Volare si Può, Sognare si Deve!

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SPECCHIO DELLE MIE BRAME di Kai S. Paulus

Stamattina ho avuto una interessante conversazione con Fulvio Stradjiot, bioingegnere piemontese, con cui collaboriamo a dei progetti sui blocchi motori e freezing nel Parkinson (progetti che per adesso hanno preso il via in Piemonte ma che presto porteremo a Sassari).

Tra le varie difficoltà ci siamo chiesti perché le persone affette da Parkinson hanno risentito così tanto delle restrizioni dovute alla pandemia del covid-19, e Fulvio aveva la risposta: l’impossibilità di stare e di muoversi insieme agli altri.

 

Sembra che non ci sia niente di particolare in questa risposta visto che tutti noi avevamo lo stesso problema; però, è il Parkinson che è stato particolarmente colpito. Ovviamente l’ansia, le preoccupazioni e l’incessante martellamento dei media hanno dato il loro contributo condizionando le emozioni che nel Parkinson, come sappiamo, rivestono un ruolo di primaria importanza.

Ma ciò che ha reso così vulnerabile il Parkinson è la mancata stimolazione dei Neuroni a specchio.

 

“Il sistema dei neuroni a specchio (mirror neuron system, MNS), studiato da tanti anni ma ancora non pienamente compreso, è costituito da una rete di gruppi di neuroni che si attivano quando un individuo esegue un’azione osservando un altro individuo compiendola” (Jeons e Lee, 2018). Questo sistema è essenziale nelle fasi di sviluppo e di apprendimento quando, per esempio, i bambini imparano a camminare ed a parlare imitando gli adulti.

A differenza degli altri sistemi deputati all’apprendimento che seguono il classico schema di “percezione – elaborazione cognitiva – movimento“, il sistema a specchio è immediato e segue una logica intrinseca dei propri neuroni. Questi neuroni non elaborano ma ‘copiano’ ciò che percepiscono e ciò si traduce immediatamente in movimento. L’unica condizione è che il movimento ‘da copiare’ faccia già parte del repertorio motorio dell’osservatore.

In questo modo, il sistema a specchio raggira i lenti processi associativi – compromessi nel Parkinson – facilitando l’esecuzione del movimento.

Ed è questo che rende la vita sociale e le attività di gruppo così preziose per la riabilitazione parkinsoniana perché i neuroni a specchio permettono di superare il blocco motorio.

Cioè, la persona parkinsoniana tende a bloccarsi ma l’osservazione di altri che si muovono può rappresentare un meccanismo di sblocco. Ecco perché la “solitudine covidiana” è stata devastante per il Parkinson ed ora, gite come quella recente nei campi di lavanda e la ripresa delle nostre attività sociali, ricreative e riabilitative sono essenziali quanto curative, e contribuiscono pertanto al miglioramento della qualità di vita.

Il sistema a specchio pare sia molto importante nel campo delle “terapie delle arti creative” (creative arts therapies, CATs), la nostra amata riabilitazione complementare con musicoterapia, teatro, ballo e coro.

(Fulvio mi ha aperto gli occhio su un argomento molto intrigante e stimolante che sicuramente approfondirò.)

 

Fonti bibliografiche:

Jeon H, Lee SH. From Neurons to Social Beings: Short Review of the Mirror Neuron System Research and its Socio-Psychological and Psychiatric Implications. Clinical Psychopharmacological Neuroscience 2018; 16(1): 18-31

Palermo S, Morese R, Zibetti M, Romagnolo A, Carlotti EG, Zardi A, Valentini MC, Pontremoli A, Lopiano L. What happens when I watch a ballet and I am dyskinetic? A fMRI case report in Parkinson’s disease. Frontiers in Psychology 2020; 11: 1-9.

FREEZING DELLA MARCIA di Kai S. Paulus

 

La patofisiologia del ‘freezing’ rimane incerta, e non esistono terapie efficaci” (Witt et al., 2019)

 

Ecco, ci risiamo: ogni volta che cerchiamo di approfondire un aspetto, un sintomo, un disagio del Parkinson, subito la scienza ci toglie ogni entusiasmo avvisandoci che non si conoscono ancora bene i meccanismi cerebrali sottostanti al Parkinson e che pertanto non c’è ancora una cura soddisfacente.

Ovviamente non ci diamo per vinti, la ricerca va avanti, ed anche noi della Parkinson Sassari stiamo da tempo focalizzando il nostro interesse su questi incredibili e non comprensibili blocchi motori, di cui ci siamo già occupati diverse volte anche in questo sito:

Definizione

Il team di scienziati intorno a John Nutt (2011) ha definito il freezing of gait (FoG), ovvero il “congelamento della marcia”, come un breve episodio di assenza oppure marcata riduzione dello spostamento in avanti del piede nonostante l’intenzione di camminare.

Per andare ancora più indietro, gli austriaci Gerstmann e Schilder nel 1920 parlarono di “Bewegungsluecke” (lacuna di movimento).

Questa improvvisa e frequente sensazione di avere i piedi come congelati al pavimento accentua notoriamente l’instabilità posturale causando spesso cadute traumatiche e riduce notevolmente le proprie autonomie e la qualità di vita.

 

La marcia

Permettetemi di citare me stesso da “I disturbi della marcia (Pillola n, 17)”, archivio settembre 2018:

 

Il passo è costituito da una serie di eventi che si susseguono, il ciclo, permettendo lo spostamento del corpo in avanti. Il ciclo del passo comprende gli eventi che intercorrono tra due appoggi successivi sul terreno dello stesso piede.

Illustrazione delle fasi del ciclo del passo registrate tramite device Tecnobody Walker View. Tecnobody Srl 2016

Nei complessi meccanismi della camminata, o marcia, si individuano i seguenti parametri: la forza muscolare che serve per spostarsi e per vincere la forza di gravità, la larghezza della base d’appoggio (la distanza laterale tra i due piedi), la lunghezza del passo, la cadenza del passo (ritmo), la fluidità del movimento, l’inizio della marcia, le deviazioni direzionali (oscillazioni), e l’adattabilità.”

 

Credo che questo breve passaggio renda molto bene la complessità di ciò che diamo completamente per scontato, e che spieghi anche bene la ragione delle difficoltà nel voler intervenire per correggere alterazioni della marcia in caso di malattia: ogni parametro elencato è stato appreso durante l’infanzia con lo sviluppo di tanti circuiti cerebrali che nel corso della vita funzionano squisitamente autonomi ed inconsci.

