovo davanti all’oggetto delle mie ricerche, cioè ‘davanti’ non è il termine esatto, ‘sotto’ è meglio visto che la bussola troneggia sopra l’ingresso centenato a oltre quattro metri. La bussola, spiega il sacrestano, riporta il simbolo papale essendo questa una basilica. La guardo con grande rispetto. Ho trovato finalmente l’opera del giovane falegname Salvatore. Sono molto contento; la ammiro e faccio delle foto. Il falegname non deve disperare perché ci rifacciamo alla prossima occasione con i “Petali di rose” di Peppino (alla faccia di Costantino).
Fuori piove ancora tanto e corro alla macchina. Mi riposo e contemplo gli scatti, forse non bellissimi perché non sono un bravo fotografo, ma anche per le condizioni di luce e la difficile angolatura. Per la gioia del successo della ricerca, il ragazzo di Koblenz tira fuori dalla tasca la sua armonica…

Ricordi….. di Dora Corveddu

     Ricordi……….

Qualche giorno fa, invitata da delle amiche per un pomeriggio di chiacchiere e per  un buon tè, si è parlato della vita,  delle nostre esperienze, dei nostri problemi, delle nostre gioie e , come spesso accade, delle nostre mamme.

Con nostalgia e con dolce rimpianto non ho potuto fare a meno di ricordare la vita vissuta con il mio babbo e con la mia mamma che da quasi tre anni non è più con noi; ho ripercorso le fasi della mia vita: la mia infanzia,  l’adolescenza,  gli anni degli studi, l’università, l’età adulta e tanto altro ancora.

Ma  prima di parlare della mia esperienza di vita , ho sentito il desiderio  di riportare uno dei testi che mia mamma ha scritto per raccontare episodi che hanno caratterizzato la sua giovinezza, ma soprattutto per mettere nero su bianco quanto amava raccontare ai figli ed ai nipoti, che adoravano stare seduti intorno alla loro nonna ad ascoltare con meraviglia e curiosità i racconti della vita da lei  vissuta.  Nel racconto – memoria  che vi proporrò  narra del periodo della guerra, quando fratelli amici e parenti si trovavano lontani per combattere quelli che venivano considerati nemici, ma che poi col tempo sono, nella sua mente, diventati giovani che condividevano un’esperienza simile ma su fronti bellici diversi.  A questo punto mi piace inserire lo  scritto   della mia mamma per ricordarla  e per farla , per così dire, conoscere agli amici che avranno voglia di leggere questa testimonianza,  tesoro per noi figli incomparabile, che lei ha voluto lasciarci e che rappresenta quasi  una finestra su quel mondo forse  piccolo, ma ricco di esperienze, persone e  valori umani straordinari che caratterizzavano il nostro paese di origine,  Pattada, così come  tanti paesi della Sardegna. Mia mamma ha scritto queste , che noi consideriamo memorie di famiglia,  nel 2008 quando aveva ormai 86 anni.

1940    Pattada

Sono passati ormai 68 anni, ma anche se tanto vaghi i ricordi di allora tornano alla mente e ogni tanto ne parliamo insieme  e riviviamo un po’ di quei tempi un po’ difficoltosi ma allo stesso tempo importanti per una serie di avvenimenti che hanno avuto il loro seguito. Era l’anno dell’inizio della seconda guerra mondiale. Io ero tanto giovane, ma ricordo ancora come il mio paese si spogliò di tanti giovani che dovettero andare in guerra perché richiamati tutti a fare il servizio militare e, oltre a vivere quel momento con tensione e  paura,  dovettero abbandonare famiglie e lavoro. Tra i tanti amici che conoscevo ce n’era uno in particolare perchè era amico di mio fratello. Questi ragazzi che erano lontani da casa sicuramente si sentivano un po’ soli, ma  ebbero l’idea che, attraverso la corrispondenza, potessero scegliere ognuno la propria madrina di guerra per ricevere notizie del paese  e sentirsi un po’ in compagnia di coloro che avevano lasciato.   Da questo mio amico ricevetti questa proposta che mi fece tanto piacere e divenni quindi la sua madrina di guerra.  In una delle tante lettere c’era scritta una bellissima poesia nel dialetto tipico della mia Pattada.  Iniziò allora una sincera e amichevole corrispondenza.

