Platamona – Testo di Egle Farris
Era l’odore del fritto quello che ti svegliava, alle sette del mattino! Entravi stropicciato in cucina e trovavi mamma che friggeva in larghe padelle melanzane e patate a fette così grosse che mai sarebbero state croccanti. Perché, a Platamona, si andava col pranzo, la merenda e spesso anche la cena. D’altronde bisognava ammortizzare la spesa del viaggio.
Secondo i giorni il signor Mario o Tore, storici abusivi con una seicento multipla, focomelica senza muso, venivano a prenderci sotto casa e lì ci riportavano a fine giornata, con l’addizionale di lire 40 sul prezzo di 60. Cento lire e Platamona era tua.
Borsa frigo d’ordinanza, la cabina, appannaggio dei più benestanti che attaccavano ai bordi dell’ombrellone un telo e che fungeva da spogliatoio, sacca di giochi, teli mare (asciugamani ?), zero costume di ricambio. Solo uno ne avevi, femmine quello ricavato da un taglio di cinz avanzato dal copriletto e cucito da mamma, maschi quello di spessa lana (non si sa mai ….) che appesantito dall’acqua, scivolava miserevolmente, ma inesorabilmente sino alle ginocchia, lasciando sempre senza risposta la nostra domanda ” ma perché i maschi si mettono tutta quella sabbia dentro il costume?”.
Facevi il bagno tipo foca, io perlomeno, agitando braccia e gambe dove di acqua ce ne stava 10 cm e lo sguardo indagatore di tua madre non ti faceva andare oltre. Un sole da far cadere i passeri e tutti a pranzo verso l’una, poiché l’undicesimo comandamento delle tre ore post-prandiali dal successivo bagno, io credo che la mia generazione non lo abbia mai e poi mai infranto. Polpette, verdure fritte, uva e pere, alternativa alla torta di zucchine e agli affettati. E quelle tre lunghe, infinite ore ci vedevano chiedere inutilmente e di continuo “posso fare il bagno?” e la risposta era sempre “ancora un’ora “.
Povere vacanze di un tempo dimenticato, oggi ci ridono appresso i polli, ci ritenevamo fortunati quando frequentavamo il lido Iride. C’era la cabina, non più grande di quelle telefoniche venute dopo, ma era una casa sul mare e tanto ci bastava. Adesso che possiamo avere tutto e sorridiamo di quell’ingenuità, ci mancano le cose più preziose. Quell’acqua trasparente senza palline petrol-chimiche ed alghe a quintalate, quel lunghissimo litorale che arrivava a Sorso senza deturpante cemento, con pinete pulite ed intonse, quel bagnasciuga nel quale solo le nostre orme restavano e quel secchiello di latta coi bordi appena arrugginiti che accoglieva gli “occhi di S.Lucia ” e le conchiglie dal profumo di sale, ognuna più bella delle altre ………