Volare si Può, Sognare si Deve!

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COLONNA DEL PARKINSON: I FARMACI di Kai S. Paulus

(seguito di “STILOBATE: ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA 2“)

tempio grecoUn importante capitolo della gestione globale della malattia di Parkinson, di cui ci occupiamo in questo progetto “Il Tempio Greco – Le sei colonne del Parkinson”, spetta ovviamente alla terapia medica, che per la mole dell’argomento ho diviso in due parti; la prima parte tratterà i comuni farmaci che conoscete tutti (Dopamina, Dopaminoagonisti e Inibitori enzimatici) ricordando brevemente il loro utilizzo e la loro funzione. Nella seconda parte, invece, vi illustrerò le attuali possibilità per le situazioni più complicate, in cui con la tradizionale terapia orale non si riesce più a gestire i sintomi, accennando alle terapie infusionali sottocutanea della Apomorfina ed intradigiunale della Duodopa, la stimolazione cerebrale profonda, DBS (Deep Brain Stimulation), e l’ultilizzo degli ultrasuoni con la tecnologia della MRgFUS (Magnetic Resonance guided Focalized Ultra Sound). Più avanti, quando discuteremo la genetica del Parkinson si parlerà anche delle affascinanti terapie farmacologiche avanzate e quella genica.

Iniziamo il nostro viaggio, ponendo una prima colonna del nostro Tempio, con la famigerata dopamina, cioè il neurotrasmettitore la cui riduzione e/o mancanza causa i classici sintomi del Parkinson (tremore, rigidità, rallentamento, ecc.).

Quindi, nella malattia di Parkinson viene a mancare la dopamina (vedi anche Il Divertimento come fonte di Dopamina) e logica vuole che “riempendo il secchio” il sistema riprende a funzionare ed i sintomi della malattia diminuiscono. Tutto qui!

Dopo le fondamenta stiamo ponendo la prima colonna.

Fosse così facile, non saremmo qui a discuterne. Intanto, la dopamina introdotta come farmaco non arriva, o solo in minima parte, a destinazione, per cui si usa uno dei suoi precursori biochimici, la levodopa (L-dopa), che, superando la barriera ematoencefalica entra nel cervello dove raggiunge i neuroni dopaminergici, viene trasformata in dopamina disponibile per la trasmissione dell’informazione neuronale ripristinando il circuito. Questa levodopa viene introdotta nell’organismo tramite compresse o capsule (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo) oppure gel (pompa della Duodopa). Tutte le persone affette da Parkinson trovano sollievo quando iniziano la terapia con levodopa, stanno decisamente meglio e spesso tornano alla loro vita abituale. Questa è la famosa “luna di miele” in cui va tutto bene ed anche il medico fa un gran figurone. Ma, come sapete benissimo, questo fortunato periodo non dura molto, forse 12-18 mesi, poi il rapace infingardo (cit. G.B.), su nemigu (cit Peppino Achene) si riprende la scena ed anche con gli interessi: gradualmente la singola dose diventa meno efficace e duratura, per cui si necessitano maggiori dosi. E qua inizia una delle più brutte cose nella terapia del Parkinson: infatti, compaiono le complicazioni della terapia: anziché migliorare, i farmaci contribuiscono a peggiorare la malattia. Incredibile ma vero! Una sfida costante per tutti (paziente, famiglia, operatori sanitari). Gli effetti negativi vanno da fluttuazioni motorie non controllabili fino ad ansia, insonnia, allucinazioni, comportamenti disinibitorie, deliri e psicosi.

Per fortuna, ci vengono in aiuto gli inibitori enzimatici (Jumex, Azilect, Aidex, Roldap, Rasabon, Xadago, Comtan, Tasmar, Ongentys), cioè farmaci che riducono la degradazione della levodopa, che pertanto rimane più a lungo in circolo, permettendo un risparmio della levodopa e minimizzando il rischio delle complicazioni sopraelencate. Ma non siamo salvi, perché non tutte queste sostanze vengono tollerate o aiutano solo parzialmente.

Tante pastiglie, capsule, compresse. Troppe?

