Volare si Può, Sognare si Deve!

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IL SECCHIO BUCATO di Kai Paulus

Avete presente un secchio bucato che perde continuamente anche se cerco di riempirlo? E’ così che spesso spiego la malattia di Parkinson e la difficoltà di curarla. Il secchio rappresenta il sistema nigro-striatale che a causa del processo patologico diminuisce il suo contenuto di dopamina, essenziale per il corretto funzionamento di muscoli e movimento. Il secchio bucato perde quindi dopamina che va costantemente riempito; ciò si fa con il precursore della dopamina, la levodopa (Sirio, Sinemet, Madopar, Stalevo); ma più levodopa verso nel secchio e più levodopa ne esce. Una partita persa in partenza. A tale scopo vengono abbinati alla terapia dopaminergica altri farmaci, i cosiddetti inibitori enzimatici che possiamo immaginarci come dei piattini che sotto il nostro secchio bucato raccolgono la dopamina persa e la riversano nel secchio diminuendo in questo modo la quantità di dopamina perduta, o in altri termini, aiutando a prolungare l’effetto della singola dose di levodopa.

Di questi piattini, di questi inibitori enzimatici, che effettivamente inibiscono la degradazione della dopamina rendendola nuovamente disponibile, ce ne sono di due tipi: uno che inibisce l’enzima MAO-B (monoaminoossidasi B), e l’altro che inibisce l’enzima COMT (carbossimetiltransferasi), entrambi essenziali appunto nell’inibire la rapida perdita di dopamina. Questi inibitori li conosciamo tutti: gli inibitori della MAO-B sono selegilina (Jumex) e rasagilina (Aidex, Rasabon, Roldap e Azilect, oppure Xadago), mentre agli inibitori della COMT appartengono entacapone (Comtan, entacapone contenuta in Stalevo) e tolcapone (Tasmar).

Tra qualche mese arriva nelle farmacie italiane ONGENTYS, ovvero opicapone, un nuovo inibitore della COMT.

Il nuovo farmaco è simile a entacapone e tolcapone, ma è caratterizzato da due fondamenti proprietà: rispetto ai prodotti attuali possiede una più lunga azione consentendo un‘unica somministrazione giornaliera, e non è epato-tossico e quindi non necessità dei periodici controlli ematici della funzionalità del fegato. Altro vantaggio è che non lascia tracce colorate nelle urine e quindi non macchia.

In conclusione, avremo un piattino più grande da poter raccogliere meglio la dopamina che si perde dai buchi del secchio: meno prese di farmaco giornaliero e più lunga efficacia della singola dose di levodopa.

Ora mi chiederete, ma non sarebbe più semplice chiudere, tappare i buchi? Avete ragione. Ma questa è un’altra storia, che ha a che fare con neuro-plasticità, neuro-protezione, e neuro-restaurazione di cui si sta occupando intensivamente la scienza internazionale, e che da anni stiamo seguendo da vicino, basti pensare ai nostri sforzi a riguardo di Emozioni e Musica oppure il Buon Riposo Notturno, e di cui parleremo ancora molto prossimamente.

SIGNORA O SIGNOR PARKINSON? di Kai Paulus

La malattia di Parkinson, lo sappiamo fin troppo bene, è una malattia, o meglio una sindrome, con tantissimi aspetti sia motori (tremore, rigidità, instabilità posturale, ecc.) che non motori (anosmia, costipazione, disturbi del sonno, dolori, ansia, ecc.) di difficile gestione farmacologica e riabilitativa. Oltre alle problematiche personali si aggiungono i disagi sociali e soprattutto familiari (devo sempre pensare al nostro Tonino Marogna che si definisce “Portatore sano di Parkinson”). Le difficoltà dei trattamenti farmacologici sono dovute a tanti fattori, in primis alle ancora poche conoscenze della scienza sulle cause e progressione della malattia e conseguentemente l’impossibilità a sviluppare terapie mirate ed efficaci.

Ma la lista delle difficoltà non finisce qui: la persona affetta da Parkinson in media ha più di 60 anni e per la maggior parte sarà affetta anche di qualche altra malattia per cui dovrà assumere delle medicine; ciò implica possibili interazioni ed interferenze tra farmaci, basti pensare agli effetti ipotensivi di farmaci anti-ipertensivi, sedativi oppure prostatici che possono sommarsi allo stesso effetto dei farmaci anti-parkinson; se poi ci si mette anche il caldo, allora fiacchezza, capogiri e mancamenti saranno all’ordine del giorno.

Già i farmaci per la prostata: allora le donne sono salve?

Ecco centrato il problema: ma le cure per donne e uomini sono uguali, hanno la stessa efficacia? I farmaci tipicamente maschili (per es., per la prostata) e femminili (per es., contro osteoporosi) possono alterare la terapia anti-parkinson? l’organismo femminile e quello maschile rispondono diversamente ai farmaci? Insomma, il Parkinson è diverso tra donna e uomo?

Domande che a mio avviso sono molto importanti ed attuali. Da qualche anno si sta facendo largo la cosiddetta “Medicina di Genere” oppure “Medicina genere-specifica” che studia le differenze tra donne e uomini a riguardo di malattie e conseguentemente della distribuzione ed azione dei farmaci. Si parla innanzitutto di diversità del metabolismo tra corpo femminile e maschile con possibili velocità diverse delle malattie e differenti velocità di assorbimento ed eliminazione dei farmaci, ma anche della massa corporea e della sua costituzione con differenze nella distribuzione dei farmaci, il che si traduce in possibili differenze di biodisponibilità e di efficacia. Inoltre, durante la vita il nostro corpo passa diverse fasi, l’infanzia, adolescenza, maturità, maternità, menopausa, vecchiaia, ognuna caratterizzata da una costituzione ed un metabolismo differenti.

Roba da far venire il mal di testa: sapevamo che il Parkinson è una malattia complicata con grosse difficoltà delle cure, ed ora vengono fuori pure differenze di genere, forse da dover parlare di un Parkinson femminile ed uno maschile, giusto per complicarci ancora di più la vita.

Niente di tutto ciò. Secondo me la Medicina genere-specifica sarà un arma in più contro Su nemigu e contro il Rapace infingardo, una grande opportunità di miglioramento, ed una sfida possibile per noi medici. Da sempre stiamo cercando di tagliare la terapia su misura per ognuno; ora si aggiunge una importantissima variabile, il sesso appunto, la cui considerazione potrà ulteriormente migliorare l’efficacia delle cure.

E da quando sarà possibile applicare queste nuove conoscenze?

Da subito!

P.S.: queste righe sono solo alcuni pensieri su un nuovo indirizzo della Medicina, di cui si parlerà molto nel prossimo futuro e di cui anche noi avremo modo di approfondire le ricadute sulla gestione del Parkinson.