Quando passeggiamo sull’amata muraglia di Franco Simula osserviamo le persone, il cielo ed il mare, ascoltiamo la musica di Soleandro, e chiacchieriamo con Baraba ed amici, non pensando minimamente allo straordinario lavoro che il nostro cervello sta compiendo per farci fare tutte quelle azioni contemporaneamente, ed il tutto mentre eseguiamo continuamente le sette complicate fasi del passo per spostarci, senza rendercene conto. Incredibile, vero?

 

Ed ora arriva il Freezing a rovinarci tutto.

 

(segue Freezing della Marcia 2)

 

 

Fonti bibliografiche:

Amboni M, Stocchi F, Abbruzzese G, Morgante L, Onofrj M, Ruggeri S, Tinazzi M, Zappia M, Attar M, Colombo D, Simoni L, Ori A, Barone P, Antonini A, on behalf of DEEP Study Group. Prevalence and associated features of self-reported freezing of gait in Parkinson’s disease: The DEEP FOG study. Parkinsonism and Related Disorders, 2015; 21: 644-649.

Di Biase L, Di Santo A, Caminiti ML, De Liso A, Shah SA, Ricci L, Di Lazzaro V. Gait Analysis in Parkinson’s disease: an Overview of the most accurate markers for diagnosis and symptoms monitoring. MDPI Sensors, 2020; 3529; doi:10.3390

Gerstmann J, Schilder P. Bewegungsstoerungen. I. Eigenartige Formen extrapyramidaler Mobilitaetsstoerung. Zeitschrift der Gesellschaft fuer Neurologie und Psyschiatrie 1920; 56: 266-275.

Nutt JG, Bloem BR. Freezing of gait: moving forward on a mysterious clinical phenomenon. Lancet Neurol 2011;10(8): 734-744

Witt I., Ganjavi H, MacDonald P. Relationship between Freezing of Gait and Anxiety in Parkinson’s disease patients: a systemic literature review. Hindawi Parkinson’s disease, Vol 2019, article ID 6836082.

FREEZING DELLA MARCIA 2 di Kai S. Paulus

Fog

(seguito di “Freezing della Marcia)

 

 

Ora cerchiamo di addentrarci nei meccanismi cerebrali e fisiologici da cui origina il FoG, senza essere troppo tecnici. Per tornare sulla muraglia citata nella prima parte, Franco, Baraba e Soleandro si sono fermati ed ora discutono insieme la questione.

 

Patofisiologia

La scienziata belga Alice Nieuwboer distinse nel 2013 quattro meccanismi diversi che potrebbero stare alla base del freezing della marcia, FoG:

1) il modello di soglia, in cui si accumulano le difficoltà nella deambulazione (passi piccoli, strascicati, rallentati, difficoltà nei passaggi e cambi posturali, ecc.) che poi, quando superano una certa soglia, portano ad improvvisi blocchi motori;

2) il modello di interferenza, in cui si presume che i circuiti motori e cognitivi, strettamente interconnessi, siano competitivi e complementari; nel Parkinson, i neuroni dopaminergici sono compromessi per cui l’elaborazione delle informazioni si sposta eccessivamente sui circuiti cognitivi/emotivi causando un sovraccarico delle capacità di elaborazione di informazioni all’interno dei gangli della base (centro di selezione e integrazione del movimento, principalmente ammalato nel Parkinson). Questo modello spiegherebbe anche il fenomeno delle difficoltà nei dual task (capacità di compiere due azioni contemporaneamente, per es. camminare e parlare, o camminare e portare un vassoio, ecc.) con interruzione dei programmi motori durante accrescente carico cognitivo, e quindi il blocco;

3) il modello cognitivo, che presume un deficit tra conflitto (neuronale, associativo) e sua risoluzione. In condizioni normali, si è in grado (inconsciamente) di prevenire azioni premature e di ritardare la selezione di risposta fino alla risoluzione del conflitto; invece, in caso di FoG tale prevenzione fallisce con decisione troppo rapida e maggiore incongruenza, che alla fine porta al FoG.

4) il modello scoppiato che prevede una separazione tra il programma motorio pianificato e la risposta motoria, e quindi la “idea” di fare qualcosa non potrà essere eseguita.

Per comprendere meglio i blocchi motori, e soprattutto al fine di una possibile prevenzione, è importante tener presente diversi fattori che possono predisporre negli anni allo sviluppo del freezing.

 

Fattori di rischio predisponenti al FoG:

sesso maschile: in linea con le evidenze scientifiche, le differenze di genere osservate tra i sintomi motori e non motori sono probabilmente dovute all’influenza degli estrogeni nella sintesi di dopamina;

durata di malattia: il FoG si presenta comunemente negli stadi avanzati di malattia;

instabilità posturale e difficoltà nella marcia all’inizio di malattia: i sintomi parkinsoniani variano in base al livello di lesione dei circuiti dopaminergici o di selezione di movimento; precoci difficoltà nella deambulazione predispongono pertanto al FoG negli stadi futuri, perché una loro naturale evoluzione;

fluttuazioni motorie: le fluttuazioni motorie sono associate ad un grado maggiore di deplezione dopaminergica che quindi predisponenti al FoG;

festinazione: apparentemente la festinazione, la camminata veloce a piccoli passi con tronco inclinato in avanti (inseguire il proprio baricentro), sembra il contrario del FoG. La festinazione probabilmente è dovuta ad un progressivo ritardo dell’elaborazione temporale di schemi motori nelle proiezioni nervose che vanno dal nucleo pallido interno (nei gangli della base) fino all’area premotoria e quella motoria supplementare nella corteccia. Pertanto, i passi diventano sempre più corti fino a raggiungere un limite al quale le aree corticali non riescono più a distinguere lo schema fasico del movimento, necessario a generare il prossimo passo in sequenza portando alla fine al blocco motorio ed al FOG.