Allora abbiamo a nostra disposizione i cosiddetti dopaminoagonisti (Mirapexin, Pramipexolo, Requip, Ropinirolo, Neupro), cioè farmaci che agiscono come se fossero dopamina. Il loro vantaggio è la preparazione a rilascio prolungato e quindi di lunga durata riducendo pertanto le fluttuazioni on-off, anche il temuto blocco post-prandiale. Il loro svantaggio sono possibili effetti collaterali che vanno da ipotensione e sonnolenza (specialmente in estate) fino ad allucinazioni, disinibizioni (gioco d’azzardo, shopping, punding, ipersessualità), allucinazioni e psicosi. Quindi anche queste sostanze, pur molto vantaggiose, vanno usate con criterio.

Nel tentativo di ridurre i blocchi motori si è costretto ad aumentare le dosi di levodopa, il che può portare ad un altro problema: le discinesie da picco dose, cioè movimenti involontari di parti del corpo associati spesso a sudorazioni ed agitazione. Per questa evenienza, si può aggiungere un farmaco antivirale, l’amantadina (Mantadan) che non comporta accentuazioni dei blocchi motori, che invece si riscontrerebbero con una riduzione della dose di levodopa.

Infine, possiamo inserire farmaci chiamati anticolinergici (Akineton, Disipal) per ridurre alcuni sintomi specifici quali tremore e scialorrea, sempre usati con cautela per possibili effetti collaterali cognitivi.

Abbiamo finito?

No. Troppi farmaci fanno male, possono interferire tra di loro, e non ci sono solo i farmaci anti-Parkinson, ma molto spesso si assumono pastiglie cardiologiche, oncologiche, internistiche, oltre ad antibiotici, antiinfiammatori ed antidolorifici (Franco Simula dicet). La parola d’ordine deve essere: ottimizzare tutte le terapie in atto per prenderne il meno possibile e per garantire complessivamente una soddisfacente qualità di vita. Cioè, sarebbe il colmo non potendo apprezzare il buon controllo dei sintomi parkinsoniani se a causa di una ipoglicemia si rischia di svenire, di una pressione troppo alta si soffre di cefalea, di una artrite si lamentano troppi dolori, oppure se a causa di una sindrome ansiosa non si riesce a dormire.

E con lo stesso spirito, in modo mirato ed efficace, vanno trattati i problemi strettamente legati al Parkinson, quali i disturbi del sonno, del tratto gastrointestinale e del tono dell’umore.

(segue con COLONNA DEL PARKINSON: TERAPIE AVANZATE)

C’ERA UNA VOLTA … LA LEVODOPA di Kai S. Paulus

Tante persone affette da malattia di Parkinson assumono la Levodopa, ma non conosciamo bene la sua affascinante storia ed i suoi padri scopritori, per cui qui di seguito le principali tappe.

levodopa

Sintesi delle catecolamine Dopamina, Noradrenalina e Adrenalina partendo dall’aminoacido tirosina assunto con la dieta, passando attraverso la Levodopa (DOPA), prezioso precursore e punto di partenza nella cura del Parkinson.

Paradossalmente però, la nostra storia inizia con la Dopamina, che fino agli anni ’50 era conosciuta come semplice precursore dei “nobili” neurotrasmettitori Noradrenalina ed Adrenalina che si conoscevano già da tempo.

Proprio alla fine di quel decennio, tra il 1957 ed il 1960, cambia tutto e nell’arco di neanche tre anni viene rivoluzionata tutta la Neurologia: emerge che la Dopamina non solo è il precursore delle altre catecolamine, ma che essa stessa fa parte della ‘nobiltà’ neurochimica, e che adempie a delle funzioni cruciali nel nostro organismo. L’uovo di Colombo con eccezionali conseguenze.

In effetti, la nostra Dopamina non si trova soltanto nel cervello, ma anche in altri organi, quali reni, tratto gastrointestinale, vasi sanguigni, e nel sistema immunitario.

Dentro il cervello poi, la Dopamina è ampiamente rappresentata, oltre nei nuclei della base del sistema motorio, anche nei circuiti meso-limbici coinvolti nell’emotività, gratificazione ed apprendimento.

E così, la 3,4-diidrossifeniletilamina (dopamina) è importante per le azioni necessarie per raggiungere un traguardo (motivazione e selezione del movimento volontario), ma anche per l’umore, attenzione, memoria esecutiva ed apprendimento, ed infine serve alla regolazione del sonno, della sessualità e della pressione arteriosa.

Diventa chiaro adesso, cosa può succedere in caso di carenza della Dopamina: si spiegano, oltre ai noti sintomi motori del Parkinson, anche tanti altri spiacevoli disagi.