LA RIABILITAZIONE NELLA MALATTIA DI PARKINSON di Kai Paulus

 (Sabato, 2 dicembre 2017, sono stato invitato a Cagliari per tenere una relazione sulla riabilitazione nel Parkinson al Congresso regionale della Associazione Italiana dei Neurologi Territoriali, AINAT. Nel preparare il mio discorso ho pensato a tutti voi, ed in particolare all’eccezionale lavoro svolto dalle nostre buone fate, Pinuccia Sanna e Annalisa Mambrini; questa relazione l’ho voluta dedicare a loro)

La malattia di Parkinson (MP) è una patologia neurodegenerativa che progressivamente porta ad una sempre maggiore disabilità e ciò comporta un sempre maggiore peso per l’ammalato/a e la famiglia, e sempre maggiori costi per la comunità. Per questo motivo è importante intervenire al più presto possibile, appena posta la diagnosi. Ma come sappiamo, al momento della diagnosi la maggior parte dei neuroni del sistema nigro-striatale sono già compromessi ed il punto del non ritorno è superato. La scienza sta studiando delle possibilità di poter fare diagnosi preclinica ed è alla ricerca di sintomi prodromici e biomarker (iposmia, alterazioni del transito intestinale, disturbi del sonno, depressione, ecc.), ma essi, pur indicativi, non sono specifici e pertanto non si può intervenire preventivamente, e non ci sono ancora disponibili delle strategie terapeutiche che possono modificare il decorso della patologia, le cosiddette terapie “disease-modifying”. La terapia farmacologica è sintomatica, però con la durata della malattia essa diventa sempre meno efficace e pertanto saranno necessari approcci sempre più costosi. Nella gestione globale della MP il trattamento farmacologico va affiancato con quello riabilitativo per preservare il più a lungo possibile le autonomie della persona e, a differenza dei farmaci, la riabilitazione aumenta in efficacia con la durata della malattia senza far lievitare il carico socio-sanitario ed economico.

La MP è una malattia che compromette il movimento e di conseguenza la sua terapia naturale è il movimento, ed essendo una patologia ipocinetica, cioè che tende ad un progressivo rallentamento motorio ed induce l’ammalato/a a muoversi sempre di meno portandolo ad una vita inattiva e sedentaria, il primo obiettivo delle strategie riabilitative deve essere quello di prevenire l’inattività. E questo obiettivo si insegue sin dall’inizio della malattia, quando la persona è ancora autonoma: informando paziente e familiari si favoriscono frequenti passeggiate, attività quotidiane in generale ed eventualmente attività sportive ed il ballo. Questo intervento riabilitativo si rivela particolarmente utile nelle prime fasi di malattia, ma sarà il filo conduttore della neuro-riabilitazione durante tutta la durata della MP. Nelle fasi intermedie della MP si presentano disabilità fisiche che possono essere affrontate con diverse strategie per preservare le autonomie residue e per migliorare l’equilibrio statico-dinamico con l’obiettivo di mantenere e migliorare le autonomie globali (miglioramento di cambi posturali, alzarsi da letto e sedia, la postura, la camminata, abbottonarsi, ecc.); ciò è importante sia per la persona ammalata sia per i familiari che non sono costretti ad assisterla continuamente, e così si prevengono anche tensioni interpersonali ed intra-familiari. I vari esercizi possono essere eseguiti all’aperto, in palestra, a domicilio, ed anche in piscina, e si possono avvalere di diversi aiuti, cues, visivi, uditivi, tattili, in base alla disabilità da migliorare. Per esempio, cues permanenti o ritmici possono essere lo scandire del ritmo di una marcia militare oppure il superamento di linee sul pavimento che favoriscono il miglioramento della deambulazione e l’allungamento del passo. Oppure, una facilitazione, un cue unico, può essere il dare il via (“uno, due, tre, via”) in caso di acinesia, cioè in caso di difficoltà nell’iniziare il movimento; ed ancora, per vincere il freezing, il blocco motorio, che si può osservare in spazi stretti, come nell’attraversare una porta, un cue, in questo caso un trucco (strategia cognitiva), può essere, non concentrarsi sulla soglia da superare, ma di tenere in mente la meta da raggiungere dopo la soglia, per esempio la poltrona. Come aiuti possono essere impiegati anche altre strategie molto utili, quali il nordic walking e la realtà virtuale, con i quali si possono esercitare anche il “multi-tasking”, cioè la capacità di fare diverse attività contemporaneamente, come camminare e parlare allo stesso tempo; la MP compromette gli automatismi e rende pertanto difficile l’esecuzione di attività contemporanee.

Dopo anni, inevitabilmente si arriva alla fase avanzata, caratterizzata da marcata instabilità posturale, rigidità diffusa ai quattro arti e tronco, disfonia, disartria, disfagia, insonnia, depressione, e compromissione dei movimenti fini e della manualità; si necessitano ausili, come il deambulatore e la carrozzina, ed in casi gravi si rende necessario l’allettamento. Ecco, l’obiettivo principale della riabilitazione e della terapia farmacologica è rappresentato dal ritardare il più possibile questa fase avanzata che significa per l’ammalato/a enormi disagi e per il familiare e/o caregiver un importante carico assistenziale 24 ore su 24.

In una persona molto disabilitata, confinata in carrozzina oppure a letto, l’approccio riabilitativo si rende estremamente importante. Si tenga presente la situazione di una persona con MP in stadio avanzato: costretto alla quasi totale inattività, e quello che è peggio, annoiato, sicuramente depresso. Ecco che l’arrivo del terapista diventa un evento che rompe la monotonia e riempie il vuoto, e spesso già la sola attesa può essere momento di sollevamento del tono dell’umore. Ma, non è la mobilizzazione passiva l’obiettivo del trattamento, che comunque serve per mantenere una buona condizione cardio-circolatorio. Il SSN non prevede un trattamento riabilitativo permanente, specialmente se non ci sono obiettivi e se non si apprezzano miglioramenti. Pertanto la riabilitazione deve mirare a degli obiettivi anche nella fase avanzata. Come? Innanzitutto, ci vuole la collaborazione della persona, che a volte non è facile da ottenere, e comprensibile per la situazione di disagio e di sofferenza in cui si può trovare. Allora, l’ammalato/a va motivato, gli vanno prospettato dei traguardi, e soprattutto la persona va coinvolta attivamente nella pianificazione del programma riabilitativo. Poi, a parte le sedute insieme al terapista, che come sappiamo sono spesso preziose e brevi, nel corso della giornata vanno inseriti dei momenti di esercizio, di allenamento, che l’ammalato/a può eseguire da solo, autonomamente, a mo’ di “compiti per casa”, durante i quali potrà perfezionare gli esercizi appresi dal terapista. Oltre al miglioramento, con questo programma si struttura la giornata, la si riempie, la persona ha un obiettivo, ed anche una responsabilità (mica può deludere il terapista, e non vuole che il SSN gli tolga questa opportunità), per non parlare della possibilità di poter parlare con familiari ed amici di cose costruttive e di non doversi lamentare dei suoi malanni. In questa ottica cambia tutta la prospettiva: migliorano i rapporti interpersonali e migliora la qualità di vita, spesso creduta perduta.