 

Tra i sintomi non motori che possono rappresentare un fattore di rischio di FoG ci sono:

  • disturbi cognitivi: i domini cognitivi probabilmente coinvolti nella generazione di FoG sono la “velocità di elaborazione basale”, “l’abilità di apprendimento“, e le “capacità visuo-spaziali ed esecutive”. Il coinvolgimento delle alterazioni cognitive nel FoG viene illustrato tramite il seguente modello: in condizioni normali le azioni premature (non ancora controllate per la loro fattibilità) vengono evitate oppure ritardate finché l’eventuale conflitto decisionale sarà risolto [tenete presente che siamo dentro i circuiti neuronali del cervello e tutto si svolge al di fuori della nostra coscienza, nel lasso di tempo di pochi nanosecondi]. Invece, se tale sistema di prevenzione/ritardo non funziona, allora viene imposta una più veloce decisione di risposta con maggiore incongruenza ed errore e formazione del blocco motorio.

ansia e depressione: in studi di Risonanza Magnetica Funzionale si è osservato che nei “Freezer” c’è un interessamento dei circuiti limbici/emozionali con una specie di sovraccarico tra la rete limbica corticale e sottocorticale da una parte, e lo striato (putamen e globo pallido) ventrale (quello dorsale è responsabile dei sintomi motori) dall’altra; tale meccanismo di sovraccarico potrebbe spiegare come l’ansia e depressione (che nascono nel sistema limbico) possono predisporre al FoG.

sonno: dati controversi esistono per una eventuale predisposizione dei disturbi del sonno, ed in particolare il “disturbo comportamentale nella fase REM” che causa sonno agitato e sonniloquio, ed alcuni studi ipotizzano addirittura una comune genesi tra questi due fenomeni apparentemente molto distanti.

parola: disturbi del linguaggio (disartria, ipofonia, tachifemia, ecc.) sembrano essere maggiormente presenti in persone che poi svilupperanno il FoG.

parametri neuroradiologici: recenti studi ipotizzano un valore predittivo per sviluppare il FoG quando, all’esordio della malattia, alla scintigrafia (SPECT DATscan) si osserva un maggiore interessamento del nucleo caudato (oltre al putamen, sempre compromesso), ed alla risonanza magnetica encefalica, delle maggiori iperintensità nella sostanza bianca sottocorticale, causando probabilmente delle interruzioni delle vie associative corticali e di quelle motorie striato-frontali.

terapia: paradossalmente, la stessa terapia dopaminergica viene tirata in ballo come fattore di rischio nella comparsa dei blocchi motori, e pertanto si parla di FoG levodopa responsivo, FoG levodopa resistente, e FoG indotto da levodopa. Alcuni studi avrebbero osservato che il FoG quasi non esisteva prima dell’era della levodopa ed hanno conseguentemente concluso che il FoG sarebbe dovuto proprio alla stessa levodopa con lunghi ed alti dosaggi. Altri studi invece sostengono che prima non si è osservato il FoG perché non ci si badava essendo le persone talmente ammalate che non camminavano per niente e che l’aspettativa di vita era molto ridotta. In effetti, la clamorosa efficacia della somministrazione di dopamina si ottenne proprio con la quasi miracolosa scomparsa temporanea del freezing prolungato all’inizio degli anni ‘60.

– infine, vengono discussi da parte della ricerca internazionale anche dei biomarker presenti nel liquor cerebrospinale, come il Beta-amiloide 1-42 (Ab42), di cui al momento però non esistono risultati univoci.

 

(segue Freezing della Marcia 3)

 

Fonti bibliografiche:

Bharti K, Suppa A, Tommasin S, Zampogna A, Pietracupa S, Berardelli A, Pantano P. Neuroimaging advances in Parkinson’s disease with freezing of gait: a systematic review. NeuroImage: Clinical, 2019; 24: 1-16.

Gao C, Liu J, Tan Y, Chen S. Freezing of gait in Parkinson’s disease: pathophysiology, risk factors and treatments. Translational Neurodegeneration 2020, 9: 12-34.

Koehler PJ, Nonnekes J, Bloem BR.  Freezing of gait before the introduction of levodopa. Lancet Neurol 2021; 20: 97.

Marques JS, Hasan SM, Siddiquee, Luca CC, Mishra VR, Mari Z, Bai O. Neural Correlates of Freezing of Gait in Parkinson’s Disease: An Electrophysiology Mini-review. Frontiers of Neurology. 2020; 11: 1-12.

Nieuwboer A, Giladi N. Characterizing Freezing of Gait in Parkinson’s Disease: Models of an Episodic Phenomenon. Movement Disorders 2013; 11; 1509-1519.

Nonnekes J, Bloem BR. Biphasic Levodopa-Induced Freezing of Gait in Parkinson’s Disease. Journal of Parkinson’s Disease 2020;10: 1245-1248.

Weiss D, Schoellmann A, Fox MD, Bohnen NJ, Factor SA, Nieuwboer A, Hallett M, Lewis SJG. Freezing of gait: understanding the complexity of an enigmatic phenomenon. Brain 2020;143:14-30.

 

FREEZING DELLA MARCIA 3 di Kai S. Paulus

FoG

(seguito di “Freezing della Marcia 2)

 

Franco, Baraba e Soleandro hanno concluso la loro animata discussione ed ora arrivano al dunque.

 

Terapia:

L’approccio attualmente più efficace per trattare il FoG è rappresentato dalla riabilitazione neuromotoria e complementare (arte, musica e sport terapia), che esige ovviamente una preventiva ottimizzazione della terapia farmacologica dopaminergica e, quando necessaria, antidolorifica, ansiolitica ed antidepressiva, e correzione di eventuali disturbi del sonno e della digestione. In casi farmacoresistenti sono da prendere in considerazione anche procedure non farmacologiche, quali la stimolazione cerebrale profonda, la stimolazione vagale non invasiva, e le stimolazioni magnetica od a corrente diretta transcraniali.

Dopodiché potrà iniziare il programma riabilitativo fisico e mentale.

 

Per l’importante partecipazione delle funzioni cognitive nella generazione del FoG, si rende necessaria una rieducazione al movimento, alla deambulazione, con la massima partecipazione del Freezer che invece è spesso convinto che “le gambe non funzionino”. Siccome i possibili movimenti alternativi al passo in avanti, e cioè spostare lateralmente il piede, sollevarlo, sollevare il ginocchio, ecc., conferiscono alla persona la consapevolezza del buon funzionamento della gamba, che poi aiuta ad incrementare motivazione, speranza, fiducia, e conseguentemente la ferma convinzione di poter superare il blocco motorio.

 

Per favorire la camminata sono spesso necessari dei trucchi (“cues”) che servono per “ingannare” il sistema “inceppato” e portano al corretto svolgimento del movimento.

 

Tra tali trucchi ci sono:

– la marcia militare, cioè camminare volutamente ed esageratamente come un soldato di parata con le ginocchia ben alzate e con il correspettivo accompagnamento delle braccia

– l’ostacolo: dover superare piccole travi oppure strisce per terra, reali oppure immaginarie

– il ritmo, verbale o musicale, che favorisce il movimento

– l’utilizzo di videogiochi e realtà virtuale che possono combinare diverse strategie con il divertimento che, come sappiamo, porta ad un rafforzamento dopaminergico.

