Volare si Può, Sognare si Deve!

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COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI di Kai S. Paulus

(seguito di “STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2“)

tempio grecoUn importante capitolo della gestione globale della malattia di Parkinson, di cui ci occupiamo in questo progetto “Il Tempio Greco – Le sei colonne del Parkinson”, spetta ovviamente alla terapia medica, che per la mole dell’argomento ho diviso in due parti; la prima parte tratterà i comuni farmaci che conoscete tutti (Dopamina, Dopaminoagonisti e Inibitori enzimatici) ricordando brevemente il loro utilizzo e la loro funzione. Nella seconda parte, invece, vi illustrerò le attuali possibilità per le situazioni più complicate, in cui con la tradizionale terapia orale non si riesce più a gestire i sintomi, accennando alle terapie infusionali sottocutanea della Apomorfina ed intradigiunale della Duodopa, la stimolazione cerebrale profonda, DBS (Deep Brain Stimulation), e l’ultilizzo degli ultrasuoni con la tecnologia della MRgFUS (Magnetic Resonance guided Focalized Ultra Sound). Più avanti, quando discuteremo la genetica del Parkinson si parlerà anche delle affascinanti terapie farmacologiche avanzate e quella genica.

Iniziamo il nostro viaggio, ponendo una prima colonna del nostro Tempio, con la famigerata dopamina, cioè il neurotrasmettitore la cui riduzione e/o mancanza causa i classici sintomi del Parkinson (tremore, rigidità, rallentamento, ecc.).

Quindi, nella malattia di Parkinson viene a mancare la dopamina (vedi anche Il Divertimento come fonte di Dopamina) e logica vuole che “riempendo il secchio” il sistema riprende a funzionare ed i sintomi della malattia diminuiscono. Tutto qui!

Dopo le fondamenta stiamo ponendo la prima colonna.

Fosse così facile, non saremmo qui a discuterne. Intanto, la dopamina introdotta come farmaco non arriva, o solo in minima parte, a destinazione, per cui si usa uno dei suoi precursori biochimici, la levodopa (L-dopa), che, superando la barriera ematoencefalica entra nel cervello dove raggiunge i neuroni dopaminergici, viene trasformata in dopamina disponibile per la trasmissione dell’informazione neuronale ripristinando il circuito. Questa levodopa viene introdotta nell’organismo tramite compresse o capsule (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo) oppure gel (pompa della Duodopa). Tutte le persone affette da Parkinson trovano sollievo quando iniziano la terapia con levodopa, stanno decisamente meglio e spesso tornano alla loro vita abituale. Questa è la famosa “luna di miele” in cui va tutto bene ed anche il medico fa un gran figurone. Ma, come sapete benissimo, questo fortunato periodo non dura molto, forse 12-18 mesi, poi il rapace infingardo (cit. G.B.), su nemigu (cit Peppino Achene) si riprende la scena ed anche con gli interessi: gradualmente la singola dose diventa meno efficace e duratura, per cui si necessitano maggiori dosi. E qua inizia una delle più brutte cose nella terapia del Parkinson: infatti, compaiono le complicazioni della terapia: anziché migliorare, i farmaci contribuiscono a peggiorare la malattia. Incredibile ma vero! Una sfida costante per tutti (paziente, famiglia, operatori sanitari). Gli effetti negativi vanno da fluttuazioni motorie non controllabili fino ad ansia, insonnia, allucinazioni, comportamenti disinibitorie, deliri e psicosi.

Per fortuna, ci vengono in aiuto gli inibitori enzimatici (Jumex, Azilect, Aidex, Roldap, Rasabon, Xadago, Comtan, Tasmar, Ongentys), cioè farmaci che riducono la degradazione della levodopa, che pertanto rimane più a lungo in circolo, permettendo un risparmio della levodopa e minimizzando il rischio delle complicazioni sopraelencate. Ma non siamo salvi, perché non tutte queste sostanze vengono tollerate o aiutano solo parzialmente.

Tante pastiglie, capsule, compresse. Troppe?

Allora abbiamo a nostra disposizione i cosiddetti dopaminoagonisti (Mirapexin, Pramipexolo, Requip, Ropinirolo, Neupro), cioè farmaci che agiscono come se fossero dopamina. Il loro vantaggio è la preparazione a rilascio prolungato e quindi di lunga durata riducendo pertanto le fluttuazioni on-off, anche il temuto blocco post-prandiale. Il loro svantaggio sono possibili effetti collaterali che vanno da ipotensione e sonnolenza (specialmente in estate) fino ad allucinazioni, disinibizioni (gioco d’azzardo, shopping, punding, ipersessualità), allucinazioni e psicosi. Quindi anche queste sostanze, pur molto vantaggiose, vanno usate con criterio.

Nel tentativo di ridurre i blocchi motori si è costretto ad aumentare le dosi di levodopa, il che può portare ad un altro problema: le discinesie da picco dose, cioè movimenti involontari di parti del corpo associati spesso a sudorazioni ed agitazione. Per questa evenienza, si può aggiungere un farmaco antivirale, l’amantadina (Mantadan) che non comporta accentuazioni dei blocchi motori, che invece si riscontrerebbero con una riduzione della dose di levodopa.

Infine, possiamo inserire farmaci chiamati anticolinergici (Akineton, Disipal) per ridurre alcuni sintomi specifici quali tremore e scialorrea, sempre usati con cautela per possibili effetti collaterali cognitivi.

Abbiamo finito?

No. Troppi farmaci fanno male, possono interferire tra di loro, e non ci sono solo i farmaci anti-Parkinson, ma molto spesso si assumono pastiglie cardiologiche, oncologiche, internistiche, oltre ad antibiotici, antiinfiammatori ed antidolorifici (Franco Simula dicet). La parola d’ordine deve essere: ottimizzare tutte le terapie in atto per prenderne il meno possibile e per garantire complessivamente una soddisfacente qualità di vita. Cioè, sarebbe il colmo non potendo apprezzare il buon controllo dei sintomi parkinsoniani se a causa di una ipoglicemia si rischia di svenire, di una pressione troppo alta si soffre di cefalea, di una artrite si lamentano troppi dolori, oppure se a causa di una sindrome ansiosa non si riesce a dormire.

E con lo stesso spirito, in modo mirato ed efficace, vanno trattati i problemi strettamente legati al Parkinson, quali i disturbi del sonno, del tratto gastrointestinale e del tono dell’umore.