Ma tutto ciò non basta.

Ci vuole il divertimento. Ed a questo proposito ci aiutano le cosiddette arti-terapie, quali la musica, il ballo, il teatro, ed altro, che da alcuni anni sono state aggiunte nelle linee di guida italiane ed internazionali del trattamento della MP.

Pensando alla musica, viene in mente subito il ritmo, che come la levodopa per la terapia farmacologica, rappresenta il “gold-standard” della riabilitazione nella MP. Il suono mette in oscillazione il sistema uditivo, e conseguentemente, il ritmo causa una oscillazione ritmica che viene trasmessa direttamente, tramite una via reticolo-spinale, al sistema motorio, piramidale, quindi by-passando la malattia, il sistema extrapiramidale. Ecco, perché il ritmo funziona e la persona bloccata riesce a camminare sulle note della marcia “Dimonios”, l’inno della Brigata Sassari, perché si toccano “corde” che non sono ammalate. Quindi, con il ritmo mettiamo in moto ogni parkinsoniano, ma non lo curiamo, perché l’effetto benefico del ritmo è temporaneo, proprio perché non agisce sul sistema extrapiramidale.

E la musica?

Ecco, la musica aggiunge un elemento essenziale: l’emozione! E quale musica? Non importa, ognuno ha la sua musica che gli è più congeniale, che gli provoca ricordi ed eventualmente la pelle d’oca. Con questa musica suscitiamo l’emozione che a livello del sistema sia meso-limbico sia dei nuclei della base stimola l’aumento del tono dopaminergico favorendo un miglioramento dei segni extrapiramidali. A differenza del ritmo, la musica, l’emozione, stimola processi di neuro-plasticità, un processo che viene elicitato con ogni nostra attività, sia fisica che cognitiva. La neuro-plasticità è caratterizzata da un aumento delle connessioni sinaptiche, un aumento del tessuto neuronale, ma anche dei capillari e della glia; e la neuro-plasticità diminuisce la apoptosi, la morte cellulare. Ed ecco che la musica migliora la MP a lungo termine: si creano processi di riparazione di compensazione. E ciò vale anche per altre attività, come il teatro ed il ballo. Importante è il divertimento.

In conclusione, la neuroriabilitazione nella MP è una presa in carico globale che include l’informazione di ammalato/a e caregiver, la prevenzione, la motivazione e la collaborazione, prevede attività fisica e cognitiva, programmi riabilitativi che comprendono parti passive ma prevalentemente esercizi attivi ed allenamento quotidiano. Ma il trattamento riabilitativo, per poter ottenere risultati apprezzabili e per poter consolidare i benefici temporanei e quindi per contrastare la progressione della malattia diventando effettivamente una terapia “disease-modifying”, necessita di un atteggiamento positivo, di carica, di forza di volontà e di tante emozioni, gioia, piacere, divertimento.

Giocando si impara.

Sogni d’oro, Mister Parkinson! di Kai Paulus


Diverse volte abbiamo parlato nel nostro sito sul significato del sonno e sull’importanza del buon riposo, che riguarda in modo particolare la malattia di Parkinson, proprio perché durante il sonno profondo avvengono i processi di riparazione e di compenso, come ci ha spiegato Prof. Pier Andrea Serra in varie occasioni.
Dieci giorni fa, in occasione della nostra XI Giornata Sassarese della Malattia di Parkinson, avevo ripreso l’importante tema del sonno mettendo l’accento sul concetto dell’Igiene del sonno, cioè comportamenti e strategie con i quali si possono ottenere un riposo notturno migliore senza dover ricorrere a farmaci. Qui di seguito vorrei elencare queste regole del buon sonno valide per tutti:


“Coricarsi sempre alla stessa ora”
Il sonno è una questione di abitudine e per questo è una buona regola di osservare dei comportamenti abituali e costanti; quindi, in linea di massima, bisogna cercare di andare a letto alla stessa ora. In questo modo l’organismo si può preparare meglio sapendo quando finisce la giornata.
“Camera da letto sufficientemente accogliente, silenziosa e buia”
Dovrebbe essere un piacere recarsi in camera da letto, un luogo bello ed accogliente, dove trovarsi bene; ed ovviamente riusciamo a riposarci meglio se c’è silenzio e buio.

“Evitare la televisione in camera da letto”
Un errore che si fa spesso (me compreso) è di guardare la televisione a letto, convinti che concili il sonno. In effetto, davanti alla TV ci si appisola facilmente. Ma dopo qualche ora ci si sveglia: la TV eccita il cervello e quindi non predispone per un buon riposo.

“Evitare bevande alcoliche nelle ore serali”
L’alcol, anche se in un primo momento può avere un effetto sedativo, comporta successivamente un aumento della pressione sanguigna con conseguente disturbo del sonno. Sotto la stessa voce possiamo anche mettere il consumo di sostanze stimolanti quali caffè e the.

“Assumere una cena leggera”
Meglio tenersi leggeri la sera per non appesantire la digestione.

“Non riposare dopo pranzo per più di 30 minuti”
Riposare dopo pranzo può essere una buona abitudine, ma se dormiamo troppo dopo pranzo togliamo sonnolenza per la notte.

“Evitare esercizi fisici faticosi prima di coricarsi”
Si stimola il metabolismo, il che tiene svegli.

Ed infine, un errore che facciamo troppo spesso:
“Evitare pensieri emotivamente carichi”
Rimuginando fatti e situazioni non risolte, pensare a problemi e preoccupazioni, è il metodo più sicuro per impedire il sonno: In effetti, molte persone soffrono di insonnia proprio per questo motivo. Ma ci si può abituare con un po’ di disciplina ad evitare queste problematiche, pensando a cose belle, oppure pensando semplicemente di meritare una bella dormita dopo una giornata impegnativa. Le cose irrisolte intanto non si risolvono durante la notte e le affrontiamo meglio la mattina seguente dopo una buona dormita.

Buona notte!

MA CHI ERA ‘STO PARKINSON? (Parte II)

La scopolamina, un’anticolinergico, viene usato contro il mal di mare e contro i malintenzionati  quando capitano nelle grinfie di Diabolik. Vi chiederete, ma non stavamo parlando di James Parkinson e del suo libro sulla Paralisi agitante “An Essay on the Shaking palsy”?

E’ esattamente questa la curiosità: dimenticato!

Non ci crederete, ma il lavoro di Mister Parkinson era dimenticato per decenni, e quando finalmente qualcuno tornò a parlarne, non c’erano esemplari del libro in circolazione. A pensarci oggi, questa affascinante storia ha veramente del incredibile e ve la voglio raccontare.

Nella parte precedente abbiamo conosciuto l’uomo James Parkinson, il suo lavoro di medico, ma anche le sue passioni per la geontologia e la politica, oltre a quella per Mary Dale, sua sposa.

