Volare si Può, Sognare si Deve!

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MISTER PARKINSON SU MARTE di Kai S. Paulus

(Pillola n. 73)

Gli esseri umani intraprendono sempre più spesso voli nello spazio, oltre alla scienza sta decollando il turismo spaziale, e per il prossimo futuro sono previsti voli sulla Luna e su Marte.

Ma come reagisce il nostro sistema nervoso all’assenza di gravità ed alla radiazione cosmica?

Da studi condotti su astronauti della stazione orbitale si è osservato che con l’assenza di gravità il cervello si sposta verso l’alto, spingendo il liquor (liquido che circonda il cervello e lo protegge) verso le regioni inferiori, aumentando il volume dei ventricoli (serbatoi del liquor situati nella parte centrale ed inferiore del cervello) del 7-25%. Queste modifiche, che provocano una sofferenza ischemica, cioè riduzione della ossigenazione del cervello, persistono per anni dopo una missione spaziale di solo qualche settimana.

La stazione orbitale, le navicelle e le tute sono fornite di strati protettivi ma non evitano del tutto le radiazioni, e si è calcolato che ogni singola cellula di un/a astronauta viene colpita in media ogni tre giorni da un protone (particella subatomica a carica positiva), ogni due settimane da un’ione di elio, ed ogni due-tre mesi da un nucleo atomico altamente energetico. Questo ha conseguenze sui tessuti organici, che sono attualmente oggetto di ricerche scientifiche; da studi condotti su cavie si è visto che topi, che sono rimasti 13 giorni nello spazio, hanno riportato una degenerazione neuronale simile a quella della malattia di Alzheimer.

Sinora esiste uno studio di gemelli, di cui uno è rimasto 340 giorni sulla stazione spaziale e che ha mostrato una riduzione delle capacità cognitive ancora quattro mesi dopo il rientro sulla Terra. Si discute, però, quanto, oltre alle radiazioni cosmiche, possano influenzare il cervello altri fattori, quali isolamento, disturbi del sonno e la maggiore concentrazione di CO2 sulla stazione orbitale.

L’astronauta Michael R. Clifford (1952-2021)

I cambiamenti gravitazionali mettono a dura prova il cervello, e la risultante sofferenza ischemica può portare ad alterazioni cerebrali sovrapponibili a quelle della malattia di Parkinson. Ne è un esempio il famoso caso dell’astronauta americano Michael R. Clifford che in seguito alla permanenza di 27 giorni sulla stazione orbitale russa MIR, ha sviluppato ad appena 42 anni il Parkinson. Non è chiaro, se lo stress gravitazionale esercitato sul cervello sia stata effettivamente la causa del Parkinson oppure se abbia accelerato e slatentizzato un processo neurodegenerativa già in atto.

Comunque sia, le agenzie spaziali internazionali ed i ricercatori di tutto il mondo stanno portando avanti le loro ricerche per proteggere il cervello dai molteplici fattori di rischio dei viaggi spaziali.

Nel dubbio, io quest’anno passerò le mie ferie ad Alghero.

 

Fonti bibliografiche:

Jaster JH, Ong J, Ottaviani G. Visual motion hypersensitivity, from spaceflight to Parkinson’s disease – as the chiasmatic cistern may be impacted by microgravity together with normal terrestrial gravity-opposition physiology in the brain. Exp Brain Res, 2024; 242(3): 521-523.

Jaster JH, Ottaviani G. Gravitational ischemia in the brain: how interfering with its release may predispose to either Alzheimer’s or Parkinson’s -like illness, treatable with hyperbaric oxygen. Physiologia, 2023; doi.org/10.3390/physiologia3040037.

Oberender A. Transformation im All: Wie Raumfahrt das Gehirn veraendert. Neurologische Diagnostik, 2024; Springer Medizin 12.07.2024.

Seidler RD, Mao XW, Tays GD, Wang T, Zu Eulenburg P. Effects of spaceflight on the brain. Lancet Neurol, 2024; doi: 10.1016/S1474-4422(24)00224-2.