 

Tutti questi trucchi funzionano al momento, mentre spesso, appena non applicate, il FoG si ripresenta come prima comportando frequentemente una sensazione di delusione e di frustrazione..

FoG

Una figura del lavoro di Marquez et al. di Frontiers in Neurology 2020, che illustra molto bene le molteplici connessioni tra corteccia cerebrale e strutture centrali sottocorticali coinvolti nel FoG

 

Per evitare queste situazioni di rassegnazione, bisogna procedere con determinazione con le seguenti, fondamentali strategie:

1) la Consapevolezza: come descritto prima, il fatto di poter “magicamente” eseguire il movimento apparentemente contro ogni previsione, porta inevitabilmente ad un rafforzamento positivo e motivazione della persona

2) l’Esercizio continuo: i trucchi vanno applicati sempre anche nella vita di tutti i giorni, spesso alternandoli tra di loro, per rinforzare sia la consapevolezza sia gli schemi motori compensatori, da poter ridurre il fenomeno bloccante. Ovviamente, sarà bizzarro camminare per strada come un soldato prussiano, ma con l’esercizio permanente i movimenti diventeranno più morbidi e per terzi non osservabili.

 

Spero di non essermi dilungato troppo, ma l’argomento, come avrete notato, è complesso quanto delicato. Sono convinto che comprendere bene i meccanismi che sottostanno al FoG rappresenta il primo passo della cura, e dà al “freezer” la possibilità di affrontarlo con più raziocinio e meno ansia, che, come sopra esposto, non fa altro che alimentare ulteriormente il freezing della marcia.

 

Per scrivere questo articolo ho letto tanti articoli e capitoli di libri presentandovi l’attuale stato di conoscenza della scienza e ricerca internazionale, nella speranza che possa servire per i nostri prossimi percorsi riabilitativi a tema, ovviamente in presenza.

 

Franco, Baraba e Soleandro hanno smesso di parlare accomodandosi su qualche panchina sulla muraglia di Alghero e, chi con l’armonica e chi con chitarra e voce, intonano “Vooooolaaare…”

 

Volare si può sognare si deve!

 

 

Fonti bibliografiche:

Gao C, Liu J, Tan Y, Chen S. Freezing of gait in Parkinson’s disease: pathophysiology, risk factors and treatments. Translational Neurodegeneration 2020, 9: 12-34.

Ge HL, Chen YX, Lin YX, Ge TJ, Yu LH, Lin ZY, Wu XY, Kang DZ, Ding CY. The prevalence of freezing of gait in Parkinson’s disease and in patients with different disease durations and severities. Chinese Neurosurgical Journal 2020; 6: 17-28

Mancini M, Bloem BR, Horak FB, Lewis SJG, Nieuwboer A, Nonnekes A. Clinical and methodological challenges for assessing freezing of gait: future perspectives. Movement Disorders, 2019; 34(6): 783-790.

Perez Parra S, McKay JL, Factor SA. Diphasic Worsening of Freezing og Gaut in Parkinson’s disease. Movement Disorders Clinical Practice, 2020; 7(3): 325-328.

Tosserams A, Mazaheri M, Vart P, Bloem BR, Nonnekes J. Sex and freezing of gait in Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Journal of Neurology, 2021; 268: 125-132.

Witt I., Ganjavi H, MacDonald P. Relationship between Freezing of Gait and Anxiety in Parkinson’s disease patients: a systemic literature review. Hindawi Parkinson’s disease, Vol 2019, article ID 6836082.

“LA SPERANZA E’ UN FARMACO”

Non disperare”, dice Irene quando mi vede un po’ nervoso dopo una visita domiciliare per conto dell’ADI, “non puoi pretendere che ci siano per tutte le situazioni sempre i farmaci giusti; magari alle persone non servono farmaci, ma parole, quelle giuste, quelle di speranza. Leggi il libro di Fabrizio Benedetti.”

E così ho dato retta alla dott.ssa Irene Melis, psicologa in servizio presso i Servizi Domiciliari della ATS a Sassari. Ed ho fatto molto bene a darle retta.

Fabrizio Benedetti è un neurofisiologo ed insegna fisiologia e neuroscienze all’Università di Torino; lui è noto per i suoi lavori sugli effetti placebo e nocebo, che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali.

Il suo libro del 2018, “La Speranza è un Farmaco” merita di essere letto. Specialmente il significativo sottotitolo “Come le parole possono vincere la malattia” conferisce un preciso indirizzo al tema trattato. E che tema!

Certo, sappiamo tutti che le parole di conforto possono aiutare, quelle di speranza possono servire a non mollare, e quelle di incitazione possono motivare, ma è sorprendente che questo tipo di linguaggio agisca allo stesso modo di alcuni farmaci.

Pensate, dott. Benedetti spiega l’impatto del significato delle parole su alcune aree del cervello e racconta la sua ricerca con persone con diverse problematiche. Lui verifica con indagini neuroradiologiche che nel cervello le parole positive agiscono sugli stessi circuiti nervosi come, per esempio, la morfina, quando parole oppure farmaco ottengono lo stesso effetto antidolorifico. Incredibile, vero?

Il libro è ricco di ‘casi clinici’ e di testimonianze, non solo per rafforzare la tesi dello scienziato, ma anche per dimostrare il contrario. Per esempio, una signora finisce al Pronto Soccorso per una banale caduta accidentale, ma poi si aggrava in seguito al comportamento maleducato ed antipatico di medici, infermieri e tecnici; il racconto è molto toccante di come la signora va a finire in questo girone dantesco, ma ugualmente anche di come ne esce dopo il trasferimento in un altro ospedale con personale ‘umano’.

Il libro non si occupa di magia, e non propone un linguaggio mistico-esoterico in sostituzione del farmaco. Al contrario, il neuroscienziato propone l’utilizzo delle parole giuste, ma anche il corretto comportamento da parte del personale sanitario, per rafforzare l’effetto delle cure con l’intento comune di ottenere un miglioramento psicofisico delle persone.

Il testo è molto reale, scientifico, e divulgativo, e lo si può leggere anche senza grandi conoscenze tecniche, solo l’ultimo capitolo, dopo l’avvertimento dell’autore, spiega più approfonditamente i meccanismi dei circuiti, recettori e rispettivi neurotrasmettitori coinvolti.

Lo scienziato piemontese cita, come esempio principale di azione benefica delle parole sulle malattie, proprio la malattia di Parkinson che, grazie alle fitte interconnessioni dopaminergiche tra il sistema motorio e quello limbico/emotivo, si adatta molto bene ad approcci non farmacologici.