Adesso, finalmente, entra in scena la Levodopa (L-3,4-diidrossifenilalanina): è stato lo scienziato ucraino-austriaco Oleh Hornykiewicz (1924-2020, che vi ho già presentato in gennaio di quest’anno in questo sito) ad intuire la grande importanza di questa sostanza nel trattamento del Parkinson, scoprendo che la Levodopa può essere somministrata perifericamente iniettandola nel sangue, perché a differenza della dopamina, raggiunge facilmente la sua destinazione dentro il cervello ed aumenta i livelli di dopamina e conseguentemente riduce i sintomi causati dalla sua assenza.

Su questi esperimenti Hornykiewicz, oltre a pubblicare tanti lavori scientifici che sono diventati pietre miliari delle neuroscienze, gira un cortometraggio (“Der L-DOPA Effekt bei der Parkinson Akinese”, l’effetto della levodopa nell’acinesia del Parkinson) che nel 1961 viene presentato ai rappresentanti dell’industria farmacologica con l’idea di commercializzare la sostanza. Hornykiewicz intuisce l’unicità della sua scoperta che potrà contribuire a diminuire le sofferenze di tante persone. Pensate, allora non esistevano farmaci efficaci per ridurre i sintomi del Parkinson e le persone colpite dovevano convivere con sempre maggiori rigidità, tremore ed instabilità posturale, fino all’immobilità. Avere, pertanto, a disposizione una possibilità di poter concretamente aiutare quelle persone era di fondamentale importanza. Colpisce invece, che all’industria l’idea di Hornykievicz non appare appetibile, loro non vedono i numeri e quindi l’affare, per cui non se ne faceva niente.

Sarà George Cotzias nel 1967 a somministrare la levodopa oralmente riportando l’interesse delle case farmaceutiche sulla misteriosa sostanza. Sull’inizio dell’epocale era della levodopa Oliver Sacks ha scritto il suo famoso romanzo autobiografico “Risvegli” (Awakenings, 1973), di cui è tratto l’omonimo film con Robbie Williams e Robert De Niro.

 

Insieme al suo collega Arvid Carlsson, Oleh Hornykiewicz riceve tanti riconoscimenti per i suoi studi sulla Levodopa, tra cui anche i famigerati effetti di fine-dose e picco-dose, che quotidianamente ci danno filo da torcere, ma il Premio Nobel, seppur ampiamente meritato, non gli è stato conferito.

A tutt’oggi, l’utilizzo della levodopa (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo), nonostante i suoi tanti limiti e rischi, è il “gold standard” della terapia del Parkinson.

La nostra storia non finisce qui, perché il lupo cattivo, il rapace infingardo, su nemigu, non è ancora sconfitto. Ma nuove armi sorgono all’orizzonte…

OLEH HORNYKIEWICZ (1926-2020) PADRE DELLA MODERNA TERAPIA DEL PARKINSON di Kai S. Paulus

Oleh Hornykiewicz

Sapete qual è la prima scoperta sulla dopamina?

Allora si pensava che la dopamina fosse un insignificante intermedio nella sintesi della adrenalina, ma il giovane nativo ucraino e poi austriaco-canadese Oleh Hornykiewicz, durante i suoi studi a Vienna scoprì, intanto, che la dopamina, al contrario della adrenalina, abbassa la pressione del sangue (fatto che spiega diversi effetti collaterali dell’assunzione di levodopa, quali vertigini e sonnolenza).

A Prof. Hornykiewicz dobbiamo la conoscenza che la riduzione di dopamina nel sistema striatale causa il Parkinson, scoperta pubblicata nel 1961 in una rivista scientifica austriaca. Sua è anche l’intuizione che il Parkinson, dal punto di vista molecolare, è una malattia del deposito vescicolare, ed inoltre studiò fenomeni oggi molto conosciuti quali le discinesie da picco dose e l’effetto fine-dose, ed il miglioramento dei sintomi parkinsoniani con l’assunzione del precursore chimico della dopamina, la levodopa, cioè l’odierno gold-standard della terapia della malattia di Parkinson.

Oleh Hornykiewicz

Prof. Oleh Hornykiewicz insieme a moglie Christine mostrando alcune onorificenze.