POESIA

Pro madrina e gherra ti domando

Si nde tenes tue piaghere,

daghi a Pattada già bi ando

tando già ti domando pro muzere.

Como eo so inoghe cumbattende

E sa patria nostra servende

Ca este unu dovere sacrosantu

E de salvare sa patria mi anto.

1944   Dopo quattro anni di sofferenze e privazioni la guerra finì….   Tornarono allora in paese tanti giovani , anche se molti mancarono all’appello.  Tornarono tanti amici fra i quali il mio figlioccio di guerra.   Ci ritrovammo allora tra feste e scampagnate che nel 1945 si susseguirono per festeggiare la fine dell’incubo bellico.

Ebbe inizio  così la nostra storia che da una semplice amicizia si trasformò in un autentico sentimento profondo e che si consolidò dopo quattro anni. Ci sposammo e fu un matrimonio bellissimo da festeggiare con tanti amici e parenti fra i quali tutti i reduci di guerra.  Abbiamo avuto quattro splendidi figli e otto nipoti ai quali vogliamo un mondo di bene. Ora siamo vecchi ma loro ci aiutano a vivere sereni e ci fanno tanta compagnia in questa ultima fase della nostra vita.

POESIA

Sa nostra istoria bos amus contadu

Ca piaghiada a Andrea de l’ischire.

Como sun sos ammentos a rifiorire.

Dae tando tantu tempus c’ha passadu

Nos torran a sa mente cussos tempos

Chin unu pagu de difficultade

Como nois amus una zelta edade

Ma de custa già semus cuntentos.

Amus chin nois fizos e nebodes

Chi nos pienan su coro de allegria

Pro issos su Signore bi siada

Ca de su sou gialdinu sun fiores.

Issos vivan a chentu e pius annos

Chin amore, armonia e chena affannos.

Questi i primi  ricordi che mia mamma ha voluto mettere per iscritto su richiesta di mio figlio Andrea, che ascoltava sempre i nonni raccontare insieme la loro giovinezza, la loro storia d’amore. Voglio far notare che la prima poesia è stata scritta da mio babbo; questa viene considerata la sua quasi prima  dichiarazione per la sua futura moglie, e  che ancora, alla veneranda età di 96 anni, babbo ama recitare. La poesia finale, invece,  è stata composta da mia mamma ed  è diventata una sua abitudine concludere ogni suo scritto con una poesia, anche se lei continuava a  sottolineare  di non avere velleità poetiche. Da allora sollecitata da noi figli continuò a scrivere le sue memorie, pur professando sempre le  sue scarse capacità, in realtà sentendosi sempre un po’ lusingata. Ed allora comprava i fogli protocollo perché , diceva lei, le cose importanti si scrivono su fogli importanti. E allora iniziava a raccontare emozionandosi sempre per i ricordi dei tempi andati.  Mia mamma aveva una certa facilità nella scrittura anche perchè  ha sempre amato la lettura…….si vantava perfino di aver letto per quattro volte “ I Promessi Sposi” . Leggeva sempre, soprattutto nell’età avanzata, quando aveva ormai tanto tempo da dedicare ai suoi interessi. E lo scambio ,con figli e nipoti, di libri da leggere era ormai diventata un’abitudine. Ha letto tanto nella sua vita , nonostante la sua istruzione si sia fermata alla quinta elementare. Ha fin da giovane esercitato la sua professione di sarta, circondata dalle sue sartine che imparavano il loro futuro mestiere e l’aiutavano nel suo quotidiano lavoro. Questo è uno dei tanti aspetti della personalità di mia mamma che ha vissuto nel grande amore per suo marito,  per i suoi figli e nipoti che, diceva lei, le rendevano la vita  gioiosa e ricca di soddisfazioni.