(segue con COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE)

MALATTIA DI PARKINSON – GRANDI NOVITA’ di Kai S. Paulus

Parkinson grandi novità

Il numero di questo mese della rivista tedesca “Der Nervenarzt” (trad. ‘Il neurologo’) si occupa delle grandi novità terapeutiche che aspettano le malattie neurodegenerative a partire dall’anno nuovo. Nel loro editoriale i due neuroscienziati Johannes Levin e Wolfgang Oertel presentano l’epocale cambiamento dell’attenzione scientifica, e cioè il passaggio dalla presente terapia sintomatica alla nuova terapia mirata alla modificazione del decorso della malattia.

Attualmente si riesce unicamente a trattare i sintomi, a ridurre il tremore, la rigidità ed a migliorare l’equilibrio, ma purtroppo nessuna delle medicine utilizzate modifica minimamente il decorso progressivo della patologia neurodegenerativa.

Sin dall’introduzione della levodopa negli anni ’60 (vedi l’articolo “C’era una volta … la Levodopa”, archivio ottobre 2021) sostanzialmente non è successo granché: certo, si sono aggiunti i dopaminoagonisti (Neupro, Mirapexin, Requip) e gli inibitori enzimatici (Jumex, Azilect, Aidex, Roldap, Rasabon, Tasmar, Xadago, Ongentys) che hanno permesso di ridurre le quantità di Levodopa (Sirio, Madopar, Sinemet) assunta, ma la malattia continua a seguire il suo corso e periodicamente si rendono necessari adattamenti farmacologici per affrontare l’accentuazione di tremore, rallentamento motorio, e freezing, con spesso non soddisfacenti risultati. Quando cerco di spiegare il Parkinson, prendo come esempio un secchio bucato, che perde il suo contenuto; per questo motivo inizia la nota disabilità. Aggiungendo la levodopa posso riempire il secchio, e quindi momentaneamente migliorare la situazione, con gli inibitori enzimatici posso raccogliere una parte di ciò che perde, ma il secchio continua a perdere ed a rompersi sempre di più; così stanno le cose attualmente. Ma adesso è giunta l’ora di riparare questo secchio.

E le cose effettivamente stanno cambiando. In “Der Nervenarzt” (12/2021) vengono riassunte le nuove opzioni farmacologiche delle maggiori malattie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer, la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), ed il nostro nemigu, il rapace infingardo, la malattia di Parkinson.

Parkinson grandi novità

Articolo “Terapie neuroprotettive nelle sindomi parkinsoniane idiopatiche, genetiche ed atipiche con patologia della alfa-sinucleina” (Der Nervenarzt 12/2021)

In particolare, nell’articolo del gruppo di ricercatori intorno a Johannes Levin e Wolfgang Oertel vengono illustrati i nuovi approcci terapeutici per il Parkinson, che qui di seguito vorrei riassumervi. Complessivamente vengono elencati 36 farmaci (!) attualmente in studio con potenziali capacità ‘patologia modificanti’, di cui molte ricerche si trovano in fase II e III, ovvero sperimentate non più in laboratorio ma in esseri umani.

Questi farmaci agiscono su diversi meccanismi cellulari con l’obiettivo di modificare, rallentare e ridurre il Parkinson.

  • Riduzione di alfa-sinucleina

Alla base del Parkinson sta l’accumulo degli scarti di una proteina essenziale per i processi di immagazzinamento, di trasporto e di liberazione della dopamina, l’alfa-sinucleina (ASYN); tale accumulo è dovuto ad un difetto dei sistemi di smaltimento, in particolare quelli lisosomiali e del sistema proteasoma-ubiquitina (UPS), insomma, la nettezza urbana cellulare. L’accumulo della alfa-sinucleina alterata è dannoso per la cellula nervosa, il neurone, che si difende raccogliendo tali scarti in dei veri e propri sacchi di mondezza, i cosiddetti corpi di Lewy. Quindi, siamo salvi?

Per niente, siccome gli scarti aumentano sempre di più, il neurone produce sempre più sacchi di rifiuti che riempiono la cellula rendendo impossibile il suo corretto funzionamento. E la funzione principale dei neuroni nigrostriali, quelli principalmente colpiti nel Parkinson, è quella di liberare dopamina per la corretta trasmissione dell’informazione neuronale all’interno del sistema motorio. Quindi, i neuroni, da un lato, danneggiati dall’effetto tossico della alfa-sinucleina, e dall’altro, ingolfati dai corpi di Lewy, non riescono a svolgere il loro lavoro ed il sistema motorio si altera.

Ma se si potesse ridurre la sintesi di alfa-sinucleina …

Ed è esattamente questo a cui si sta lavorando. Per esempio, si cerca di bloccare il gene SNCA, responsabile della produzione di alfa-sinucleina (ASYN); questo avviene tramite la terapia ‘antisense oligonukleotid’ (ASO) che blocca questo gene sul RNA, cioè la catena molecolare che copia, ogni volta che serve, l’informazione dal nostro codice genetico, il DNA. Con questa metodica sono in corso diversi studi su pazienti, con iniezione intracranica mensile della ASYN-ASO “BIIB 101”, e siamo in speranzosa attesa di conoscere i risultati.

segue con MALATTIA DI PARKINSON – GRANDI NOVITA’ [2]

MALATTIA DI PARKINSON – GRANDI NOVITA’ (2) di Kai S. Paulus

Grandi novità

(seguito di LA MALATTIA DI PARKINSON – GRANDI NOVITA’)

  • Inibizione di aggregazione

Ridurre o impedire la formazione degli aggregati tossici di alfa-sinucleina porta inevitabilmente ad una riduzione della malattia. Per questo, si sta lavorando a diverse sostanze biologiche e di sintesi in grado di interagire con tali aggregati. Per verificare efficacia, tollerabilità e possibile via di somministrazione, è in corso uno studi con 300 persone con Parkinson con il farmaco “UCB-0599”; ed in un altro studio clinico viene testata la sostanza “Anle 138b”. Precedentemente si è osservato in modelli animali per entrambi i farmaci una riduzione della patologia e miglioramento del quadro clinico, il che fa ben sperare.

  • Riduzione di ferro intracerebrale

Il ferro gioca un ruolo importante nel metabolismo delle cellule cerebrali, e si è osservato che nel Parkinson si forma un accumulo di ioni ferro nella sostanza nera, crocevia del sistema motorio e punto di partenza del Parkinson, cioè della via nigrostriatale dopaminergica. Tali ioni ferro posseggono un potenziale altamente neurotossico oltre a favorire l’aggregazione della alfa-sinucleina, non lasciando quindi scampo al nostro neurone che si deve arrendere. Pertanto, si stanno studiando delle sostanze che possano rimuovere tale ferro in eccesso. Uno di questi chelanti è il PBT434 che in laboratorio ed in modelli animali si è rivelato antiaggregante e neuroprotettivo.