Insomma, roba da Premio Nobel. Ecco, la nota dolente: nel 2000 ci si aspettava la strameritata assegnazione del prestigioso premio a Hornykiewicz per gli indiscussi meriti e le sue scoperte, vere pietre miliari della Medicina. Fu premiato invece un trio di grandi scienziati, Eric Kandel, Arvid Carlsson e Paul Greengard, però non il professore austriaco-canadese. Successivamente, Hornykiewicz si emozionò per le centinaia di lettere di solidarietà da parte di scienziati di tutto il mondo.

Oleh Hornykiewicz 2

La famosa pubblicazione del 1961 nella rivista universitaria di Vienna in cui Hornykiewicz con il collega Birkmayer spiegano gli effetti positivi della somministrazione di dopamina in persone affette da Parkinson

Oleh Hornykiewicz studiò fino alla sua morte i meccanismi che sottostanno all’origine del Parkinson, e pubblicò ancora nel 2017, all’età di 90 anni, un importante lavoro sul significato del claustrum (struttura del cervello ancora non ben esplorata) nella genesi dei sintomi motori e non-motori del Parkinson.

Hornykiewicz e claustrum

Pubblicazione su European Journal of Neuroscience del 2017, in cui Hornykiewicz e collaboratori spiegano il coinvolgimento nei sintomi motori e nonmotori del Parkinson da parte del claustrum, struttura del cervello a tutt’oggi non pienamente compresa

 

Fonti bibliografiche:

Rajput AH, Kisch SJ. Professor Oleh Hornykiewicz, MD (1926-2020): Remembering the father of the modern treatment of Parkinson’s disease. Movement Disorders 2020; 35:1916-1921

Schlossmacher MG, Greybiel AM. Conversations with dr. Oleh Hornykiewicz, founding father of the dopamine era in Parkinson’s: how do you wish to be remembered? Movement Disorders 2020; 35:1922-1932

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV

IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA Parte IV
Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson
di Kai S. Paulus

Ed ecco, finalmente arrivati alla dopamina, sostanza principale del nostro discorso ed anche quella sostanza che con la sua carenza causa la malattia di Parkinson. Non vi proporrò un trattato medico sul Parkinson e sulla mancanza di quella sostanza che permette la trasmissione di informazioni neuronali nei circuiti motori del cervello. Ci sono i farmaci, c’è la riabilitazione ed il movimento in generale. Invece, pongo l’accento su un terzo aspetto che ci aiuta perché ci fa guadagnare quella sostanza, la dopamina: le emozioni.