26 febbraio 2016                                             Dora Corveddu

Recensione di: “Come invecchiare senza diventare vecchi di Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

“Come invecchiare senza diventare vecchi: la scienza della longevità felice”  Rudi Westendorp, Ponte alle Grazie, 2015

foto libro

Recensione di Nicoletta Onida

Il saggio del medico danese Westendorp prende le mosse da una considerazione molto semplice: poiché in Occidente, rispetto al passato, l’aspettativa di vita è notevolmente cresciuta, oggi tutti noi vorremmo vivere meglio la nostra vita da “vecchi” e godere più a lungo l’età pensionabile. Se un tempo, dopo aver cresciuto e indirizzato i figli ad una vita autonoma, si aveva la tendenza a mettersi in disparte, oggi la terza età appare sempre più come una nuova e – per certi versi – entusiasmante fase della vita. Una frontiera da esplorare e godere appieno e non un crepuscolo in cui ritirarsi spegnendosi lentamente. Perché questo avvenga, tuttavia, dovrebbero variare ancora molte cose nel modo di vivere e pensare della società. A cominciare dalle giovani generazioni. Quando si è molto giovani, infatti, carichi di curiosità ed inventiva, il desiderio più grande è entrare a far parte del mondo degli adulti pensando di poter compiere tutto ciò che fino ad allora ci è stato vietato. Si guarda, pieni di speranza, al futuro, che rappresenta più o meno ciò che ognuno si attende. Raramente a quell’età si pensa ai problemi legati alla vecchiaia, si spera anzi di invecchiare in buona salute e morire senza soffrire troppo, magari all’improvviso. E con questa spensieratezza si è portati a trascurare la propria salute, ad assumere uno stile di vita che non disdegna gli eccessi, confondendo il bisogno di divertimento “a tutti i costi” con abitudini dannose le cui conseguenze, purtroppo, arriveranno presto o tardi a farsi sentire.

Da adulti la vita cambia: si ha più libertà, ma anche maggiori responsabilità e preoccupazioni. Capita, così, che nei momenti di stanchezza e insoddisfazione, quando sembra che la vita voglia metterci alla prova, i nostri pensieri tornino indietro nel tempo. Risvegliando ricordi torniamo alla giovinezza e, con nostalgia, ripensiamo alla spensieratezza e all’allegria di allora. Malgrado le difficoltà lottiamo con coraggio e determinazione per portare avanti i nostri progetti, non ci arrendiamo, ma nei momenti di stanchezza e apprensione, istintivamente, pensiamo fiduciosi ad una vecchiaia tranquilla in cui potremo godere il meritato riposo. Già, chi non desidera invecchiare serenamente? Tutti noi lo vorremmo, ma senza diventare vecchi, bensì conservando inalterate la nostra mente e il nostro corpo, vivendo in autonomia e senza limitazioni, senza pesare sugli altri.

Purtroppo, ci dice Westendorp, non esiste una ricetta per invecchiare senza diventare vecchi; ogni cosa si logora: le piante, gli animali, gli oggetti… ed anche per noi arriva il momento in cui l’organismo arriva all’esaurimento e le minacce al nostro benessere diventano più concrete. Dato che non possiamo rimanere inermi in attesa che cali il sipario, ci adoperiamo per difendere la nostra salute. Finalmente guardiamo in faccia il presente e decidiamo di cambiare. È troppo tardi? Forse no, ci rassicura lo studioso: l’importante è saperlo fare nel modo giusto, dopo aver individuato le abitudini e i comportamenti dannosi che ci trasciniamo dietro da anni. Dopo aver fatto, insomma – da soli o con l’aiuto di medici e altre figure che possano affiancarci –, un bilancio accurato del nostro stile di vita.

È questo, secondo me, l’aspetto più interessante del saggio, una lettura che aiuta ad orientarsi meglio nella fase della vita che personalmente mi trovo ad attraversare. Ma una volta concluso il libro, mi è venuto spontaneo domandarmi: se tutto ciò lo avessimo fatto fin da giovani, se già allora avessimo assunto comportamenti salutari, saremmo arrivati a vecchiaia in condizioni migliori, evitando certe patologie?