  • Eliminazione degli aggregati extracellulari

Pochi anni fa si è scoperto che gli aggregati di alfa-sinucleina riescono ad uscire dal neurone ‘ammalato’ e ad ‘infettare’ i neuroni circostanti, contribuendo così alla progressione della malattia.

Nel tentativo di bloccare tale diffusione ci si avvale dell’immunoterapia con lo sviluppo di anticorpi diretti contro questi aggreganti vaganti, e diversi anticorpi vengono analizzati e studiati in laboratorio e negli esseri umani, con risultati promettenti; attualmente i ricercatori sono impegnati a risolvere il problema di far arrivare gli anticorpi a destinazione perché solo una piccolissima parte, circa il 2%, riesce a passare la barriera ematoencefalica e ad entrare nel cervello. Comunque, ci sono diversi candidati con buone prospettive, quali il PD10A, il vaccino UB-312 e l’anticorpo monoclonale Prasinezumab, attualmente in fase 2b dello studio PADOVA con 312 parkinsoniani.

Grandi novità

Editoriale di “Der Nervenarzt”: Terapie proteino-correlate delle malattie neurodegenerative

 

  • Potenziamento della ‘nettezza urbana’

Abbiamo visto che una delle principali difficoltà del neurone nel Parkinson è costituita dall’eliminazione dell’alfa-sinucleina alterata ed i suoi aggregati. Questo accade a causa di mutazioni dei geni LRRK2 e GBA coinvolti nelle funzioni lisosomiali (i lisosomi sono i principali ‘spazzini’ della cellula) e dei sistemi proteasoma-ubiquitina (‘centri smaltimento rifiuti’ delle cellule). Qui la ricerca è indirizzata a sostanze in grado di frenare i geni mutati o di rafforzare quelli sani. Per es., l’ASO BIIB094 inattiva il gene LRRK2, e la stimolazione di GBA aumenta le capacità dei lisosomi.

  • Riduzione del processo infiammatorio

Le malattie neurodegenerative sono accompagnate da processi infiammatori cronici che amplificano ulteriormente il quadro patologico. Gli sforzi di molti studiosi sono indirizzati verso il contenimento e la riduzione di queste infiammazioni intracerebrali, e le ricerche intorno all’inibitore della mieloperossidasi Verdiperstat sono quelle più avanzate e si trovano già nella fase 3 dello studio clinico; anche il Rituximab, un anticorpo monoclonale indirizzato contro le cellule infiammatorie CD20 ed utilizzato nei linfomi e malattie autoimmuni, si sta rivelando un promettente candidato.

 

Mentre sta nevicando sul nostro sito e le renne portano Babbo Natale dai bambini (grazie, Gian Paolo!) ho cercato di descrivervi ciò che sta accadendo in questo importante momento della ricerca neurologica, ed in particolare quella dedicata al Parkinson; si stanno aprendo nuovi scenari, impensabili solo pochi anni fa, ma che sono già realtà e che potrebbero avere prime applicazioni pratiche già nel prossimo anno (che inizia tra 18 giorni…)

IL SECCHIO BUCATO di Kai Paulus

Avete presente un secchio bucato che perde continuamente anche se cerco di riempirlo? E’ così che spesso spiego la malattia di Parkinson e la difficoltà di curarla. Il secchio rappresenta il sistema nigro-striatale che a causa del processo patologico diminuisce il suo contenuto di dopamina, essenziale per il corretto funzionamento di muscoli e movimento. Il secchio bucato perde quindi dopamina che va costantemente riempito; ciò si fa con il precursore della dopamina, la levodopa (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo); ma più levodopa verso nel secchio e più levodopa ne esce. Una partita persa in partenza. A tale scopo vengono abbinati alla terapia dopaminergica altri farmaci, i cosiddetti inibitori enzimatici che possiamo immaginarci come dei piattini che sotto il nostro secchio bucato raccolgono la dopamina persa e la riversano nel secchio diminuendo in questo modo la quantità di dopamina perduta, o in altri termini, aiutando a prolungare l’effetto della singola dose di levodopa.

Di questi piattini, di questi inibitori enzimatici, che effettivamente inibiscono la degradazione della dopamina rendendola nuovamente disponibile, ce ne sono di due tipi: uno che inibisce l’enzima MAO-B (monoaminoossidasi B), e l’altro che inibisce l’enzima COMT (carbossimetiltransferasi), entrambi essenziali appunto nell’inibire la rapida perdita di dopamina. Questi inibitori li conosciamo tutti: gli inibitori della MAO-B sono selegilina (Jumex) e rasagilina (Aidex, Rasabon, Roldap e Azilect, oppure Xadago), mentre agli inibitori della COMT appartengono entacapone (Comtan, entacapone contenuta in Stalevo) e tolcapone (Tasmar).

Tra qualche mese arriva nelle farmacie italiane ONGENTYS, ovvero opicapone, un nuovo inibitore della COMT.

Il nuovo farmaco è simile a entacapone e tolcapone, ma è caratterizzato da due fondamenti proprietà: rispetto ai prodotti attuali possiede una più lunga azione consentendo un‘unica somministrazione giornaliera, e non è epato-tossico e quindi non necessità dei periodici controlli ematici della funzionalità del fegato. Altro vantaggio è che non lascia tracce colorate nelle urine e quindi non macchia.

In conclusione, avremo un piattino più grande da poter raccogliere meglio la dopamina che si perde dai buchi del secchio: meno prese di farmaco giornaliero e più lunga efficacia della singola dose di levodopa.

Ora mi chiederete, ma non sarebbe più semplice chiudere, tappare i buchi? Avete ragione. Ma questa è un’altra storia, che ha a che fare con neuro-plasticità, neuro-protezione, e neuro-restaurazione di cui si sta occupando intensivamente la scienza internazionale, e che da anni stiamo seguendo da vicino, basti pensare ai nostri sforzi a riguardo di Emozioni e Musica oppure il Buon Riposo Notturno, e di cui parleremo ancora molto prossimamente.