imageUna delle funzioni principali della riabilitazione alternativa in generale, e della musicoterapia nello specifico, è la sua capacità di indurre nel cervello processi di neuroplasticità, ovvero dei meccanismi che, primo, comportano modificazioni di efficacia e di dimensione delle sinapsi [i punti di connessione e di comunicazione tra le cellule nervose], secondo, stimolano la crescita di nuove sinapsi e dendriti [prolungamenti delle cellule nervose con cui trasportano l’informazione e la trasmettono ad altre cellule nervose], terzo, aumentano la densità della sostanza grigia[il sistema nervoso si distingue in sostanza bianca, composta da fibre lunghe cioè prolungamenti nervosi lunghi, e sostanza grigia, cioè nuclei cellulari, i loro prolungamenti nervosi corti, e l’insieme di capillari sanguigni e cellule di sostegno, incrementando quindi non solo il tessuto nervoso ma anche la rete di capillari e le componenti della glia [cellule di sostegno], e quarto, riducono i processi di apoptosi, cioè di morte cellulare (Altenmueller, 2015). Cioè, neuroplasticità vuol dire crescita cellulare e processi di riparazione all’interno del nostro cervello.
A questo riguardo non importa che tipo di musica viene scelta ma fondamentale è che la musica sia quella favorita (Gerdner, 2012). Il neuroscienziato tedesco Eckhard Altenmueller ha osservato a questo proposito che il semplice ascolto della musica preferita, in seguito ad un ictus cerebrale oppure da parte di persone affette da demenza, può avere un effetto antidepressivo con la possibilità di migliorare le funzioni cognitive, la memoria, la vigilanza ed in genere la sensazione di benessere (Altenmueller, 2015). E’ importante precisare che questi quattro principi fondamentali della neuroplasticità non vengono, ed attualmente non possono essere, indotti da farmaci, ma dalla corretta sintonia e positività del pensiero mentale, cioè del giusto atteggiamento nei confronti dell’ambiente e della persona.
La musica, il teatro, il divertimento, veicolano emozioni, e le emozioni sono in grado di attivare il sistema dopaminergico mesolimbico [oltre al sistema striatale dei nuclei della base responsabile del movimento, esiste quello limbico, cioè emotivo; ma entrambi i sistemi utilizzano la stessa dopamina come neurotrasmettitore, cioè sostanza che trasmette l’informazione da un neurone al prossimo]; un elevato tono dopaminergico favorisce l’apprendimento e l’attenzione, i processi di gratificazione [tutti noi conosciamo la sensazione di benessere dopo aver fatto qualcosa di buono: ora sappiamo che questa sensazione ci viene data dalla dopamina], ma d’altra parte, i comportamenti incontrollati mirati al aumento del tono dopaminergico possono indurre alla dipendenza [non riuscire ad accontentarsi mai, cercare sempre di più]. Le emozioni, quindi, posseggono un enorme potenziale di modulazione sulle attività cerebrali. Per tornare al Parkinson, Salimpoor e colleghi (2011) hanno potuto dimostrare un aumento di dopamina in seguito all’intenso piacere provocato dall’ascolto della musica proprio nel sistema striatale. Pare, pertanto, che proprio questi meccanismi stiano alla base del miglioramento dei pazienti parkinsoniani che seguono i diversi laboratori della riabilitazione complementare.
Le terapie non convenzionali non sostituiscono né i farmaci, né la riabilitazione neuromotoria, ma possono contribuire a migliorare globalmente le condizioni di salute del paziente e possono aumentare la sua qualità di vita; il ballo, il teatro, o anche le antiche arti marziali orientali, quali il tai chi, possono consolidare il beneficio ottenuto dalle terapie tradizionali, e, tenendo l’ammalato attivo, possono aiutare a rallentare il decorso della patologia degenerativa. Il tutto divertendosi, ed ad un costo sanitario irrisorio paragonato alle cifre riportate da Kowal e colleghi (Mov Disord, 2013) dove si calcolano circa 23000 dollari di spesa sanitaria media annuale per persona affetta da malattia di Parkinson. In Italia attualmente ci sono circa 250000 parkinsoniani… Numeri che sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni.
Meglio ballare.

Qui finisce l’articolo ma forse sta appena iniziando la discussione. Pensate al potenziale delle terapie alternative, il loro enorme beneficio, il loro costo irrisorio. Penso che noi, la nostra Parkinson Sassari, possiamo fare molto nei prossimi anni per dimostrare innanzitutto a noi stessi che queste tecniche di riabilitazione insieme al corretto atteggiamento possono funzionare per gestire meglio il Parkinson. Tenete presente che ci sono tante patologie neurologiche croniche ma tra quelle il Parkinson è molto particolare e si distingue proprio per questa caratteristica che la causa della malattia, cioè la mancanza di dopamina, può essere parzialmente colmata con le attività, il comportamento, ed il giusto atteggiamento di ognuno. In termini semplici si può affermare che il Parkinson viene gestito per un terzo dai farmaci, per un terzo dal movimento, dalla vita attiva e riabilitazione, e per un terzo dalle emozioni. Pensateci. Buona estate e ci rivedremo a settembre per divertirci insieme con la ginnastica di gruppo, il teatro e la musicoterapia.

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte III

IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA Parte III

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus

(seguito di Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II)

Ed ora tenetevi forte, perché adesso vengono svelati alcuni segreti di ciò che veramente avviene nel cervello durante le attività creative, ed in particolare, si cerca di spiegare come fa esattamente la musica, il suono, a modificare i nostri schemi motori ed a raggiungere addirittura il muscolo. Volutamente ho lasciato i riferimenti di autori e soprattutto le indicazioni degli anni per dare un’idea di quanto sono recenti, e tutt’ora in corso, le ricerche in questo campo. Insomma, stiamo per iniziare un affascinante viaggio verso i confini dell’attuale ricerca scientifica; allacciate le cinture di sicurezza!