Ed ora, squillino le trombe e rullino i tamburi, siamo nel 1817 e finalmente entra in scena il famoso libro “An Essay on the Shaking Palsy” (Tesi sulla Paralisi Agitante), pietra miliare della Medicina!

Più che di un libro si tratta in realtà di un libretto di appena 66 pagine, ma che pagine! Già il titolo sa di provocazione: paralisi, cioè qualcosa di immobile, fisso, ma che allo stesso tempo si agita. Il paradosso si addice perfettamente alla malattia dove l’arto rigido, rallentato, contemporaneamente trema. Ecco il capolavoro di Parkinson: i vari sintomi della malattia si conoscevano sin dall’antichità e già Galeno (122-199 d.C.) distinse due tipi di tremori, palmos e tromos, di cui il primo secondo Parkinson sarebbe il tipo di tremore presente nella sua malattia.

Il capolavoro, l’osservazione geniale di Parkinson, consiste proprio nella sintesi, cioè di aver coniato il conciso termine ‘paralisi agitante’, e di aver riunito diversi sintomi (tremore, rallentamento motorio, rigidità, camptocormia) per la prima volta in un’unica entità patologica, cioè lui, nel 1817 ha individuato una malattia che ancora oggi non abbiamo pienamente compreso. Ecco, spiegata la grandezza di questo testo! Nel libro, Parkinson descrive soltanto sei persone che mostrano gli arcinoti segni che compongono la sindrome, sei casi clinici che hanno fatto la storia della medicina!

Cosa spinse James Parkinson ad occuparsi di tremori e rigidità non lo sappiamo esattamente ma ci viene in aiuto suo figlio John, che nel 1833 rende pubblico gli appunti che il padre prendeva da giovane quando seguiva i corsi serali di un importante chirurgo ed anatomo del suo tempo, John Hunter (“Hunterian Reminiscences. Being the Substances of a Course of Lectures on the Principles and Practise of Surgery Delivered by the late Mr. John Hunter”) e da cui si evince l’interesse del padre ai tremori; tant’è vero che Hunter descrisse una persona con un tremore a riposo nella sua Croonian Lecture del 1776.

Insomma, antichità, medioevo, e la scienza che lo precedette, l’intuizione di Parkinson era di mettere insieme i pezzi.

Giusto per illustrarvi lo spirito di quegli anni, vi faccio vedere un dipinto del famoso architetto (il Big Ben di Londra viene progettato da un suo disegno) Augustus Pugin, “King’s Bench Prison Yard”, del 1808, cioè nove anni prima della Shaking Palsy, e lascio a voi i commenti:

Tornando al libro, questo capolavoro, che da subito suscitò … poco interesse, cadde inspiegabilmente nel dimenticatoio per decenni. Incredibile! Toccherà al grande neurologo francese  Jean-Martin Charcot a riesumarlo nel 1859 con il grande merito di aver coniato, dopo 40 anni, il termine Maladie de Parkinson come lo conosciamo anche oggi.

Ecco fatto, finalmente esiste la Malattia di Parkinson, … soltanto che quasi nessuno la menzionerà ancora per alcuni decenni. Pare proprio una scongiura! Dobbiamo attendere i lavori di Williamson e Bury del 1903, in cui viene proposta appunto la scopolamina come terapia per la malattia di Parkinson (finalmente ce l’hanno fatta a chiamarla per nome!).

Da adesso in poi la malattia … sparisce nuovamente dalla circolazione fino agli anni 1915-1920 quando durante la pandemia della Encefalite Letargica si osservò una sindrome post-enecefalitica sovrapponibile alla paralisi agitante, ed allora finalmente gli scienziati, disperati, scomodano il vecchio Parkinson.

Rose nel 1903 e Cruchet nel 1925 cercano di trovare una spiegazione per questa insolita trascuratezza di un testo così fondamentale per la Neurologia e sostengono che, visto che non esistevano cure, per il mondo accademico la malattia non era interessante. Se oggi ragionassimo così…

Che dire ancora, di un testo che ha cambiato la medicina, che ha contribuito a porre le fondamenta della moderna Neurologia, e di cui Andrew Lees scrive recentemente sulla importante rivista scientifica “Brain”, che “gli scritti di Parkinson sono ancora oggi di scorrevole lettura e risultano rinfrescanti come il vino”.

Vorrei concludere questa breve cronistoria con le parole di Patrick Lewis su cosa penserebbe oggi James Parkinson della Paralisi Agitante: “Sicuramente egli sarebbe stupito del progresso scientifico in termini di diagnosi e di conoscenze sulle cause; verosimilmente sarebbe contento dell’ampio spettro di farmaci a disposizione per trattare i sintomi descritti così chiaramente nella sua Essay. Però, indubbiamente lui sarebbe perplesso ed addirittura dispiaciuto nel dover constatare che dopo due secoli dalla sua osservazione della malattia, ancora non esista una vera cura per questa malattia devastante.”

 

Siamo nel 1817; da qui in poi devono passare ancora 150 anni prima che si scopra la prima vera terapia sintomatica per il Parkinson, la levodopa, ancora oggi lo standard terapeutico, se pur non soddisfacente.

Ma questa ve la racconto un’altra volta…

 

Kai Paulus

 

 

Bibliografia:

Donaldson IML. James Parkinson’s Essay on the Shaking Palsy. JR Coll Physicians Edinb, vol. 45; pp. 84-86, 2015

Finger S, Boller F, Tyler K. History of Neurology. Handbook of Clinical Neurology, vol. 95 (Series editor: Aminoff MJ, Boller F, Swaab DF.) Elsevier BV, Amsterdam, 2010

Lees A. An Essay on the Shaking Palsy. Brain vol. 140 (3); pp. 843-849, 2017

Lewis P. The man behind the Shaking Palsy. Journal of Parkinson’s Disease, vol. 2 (3): pp. 181-187, 2012

Magliano R. Storia della Malattia di Parkinson. Tra scienza, empirismo e credenze popolari. Mediamed Srl, Milano, 2002

Martinelli P. James Parkinson: The many facets of an enlightened man. Moving Along. Vol. 1 (Ed. International Parkinson and Movement Disorder Society), Milwaukee, USA, 2017

Parkinson J. An Essay on the Shaking Palsy. Ed. Whittingham and Rowland, London, 1817

MA CHI ERA ‘STO PARKINSON? (Parte I)

In occasione dei 200 anni dalla pubblicazione del suo libro, nelle società scientifiche internazionali viene ricordato l’uomo che ha dato il nome a una delle malattie più diffuse e conosciute: James Parkinson. Ci rivolgiamo sempre, per ovvi motivi, con termini disprezzanti alla malattia, ed il nome di Mister Parkinson equivale per noi a “Su nemigu”, “Il rapace infingardo”, “la brutta bestia” e così via, come i nostri amici Peppino Achene, G.B., Piero Faedda ed altri ci hanno ricordato in questi anni, mentre del suo scopritore si sa molto poco. Per questo motivo ho voluto scrivere questo articolo presentando appunto il medico con il quale ebbe tutto inizio. O quasi. Il personaggio era sicuramente illuminato, ma non proprio uno stinco di santo, ma andiamo per ordine.