Ma questo, caro Fabrizio, noi della Parkinson Sassari lo sappiamo già da molto tempo.

Kai Paulus

 

Fabrizio Benedetto. La Speranza è un Farmaco. Come le parole possono vincere la malattia. Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2018, pagine 200, € 18,00

TONINO E GLI ALTRI CAREGIVER

Caro Tonino,

Le scrivo, non per distrarmi ma perché c’è qualche novità per il ‘portatore sano’.

L’altro giorno mi è arrivato il nuovo numero di “Movement Disorders Clinical Practice” in cui ho letto un interessante articolo del gruppo di scienziati statunitensi, olandesi e canadesi intorno a Max Hulshoff sulle difficoltà e sui bisogni del ‘portatore sano’, il/la caregiver, nella gestione della malattia di Parkinson.

Il lavoro è una specie di riassunto di tutti i lavori riguardanti i caregiver pubblicati tra il 2004 ed il 2020. E qua subito una nota dolente: gli articoli scientifici considerati sono in tutto 27, e paragonati agli oltre 84.000 sulla malattia di Parkinson, sono davvero pochissimi, come per indicare che coloro che si occupano ed assistono le persone ammalate di Parkinson non vengano considerati dalla scienza ufficiale.

Dallo studio si evince che sembra molto difficile quantificare il peso, i bisogni e le capacità di affrontare [traduzione delle parole utilizzate dagli autori: burden=peso, needs=bisogni, coping=capacità di affrontare] le più variegate situazioni della persona che assiste un’ammalato/a di Parkinson, e specialmente nelle varie fasi della malattia, e solo una ricerca ci è riuscita sinora, quella di Pablo Martinez-Martin e colleghi nel 2019. Però sono proprio questi i parametri, cioè peso, bisogni e capacità, che bisogna comprendere per poter eventualmente intervenire ed aiutare i caregiver socialmente, culturalmente ed istituzionalmente.

Nell’articolo “Il Portatore Sano” pubblicato in questo sito, che potete trovare nell’archivio sotto ‘marzo 2020’, abbiamo ampiamente affrontato i tanti aspetti di questo ‘lavoro’, e quindi qui non vorrei soffermarmi sui particolari, però leggete anche le incredibili testimonianze nei commenti che descrivono molto bene la realtà quotidiana e le tante difficoltà nell’affrontare costantemente la sindrome parkinsoniana, con le sue continue fluttuazioni e volubilità, le sue improvvisazioni ed imprevedibilità.

Questa volta gli scienziati hanno osservato la qualità di vita dei caregiver e concludono che il sonno, il tono dell’umore ed il tempo dedicato a sé stessi sono messi in pericolo; questi ‘pesi’ ovviamente richiamano i ‘bisogni’, le necessità, gli aiuti, che a loro volta condizionano le capacità individuali nell’affrontare l’assistenza; d’altra parte, se non ci sono sufficienti capacità nell’affrontare le difficoltà, allora il peso e la fatica, non solo fisica ma anche mentale, aumentano enormemente portando l’asta dei bisogni, degli aiuti, a livelli non più raggiungibili.

Di conseguenza accrescono preoccupazioni, ansia, senso di inadeguatezza e di frustrazione; con l’ansia incrementano l’insonnia e la riduzione del tono dell’umore; alla fine prevalgono incomprensioni e difficoltà di comunicazione, ed anziché alleggerire i disagi di una persona, ora ci saranno due persone che necessitano di notevoli aiuti.

Gli autori concludono che ci vogliono più attenzione e più studi scientifici che esaminino approfonditamente la situazione dei ‘portatori sani’, coloro che gestiscono quotidianamente, e spesso giorno e notte, le persone con Parkinson, perché soprattutto da loro, gli eroi nell’ombra, dipende la salute e la qualità di vita dei loro assistiti.

Penso che questo articolo dimostri che qualcosa stia cambiando e che la sensibilità della comunità scientifica verso i caregiver stia migliorando. E’ questa la novità.

Cordiali saluti,

Kai Paulus

 

Fonti bibliografiche:

Hulshoff MJ, Book E, Dahodwala N, Tanner CM, Robertson C, Marras C. Current knowledge on the evolution of care partner burden, needs, and coping in Parkinson’s Disease. Movement Disorders Clinical Practice 2021; 8(4):510-520.

 

TREMORE A RIPOSO di Kai S. Paulus

Tremore circuiti

Il tremore è un sintomo chiave della malattia di Parkinson e quello che viene maggiormente associato al Parkinson, ma ciononostante la sua patofisiologia rimane praticamente sconosciuta”.

 

Esordisce così il gruppo israeliano intorno a Nir Asch nella loro pubblicazione del 2020, una frase molto significativa, che sa quasi di rassegnazione, ma che descrive molto bene le difficoltà della comprensione, e quindi della gestione, del tremore; e stiamo parlando ‘solo’ del tremore, uno dei circa trenta sintomi parkinsoniani, che attendono altrettanti svelamenti e trattamenti efficaci.

[ma non demoralizziamoci, la scienza sta andando avanti…]

 

Andiamo per ordine: che cosa è il tremore?

Tremori

Il tremore viene definito come un movimento involontario, oscillatorio e ritmico, di una parte del corpo.

 

 

Ci sono tanti tipi di tremori, come elencati nella tabella qui di fianco:

 

 

Nella malattia di Parkinson si osserva principalmente il cosiddetto “tremore a riposo”, cioè il movimento involontario, oscillatorio e ritmico, che si presenta quando l’arto è completamente fermo, tipicamente distale, per es. una mano, ed esordisce ad un lato e nel tempo rimane comunque asimmetrico (a differenza, per es., del tremore essenziale, che invece si presenta durante una azione ed è sostanzialmente simmetrico).

 

 

Il tremore a riposo si presenta ad una frequenza relativamente lenta di 4-6 Hz (quello essenziale è più veloce, da 6 a 9 Hz), con il tipico movimento del “contare soldi” o “fare pillole” dato dall’oscillazione opposta di pollice e indice. Con l’inizio di una azione, di un movimento intenzionale, il tremore a riposo si ferma, mentre con la distrazione si accentua. Oltre alle mani, questo tremore può presentarsi anche ai piedi, alla lingua ed alla mandibola.

 

Qual è la causa del tremore a riposo?

