Un clangore di battaglia irrompe nell'immoto silenzio del mattino, strinato dal furore del diverbio dal verdetto già scritto. Duellanti che si disprezzano..... incrociano spade taglienti per lenire le sofferenze inflitte senza ragione a uno di loro. Ciò... nella muta indifferenza del "volgo" , che non riconosce l'odiato disagio, chiuso nel pregiudizio che impone un inconscio distacco. La "sofferenza" altrui impaurisce gli animi... divaricando due mondi paralleli, che inevitabilmente non si riconoscono . E la richiesta di ascolto, venata dal dolore, si perde nei meandri della retorica, attenta solo a creare consensi da recita. L'attesa di risposte lacera l'anima, acuendo distanze che separano .... mitigate solo dalla ferma volontà ad non arrendersi alla bieca cecità del demone. g.b. |
Non posso aggiungere niente al profondo commento-analisi di Franco Simula, degno degli intensi e poetici versi di G.B. che descrivono con sorprendente mestiere il disagio di chi con ferma volontà non si arrende.
G.B. ci sta abituando con crescente ritmo a dei piccoli capolavori. Ho avuto occasione di incontrare il nostro amico più volte nell’ultimo periodo ed ho l’impressione che con la stesura dei suoi poemi lui riesca a scaricare le sue tensioni interne a beneficio delle sue condizioni generali. Se le mie impressioni dovessero avvicinarsi alla realtà, penso di incontrare G.B. prossimamente ulteriormente migliorato.
Complimenti G.B., volare si può, non arrendersi si deve!
La prima impressione, quella più spontanea è: bella, molto bella. Ma non basta sarebbe troppo riduttivo. Immediatamente incalza un fragore di spade che si urtano e si incrociano in una battaglia cruenta, vera; come nei poemi omerici o nelle tenzoni dei cavalieri medioevali. Poi,ma subito,leggi il tormento interiore. Come una febbre che sta a segnalare qualcosa di sconosciuto, di ignoto, che si agita dentro l’anima. La rimembranza più immediata evoca “Alla sera” di U. Foscolo. Lui parlava della sera-morte: troppo in là. Con calma. Tu racconti il quotidiano, doloroso,silenzioso e solitario combattimento con la malattia (col rapace infingardo) che scorre come un fiume lento e corposo nell’indifferenza del “volgo”. di quello che non soffre. Ma c’è anche una torma anonima che soffre come te, in silenzio come te, appoggiandosi a te ma offrendosi anche come tuo sostegno. Se pianti un palo obliquo, in breve tempo cade; se al palo obliquo opponi un altro palo obliquo la resistenza si moltiplica. Anche l’attesa di risposte,inascoltata, nasce forse dalla mancanza di risposte che leniscano o annullino la sofferenza dell’anima. E anche il possibile rimedio è solo temporaneo. L’approdo è là nel buio oltre la siepe, assegnato a ciascuno di noi al momento della nascita. Che, comunque, non è il caso di sollecitare col pensiero ossessivo del suo arrivo; si rischierebbe di morire due volte: nel momento della morte e nell’attesa angosciante del momento della morte.