Westendorp, pur non fornendo una risposta matematicamente certa, lascia pensare di sì. Ed è per questo che consiglierò caldamente la lettura di questo saggio non solo alle mie amiche e a quanti, come me, si trovano alle soglie della terza età, ma soprattutto ai figli e ai nipoti, che forse sono ancora in tempo a correggere le proprie abitudini per garantirsi una vecchiaia più sana. Come diceva quella vecchia réclame? “Prevenire è meglio che curare”.

La bussola del Sacro Cuore di S. Faedda

Fin da ragazzo ho sempre lavorato in una falegnameria artigianale e, fra i vari lavori eseguiti, ho avuto l’onere e l’onore di costruire la bussola (porta d’ingresso centinata) della chiesa del “Sacro Cuore”
Il progetto fu ideato da Mons. Antonio Piga ma la costruzione, in legno di noce “Daniela”, è da attribuire solo ed esclusivamente al sottoscritto. Era tanto grande la mia soddisfazione che per consolidarla scrissi, all’interno delle placche incollate, il mio nome e cognome quale unico artefice di quell’opera.


Una volta terminata la bussola, la portammo presso l’ingresso principale e grande fu la soddisfazione quando la presentammo nell’incavo con la parte superiore centinata; Mons. Piga, per la contentezza, non stava nella pelle. In concomitanza con i nostri lavori il noto pittore, Costantino Spada, stava pitturando l’interno della chiesa affiancato da un buon “boccione” di vino che il reverendo puntualmente gli procurava.
Quello stesso giorno consegnammo anche un mobile per la sacrestia e due porte d’ingresso, rigorosamente controfirmate dal sottoscritto nelle parti non visibili.
A lavoro concluso Mons. Piga invitò me e i miei colleghi a recarci al più vicino bar, da lui precedentemente avvertito, per ringraziarci e gratificarci di ciò che avevamo fatto con tanto impegno.
Avevamo appena preso posto attorno ad un tavolo quando una voce, poco gradevole ed a noi ben nota, ci incitò a lasciare immediatamente il locale per fare rientro nello stabilimento….dato che non eravamo pagati per oziare!!!
Ovviamente andammo via dal locale con tanta delusione e amarezza per la mancata colazione gratuita.
Ora, dopo aver lavorato per più di 50 anni nella stessa ditta e tanti anni di pensione, ricordo quell’episodio con tristezza per la mancanza di fiducia nei confronti di tutti noi.

Salvatore Faedda

Il portaombrelli di Salvatore Faedda

Il freddo di questi giorni mi ha ricordato quello del 1956 prima della grande nevicata. All’epoca lavoravo in un negozio di mobili con piano terra adibito ad esposizione e primo piano a deposito di mobili e cianfrusaglie. Tutte le mattine, alle ore 8,00, dovevo aprire il negozio mentre la commessa arrivava un’ora dopo.
Sarà stato colpa del freddo ma una mattina sento la necessità impellente di entrare in un bagno. Il locale, purtroppo, non era dotato di servizi igienici ed io mi sentivo intrappolato dai forti dolori al basso ventre.
Preso dalla disperazione corro al piano superiore, prendo il primo portaombrelli che mi capita per le mani e lì do sfogo ai miei bisogni corporei. Finalmente mi sento libero ma…con tanti sensi di colpa!!!
Per qualche giorno non ci penso più finché una mattina, dal momento che pioveva, la commessa mi chiede di portare giù il portaombrelli per collocarlo vicino all’ingresso principale.
Preso dal panico per il ricordo di ciò che avevo fatto e per la vergogna d’essere scoperto, salgo al piano superiore e con titubanza prendo il portaombrelli. Guardo all’interno e…..miracolo, il portaombrelli era vuoto. Annichilito ma contento per la mancata vergogna, eseguo l’ordine ricevuto. Dopo qualche giorno di ripensamenti ed assoluto stupore, mi rendo conto che chi mi aveva salvato dalla vergogna era stato un topolino che aveva consumato quel “lauto pasto”.