[volete sapere veramente troppo]

 

L’origine esatta del tremore a riposo non si conosce ancora, ma ci sono diverse ipotesi, di cui la seguente appare attualmente quella più accreditata:

Cervello tremore

Principali strutture cerebrali coinvolte nella generazione del tremore a riposo

Come per gli altri sintomi motori del Parkinson, l’inizio di tutto è un deficit di dopamina nella sostanza nera che è responsabile di alterazioni dei circuiti dei nuclei della base (globo pallido, putamen, caudato) e conseguentemente le loro proiezioni verso il talamo, e quindi quelle verso la corteccia motoria. Il crocevia dei sistemi neuronali coinvolti nell’origine dei tremori (globo pallido interno, cervelletto, talamo, corteccia motoria) sembra essere il nucleo subtalamico come evidenziano studi di stimolazione cerebrale profonda che, indirizzati verso il centro subtalamico, riducono diversi sintomi parkinsoniani, tra cui, appunto, il tremore. Pare, inoltre, che la prevalenza di un tipo di oscillazioni neuronali su un altro tipo determini il diverso quadro clinico: più tremorigeno (oscillazioni theta) oppure più rigido (oscillazioni beta). Immaginiamoci tali oscillazioni semplicemente come un modo di comunicare, di trasmettere informazioni, delle cellule nervose. A causa del deficit di dopamina nelle cellule della sostanza nera, che modula i circuiti dei nuclei basali deputati alla scelta del movimento giusto, il sistema si altera e le oscillazioni non sono più in equilibrio; hanno così origine i vari sintomi parkinsoniani in base alla prevalenza di circuiti colpiti ed oscillazioni alterati.

Tremore circuiti

Semplificazione dei circuiti neuronali coinvolti nella malattia di Parkinson

Come si cura il tremore a riposo?

[ecco arrivati alla nota dolente: come si fa a curare qualcosa che non si conosce?]

 

Sappiamo che all’origine dei sintomi motori del Parkinson, e quindi anche del tremore a riposo, c’è un deficit di dopamina. E dagli studi di Hornykiewicz [vedi il nostro articolo “Oleh Hornykiewicz (1926-2020) padre della moderna terapia del Parkinson, del 24/01/2021] si conoscono i miglioramenti sintomatici grazie alla somministrazione di dopamina, o meglio, del suo precursore, la levodopa. Quindi, aggiungendo dopamina, in un modo o nell’altro si riducono i sintomi, e quindi anche il tremore, ma come esattamente funzioni non si sa. Per citare il gruppo di ricercatori intorno a Guglielmo Foffani: riusciamo a curare il tremore di un nostro paziente, ma non conosciamo esattamente il perché.

Appare sempre più evidente l’importanza dei pilastri della cura non farmacologica del Parkinson: il movimento e l’attività fisica, il buon riposo notturno e le emozioni positive, il divertimento. Il Parkinson si cura, ed anche bene, e per questo ci si avvale di terapie complementari, la arte-terapia, musicoterapia, coro, teatro, e sport-terapia. Ma noi della Parkinson Sassari lo sappiamo già da molto tempo.

Tremore

 

 

 

Fonti bibliografiche:

Asch N, Herschman Y, Maoz R, Auerbach-Asch CR, et al. Independently together: subthalamic theta and beta opposite roles in predicting Parkinson’s tremor. Brain Communication 2020; 2 (2)

Becktepe JS, Goevert F. Die Therapie essentieller Tremorsyndrome. Neurotransmitter 2020, 31 (7-8): 43-50

Cacabelos R. Parkinson’s disease: From Pathogenesis to Pharmacogenomics. Int Journal Molecular Science 2017, 18: 551-579

Chen W, Hopfner F, Becktepe JS, Deuschl G. Rest tremore revisited: Parkinson’s disease and other disorders. Translational Neurodegeneration 2017; 6: 16-24

Foffani G, Monje MHG, Obeso JA. Rest tremor in Parkinson’s disease: the theta and beta sides of the coin. Brain Communications 2020; 2(2)

PARKINSON E RESILIENZA COVID-19 di Kai S. Paulus

Resilienza 2

Chi è ammalato di Parkinson oppure vive insieme ad una persona con Parkinson (il “Portatore sano” come lo chiama Tonino Marogna) conosce fin troppo bene le sfide quotidiane per superare gli innumerevoli disagi causati dalla malattia, la mole di preoccupazioni, le angosce, le ansie, la depressione e le notti insonni. Per affrontare tutte quelle problematiche possono aiutare, almeno in parte, le raccomandazioni di una vita attiva con passeggiate e socializzazione, le visite mediche, la fisioterapia e l’associazione con le sue attività ricreative (gite, pranzi, cene, ecc.), terapeutiche (coro, musicoterapia, ginnastica, teatro, ecc.) ed informative (convegni, simposi, riunioni, sito internet, ecc.)

Poi è arrivato il Covid-19 e nulla appare come prima: le certezze, le abitudini, i punti di riferimento, tutto spazzato via dal tornado della pandemia della SARS-cov-2, con lockdown ed il nuovo tricolore rosso-giallo-arancione.

Ci stiamo proteggendo con mascherine, distanziamento sociale e vaccinazione. Ma cosa succede ai parkinsoniani ed i loro portatori sani, più fragili e provati?

Sono aumentate tutte quelle manifestazioni psicologiche che già prima erano difficili da tenere a bada: ansia, depressione ed insonnia, e con esse anche inevitabilmente le complicanze motorie con accentuazione dell’instabilità posturale, della rigidità, il freezing, ed il tremore. I media proiettano ininterrottamente numeri e statistiche, aggiornamenti, ipotesi e previsioni, con puntuali smentite; è diventato difficile e complicato ottenere appuntamenti per visite mediche ed accertamenti strumentali; le attività associative sono diventate virtuali e per parteciparci si deve familiarizzare con link, zoom, google meet, audio acceso al momento giusto.

Cosa fare?