Per agevolare una comoda lettura, ho diviso l’articolo in due parti; nella prima parte presenterò l’uomo, James Parkinson, con una breve sintesi della sua insolita e sorprendente biografia, mentre nella seconda parte parlerò del suo lavoro più famoso “An Essay on the Shaking Palsy” (“Una tesi sulla paralisi agitante”), pubblicato nel 1817, e riflettendo sull’attualità delle affermazioni scritte due secoli fa.

James Parkinson nasce a Londra l’11 aprile 1755, figlio di un farmacista e chirurgo, John Parkinson, e quasi obbligatamente il figlio si interessò sin da giovane alla Medicina. Curiosamente nelle varie fonti si accenna al fratello William ed alla sorella Mary, ma della madre, pare che anch’essa si chiamò Mary, neanche l’ombra. Possiamo però supporre che stesse ai fornelli cucinando con amore dei piatti prelibati ponendo così le basi per la carriera di James (almeno dopo due secoli ricordiamo l’importanza della mamma). Seguendo le orme del padre, James si laureò chirurgo nel 1784.

Bene, direte, tutto pronto per parlare del libro sul Parkinson. Rilassatevi, prima dovete sapere che il nostro eroe era un grande appassionato di geologia e di paleontologia e nei primi anni del ‘800 pubblicò tra le altre cose un trattato in tre volumi sui fossili “Organic Remains of the Former World”. Sono convinto che il nostro presidente Franco Simula si sarebbe volentieri fatto qualche bella chiacchierata su fossili e pietre preziose… Nel 1807 Parkinson organizzò il primo convegno della Società Londinese di Geologia. E nonostante la sua attività come chirurgo e medico, Parkinson continua ad interessarsi alla vita pietrificata, scrivendo nel 1822 il libro “Outlines of Oryctology: An Introduction of the Study of Fossil Organic Remains, especially those found in British Strata”. La curiosità è che potete trovare questo libro come ebook (!) e lo potete sfogliare gratuitamente, dopo 195 anni, sotto

https://archive.org/details/outlinesoryctol00parkgoog

Detto ciò, potremmo passare al libro sulla paralisi agitante, ma vi devo ancora raccontare la storia di ‘Old Hubert’, cioè lo pseudonimo con cui Parkinson firmò i sui scritti politici. Dovete sapere che il medico inglese è stato un grande attivista democratico e simpatizzante delle correnti attorno alla rivoluzione francese. Paolo Martinelli definisce l’opera politica di Parkinson come ‘radical-democratica’ ed ‘illuminata’ occupandosi di temi riformisti quali il suffragio universale, l’elezione di un parlamento annuale, e la rappresentanza del popolo nel governo. Dal punto di vista odierno, questi suoi interessi politici e sociali sembrano innocui, ma allora il nostro illustre gentleman passò come uno che oggi si definirebbe anarchico e forse anche terrorista. Nel 1794 Old Hubert se l’ha vista brutta, quando venne accusato di aver partecipato ad un cospirazione contro Re Giorgio III, ma alla fine non trovarono prove contro di lui e venne prosciolto.

Archiviata anche l’attività politica, arriviamo finalmente al medico James Parkinson. Ma prima di pubblicare il suo libro più famoso, Parkinson si distinse per altri lavori scientifici. Egli pubblicò tanti articoli su riviste scientifiche e filosofiche; nel 1805 scrisse un tema sulla Gotta e nel 1812 scrisse insieme a suo figlio un articolo sull’Appendicite acuta ed i suoi rischi di perforazione.

Dimenticavo di dirvi che nel 1781 James Parkinson sposò Mary Dale e che entrambi ebbero… e già, e qui la comunità degli storici si divide, sei oppure otto figli? Animati dibattiti sono tutt’ora in corso, ed il numero esatto non ci è dato a sapere. Certo tra una pubblicazione e l’altra… Povera Mary Dale! Temo che il suo destino non era molto diverso da quello della suocera, fornelli e bucato. Forse Parkinson non sarebbe diventato Parkinson senza Mary Dale, ma questa è un’altra storia.

Arriviamo quindi alla Paralisi Agitante: abbiate ancora un po’ di pazienza ed aspettate la seconda parte.

 

Kai Paulus

 

 

Bibliografia:

Finger S, Boller F, Tyler K. History of Neurology. Handbook of Clinical Neurology, vol. 95 (Series editor: Aminoff MJ, Boller F, Swaab DF.) Elsevier BV, Amsterdam, 2010

Magliano R. Storia della Malattia di Parkinson. Tra scienza, empirismo e credenze popolari. Mediamed Srl, Milano, 2002

Martinelli P. James Parkinson: The many facets of an enlightened man. Moving Along. Vol. 1 (Ed. International Parkinson and Movement Disorder Society), Milwaukee, USA, 2017

Parkinson J. An Essay on the Shaking Palsy. Ed. Whittingham and Rowland, London, 1817

Ramachandran M, Aronson JK. John and James Parkinson’s first description of acute appendicitis and its associated complications of perforation and death. Journal of the Royal Society of Medicine, 104 (7), 2011: 283-285.

INVECCHIAMENTO OPPURE PARKINSON? (Pillola n. 16)


Conosciamo tutti il Parkinson. O forse no?

Il Parkinson comporta spesso tremore, certamente difficoltà nei movimenti con instabilità posturale e difficoltà nell’equilibrio, rigidità muscolare. Ma poi ci sono anche dolori misti e diffusi, ansia, riduzione del tono dell’umore, insonnia e turbe durante il sonno.

Ma è anche vero che il Parkinson compare soprattutto dopo una certa età. Ed a quell’età non possiamo anche incontrare difficoltà nell’equilibrio, possiamo muoverci con un bastone, soffrire di insonnia, e  lamentare dolori in varie parti del corpo?

Ho letto in questi giorni un interessante articolo nell’ultimo numero della autorevole rivista specializzata “Movement Disorders” della Società Internazionale della Malattia di Parkinson (vedi sotto il riferimento bibliografico) in cui ci si chiede se l’età e Parkinson siano correlati oppure no. Vi svelo subito che gli autori condividono la tesi che l’invecchiamento sia un forte fattore di rischio nel contrarre il Parkinson. Ma questo è anche comprensibile, visto che con l’invecchiamento anagrafico invecchiano anche i vari organi del nostro corpo: si vede e si sente meno bene, la memoria inizia a farci brutti scherzi, e quindi plausibilmente anche i nostri movimenti non sono più quelli di una volta.

Ma io vorrei fare un ragionamento un po’ diverso. Mentre per i ricercatori americani “età”  e “Parkinson” sono due facce differenti della stessa medaglia, a mio avviso bisogna star attenti a non confondere gli acciacchi dell’età con i sintomi del Parkinson.

