Normalmente l’ultimo giorno dell’anno veniva sempre festeggiato a casa perché così anche i nostri genitori potevano stare con noi. Dopo la loro dipartita, però, abbiamo deciso di modificare le nostre abitudini e di passare le feste in maniera diversa in qualche locale dell’isola. Per questa decisione, oltre alla voglia di cambiare, ha influito molto il limite imposto dal condominio che, oltre un certo orario, non permetteva di fare chiasso.
In coincidenza della fine del secolo scorso, insieme a tutta la compagnia, decidiamo di aspettare l’anno 2000 a “Chia”, sito bellissimo della Sardegna a pochi chilometri da Cagliari. Il posto scelto non è stato del tutto casuale perché mio cognato, che all’epoca lavorava ancora, era stato destinato a Cagliari in reperibilità, per essere prontamente disponibile a dare assistenza ai computer che, all’epoca, non erano stati elaborati in previsione del nuovo secolo.
Poiché il 31 dicembre, pur essendo l’ultimo dell’anno io e Giuseppe abbiamo lavorato sino alle prime ore del pomeriggio, decidiamo di partire per Chia verso le ore 16,00 e siccome il tempo stringeva e i chilometri da macinare erano più di 250 partiamo senza che io abbia fatto la doccia, riservandomi di sistemarmi e rilassarmi in albergo.
Al momento dell’arrivo, una volta parcheggiata l’auto, ci dirigiamo verso la reception per il ritiro delle chiavi e per sistemare i bagagli nelle stanze che ci avevano assegnato.
Appena arrivato in camera prendo possesso del bagno, mi rado con particolare attenzione e, subito dopo, mi infilo sotto la doccia, faccio scendere l’acqua, mi insapono e quando sto per risciacquarmi, ecco che manca l’acqua!!! Porca miseria dico io…e adesso come faccio????
Per fortuna avevamo con noi una bottiglia d’acqua minerale, per giunta gassata, e con quella ho ripulito le parti spumeggianti del mio corpo.
Subito dopo ci prepariamo e, con il resto della compagnia, scendiamo nella sala antistante il ristorante per un aperitivo prima del grande cenone. Ahi noi….l’aperitivo era già terminato e noi ci siamo dovuti accontentare di qualche sporadica patatina sparpagliata sul tavolo.
Alle ventuno esatte ci fanno accomodare in una grande veranda coperta. Il nostro tavolo è sistemato accanto ad una stufa a gas per esterni ed il tepore che emana ci gratifica degli spiacevoli inconvenienti precedenti.
Mentre aspettiamo l’antipasto, un ragazzo del tavolo accanto si alza, prende la stufa quasi di prepotenza e si lamenta dicendo che anche loro hanno tutto il diritto a riscaldarsi. Noi che non abbiamo voglia di bisticciare, lasciamo fare anche perché, nel frattempo, è arrivato l’antipasto. Antipasto???….ma quale antipasto!!!! due fette di prosciutto, due di salsiccia e tre olive a testa. Aspettiamo il primo che arriva dopo circa un’ora. Ne vogliamo parlare? Non ci abbiamo capito nulla; ha la forma di un diplomatico, è freddo e poco desiderabile. E così anche il primo….è andato!
Per fortuna ci rimane il secondo…naturalmente con molta calma. Il menù esposto in bellavista sulla tavola ci propone “aragosta allo specchio”. Già il nome è tutto un programma; praticamente si tratta dell’involucro dell’aragosta riempita con una gustosissima….insalata russa….tutto qui!!!
E pensare che abbiamo portato anche il “Diger” in previsione di una probabile indigestione.
Nel frattempo ci viene restituita la stufa….spenta e priva di gas! A che pro?
Intanto il tempo passa fra delusioni e malumori quando, ad un certo punto, si sente a gran voce che nel padiglione centrale del ristorante, vengono servite lenticchie con zampone e musica a go-go….ma vaffan….!!! Andiamo via un po’ delusi ma con tanta voglia di rifarci il giorno dopo.
La colazione del giorno successivo ci trova tutti d’accordo e soddisfatti (secondo me è solo fame).
Subito dopo colazione ci raggiungono due nostri amici, che vivono nei pressi di Chia, e ci portano a scoprire le meraviglie di quei luoghi.
Rientriamo per l’ora di pranzo, ci accomodiamo nel tavolo a noi riservato e attendiamo con impazienza che ci vengano serviti gli antipasti.
Nel frattempo chiacchieriamo del più e del meno, senza mai perdere di vista i camerieri che si muovono in continuazione….senza però servire.
Il tempo passa e i piatti sono sempre vuoti. Cerchiamo di scrutare i volti degli altri commensali per capire le loro reazioni ma, anche le loro espressioni sono alquanto dubbiose.
Ad un tratto si sente il gracchiare di un altoparlante e, subito dopo, una voce alquanto imbarazzata comunica che il pranzo di capodanno non sarà servito perché i NAS hanno invaso e bloccato le cucine.
Oh Dio mio…e adesso come facciamo???? Giuseppe, che deve rientrare al lavoro quella stessa sera, è disperato e comincia a girovagare per la sala pranzo; finalmente trova una scatoletta di tonno che manda giù con avidità accompagnandola con del pane che è rimasto in tavola.
Intanto nella hall, dopo lunghe proteste, i clienti vengono rimborsati dei loro soldini. A noi, invece, che dobbiamo stare lì ancora qualche giorno, ci viene assicurato un ottimo trattamento anche perché, poco più in la, avevano un altro locale adibito a cucina e che avrebbe funzionato senza l’ombra dei NAS.
Ad onor del vero, i giorni successivi allo spiacevole inconveniente, siamo stati trattati benissimo perché ci hanno fatto gustare piatti eccellenti e prelibati.
Ovviamente per noi, l’inizio dell’anno 2000 verrà sempre ricordato come l’anno degli inconvenienti più eclatanti.
Salvatore Faedda
Bella storia.
Ma cosa, mi chiedo, c’entra il capodanno del 2000, come anche prima, il viaggio in Cina, oppure il Natale dell’infanzia, la prova per un posto di lavoro, gli gnocchi mangiati di nascosto, il recente viaggio in Italia, con i temi e compiti della nostra associazione?
Niente.
O forse tantissimo?
Salvatore è anche l’autore sul nostro sito di memorabili pezzi quali “Lu Parkinson”, “L’eredità”, “Marumori”, e “Lu Muccaroru”, quindi non può aver dimenticato per chi sta scrivendo.
Ed allora?
Come mai?
Io penso, che Salvatore con la sua miscela di frammenti di vita ci voglia proporre lo spaccato di una vita, la sua, e lo fa con eleganza e sapienza. Nella sua vita, appunto, non c’è solo il Parkinson, ma c’è di tutto, bei ricordi, viaggi, lo stare insieme con i familiari ed amici. La vita è quella. Poi c’è anche il Parkinson, ma è soltanto una parte. La vita continua e va vissuta, nelle azioni, affetti, e nei ricordi.
E’ così, ci dice Salvatore, che si vince la malattia: vivendo!