Resilienza 1

Negli ultimi 12 mesi sono stati pubblicati tantissimi lavori scientifici che affrontano queste tematiche e già i loro titoli sono molto eloquenti:

 

Salute mentale, attività fisica e qualità della vita nella malattia di Parkinson durante la pandemia del covid-19 (Shalash et al., 2020)

L’impatto della pandemia del covid-19 sulla malattia di Parkinson: sofferenze nascoste ed opportunità emergenti (Helmich e Bloem, 2020)

Incidenza dell’ansia nella malattia di Parkinson durante la pandemia della malattia del coronavirus (covid-19) (Salari et al., 2020)

Malattia di Parkinson e covid-19: impressioni e coinvolgimento di pazienti e caregiver (Prasad et al., 2020)

I bisogni riferiti dai pazienti con malattia di Parkinson durante l’emergenza del covid-19 in Italia (Schirinzi et al., 2020)

L’impatto della pandemia del covid-19 sullo stress psicologico, sull’attività fisica e sulla gravità dei sintomi nella malattia di Parkinson (Van der Heide et al., 2020)

L’impatto del covid-19 e distanziamento sociale sulle persone con malattia di Parkinson (Feeney et al., 2021)

SARS-CoV-2 ed il rischio di malattia di Parkinson: fatti e fantasia (Merello, Bathia, Obeso, 2021)

I bisogni di pazienti parkinsoniani durante la pandemia del covid-19 in una zona rossa (Cavallieri et al., 2021)

Resilienza 2

 

Penso che queste pubblicazioni siano incoraggianti perché evidenziano che la ricerca ed i medici hanno individuato velocemente le nuove problematiche che il mondo parkinsoniano deve affrontare; vengono studiate le ricadute dei drastici cambiamenti sulla qualità di vita, su psiche ed anima, e vengono proposte strategie per correre ai ripari.

Intanto c’è la resilienza, la capacità di adattamento e di resistenza. Sicuramente può essere d’aiuto la consapevolezza che, se la persona parkinsoniana deve mettersi la mascherina, tutti se la devono mettere; se la persona parkinsoniana deve rimanere a casa, tutti devono rimanere a casa, e se essa deve fare triage, tamponi e vaccini, li dobbiamo fare tutti. Quindi, in questa pandemia siamo tutti uguali, ed ugualmente limitati nelle nostre azioni.

La pandemia ha messo a nudo tutte le debolezze del nostro modo di vivere, portando tanti disagi e soprattutto isolamento e solitudine. Ora stiamo rispolverando la solidarietà ed il rispetto reciproco, il senso civico, stiamo imparando ad utilizzare i nuovi mezzi tecnologici, da whatsapp alla posta elettronica, dalle videochiamate alle videoconferenze, fino alle piattaforme virtuali interattive. Tutto in neanche dodici mesi. Non male.

Certo, non è finita e le persone ammalate risentono particolarmente del distanziamento sociale e necessitano di tempo per riorganizzarsi, ma già si vede la luce alla fine del tunnel: le prenotazioni per visite ed esami stanno diventando più veloci, le vaccinazioni sono iniziate, e la nostra associazione sta per inaugurare una stagione ricca di novità ed eventi, a distanza ed in presenza. Ecco una delle novità che il covid-19 ci lascerà: avendoci abituati alle nuove tecnologie, queste potranno essere integrate nelle attività ricreative e terapeutiche e saranno utili per coinvolgere anche persone che abitano lontani oppure hanno difficoltà a recarsi sul posto, e saranno utili anche per rimanere comunque in contatto quotidianamente.

Volare si può …

Resilienza 3

Fonti bibliografiche:

Cavallieri F, Sireci F, Fioravanti V, Toschi G, et al. Parkinson patients’ needs during covid-19 pandemic in a red zone: a framework analysis of open-ended survey questions. European Journal of Neurology 2021

Feeney MP, Xu Y, Surface M, Shah H, Vanegas-Arroyae N, et al. The impact of covid-19 and social distancing on people with Parkinson’s disease: a survey study. Nature NPJ Parkinson Disease 2021, 7(10): 1-10

Helmich RC, Bloem BR. The impact of the covid-19 pandemic on Parkinson’s disease: hidden sorrows and emerging opportunities. Journal of Parkinson’s disease 2020, 10: 351-354

Kumar A. Experience of video consultation during the covid-19 pandemic in elderly population for Parkinson’s disease and movement disorders. Post grad Medicine Journal 2021, 97 (1144): 117-118.

Merello M, Bathia KP, Obeso JA. SARS-CoV-2 and the risk of Parkinson’s disease: facts and fantasy. The Lancet Neurology 2021, 20: 94-95

Prasad S, Holla VV, Neeraja K, Sursetti BK, Kamble N, Yadav R, Pal PK. Parkinson’s disease and Covid-19: perceptions and implications in patients and caregivers. Movement Disorders 2020, 35 (6): 912-914.

Salari M, Zali A, Ashrafi F, Etemadifar M, et al. Incidence of anxiety in Parkinson’s disease during the coronavirus disease (covid-19) pandemic. Movement Disorders 2020

Schirinzi T, Ceroni R, Liguori C, Scalise S, et al. Self-reported needs of patients with Parkinson’s disease during Covid-19 emergency in Italy. Neurological Science 2020

Shalash A, Roushdy T, Essam M, Fathy M, et al. Mental health, physical activity, and quality of life in Parkinson’s disease during Covid-19 Pandemic. Movement Disorders 2020

Van der Heide A, Meinders MJ, Bloem BR, Helmich RC. The impact of the Covid-19 pandemic on psychological distress, physical activity, and symptom severity in Parkinson’s disease. Journal of Parkinson’s Disease 2020, 10: 1355-1364.

 

PARKINSON: DIFFERENZE TRA DONNE E UOMINI di Kai S. Paulus

Signora Park

Signora Park

La Signora Parkinson” si intitolava il nostro memorabile convegno ad Alghero nel settembre 2019, e diverse volte ci siamo occupati delle differenze di genere nella malattia di Parkinson ed in particolare del ruolo della donna, sia come ammalata sia come ‘caregiver’. Studiare le differenze di genere è particolarmente importante, perché le differenze nella biologia, nella presentazione all’esordio, nei sintomi, nella risposta ai farmaci e nella gestione globale, possono avere un notevole impatto sulla progressione della malattia.

Archivio Signora Parkinson

Per un maggior approfondimento potete consultare i contributi sopra menzionati, mentre qui vorrei riportare alcuni brevi aggiornamenti della letteratura scientifica internazionale degli ultimi anni:

Epidemiologia:

Generalmente gli uomini si ammalano di Parkinson il doppio rispetto alle donne, la cui età di esordio però è lievemente inferiore.

Sintomatologia:

Nelle donne i sintomi motori iniziano mediamente più tardi con meno rigidità e più tremore, maggiore instabilità posturale con tendenza alle cadute e maggiori complicazioni alla terapia dopaminergica, mentre negli uomini si riscontra maggiormente il freezing (l’improvviso incollamento al pavimento delle gambe durante la camminata) e la camptocormia (flessione del busto in avanti con gambe leggermente flesse). Tra i sintomi non motori abbiamo una prevalenza di disfagia, ansia, depressione, fatica, anosmia, sudorazione profusa, costipazione e dolore nelle donne, mentre prevalgono scialorrea, alterazioni delle abilità cognitive, gioco d’azzardo, ipersessualità, disfunzioni sessuali, disturbi del sonno (agitarsi e parlare durante il sonno) e sonnolenza diurna negli uomini.