Mi spiego meglio: quando una persona è affetta da malattia di Parkinson capita che tutta la giornata si giri intorno a questa patologia. Questo è dovuto sicuramente anche ai medici che ci impongono l’assunzione di farmaci a quasi tutte le ore della giornata e quindi diventa difficile non pensarci; per il resto ci pensano le nostre difficoltà motorie ed i disagi a non scordarci di Mr. Parkinson. Ma osservo spesso la tendenza a vedere il Parkinson lì dove in realtà non è affatto.

La malattia di Parkinson appare generalmente ad una certa età, prevalentemente dopo i 60 anni. Ecco, a quell’età è molto probabile che si possano manifestare degli acciacchi e delle malattie che non c’entrano niente con la nostra malattia neurologica. In uno studio condotto da noi a Sassari (e premiato, permettetemi la nota di orgoglio, nel 2007 al convegno nazionale della LIMPE come miglior contributo scientifico) abbiamo osservato che, al momento della diagnosi di Parkinson, l’89 percento dei nuovi ammalati assume già farmaci per altre malattie. In parole povere, il Parkinson non protegge da altri problemi, e quindi se soffro di insonnia o di dolori diffusi, non necessariamente devono essere dovuti al Parkinson.

E se la mia tendenza a non dormire molto di notte fosse semplicemente dovuta all’età, oppure i dolori alle gambe oppure alla schiena fossero dovuti all’artrosi?

Diamo a Cesare quel che è di Cesare, ma non diamo tutte le colpe a Mr. Parkinson, che ci dà già abbastanza da fare.

 

Kai Paulus

 

Bibliografia:

Aging and Parkinson’s Disease: Different Sides of the same Coin? Collier TJ, Kanaan NM, Kordower JH. Movement Disorders, vol. 32, n. 7, 2017: pp. 983-990


 

Il Ragazzo di Koblenz ha perso la Bussola di Kai S. Paulus

Stamattina rientro a casa da una guardia notturna in Clinica, e siccome non riesco a dormire, cerco di sbrigarmi delle commissioni. Tutto fila liscio ed in breve tempo riesco fare tutto e, visto che sono in giro, decido di andare a Baddimanna per visitare la Basilica del Sacro Cuore.Bussola 0 Qualche giorno fa il nostro amico Salvatore Faedda ha pubblicato sul nostro sito un articolo molto interessante, in cui racconta come lui da giovane, quando lavorava in una falegnameria, ha avuto “l’onore e l’onere” di collaborare ai lavori degli interni della Basilica Sassarese.
Penso che non vi sia sfuggita la mia ammirazione per Salvatore, persona umile e silenziosa che continua a sorprendermi con i suoi talenti e la sua storia. Prima mi ha stupito con le sue doti musicali che mi hanno portato ad iniziare a strimpellare l’armonica a bocca (lo so che il termine “strimpellare” si usa per strumenti a tasti oppure a corde, ma proprio ieri nostra figlia mi ha chiesto cosa significhi e quindi mi è rimasto in testa), poi continua ad affascinarmi con i suoi racconti di viaggi, della sua famiglia, in cui riportando la sua storia ci propone ogni volta un piccolo tassello della Sassari che fu (leggete proprio in questi giorni “La notti di Fribagiu di lu ‘56” pubblicato qualche tempo fa sul nostro sito: Sassari sessant’anni fa – fa un certo effetto); ma Salvatore tocca le corde di tutti noi quando parla della sua esperienza con il Parkinson, dove per me i suoi pezzi, quali “L’eredità”, e le poesie “Lu Parkinson” e “Lu muccaroru”, sono dei veri capolavori. Poi si distingue anche per i suoi divertenti reportage sulle nostre attività associative.
Quindi, questa è la mia stima nei confronti di quest’uomo. Ora potete immaginarvi quanto io sia rimasto di stucco leggendo il suo “La Bussola del Sacro Cuore”: conosco la Basilica, ci sono andato diverse volte, ma, confesso, non mi ricordo della Bussola. Avevo fatto delle ricerche in internet, dove si legge: “di notevole pregio sono anche le opere di falegnameria che arredano gli interni” (www.geoplan.it).
Ecco, visto che stamattina ho tempo, decido di andare alla ricerca della Bussola di Salvatore. Il suo racconto diventa intrigante quando menziona che nello stesso tempo ci lavorava anche Costantino Spada e che lui ottenne regolarmente del vino, mentre per Salvatore ed i suoi colleghi non era permesso neanche dell’acqua. Che ingiustizia! Ora vado a scoprire l’opera del nostro musicista!
C’è un acquazzone (finalmente l’inverno si è deciso a fermarsi anche sulla Sardegna) ed entro di corsa nella navata. Dopo essermi scrollato di dosso un bel po’ di acqua piovana faccio il giro tra i banchi, ammiro, come anche le volte precedenti, gli affreschi di Spada, l’organo, il bellissimo altare, sempre di falegnameria, dedicato a Mons. Pala, l’allora parroco e datore dei lavori; è una chiesa bellissima che ogni volta mi piace di visitare. E la bussola? Non la trovo. Faccio un secondo giro, scendo anche nella cripta dedicata alla Madonna di Lourdes, ma niente. Consulto il nostro sito e rileggo le righe di Salvatore per capire dove si possa trovare la sua opera, ma niente da fare (col senno di poi Salvatore dà indicazioni precise ma io non ho colto). Allora telefono a Piero Faedda, lui dovrebbe saperlo, ma anche lui in quel momento non ha idea. Allora, da vero amico che è, scomoda la gente che ha in casa in visita (quasi mi vergogno) e fa un sondaggio tra di loro, ma comunque non riesco ad avere indicazioni precise. Che faccio adesso? Mica me ne posso andare. Sono qui, oltre che come curioso anche come giornalista: voglio trovare la bussola e fotografarla per mettere le foto sul nostro sito. Chiedo a qualche turista (a febbraio a Sassari?) ma figurati. Inizio a diventare nervoso (e qui il libro di Westendorp presentato recentemente da Nicoletta Onida non c’entra niente!). Temo che devo arrendermi per il momento; forse posso tornare dopodomani con Peppino Achene visto che dobbiamo vederci con il nostro webmaster Gian Paolo Frau per parlare del libro sulla nostra associazione. Quasi sconfitto me ne sto andando quando intravedo entrare in chiesa un tipo non rasato, un po’ così; no, a quello non ha senso chiedere, e gli passo accanto. Ma proprio nel mentre, in una frazione di secondo il mio cervello cambia idea (altro che Westendorp!) e presento allo sconosciuto la mia disperazione. “Buongiorno a Lei” risponde gentilmente l’uomo, “sono il sacrestano, certo, la bussola, venga, gliela faccio vedere.” L’uomo non rasato è fantastico e mi salva la giornata.Bussola 1