Tra i trattamenti riabilitativi non convenzionali per la malattia di Parkinson la musicoterapia è sicuramente la più completa, quella che unisce alla musica le varie strategie, sia motorie che sociali, aggiungendo emozioni e divertimento. Un elemento basale della musica è rappresentato dal ritmo e già da molto tempo è riconosciuto l’utilizzo del ritmo nella rieducazione del passo nel Parkinson. In un studio recente, Skodda e colleghi (2010) hanno sottolineato la presenza nel parkinsoniano di un deficit della locomozione coordinata e ritmica. Nel 1996, con Lee e collaboratori, prende forma il concetto di terapia ritmica. Si scopre che l’aiuto uditivo ritmico può influenzare il sistema motorio (Large et al., 2008) e che il ritmo può facilitare il movimento essendo in grado di sincronizzare il tempismo dell’attivazione muscolare con la struttura temporale del ritmo, cioè della frequenza della battuta; questa facilitazione può essere spiegata con le connessioni neurali esistenti tra i sistemi uditivo e motorio (Konoike, 2012). Inoltre, recenti studi hanno potuto scoprire che i suoni esercitano la loro influenza sui sistemi motori tramite connessioni reticolo spinali [vie nervoso che mettono in contatto la formazione reticolare, arcaica formazione nervosa situata nella parte più antica del cervello e che gestisce bisogni essenziali, con il midollo spinale dove passano le fibre nervose motorie che alla fine comandano i muscoli], con i quali riescono a produrre ed a modulare il timing dei neuroni motori spinali (Seger et al., 2013). Si è inoltre riusciti ad evidenziare che i nuclei della base [il ‘centro del movimento’ che si ammala nel Parkinson], ed in particolare il putamen [struttura dei nuclei della base deputata alle funzioni motorie propriamente dette], sono coinvolti nel sequenziare gli eventi ritmici (Grahn e Rowe, 2009). In seguito a queste ricerche era ovvio che la stimolazione uditiva ritmica fosse stata riconosciuta come lo standard nella riabilitazione motoria nella malattia di Parkinson (Archibald et al., 2013), però recentemente si è osservato che gli effetti positivi della stimolazione ritmica sugli schemi motori nel Parkinson sono di breve durata (Nombela et al., 2013). Per ovviare al problema e per riuscire a rendere l’effetto della terapia più duraturo e persistente ci si è convinti che non basta un elemento della musica, il ritmo, ma che è necessario l’utilizzo della musica nel suo insieme. La musicoterapia grazie alla melodia trasmette emozioni che servono per rinforzare i circuiti attivati. La musicoterapia include cantare, ballare, ed ascoltare musica. Secondo la Associazione Americana di Musicoterapia (American Association of Music therapy), la musicoterapia rappresenta una professione sanitaria affermata nella quale la musica è usata nel rapporto terapeutico indirizzato ai bisogni fisici, emotivi, cognitivi e sociali (2015). Tramite il coinvolgimento musicale nel contesto terapeutico vengono rafforzate le abilità del paziente e trasferite su altre aree della sua vita. La musicoterapia supera barriere e fornisce nuove possibilità di comunicazione che possono essere utili per coloro che trovano difficoltà nell’esprimersi con parole. La musicoterapia può essere efficace in molti campi, sia nella riabilitazione fisica per facilitare il movimento, per migliorare la motivazione delle persone alla riabilitazione, per fornire un supporto emotivo a pazienti e familiari, e per creare un canale d’uscita per l’espressione di sentimenti.

Nella prossima ed ultima parte entrerà finalmente in scena la dopamina, quella sostanza che viene a mancare nel Parkinson, e capiremo quindi perché le attività creative, la musica, il ballo, il teatro, ed il divertimento, possono effettivamente migliorare il quadro clinico della persona affetta da malattia di Parkinson.

(segue con Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV)

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II

 IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA parte II

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus 

(seguito di Il Divertimento come fonte di Dopamina)

Ciò che segue è probabilmente il capitolo più noioso dei quattro, però serve per introdurre il decorso naturale del Parkinson senza terapia, e quindi il significato delle terapie farmacologica e non farmacologica. 

La Malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva che colpisce principalmente una piccola rete di cellule nervose al centro del cervello, le vie dopaminergiche nigrostriatali deputate alla selezione e modulazione della corretta sequenza di movimenti; successivamente vengono alterati diversi circuiti neuronali che portano ad un quadro clinico caratterizzato inizialmente da sintomi motori quali tremore, rigidità, instabilità posturale, rallentamento motorio, e che durante la malattia possono trovarsi variamente associati a sintomi non motori, soprattutto dolori, insonnia, fatica, ansia e depressione, fino a problematiche psichiatriche costituite da turbe del controllo degli impulsi, allucinazioni e psicosi. Questi sintomi possono presentarsi in varie combinazioni ed a severità crescenti con la durata di malattia. I sintomi che caratteristicamente causano maggiori disagi nella Malattia di Parkinson sono quelli motori, per i quali con l’avanzare della malattia saranno necessari presidi per la postura e per la deambulazione in quanto l’ammalato non sarà più in grado di spostarsi autonomamente esponendosi sempre di più a rischi di cadute.

