Volare si Può, Sognare si Deve!

I mestieri scomparsi: il ciabattino – Testo di Egle Farris

Il ricordo sfilacciato e smagliato è un incrocio tra il Quasimodo di Notre-Dame e il più vecchio degli gnomi  delle leggende scandinave di un tempo lontano . Anche sciancato era , come se i cromosomi si fossero radunati tutti li , per l’occasione e senza alcuna possibilità di  plasmare almeno un modesto fisico . Solo il nome era quello di un grande  e famoso  e lui invece  , dalla nascita ,sempre piccolo era stato  .  Michelangelo era stato chiamato, e mai nome, in qualsivoglia persona  , fu così fuori luogo .  Ad ogni ora lo cercavi e trovavi in quel sottano in cima alla salita ,eternamente buio,una lampadina da 15 candele pendente da un nudo filo sul desco , sempre avvolto da un odore affumicato ed incancellabile di dozzinali sigarette .  Perchè Michelangelo , per avere un tozzo di pane  e sbarcare il lunario ,quando ancora non esistevano stracci di pensione ,faceva il ciabattino .  Sul davanti , un grembiule di pelle unto e bisunto ,dall’età misteriosa  e ragguardevole , Michelangelo sedeva su una bassa seggiola impagliata  ,gambe disposte in  parallelo , per accogliere il pesante piede di ferro che usava per risuolare e rattoppare scarpe dozzinali, immerso inesorabilmente in un miscuglio di odori di colla ,pece greca e cera turca . Il deschetto era diviso in scomparti , che accoglievano nell’ordine lesina ,forbici, martello ,trincetti di qua, “semenze”  d’acciaio di misure diverse di là ,tutti simboli del mestiere .    Era così misera la bottega che non aveva “dischentes”, apprendisti senza alcuna ricompensa che dovevano imparare in  un triennio  il mestiere ,rubandolo più con gli occhi che con le mani . Scarpe nuove  ne faceva raramente,un paio allora passava di padre in figlio , riparato sino all’estremo limite e “ferrato”.  (Ed ecco perchè al mio paese non si mettevano le scarpe al caro estinto ! )  Infatti sulla suola venivano inchiodate al tacco “sas bullittas” e alla punta “su puntale”, aggeggi di ferro dalla superficie arrotondata che frenavano l’usura della suola e scivolavano e schioccavano  “in s’ impedradu” , promettendo pericolosi  scivoloni ed impedendo a qualunque passo di restare anonimo e silenzioso .     Passò anni ,decine di primavere e gelidi  inverni   grami ,  ad inchiodare, rattoppare e pensare ,perchè cosa poteva fare se non pensare ,sempre solo con con le sue vecchie ,fruste scarpe ,sin quando se ne andò,  Michelangelo ,liberato infine da un corpo sgraziato che doveva aver odiato tutta la vita e da un immeritato ergastolo ,a cui lo aveva condannato  , lui innocente, una sorte , ria e perversa  , in un luogo buio ed umido  che era stato sempre la sua sola ,unica, tristissima immagine di casa.

Una signora col rossetto               

Egle Farris

1 Commento

  1. Kai Paulus

    Splendido, malincolico racconto della nostra Signora col rossetto, il ricordo di un antico mestiere, che, come tanti altri, ci siamo presi il lusso di perdere, e che oggi ci accorgiamo dell’enorme errore della nostra società del facile consumo che ci rende troppo dipendenti da altri paesi.
    Grazie, Egle Farris, per ricordarci da dove veniamo.

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