LA RIABILITAZIONE NELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai Paulus

 (Sabato, 2 dicembre 2017, sono stato invitato a Cagliari per tenere una relazione sulla riabilitazione nel Parkinson al Congresso regionale della Associazione Italiana dei Neurologi Territoriali, AINAT. Nel preparare il mio discorso ho pensato a tutti voi, ed in particolare all’eccezionale lavoro svolto dalle nostre buone fate, Pinuccia Sanna e Annalisa Mambrini; questa relazione l’ho voluta dedicare a loro)

La malattia di Parkinson (MP) è una patologia neurodegenerativa che progressivamente porta ad una sempre maggiore disabilità e ciò comporta un sempre maggiore peso per l’ammalato/a e la famiglia, e sempre maggiori costi per la comunità. Per questo motivo è importante intervenire al più presto possibile, appena posta la diagnosi. Ma come sappiamo, al momento della diagnosi la maggior parte dei neuroni del sistema nigro-striatale sono già compromessi ed il punto del non ritorno è superato. La scienza sta studiando delle possibilità di poter fare diagnosi preclinica ed è alla ricerca di sintomi prodromici e biomarker (iposmia, alterazioni del transito intestinale, disturbi del sonno, depressione, ecc.), ma essi, pur indicativi, non sono specifici e pertanto non si può intervenire preventivamente, e non ci sono ancora disponibili delle strategie terapeutiche che possono modificare il decorso della patologia, le cosiddette terapie “disease-modifying”. La terapia farmacologica è sintomatica, però con la durata della malattia essa diventa sempre meno efficace e pertanto saranno necessari approcci sempre più costosi. Nella gestione globale della MP il trattamento farmacologico va affiancato con quello riabilitativo per preservare il più a lungo possibile le autonomie della persona e, a differenza dei farmaci, la riabilitazione aumenta in efficacia con la durata della malattia senza far lievitare il carico socio-sanitario ed economico.

La MP è una malattia che compromette il movimento e di conseguenza la sua terapia naturale è il movimento, ed essendo una patologia ipocinetica, cioè che tende ad un progressivo rallentamento motorio ed induce l’ammalato/a a muoversi sempre di meno portandolo ad una vita inattiva e sedentaria, il primo obiettivo delle strategie riabilitative deve essere quello di prevenire l’inattività. E questo obiettivo si insegue sin dall’inizio della malattia, quando la persona è ancora autonoma: informando paziente e familiari si favoriscono frequenti passeggiate, attività quotidiane in generale ed eventualmente attività sportive ed il ballo. Questo intervento riabilitativo si rivela particolarmente utile nelle prime fasi di malattia, ma sarà il filo conduttore della neuro-riabilitazione durante tutta la durata della MP. Nelle fasi intermedie della MP si presentano disabilità fisiche che possono essere affrontate con diverse strategie per preservare le autonomie residue e per migliorare l’equilibrio statico-dinamico con l’obiettivo di mantenere e migliorare le autonomie globali (miglioramento di cambi posturali, alzarsi da letto e sedia, la postura, la camminata, abbottonarsi, ecc.); ciò è importante sia per la persona ammalata sia per i familiari che non sono costretti ad assisterla continuamente, e così si prevengono anche tensioni interpersonali ed intra-familiari. I vari esercizi possono essere eseguiti all’aperto, in palestra, a domicilio, ed anche in piscina, e si possono avvalere di diversi aiuti, cues, visivi, uditivi, tattili, in base alla disabilità da migliorare. Per esempio, cues permanenti o ritmici possono essere lo scandire del ritmo di una marcia militare oppure il superamento di linee sul pavimento che favoriscono il miglioramento della deambulazione e l’allungamento del passo. Oppure, una facilitazione, un cue unico, può essere il dare il via (“uno, due, tre, via”) in caso di acinesia, cioè in caso di difficoltà nell’iniziare il movimento; ed ancora, per vincere il freezing, il blocco motorio, che si può osservare in spazi stretti, come nell’attraversare una porta, un cue, in questo caso un trucco (strategia cognitiva), può essere, non concentrarsi sulla soglia da superare, ma di tenere in mente la meta da raggiungere dopo la soglia, per esempio la poltrona. Come aiuti possono essere impiegati anche altre strategie molto utili, quali il nordic walking e la realtà virtuale, con i quali si possono esercitare anche il “multi-tasking”, cioè la capacità di fare diverse attività contemporaneamente, come camminare e parlare allo stesso tempo; la MP compromette gli automatismi e rende pertanto difficile l’esecuzione di attività contemporanee.

Dopo anni, inevitabilmente si arriva alla fase avanzata, caratterizzata da marcata instabilità posturale, rigidità diffusa ai quattro arti e tronco, disfonia, disartria, disfagia, insonnia, depressione, e compromissione dei movimenti fini e della manualità; si necessitano ausili, come il deambulatore e la carrozzina, ed in casi gravi si rende necessario l’allettamento. Ecco, l’obiettivo principale della riabilitazione e della terapia farmacologica è rappresentato dal ritardare il più possibile questa fase avanzata che significa per l’ammalato/a enormi disagi e per il familiare e/o caregiver un importante carico assistenziale 24 ore su 24.

In una persona molto disabilitata, confinata in carrozzina oppure a letto, l’approccio riabilitativo si rende estremamente importante. Si tenga presente la situazione di una persona con MP in stadio avanzato: costretto alla quasi totale inattività, e quello che è peggio, annoiato, sicuramente depresso. Ecco che l’arrivo del terapista diventa un evento che rompe la monotonia e riempie il vuoto, e spesso già la sola attesa può essere momento di sollevamento del tono dell’umore. Ma, non è la mobilizzazione passiva l’obiettivo del trattamento, che comunque serve per mantenere una buona condizione cardio-circolatorio. Il SSN non prevede un trattamento riabilitativo permanente, specialmente se non ci sono obiettivi e se non si apprezzano miglioramenti. Pertanto la riabilitazione deve mirare a degli obiettivi anche nella fase avanzata. Come? Innanzitutto, ci vuole la collaborazione della persona, che a volte non è facile da ottenere, e comprensibile per la situazione di disagio e di sofferenza in cui si può trovare. Allora, l’ammalato/a va motivato, gli vanno prospettato dei traguardi, e soprattutto la persona va coinvolta attivamente nella pianificazione del programma riabilitativo. Poi, a parte le sedute insieme al terapista, che come sappiamo sono spesso preziose e brevi, nel corso della giornata vanno inseriti dei momenti di esercizio, di allenamento, che l’ammalato/a può eseguire da solo, autonomamente, a mo’ di “compiti per casa”, durante i quali potrà perfezionare gli esercizi appresi dal terapista. Oltre al miglioramento, con questo programma si struttura la giornata, la si riempie, la persona ha un obiettivo, ed anche una responsabilità (mica può deludere il terapista, e non vuole che il SSN gli tolga questa opportunità), per non parlare della possibilità di poter parlare con familiari ed amici di cose costruttive e di non doversi lamentare dei suoi malanni. In questa ottica cambia tutta la prospettiva: migliorano i rapporti interpersonali e migliora la qualità di vita, spesso creduta perduta.