Per la malattia di Parkinson attualmente non esiste ancora una cura risolutiva e guarigione; per questo, l’obiettivo principale della neurologia è di gestire la patologia e l’ammalato, di alleviare i disagi, di conservare le autonomie individuali, e di cercare vie per modificare il corso della patologia per prevenire quadri clinici complessi e difficili. Il Parkinson viene tradizionalmente curato con trattamenti farmacologici; essendo essa una patologia a deplezione di dopamina, la principale cura è costituita dalla terapia sostitutiva somministrando il precursore della dopamina, la levodopa. Oltre alla levodopa ci sono altri farmaci che agiscono similmente alla dopamina, i cosiddetti dopaminoagonisti, e sostanze che aiutano a risparmiare dopamina, gli inibitori enzimatici delle MAO e COMT. Per gli stadi più avanzati di malattia, quando l’assunzione orale dei farmaci diventa difficile, ci sono le pompe di infusione di farmaco per via sottocutanea (apomorfina) oppure tramite PEG (duodopa); per casi complicati e selezionati si presta la stimolazione cerebrale profonda (DBS, deep brain stimulation). Paradossalmente, molti farmaci, e soprattutto la levodopa, possono provocare loro stessi un peggioramento della malattia, e pertanto con il corretto utilizzo dei farmaci da parte degli specialisti si possono evitare le complicazioni farmacologiche e conservare discrete qualità di vita.

Ma la sola terapia farmacologica e chirurgica non è sufficiente per gestire la malattia di Parkinson. Di fondamentale importanza è la riabilitazione neuromotoria; con gli esercizi si cerca di migliorare la postura, i cambi posturali e la deambulazione, e si rieducano gli automatismi motori, alterati a causa della malattia. Spesso le persone hanno difficoltà nei comuni atti quotidiani ed allora può essere d’aiuto la terapia occupazionale. Importante diventa il supporto psicologico per l’ammalato che a causa del rallentamento motorio e della crescente disabilità rischia di perdere il suo ruolo familiare e sociale, ma essenziale è il sostegno psicologico anche per il familiare che si trova davanti un carico assistenziale continuamente in aumento. Proprio per aiutare il parkinsoniano a riconquistarsi il suo ruolo nella vita quotidiana, possono diventare determinanti la ginnastica di gruppo dove ci si sprona a vicenda, e la teatro terapia, recentemente inserita nelle linee guida del Ministero della Sanità per le cure della malattia di Parkinson, nella quale l’ammalato torna ad essere protagonista ritrovando stimoli e responsabilità. Significativi sono, a questo proposito, i risultati della ricerca di Nicola Modugno e collaboratori (2010) che hanno osservato in un gruppo di pazienti parkinsoniani coinvolti in un laboratorio teatrale per tre anni un miglioramento di punteggio nelle scale di valutazione motorie e non motorie, e la non necessità di aumenti di terapie, rispetto ad un gruppo parkinsoniano in trattamento riabilitativo tradizionale. Questi approcci terapeutici possiedono in aggiunta il vantaggio di poter offrire agli interessati il divertimento, elemento fondamentale nelle terapie complementari, stando insieme ad altre persone con gli stessi problemi, si sdrammatizza, e si ride, il che conferisce una enorme carica psicologica ed emotiva e che supporta i progressi del lavoro fisico.

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Fino a qui lo stato dell’arte della terapia del Parkinson. Nel prossimo capitolo cercheremo di capire che cosa succede nel nostro cervello quando ci divertiamo, quando balliamo, recitiamo “Romeo e Giulietta: 40 anni dopo” oppure quando ascoltiamo musica.

(segue con Il Divertimento come fonte di Dopamina parte III)

Il Divertimento come fonte di Dopamina

Introduzione

 IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA

Dicembre 2014 - pranzo sociale

Dicembre 2014 – pranzo sociale

Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson

di Kai S. Paulus

  Sì, avete ragione, tutto già detto e scritto.