Salvatore Faedda

Lu rappresentante – Il rappresentante di Salvatore Faedda


Candu sthaziami in via Principessa Maria babbu trabagliaba in comune; eddu all’una vinia a magnà e subidu z’iscia pa cuntrullà l’operai chi trabagliabani sottu la so direzione.

Una dì veni a casa un rappresentante di libri pa zischa di vindì a mamma un’enciclopedia ma edda zi l’ha mandadu cun la schusa chi edda non pudia dizidi nudda acchi li dinà l’avia lu mariddu.

Dugna dì era la matessi sthoria e cussì, gandu babbu l’ha sabudu, ha dittu a mamma chi si era juntu candu vera eddu, zi l’avia lampadu da li scari.

Mancu a fallu appostha l’indumani, candu babbu s’era lavendi li denti pa andà a trabaglià, sonani lu campaneddu; sigumenti mamma sabia chi era lu rappresentante, candu ha aberthu la janna l’ha dittu: “si accomodi che mio marito viene subito”. Mamma non sabia mancu in di era e ha aggiuntu: “se mio marito la prende a voci non ci faccia caso…lui è sempre nervoso”.

Candu mamma è andada da babbu e l’ha dittu chi vera lu rappresentante, eddu ha subidu ischuminzadu a impricà: “abà l’acconzu eu, non ti preoccupà” e cumenti è isciddu da lu bagnu, noi chi erami trimurendi, intindimmu: “buongiorno signor Faedda” e babbu: “Oh…buongiorno geometra”, noi non v’abemmu cumpresu nudda. E babbu: “Ameliaaaaaaa pigliari tuttu chissu chi voi dabboi già m’arrangiu eu cu lu geometra” e z’è isciddu pa andà a trabaglià.

La sera, candu è giuntu da trabagliu z’ha dittu: “chissu è lu geometra chi lu manzanu trabaglia in comune e la sera vendi libri…cumpresu m’hai?” E mamma s’ha posthu l’animu in pazi.

Salvatore Faedda
Quando abitavamo in via Principessa Maria babbo lavorava presso il Comune di Sassari; all’una veniva a pranzare e subito dopo usciva di casa per controllare gli operai che lavoravano sotto la sua direzione.

Un giorno venne a casa un rappresentante di libri per cercare di vendere a mamma un’enciclopedia. Lei, però, lo mandò via con la scusa che non poteva decidere perché i soldi li gestiva il marito.

Tutti i giorni era la stessa storia e così, quando babbo ne venne a conoscenza, riferì a mamma che se quel rappresentante si fosse presentato quando lui era a casa, l’avrebbe fatto ruzzolare per le scale.

Manco a farlo apposta il giorno dopo, mentre babbo si lavava i denti prima d’andare al lavoro, suonarono il campanello. Siccome mamma sapeva bene che era il rappresentante, quando aprì la porta disse: “si accomodi che mio marito viene subito”. Mia madre era molto imbarazzata ed aggiunse:”se mio marito la prende a voci non ci faccia caso…lui è sempre nervoso”.

Quando mamma andò da babbo per riferirgli che c’era il rappresentante, lui iniziò subito ad imprecare: “ora lo aggiusto io, non ti preoccupare” e, come uscì dal bagno, noi figli che stavamo tremando per lo spavento sentimmo a gran voce: “buongiorno signor Faedda” e babbo “Oh…buongiorno geometra”…e così non capimmo più nulla. E ancora: “Ameliaaaaaa, compra tutto quello che vuoi, dopo mi aggiusto io con il geometra” e uscì di casa per rientrare al lavoro.

Quella stessa sera, quando rientrò dal lavoro, babbo ci comunicò che quel geometra di giorno lavorava con lui in comune e la sera vendeva libri.
E così mamma, finalmente, si mise l’animo in pace

Salvatore Faedda