Ma tutto ciò non basta.

Ci vuole il divertimento. Ed a questo proposito ci aiutano le cosiddette arti-terapie, quali la musica, il ballo, il teatro, ed altro, che da alcuni anni sono state aggiunte nelle linee di guida italiane ed internazionali del trattamento della MP.

Pensando alla musica, viene in mente subito il ritmo, che come la levodopa per la terapia farmacologica, rappresenta il “gold-standard” della riabilitazione nella MP. Il suono mette in oscillazione il sistema uditivo, e conseguentemente, il ritmo causa una oscillazione ritmica che viene trasmessa direttamente, tramite una via reticolo-spinale, al sistema motorio, piramidale, quindi by-passando la malattia, il sistema extrapiramidale. Ecco, perché il ritmo funziona e la persona bloccata riesce a camminare sulle note della marcia “Dimonios”, l’inno della Brigata Sassari, perché si toccano “corde” che non sono ammalate. Quindi, con il ritmo mettiamo in moto ogni parkinsoniano, ma non lo curiamo, perché l’effetto benefico del ritmo è temporaneo, proprio perché non agisce sul sistema extrapiramidale.

E la musica?

Ecco, la musica aggiunge un elemento essenziale: l’emozione! E quale musica? Non importa, ognuno ha la sua musica che gli è più congeniale, che gli provoca ricordi ed eventualmente la pelle d’oca. Con questa musica suscitiamo l’emozione che a livello del sistema sia meso-limbico sia dei nuclei della base stimola l’aumento del tono dopaminergico favorendo un miglioramento dei segni extrapiramidali. A differenza del ritmo, la musica, l’emozione, stimola processi di neuro-plasticità, un processo che viene elicitato con ogni nostra attività, sia fisica che cognitiva. La neuro-plasticità è caratterizzata da un aumento delle connessioni sinaptiche, un aumento del tessuto neuronale, ma anche dei capillari e della glia; e la neuro-plasticità diminuisce la apoptosi, la morte cellulare. Ed ecco che la musica migliora la MP a lungo termine: si creano processi di riparazione di compensazione. E ciò vale anche per altre attività, come il teatro ed il ballo. Importante è il divertimento.

In conclusione, la neuroriabilitazione nella MP è una presa in carico globale che include l’informazione di ammalato/a e caregiver, la prevenzione, la motivazione e la collaborazione, prevede attività fisica e cognitiva, programmi riabilitativi che comprendono parti passive ma prevalentemente esercizi attivi ed allenamento quotidiano. Ma il trattamento riabilitativo, per poter ottenere risultati apprezzabili e per poter consolidare i benefici temporanei e quindi per contrastare la progressione della malattia diventando effettivamente una terapia “disease-modifying”, necessita di un atteggiamento positivo, di carica, di forza di volontà e di tante emozioni, gioia, piacere, divertimento.

Giocando si impara.

Sogni d’oro, Mister Parkinson! di Kai Paulus


Diverse volte abbiamo parlato nel nostro sito sul significato del sonno e sull’importanza del buon riposo, che riguarda in modo particolare la malattia di Parkinson, proprio perché durante il sonno profondo avvengono i processi di riparazione e di compenso, come ci ha spiegato Prof. Pier Andrea Serra in varie occasioni.
Dieci giorni fa, in occasione della nostra XI Giornata Sassarese della Malattia di Parkinson, avevo ripreso l’importante tema del sonno mettendo l’accento sul concetto dell’Igiene del sonno, cioè comportamenti e strategie con i quali si possono ottenere un riposo notturno migliore senza dover ricorrere a farmaci. Qui di seguito vorrei elencare queste regole del buon sonno valide per tutti:


“Coricarsi sempre alla stessa ora”
Il sonno è una questione di abitudine e per questo è una buona regola di osservare dei comportamenti abituali e costanti; quindi, in linea di massima, bisogna cercare di andare a letto alla stessa ora. In questo modo l’organismo si può preparare meglio sapendo quando finisce la giornata.
“Camera da letto sufficientemente accogliente, silenziosa e buia”
Dovrebbe essere un piacere recarsi in camera da letto, un luogo bello ed accogliente, dove trovarsi bene; ed ovviamente riusciamo a riposarci meglio se c’è silenzio e buio.

“Evitare la televisione in camera da letto”
Un errore che si fa spesso (me compreso) è di guardare la televisione a letto, convinti che concili il sonno. In effetto, davanti alla TV ci si appisola facilmente. Ma dopo qualche ora ci si sveglia: la TV eccita il cervello e quindi non predispone per un buon riposo.

“Evitare bevande alcoliche nelle ore serali”
L’alcol, anche se in un primo momento può avere un effetto sedativo, comporta successivamente un aumento della pressione sanguigna con conseguente disturbo del sonno. Sotto la stessa voce possiamo anche mettere il consumo di sostanze stimolanti quali caffè e the.

“Assumere una cena leggera”
Meglio tenersi leggeri la sera per non appesantire la digestione.

“Non riposare dopo pranzo per più di 30 minuti”
Riposare dopo pranzo può essere una buona abitudine, ma se dormiamo troppo dopo pranzo togliamo sonnolenza per la notte.

“Evitare esercizi fisici faticosi prima di coricarsi”
Si stimola il metabolismo, il che tiene svegli.

Ed infine, un errore che facciamo troppo spesso:
“Evitare pensieri emotivamente carichi”
Rimuginando fatti e situazioni non risolte, pensare a problemi e preoccupazioni, è il metodo più sicuro per impedire il sonno: In effetti, molte persone soffrono di insonnia proprio per questo motivo. Ma ci si può abituare con un po’ di disciplina ad evitare queste problematiche, pensando a cose belle, oppure pensando semplicemente di meritare una bella dormita dopo una giornata impegnativa. Le cose irrisolte intanto non si risolvono durante la notte e le affrontiamo meglio la mattina seguente dopo una buona dormita.

Buona notte!