Bussola 3Finalmente mi trovo davanti all’oggetto delle mie ricerche, cioè ‘davanti’ non è il termine esatto, ‘sotto’ è meglio visto che la bussola troneggia sopra l’ingresso centenato a oltre quattro metri. La bussola, spiega il sacrestano, riporta il simbolo papale essendo questa una basilica. La guardo con grande rispetto. Ho trovato finalmente l’opera del giovane falegname Salvatore. Sono molto contento; la ammiro e faccio delle foto. Il falegname non deve disperare perché ci rifacciamo alla prossima occasione con i “Petali di rose” di Peppino (alla faccia di Costantino).
Fuori piove ancora tanto e corro alla macchina. Mi riposo e contemplo gli scatti, forse non bellissimi perché non sono un bravo fotografo, ma anche per le condizioni di luce e la difficile angolatura. Per la gioia del successo della ricerca, il ragazzo di Koblenz tira fuori dalla tasca la sua armonica…

Il ragazzo di Koblenz di Kai Paulus

Panorama su Koblenz e la confluenza tra i fiumi Reno e Mosella (foto fatta da Ehrenbreitstein)

Panorama su Koblenz e la confluenza tra i fiumi Reno e Mosella (foto fatta da Ehrenbreitstein)

Mi ricordo che a casa di mia nonna c’era una armonica a bocca, di quelle grandi, tedesche, a due tonalità, con cui si suona la musica popolare. E mi ricordo anche che questo strano strumento musicale mi incuriosiva e che spesso ci soffiavo dentro cercando di fare musica ottenendo però soltanto dei suoni senza melodia. Avrò avuto otto-dieci anni. Non so che fine abbia fatta l’armonica ma la mia carriera di musicista, appena iniziata, era anche finita in quel periodo. Con il senno di poi oggi mi chiedo come mai non mi è mai più venuta l’idea di suonare l’armonica, nell’infanzia, nell’adolescenza, oppure da studente. Mi meraviglio di me stesso: in tutti questi decenni ho completamente rimosso il fascino che esercitava l’armonica su di me. Sta di fatto che non mi è più venuto in mente di suonare l’armonica, fino a quando …

Oggi sono adulto, marito, padre di due splendidi bambini; tanti impegni, volentieri leggo, gioco a scacchi, e mi aggiorno per il mio lavoro. Non rimane tempo per niente, e la sera, portati i bimbi a letto, anche noi crolliamo. Come sapete, negli ultimi anni abbiamo messo su la nostra ‘Parkinson Sassari’, e, nonostante il mio pochissimo tempo, ci tengo tantissimo e sono fiero di aver creato insieme a voi questa utilissima associazione. Ma per stare dietro alle tante attività della Parkinson Sassari, ed adesso anche al sito creato dal nostro insostituibile e geniale Gianpaolo, devo fare gli straordinari e spesso, quando sono in servizio di notte (non raccontatelo al mio direttore!), scrivo, programmo, organizzo, e riesco a fare le cose che durante il giorno non sarebbero state possibili. Per farla breve: ogni mio minuto è pianificato!

Stop! Halt! Fermi tutti!

Un giorno ci troviamo, per via della riabilitazione della nostra Parkinson Sassari, nella palestra di via Principessa Maria e sento dei suoni, stranamente molto familiari.

L’armonica!!  image

Qualcuno sta suonando l’armonica! Che bello! Ma sì, perché non ci avevo pensato. E poi, con che maestria e che apparente leggerezza sta suonando questo magnifico organetto.

Ma certo, l’armonica a bocca, l’ho sempre voluta suonare! Fantastico! Salvatore è un genio: intonando l’inno della Brigata Sassari, aiutato dalla splendida voce di Anna, fa camminare Antonio: magico! Incredibile. Che gioia vedere Salvatore che con assoluta naturalezza suona l’oggetto della mia infanzia.

Quanti ricordi. Mi ritornano in mente mia nonna, casa sua a Koblenz in Germania, i giochi con i miei fratelli, un infanzia felice. Ora tutto mi torna in mente. Non posso far a meno di avvicinarmi al musicista; mi sento come un piccolo ragazzino che si avvicina al gelataio. In modo molto tranquillo e disponibile Salvatore mi dice che non è difficile suonare l’armonica e mi suona alcuni brani. Questo mi basta, la decisione è presa.

L’indomani vado in un negozio di strumenti musicali all’emiciclo e chiedo se hanno un’armonica. A oltre 50 anni sono emozionato come un bambino. Non vi racconto tutta la scena del negozio, in cui il commerciante capisce subito che io di armoniche e di musica in generale non ne capisco nulla e con fare paterno mi illustra i vari modelli, le diverse tonalità ed il loro utilizzo. L’avrebbe potuto spiegare anche in greco, non ci avrei capito niente lo stesso. Ero ubriaco da tante nozioni, non ci capivo nulla; volevo semplicemente un’armonica. Accontentato: ecco, una “Special 20” in A; una di quelle suona anche Salvatore. Vado nei Giardini Pubblici e provo a creare qualche suono; mi sento come il bambino di Koblenz, vorrei tanto fare musica ma non ci riesco. Ma Salvatore non aveva detto che era facile? Comunque, non c’è problema, ho già un piano: andrò a vedere in Internet…

Rientrando a casa vado a prendere i bambini da scuola. Sono a piedi, loro sono abituati (male) a essere presi in macchina: In effetti si lamentano. Intuitivamente consegno loro l’armonica. Come avevo sperato le lamentele finiscono subito: loro ispezionano l’oggetto ed emettono i primi suoni. Sono come me da piccolo, che emozione. Ridono, suonano, si divertono, e fanno tutta la strada a piedi senza neanche accorgersene. Inaspettatamente, l’armonica appena acquistata ha già svolto un grande servizio.

Ed adesso? Come vi dicevo, nella mia giornata non c’è spazio per nessun altra attività, e ciò che apprendo da internet e Youtube sa proprio di continua applicazione e studio. Le cose si complicano in quanto a mia moglie, al primo udire in casa di questi nuovi suoni, vengono i capelli dritti ed interdice qualsiasi studio musicale.

Ed ora? Già, i bimbi vogliono essere presi da scuola in macchina? Bene, problema risolto: mi piazzo davanti a scuola un po’ prima della fine della lezione e mi dedico al mio nuovo studio. Semplice, no? E così ho iniziato ad imparare l’armonica.

Il ragazzo di Koblenz con la sua Special 20

Il ragazzo di Koblenz con la sua Special 20

Ad uno dei nostri consueti, bellissimi ed attesi pranzi, Salvatore, che scopro in quella occasione musicista a 360 gradi sapendo suonare anche la fisarmonica e la chitarra, intona ‘Lili Marleen’ ed io provo a stargli dietro. Impossibile. Ma l’idea mi intriga e nei mesi successivi continuo a suonare in macchina. Il mio obiettivo è di riuscire a suonare insieme a Salvatore. Diverse altre volte lo sento suonare, dopo un pranzo della nostra Parkinson Sassari, dopo le prove di teatro, dopo la ginnastica, ed io rimango sempre più affascinato.