Torniamo al 2009, quando, alla Camera di Commercio avevamo proposto le terapie alternative, quali il ballo, il teatro e la musica (leggete anche “Il teatro” nel nostro sito). Allora, la riabilitazione nel campo del Parkinson era ancora molto tradizionale e basata fondamentalmente su arcaici dogmi accademici che però stavano iniziando a vacillare sotto il peso delle nuove evidenze della ricerca scientifica ma che a Sassari trovava ancora una roccaforte apparentemente inespugnabile. Diciamoci la verità, nessuno avrebbe scommesso mezza lira sui sognatori Delli e Paulus. Eppure…

L’articolo che sto per presentarvi, e che si basa su un recente ciclo di relazioni tenute da me a Sassari e Cagliari e che sarà pubblicato nel numero di luglio della rivista ‘SassariMedica’ dell’Ordine dei Medici e Chirurghi della Provincia di Sassari e Olbia-Tempio, rappresenta attualmente il fulcro in fatto di fisioterapia e riabilitazione della nostra Parkinson Sassari. Il sogno è diventato idea, progetto, e quindi realtà. Pochi giorni fa, il 18 giugno, abbiamo assistito alla prima dello spettacolo teatrale “Romeo e Giulietta: 40 anni dopo” del nostro amico Francesco Enna e messo in scena in modo fantastico dagli amici del gruppo teatrale della nostra Parkinson Sassari. Per Franco e me è stato un momento indimenticabile, un sogno diventato realtà, con la consapevolezza che quello che è stato presentato e raccontato nel 2009 era appunto fattibile e raggiungibile. Tutti quelli che giovedì scorso erano nella sala gremita di Latte Dolce sono stati testimoni del enorme potenziale del lavoro del nostro gruppo; loro hanno assistito all’interpretazione irresistibile di ‘Giulietta’ Maria Luisa, quelle della tenera ‘Donna Capuleti’ Grazia e della coraggiosa ‘Nutrice’ Adelaide, ‘Romeo’ Oscar senza deambulatore, ‘Tebaldo’ Gianni prestato da Star Wars, il ‘Principe’ Peppino che già ci ha abituato ad imprese eroiche, ed Antonio il Capuleto di Ittiri che non rinuncia, e di tutti gli altri grandiosi Capuleti e Montecchi sassaresi.

E noi continuiamo a sognare…

In quest’ultimo anno la nostra “Parkinson Sassari” è cresciuta notevolmente ed ha potuto offrire varie attività e laboratori, quali la ginnastica di gruppo, il teatro, e la musicoterapia, apparentemente molto diverse tra di loro, ma comunque legati con l’intento di unire, integrare, intrattenere, aiutare, e possibilmente migliorare le condizioni di salute. Tali attività sono state rese possibili con l’eccezionale collaborazione del nostro personaggio dell’anno, la dott.ssa Pinuccia Sanna che rende la ginnastica per tutti più divertente ed efficace, della dott. Annalisa Manbrini che recentemente ha fatto conoscere a noi le molteplici applicazioni della musicoterapia, e del nostro scrittore e sceneggiatore Francesco Enna che ha vinto l’apparente impossibile sfida essendo riuscito a creare dal nostro gruppo numerosi attrici ed attori. Vengono spontanee due domande: che cosa hanno in comune tutte queste attività, e poi, cosa c’entrano con la malattia di Parkinson? Vi anticipo subito che queste due domande hanno, in un certo senso, la stessa risposta.

Nell’articolo che segue cercherò di illustrarvi la scienza sulla quale si basano queste attività che appartengono alla riabilitazione non convenzionale, complementare e creativa, nell’ambito delle molteplici strategie riabilitative in campo neurologico. Parlerò della serietà di queste occupazioni e di come avevamo ragionato con Franco Delli, Peppino Achene, Piero Faedda e Graziella Manchia su cosa poteva essere interessante ed utile per i soci e possibilmente integrativo alle varie terapie mediche. Il direttivo della nostra ‘Parkinson Sassari’ non le ha scelte per puro divertimento ma per motivi ben precisi.

Ops, mi è scappata la parola chiave: il divertimento.

Ma andiamo per ordine. Dopo una breve premessa sulla malattia di Parkinson e le difficoltà in cui si possono trovare sia le persone affette da questa malattia ma anche i loro familiari ed i caregiver, seguirà l’articolo che, per comodità di lettura, ho diviso in tre parti.

segue Il Divertimento come fonte di Dopamina parte II