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV

IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA Parte IV
Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson
di Kai S. Paulus

Ed ecco, finalmente arrivati alla dopamina, sostanza principale del nostro discorso ed anche quella sostanza che con la sua carenza causa la malattia di Parkinson. Non vi proporrò un trattato medico sul Parkinson e sulla mancanza di quella sostanza che permette la trasmissione di informazioni neuronali nei circuiti motori del cervello. Ci sono i farmaci, c’è la riabilitazione ed il movimento in generale. Invece, pongo l’accento su un terzo aspetto che ci aiuta perché ci fa guadagnare quella sostanza, la dopamina: le emozioni.

imageUna delle funzioni principali della riabilitazione alternativa in generale, e della musicoterapia nello specifico, è la sua capacità di indurre nel cervello processi di neuroplasticità, ovvero dei meccanismi che, primo, comportano modificazioni di efficacia e di dimensione delle sinapsi [i punti di connessione e di comunicazione tra le cellule nervose], secondo, stimolano la crescita di nuove sinapsi e dendriti [prolungamenti delle cellule nervose con cui trasportano l’informazione e la trasmettono ad altre cellule nervose], terzo, aumentano la densità della sostanza grigia[il sistema nervoso si distingue in sostanza bianca, composta da fibre lunghe cioè prolungamenti nervosi lunghi, e sostanza grigia, cioè nuclei cellulari, i loro prolungamenti nervosi corti, e l’insieme di capillari sanguigni e cellule di sostegno, incrementando quindi non solo il tessuto nervoso ma anche la rete di capillari e le componenti della glia [cellule di sostegno], e quarto, riducono i processi di apoptosi, cioè di morte cellulare (Altenmueller, 2015). Cioè, neuroplasticità vuol dire crescita cellulare e processi di riparazione all’interno del nostro cervello.
A questo riguardo non importa che tipo di musica viene scelta ma fondamentale è che la musica sia quella favorita (Gerdner, 2012). Il neuroscienziato tedesco Eckhard Altenmueller ha osservato a questo proposito che il semplice ascolto della musica preferita, in seguito ad un ictus cerebrale oppure da parte di persone affette da demenza, può avere un effetto antidepressivo con la possibilità di migliorare le funzioni cognitive, la memoria, la vigilanza ed in genere la sensazione di benessere (Altenmueller, 2015). E’ importante precisare che questi quattro principi fondamentali della neuroplasticità non vengono, ed attualmente non possono essere, indotti da farmaci, ma dalla corretta sintonia e positività del pensiero mentale, cioè del giusto atteggiamento nei confronti dell’ambiente e della persona.
La musica, il teatro, il divertimento, veicolano emozioni, e le emozioni sono in grado di attivare il sistema dopaminergico mesolimbico [oltre al sistema striatale dei nuclei della base responsabile del movimento, esiste quello limbico, cioè emotivo; ma entrambi i sistemi utilizzano la stessa dopamina come neurotrasmettitore, cioè sostanza che trasmette l’informazione da un neurone al prossimo]; un elevato tono dopaminergico favorisce l’apprendimento e l’attenzione, i processi di gratificazione [tutti noi conosciamo la sensazione di benessere dopo aver fatto qualcosa di buono: ora sappiamo che questa sensazione ci viene data dalla dopamina], ma d’altra parte, i comportamenti incontrollati mirati al aumento del tono dopaminergico possono indurre alla dipendenza [non riuscire ad accontentarsi mai, cercare sempre di più]. Le emozioni, quindi, posseggono un enorme potenziale di modulazione sulle attività cerebrali. Per tornare al Parkinson, Salimpoor e colleghi (2011) hanno potuto dimostrare un aumento di dopamina in seguito all’intenso piacere provocato dall’ascolto della musica proprio nel sistema striatale. Pare, pertanto, che proprio questi meccanismi stiano alla base del miglioramento dei pazienti parkinsoniani che seguono i diversi laboratori della riabilitazione complementare.
Le terapie non convenzionali non sostituiscono né i farmaci, né la riabilitazione neuromotoria, ma possono contribuire a migliorare globalmente le condizioni di salute del paziente e possono aumentare la sua qualità di vita; il ballo, il teatro, o anche le antiche arti marziali orientali, quali il tai chi, possono consolidare il beneficio ottenuto dalle terapie tradizionali, e, tenendo l’ammalato attivo, possono aiutare a rallentare il decorso della patologia degenerativa. Il tutto divertendosi, ed ad un costo sanitario irrisorio paragonato alle cifre riportate da Kowal e colleghi (Mov Disord, 2013) dove si calcolano circa 23000 dollari di spesa sanitaria media annuale per persona affetta da malattia di Parkinson. In Italia attualmente ci sono circa 250000 parkinsoniani… Numeri che sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni.
Meglio ballare.

Qui finisce l’articolo ma forse sta appena iniziando la discussione. Pensate al potenziale delle terapie alternative, il loro enorme beneficio, il loro costo irrisorio. Penso che noi, la nostra Parkinson Sassari, possiamo fare molto nei prossimi anni per dimostrare innanzitutto a noi stessi che queste tecniche di riabilitazione insieme al corretto atteggiamento possono funzionare per gestire meglio il Parkinson. Tenete presente che ci sono tante patologie neurologiche croniche ma tra quelle il Parkinson è molto particolare e si distingue proprio per questa caratteristica che la causa della malattia, cioè la mancanza di dopamina, può essere parzialmente colmata con le attività, il comportamento, ed il giusto atteggiamento di ognuno. In termini semplici si può affermare che il Parkinson viene gestito per un terzo dai farmaci, per un terzo dal movimento, dalla vita attiva e riabilitazione, e per un terzo dalle emozioni. Pensateci. Buona estate e ci rivedremo a settembre per divertirci insieme con la ginnastica di gruppo, il teatro e la musicoterapia.

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte III

IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA Parte III

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus

(seguito di Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II)

Ed ora tenetevi forte, perché adesso vengono svelati alcuni segreti di ciò che veramente avviene nel cervello durante le attività creative, ed in particolare, si cerca di spiegare come fa esattamente la musica, il suono, a modificare i nostri schemi motori ed a raggiungere addirittura il muscolo. Volutamente ho lasciato i riferimenti di autori e soprattutto le indicazioni degli anni per dare un’idea di quanto sono recenti, e tutt’ora in corso, le ricerche in questo campo. Insomma, stiamo per iniziare un affascinante viaggio verso i confini dell’attuale ricerca scientifica; allacciate le cinture di sicurezza!