Un giorno mi rivela, dopo che gli ho raccontato le mie difficoltà e la sensazione di non poter migliorare, che si impara molto a suonare le canzoni dei Beatles. Mi sembra un’ impresa azzardata e non ci bado. Poco dopo mi ricordo, però, di aver un CD dei Beatles da qualche parte, e nelle mie prossime “sedute” lo porto con me in macchina e, tra molte stonature, si fa largo qualche suono familiare di ‘Yesterday’ e ‘Hey Jude’.

Ora voglio stupire Salvatore: sto studiando ‘Strangers in the night’ del grande Frank Sinatra, ma non ditegli niente, deve essere una sorpresa per un nostro prossimo pranzo…

Festung Ehrenbreitstein vista da Koblenz, roccaforte più grande d'Europa

Festung Ehrenbreitstein vista da Koblenz, roccaforte più grande d’Europa

Il Divertimento come fonte di Dopamina parte IV

IL DIVERTIMENTO COME FONTE DI DOPAMINA Parte IV
Strategie di riabilitazione non convenzionale nella malattia di Parkinson
di Kai S. Paulus

Ed ecco, finalmente arrivati alla dopamina, sostanza principale del nostro discorso ed anche quella sostanza che con la sua carenza causa la malattia di Parkinson. Non vi proporrò un trattato medico sul Parkinson e sulla mancanza di quella sostanza che permette la trasmissione di informazioni neuronali nei circuiti motori del cervello. Ci sono i farmaci, c’è la riabilitazione ed il movimento in generale. Invece, pongo l’accento su un terzo aspetto che ci aiuta perché ci fa guadagnare quella sostanza, la dopamina: le emozioni.

imageUna delle funzioni principali della riabilitazione alternativa in generale, e della musicoterapia nello specifico, è la sua capacità di indurre nel cervello processi di neuroplasticità, ovvero dei meccanismi che, primo, comportano modificazioni di efficacia e di dimensione delle sinapsi [i punti di connessione e di comunicazione tra le cellule nervose], secondo, stimolano la crescita di nuove sinapsi e dendriti [prolungamenti delle cellule nervose con cui trasportano l’informazione e la trasmettono ad altre cellule nervose], terzo, aumentano la densità della sostanza grigia[il sistema nervoso si distingue in sostanza bianca, composta da fibre lunghe cioè prolungamenti nervosi lunghi, e sostanza grigia, cioè nuclei cellulari, i loro prolungamenti nervosi corti, e l’insieme di capillari sanguigni e cellule di sostegno, incrementando quindi non solo il tessuto nervoso ma anche la rete di capillari e le componenti della glia [cellule di sostegno], e quarto, riducono i processi di apoptosi, cioè di morte cellulare (Altenmueller, 2015). Cioè, neuroplasticità vuol dire crescita cellulare e processi di riparazione all’interno del nostro cervello.
A questo riguardo non importa che tipo di musica viene scelta ma fondamentale è che la musica sia quella favorita (Gerdner, 2012). Il neuroscienziato tedesco Eckhard Altenmueller ha osservato a questo proposito che il semplice ascolto della musica preferita, in seguito ad un ictus cerebrale oppure da parte di persone affette da demenza, può avere un effetto antidepressivo con la possibilità di migliorare le funzioni cognitive, la memoria, la vigilanza ed in genere la sensazione di benessere (Altenmueller, 2015). E’ importante precisare che questi quattro principi fondamentali della neuroplasticità non vengono, ed attualmente non possono essere, indotti da farmaci, ma dalla corretta sintonia e positività del pensiero mentale, cioè del giusto atteggiamento nei confronti dell’ambiente e della persona.
La musica, il teatro, il divertimento, veicolano emozioni, e le emozioni sono in grado di attivare il sistema dopaminergico mesolimbico [oltre al sistema striatale dei nuclei della base responsabile del movimento, esiste quello limbico, cioè emotivo; ma entrambi i sistemi utilizzano la stessa dopamina come neurotrasmettitore, cioè sostanza che trasmette l’informazione da un neurone al prossimo]; un elevato tono dopaminergico favorisce l’apprendimento e l’attenzione, i processi di gratificazione [tutti noi conosciamo la sensazione di benessere dopo aver fatto qualcosa di buono: ora sappiamo che questa sensazione ci viene data dalla dopamina], ma d’altra parte, i comportamenti incontrollati mirati al aumento del tono dopaminergico possono indurre alla dipendenza [non riuscire ad accontentarsi mai, cercare sempre di più]. Le emozioni, quindi, posseggono un enorme potenziale di modulazione sulle attività cerebrali. Per tornare al Parkinson, Salimpoor e colleghi (2011) hanno potuto dimostrare un aumento di dopamina in seguito all’intenso piacere provocato dall’ascolto della musica proprio nel sistema striatale. Pare, pertanto, che proprio questi meccanismi stiano alla base del miglioramento dei pazienti parkinsoniani che seguono i diversi laboratori della riabilitazione complementare.
Le terapie non convenzionali non sostituiscono né i farmaci, né la riabilitazione neuromotoria, ma possono contribuire a migliorare globalmente le condizioni di salute del paziente e possono aumentare la sua qualità di vita; il ballo, il teatro, o anche le antiche arti marziali orientali, quali il tai chi, possono consolidare il beneficio ottenuto dalle terapie tradizionali, e, tenendo l’ammalato attivo, possono aiutare a rallentare il decorso della patologia degenerativa. Il tutto divertendosi, ed ad un costo sanitario irrisorio paragonato alle cifre riportate da Kowal e colleghi (Mov Disord, 2013) dove si calcolano circa 23000 dollari di spesa sanitaria media annuale per persona affetta da malattia di Parkinson. In Italia attualmente ci sono circa 250000 parkinsoniani… Numeri che sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni.
Meglio ballare.

Qui finisce l’articolo ma forse sta appena iniziando la discussione. Pensate al potenziale delle terapie alternative, il loro enorme beneficio, il loro costo irrisorio. Penso che noi, la nostra Parkinson Sassari, possiamo fare molto nei prossimi anni per dimostrare innanzitutto a noi stessi che queste tecniche di riabilitazione insieme al corretto atteggiamento possono funzionare per gestire meglio il Parkinson. Tenete presente che ci sono tante patologie neurologiche croniche ma tra quelle il Parkinson è molto particolare e si distingue proprio per questa caratteristica che la causa della malattia, cioè la mancanza di dopamina, può essere parzialmente colmata con le attività, il comportamento, ed il giusto atteggiamento di ognuno. In termini semplici si può affermare che il Parkinson viene gestito per un terzo dai farmaci, per un terzo dal movimento, dalla vita attiva e riabilitazione, e per un terzo dalle emozioni. Pensateci. Buona estate e ci rivedremo a settembre per divertirci insieme con la ginnastica di gruppo, il teatro e la musicoterapia.