 

Fisiopatogenesi:

Ci sono differenze genetiche che riguardano i neuroni dopaminergiche che possono spiegare la maggiore suscettibilità maschile nello sviluppare il Parkinson. Pare che il genere influenzi l’esordio della malattia (percentuale, età, sintomi, gravità) ma solo sfumatamente la sua progressione. La minore incidenza di patologia e la minore gravità dei sintomi all’esordio nelle donne sono verosimilmente dovuti ad un effetto neuroprotettivo degli estrogeni; tali differenze però si perdono con l’avanzare della malattia.

Qualità di Vita:

Il Parkinson è progressivamente disabilitante e con il corso della malattia si riducono le autonomie e aumenta la necessita di assistenza. Per quanto riguardano le differenze statistiche, le donne ricevono meno supporto sociale e sono esposti a maggior peso psicologico, per diversi motivi: anagraficamente sono senza partner più degli uomini, e culturalmente hanno più compiti e responsabilità all’interno della famiglia il cui adempimento è reso sempre più difficile con crescente senso di colpa e di impotenza; il marito caregiver è meno coinvolto rispetto alla moglie caregiver che si trasforma in infermiera e mamma, con i rischi che ciò può comportare per la coppia. Una curiosa osservazione è che i mariti vengono accompagnati alle visite dalle loro mogli, mentre le donne da figli o assistenti.

L’argomento è tutt’altro che esaurito e ogni anno si moltiplicano gli studi sulle differenze di genere nel Parkinson. C’è ancora molto da comprendere sulla diversità di biologia, genetica, e risposta ai farmaci, essenziali per continuamente migliorare diagnosi, terapia, decorso, e specialmente la gestione globale di Su nemigu, del rapace infingardo.

Nuova Sardegna

Fonti bibliografiche:

Abraham DS, Gruber-Baldini AL, Magder LS, McArdle PF, et al. Sex differences in Parkinson’s disease Presentation and Progression. Parkinsonism Related Disorders 2019, 69: 48-54

Baizabal-Carvallo JF, Jankovic J. Gender Differences in Functional Movement Disorders. Movement Disorders Clinical Practice 2020, 7(2): 182-187

Cerri S, Mus L, Blandini F. Parkinson’s disease in Women and Men: what’s the difference? Journal of Parkinson’s disease 2019, 9: 501-515

Cho BH, Choi SM, Kim BC. Gender-dependent effect of coffee consumption on tremor severity in de novo Parkinson’s disease. BMC Neurology 2019, 19: 194-203.

Crispino P, Gino M, Barbagelata E, Ciarambino T, et al. Gender Differences and Quality of Life in Parkinson’s Disease. International Journal of Environmental Research and Public Health 2021, 18: 198-211

Iwaki H, Blauwendraat C, Leonard HL, Makarious MB, et al. Differences in the presentation and progression of Parkinson’s disease. Movement Disorders 2021, 36: 106-117

Nwabuobi L, Barbosa W, Sweeney M, Oyler, et al. Sex-related in homebound advanced Parkinson’s disease patients. Clinical Interventions in Aging, 2019, 14: 1371-1377

OLEH HORNYKIEWICZ (1926-2020) PADRE DELLA MODERNA TERAPIA DEL PARKINSON di Kai S. Paulus

Oleh Hornykiewicz

Sapete qual è la prima scoperta sulla dopamina?

Allora si pensava che la dopamina fosse un insignificante intermedio nella sintesi della adrenalina, ma il giovane nativo ucraino e poi austriaco-canadese Oleh Hornykiewicz, durante i suoi studi a Vienna scoprì, intanto, che la dopamina, al contrario della adrenalina, abbassa la pressione del sangue (fatto che spiega diversi effetti collaterali dell’assunzione di levodopa, quali vertigini e sonnolenza).

A Prof. Hornykiewicz dobbiamo la conoscenza che la riduzione di dopamina nel sistema striatale causa il Parkinson, scoperta pubblicata nel 1961 in una rivista scientifica austriaca. Sua è anche l’intuizione che il Parkinson, dal punto di vista molecolare, è una malattia del deposito vescicolare, ed inoltre studiò fenomeni oggi molto conosciuti quali le discinesie da picco dose e l’effetto fine-dose, ed il miglioramento dei sintomi parkinsoniani con l’assunzione del precursore chimico della dopamina, la levodopa, cioè l’odierno gold-standard della terapia della malattia di Parkinson.

Oleh Hornykiewicz

Prof. Oleh Hornykiewicz insieme a moglie Christine mostrando alcune onorificenze.

Insomma, roba da Premio Nobel. Ecco, la nota dolente: nel 2000 ci si aspettava la strameritata assegnazione del prestigioso premio a Hornykiewicz per gli indiscussi meriti e le sue scoperte, vere pietre miliari della Medicina. Fu premiato invece un trio di grandi scienziati, Eric Kandel, Arvid Carlsson e Paul Greengard, però non il professore austriaco-canadese. Successivamente, Hornykiewicz si emozionò per le centinaia di lettere di solidarietà da parte di scienziati di tutto il mondo.

Oleh Hornykiewicz 2

La famosa pubblicazione del 1961 nella rivista universitaria di Vienna in cui Hornykiewicz con il collega Birkmayer spiegano gli effetti positivi della somministrazione di dopamina in persone affette da Parkinson

Oleh Hornykiewicz studiò fino alla sua morte i meccanismi che sottostanno all’origine del Parkinson, e pubblicò ancora nel 2017, all’età di 90 anni, un importante lavoro sul significato del claustrum (struttura del cervello ancora non ben esplorata) nella genesi dei sintomi motori e non-motori del Parkinson.

Hornykiewicz e claustrum

Pubblicazione su European Journal of Neuroscience del 2017, in cui Hornykiewicz e collaboratori spiegano il coinvolgimento nei sintomi motori e nonmotori del Parkinson da parte del claustrum, struttura del cervello a tutt’oggi non pienamente compresa

 

Fonti bibliografiche:

Rajput AH, Kisch SJ. Professor Oleh Hornykiewicz, MD (1926-2020): Remembering the father of the modern treatment of Parkinson’s disease. Movement Disorders 2020; 35:1916-1921

Schlossmacher MG, Greybiel AM. Conversations with dr. Oleh Hornykiewicz, founding father of the dopamine era in Parkinson’s: how do you wish to be remembered? Movement Disorders 2020; 35:1922-1932