Tra i trattamenti riabilitativi non convenzionali per la malattia di Parkinson la musicoterapia è sicuramente la più completa, quella che unisce alla musica le varie strategie, sia motorie che sociali, aggiungendo emozioni e divertimento. Un elemento basale della musica è rappresentato dal ritmo e già da molto tempo è riconosciuto l’utilizzo del ritmo nella rieducazione del passo nel Parkinson. In un studio recente, Skodda e colleghi (2010) hanno sottolineato la presenza nel parkinsoniano di un deficit della locomozione coordinata e ritmica. Nel 1996, con Lee e collaboratori, prende forma il concetto di terapia ritmica. Si scopre che l’aiuto uditivo ritmico può influenzare il sistema motorio (Large et al., 2008) e che il ritmo può facilitare il movimento essendo in grado di sincronizzare il tempismo dell’attivazione muscolare con la struttura temporale del ritmo, cioè della frequenza della battuta; questa facilitazione può essere spiegata con le connessioni neurali esistenti tra i sistemi uditivo e motorio (Konoike, 2012). Inoltre, recenti studi hanno potuto scoprire che i suoni esercitano la loro influenza sui sistemi motori tramite connessioni reticolo spinali [vie nervoso che mettono in contatto la formazione reticolare, arcaica formazione nervosa situata nella parte più antica del cervello e che gestisce bisogni essenziali, con il midollo spinale dove passano le fibre nervose motorie che alla fine comandano i muscoli], con i quali riescono a produrre ed a modulare il timing dei neuroni motori spinali (Seger et al., 2013). Si è inoltre riusciti ad evidenziare che i nuclei della base [il ‘centro del movimento’ che si ammala nel Parkinson], ed in particolare il putamen [struttura dei nuclei della base deputata alle funzioni motorie propriamente dette], sono coinvolti nel sequenziare gli eventi ritmici (Grahn e Rowe, 2009). In seguito a queste ricerche era ovvio che la stimolazione uditiva ritmica fosse stata riconosciuta come lo standard nella riabilitazione motoria nella malattia di Parkinson (Archibald et al., 2013), però recentemente si è osservato che gli effetti positivi della stimolazione ritmica sugli schemi motori nel Parkinson sono di breve durata (Nombela et al., 2013). Per ovviare al problema e per riuscire a rendere l’effetto della terapia più duraturo e persistente ci si è convinti che non basta un elemento della musica, il ritmo, ma che è necessario l’utilizzo della musica nel suo insieme. La musicoterapia grazie alla melodia trasmette emozioni che servono per rinforzare i circuiti attivati. La musicoterapia include cantare, ballare, ed ascoltare musica. Secondo la Associazione Americana di Musicoterapia (American Association of Music therapy), la musicoterapia rappresenta una professione sanitaria affermata nella quale la musica è usata nel rapporto terapeutico indirizzato ai bisogni fisici, emotivi, cognitivi e sociali (2015). Tramite il coinvolgimento musicale nel contesto terapeutico vengono rafforzate le abilità del paziente e trasferite su altre aree della sua vita. La musicoterapia supera barriere e fornisce nuove possibilità di comunicazione che possono essere utili per coloro che trovano difficoltà nell’esprimersi con parole. La musicoterapia può essere efficace in molti campi, sia nella riabilitazione fisica per facilitare il movimento, per migliorare la motivazione delle persone alla riabilitazione, per fornire un supporto emotivo a pazienti e familiari, e per creare un canale d’uscita per l’espressione di sentimenti.

Nella prossima ed ultima parte entrerà finalmente in scena la dopamina, quella sostanza che viene a mancare nel Parkinson, e capiremo quindi perché le attività creative, la musica, il ballo, il teatro, ed il divertimento, possono effettivamente migliorare il quadro clinico della persona affetta da malattia di Parkinson.

(segue con Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV)

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II

 IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA parte II

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus 

(seguito di Il Divertimento come fonte di Dopamina)

Ciò che segue è probabilmente il capitolo più noioso dei quattro, però serve per introdurre il decorso naturale del Parkinson senza terapia, e quindi il significato delle terapie farmacologica e non farmacologica. 

La Malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva che colpisce principalmente una piccola rete di cellule nervose al centro del cervello, le vie dopaminergiche nigrostriatali deputate alla selezione e modulazione della corretta sequenza di movimenti; successivamente vengono alterati diversi circuiti neuronali che portano ad un quadro clinico caratterizzato inizialmente da sintomi motori quali tremore, rigidità, instabilità posturale, rallentamento motorio, e che durante la malattia possono trovarsi variamente associati a sintomi non motori, soprattutto dolori, insonnia, fatica, ansia e depressione, fino a problematiche psichiatriche costituite da turbe del controllo degli impulsi, allucinazioni e psicosi. Questi sintomi possono presentarsi in varie combinazioni ed a severità crescenti con la durata di malattia. I sintomi che caratteristicamente causano maggiori disagi nella Malattia di Parkinson sono quelli motori, per i quali con l’avanzare della malattia saranno necessari presidi per la postura e per la deambulazione in quanto l’ammalato non sarà più in grado di spostarsi autonomamente esponendosi sempre di più a rischi di cadute.

Per la malattia di Parkinson attualmente non esiste ancora una cura risolutiva e guarigione; per questo, l’obiettivo principale della neurologia è di gestire la patologia e l’ammalato, di alleviare i disagi, di conservare le autonomie individuali, e di cercare vie per modificare il corso della patologia per prevenire quadri clinici complessi e difficili. Il Parkinson viene tradizionalmente curato con trattamenti farmacologici; essendo essa una patologia a deplezione di dopamina, la principale cura è costituita dalla terapia sostitutiva somministrando il precursore della dopamina, la levodopa. Oltre alla levodopa ci sono altri farmaci che agiscono similmente alla dopamina, i cosiddetti dopaminoagonisti, e sostanze che aiutano a risparmiare dopamina, gli inibitori enzimatici delle MAO e COMT. Per gli stadi più avanzati di malattia, quando l’assunzione orale dei farmaci diventa difficile, ci sono le pompe di infusione di farmaco per via sottocutanea (apomorfina) oppure tramite PEG (duodopa); per casi complicati e selezionati si presta la stimolazione cerebrale profonda (DBS, deep brain stimulation). Paradossalmente, molti farmaci, e soprattutto la levodopa, possono provocare loro stessi un peggioramento della malattia, e pertanto con il corretto utilizzo dei farmaci da parte degli specialisti si possono evitare le complicazioni farmacologiche e conservare discrete qualità di vita.

Ma la sola terapia farmacologica e chirurgica non è sufficiente per gestire la malattia di Parkinson. Di fondamentale importanza è la riabilitazione neuromotoria; con gli esercizi si cerca di migliorare la postura, i cambi posturali e la deambulazione, e si rieducano gli automatismi motori, alterati a causa della malattia. Spesso le persone hanno difficoltà nei comuni atti quotidiani ed allora può essere d’aiuto la terapia occupazionale. Importante diventa il supporto psicologico per l’ammalato che a causa del rallentamento motorio e della crescente disabilità rischia di perdere il suo ruolo familiare e sociale, ma essenziale è il sostegno psicologico anche per il familiare che si trova davanti un carico assistenziale continuamente in aumento. Proprio per aiutare il parkinsoniano a riconquistarsi il suo ruolo nella vita quotidiana, possono diventare determinanti la ginnastica di gruppo dove ci si sprona a vicenda, e la teatro terapia, recentemente inserita nelle linee guida del Ministero della Sanità per le cure della malattia di Parkinson, nella quale l’ammalato torna ad essere protagonista ritrovando stimoli e responsabilità. Significativi sono, a questo proposito, i risultati della ricerca di Nicola Modugno e collaboratori (2010) che hanno osservato in un gruppo di pazienti parkinsoniani coinvolti in un laboratorio teatrale per tre anni un miglioramento di punteggio nelle scale di valutazione motorie e non motorie, e la non necessità di aumenti di terapie, rispetto ad un gruppo parkinsoniano in trattamento riabilitativo tradizionale. Questi approcci terapeutici possiedono in aggiunta il vantaggio di poter offrire agli interessati il divertimento, elemento fondamentale nelle terapie complementari, stando insieme ad altre persone con gli stessi problemi, si sdrammatizza, e si ride, il che conferisce una enorme carica psicologica ed emotiva e che supporta i progressi del lavoro fisico.

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Fino a qui lo stato dell’arte della terapia del Parkinson. Nel prossimo capitolo cercheremo di capire che cosa succede nel nostro cervello quando ci divertiamo, quando balliamo, recitiamo “Romeo e Giulietta: 40 anni dopo” oppure quando ascoltiamo musica.

(segue con Il Divertimento come fonte di Dopamina parte III)

Il Divertimento come fonte di Dopamina

Introduzione

 IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA

Dicembre 2014 - pranzo sociale

Dicembre 2014 – pranzo sociale

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus

  Sì, avete ragione, tutto già detto e scritto.

Torniamo al 2009, quando, alla Camera di Commercio avevamo proposto le terapie alternative, quali il ballo, il teatro e la musica (leggete anche “Il teatro” nel nostro sito). Allora, la riabilitazione nel campo del Parkinson era ancora molto tradizionale e basata fondamentalmente su arcaici dogmi accademici che però stavano iniziando a vacillare sotto il peso delle nuove evidenze della ricerca scientifica ma che a Sassari trovava ancora una roccaforte apparentemente inespugnabile. Diciamoci la verità, nessuno avrebbe scommesso mezza lira sui sognatori Delli e Paulus. Eppure…

L’articolo che sto per presentarvi, e che si basa su un recente ciclo di relazioni tenute da me a Sassari e Cagliari e che sarà pubblicato nel numero di luglio della rivista ‘SassariMedica’ dell’Ordine dei Medici e Chirurghi della Provincia di Sassari e Olbia-Tempio, rappresenta attualmente il fulcro in fatto di fisioterapia e riabilitazione della nostra Parkinson Sassari. Il sogno è diventato idea, progetto, e quindi realtà. Pochi giorni fa, il 18 giugno, abbiamo assistito alla prima dello spettacolo teatrale “Romeo e Giulietta: 40 anni dopo” del nostro amico Francesco Enna e messo in scena in modo fantastico dagli amici del gruppo teatrale della nostra Parkinson Sassari. Per Franco e me è stato un momento indimenticabile, un sogno diventato realtà, con la consapevolezza che quello che è stato presentato e raccontato nel 2009 era appunto fattibile e raggiungibile. Tutti quelli che giovedì scorso erano nella sala gremita di Latte Dolce sono stati testimoni del enorme potenziale del lavoro del nostro gruppo; loro hanno assistito all’interpretazione irresistibile di ‘Giulietta’ Maria Luisa, quelle della tenera ‘Donna Capuleti’ Grazia e della coraggiosa ‘Nutrice’ Adelaide, ‘Romeo’ Oscar senza deambulatore, ‘Tebaldo’ Gianni prestato da Star Wars, il ‘Principe’ Peppino che già ci ha abituato ad imprese eroiche, ed Antonio il Capuleto di Ittiri che non rinuncia, e di tutti gli altri grandiosi Capuleti e Montecchi sassaresi.

E noi continuiamo a sognare…

In quest’ultimo anno la nostra “Parkinson Sassari” è cresciuta notevolmente ed ha potuto offrire varie attività e laboratori, quali la ginnastica di gruppo, il teatro, e la musicoterapia, apparentemente molto diverse tra di loro, ma comunque legati con l’intento di unire, integrare, intrattenere, aiutare, e possibilmente migliorare le condizioni di salute. Tali attività sono state rese possibili con l’eccezionale collaborazione del nostro personaggio dell’anno, la dott.ssa Pinuccia Sanna che rende la ginnastica per tutti più divertente ed efficace, della dott. Annalisa Manbrini che recentemente ha fatto conoscere a noi le molteplici applicazioni della musicoterapia, e del nostro scrittore e sceneggiatore Francesco Enna che ha vinto l’apparente impossibile sfida essendo riuscito a creare dal nostro gruppo numerosi attrici ed attori. Vengono spontanee due domande: che cosa hanno in comune tutte queste attività, e poi, cosa c’entrano con la malattia di Parkinson? Vi anticipo subito che queste due domande hanno, in un certo senso, la stessa risposta.

Nell’articolo che segue cercherò di illustrarvi la scienza sulla quale si basano queste attività che appartengono alla riabilitazione non convenzionale, complementare e creativa, nell’ambito delle molteplici strategie riabilitative in campo neurologico. Parlerò della serietà di queste occupazioni e di come avevamo ragionato con Franco Delli, Peppino Achene, Piero Faedda e Graziella Manchia su cosa poteva essere interessante ed utile per i soci e possibilmente integrativo alle varie terapie mediche. Il direttivo della nostra ‘Parkinson Sassari’ non le ha scelte per puro divertimento ma per motivi ben precisi.

Ops, mi è scappata la parola chiave: il divertimento.

Ma andiamo per ordine. Dopo una breve premessa sulla malattia di Parkinson e le difficoltà in cui si possono trovare sia le persone affette da questa malattia ma anche i loro familiari ed i caregiver, seguirà l’articolo che, per comodità di lettura, ho diviso in tre parti.

segue Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II