Volare si Può, Sognare si Deve!

Autore archivio: assoparkss

CONVEGNO PARKINSON (La settimana dopo) dì Salvatore Faedda

Il nostro amico Peppino, grande produttore di vini di tutti i colori e sapori, ci ha proposto una mangiata di quelle che non si dimenticano, ad un prezzo accessibile a tutti.

Il luogo scelto si chiama “Troppu Ilde” alla periferia di Sassari in località Caniga, una ridente collina alberata e ben soleggiata che Peppino ci mostra con orgoglio nonostante l’ora…..(lo stomaco reclama sigh…sigh).
Prendiamo posto nella sala da pranzo e, con impazienza, aspettiamo l’arrivo del Dott. Paulus; naturalmente l’attesa viene smorzata dagli assaggini fatti di nascosto per non offendere la sensibilità del nostro amico/medico curante.
Ecco che subito inizia la corsa agli antipasti, ottimi e abbondanti, con diverse specialità dal gusto eccezionale.
Tra gli antipasti e i primi piatti l’amica Dora legge con grande maestria il riassunto che ho scritto, per la “Giornata del Parkinson”, con la collaborazione di Anna che l’ha riportato sul computer. A detta degli amici parkinsoniani il resoconto è stato apprezzato e questo mi riempie di gioia.
Dopo i primi piatti ci diamo da fare con i secondi e, tra una portata e l’altra con la mia fisarmonica e con la collaborazione di tutti, cantiamo a gran voce le solite canzoni sassaresi che, come si sa, danno un certo tono a tutta la compagnia.

Salvatore Faedda alla fisarmonica

Salvatore Faedda alla fisarmonica

Ci sembra doveroso onorare il nostro medico ed è per questo che, con voce pacata e decisa, intoniamo “Lilly Marlene”. Lui, con un certo imbarazzo, tenta di seguire la nostra esecuzione con un organetto a bocca. Come tanti parkinsoniani mi commuovo nel vedere e sentire (stonature incluse) tutta quella partecipazione, soprattutto quando mi rendo conto che il dott. Paulus utilizza lo strumento che io gli ho consigliato. Ancora una volta mi convinco che il nostro amico medico è una persona buona e sensibilissima perché, secondo il mio punto di vista, chi suona uno strumento musicale, anche se principiante, ha l’animo sensibile e poi….la musica aiuta a star bene!!!
Grazie Peppino e grazie Nanna per la vostra disponibilità e amicizia e grazie ancora a tutti quelli che hanno contribuito alla buona riuscita di questa festa anche se…..mi è costata qualche lacrima d’emozione.
Salvatore Faedda

LE MIE IMPRESSIONI (sul Parkinson) dì Salvatore Faedda 

“Il dolore nutre il coraggio

…non puoi essere coraggioso

se ti accadono cose bellissime”

Da quando frequento l’associazione del Parkinson mi sembra di vivere in un’altra dimensione; tutto quello che prima mi sembrava scontato ora non lo è più, soprattutto quando vedo i miei amici parkinsoniani cambiare i loro movimenti giorno dopo giorno.

Inizialmente, osservando le varie manifestazioni di questa patologia, pur essendo cattolico, mi sono sempre chiesto come mai Dio poteva chiederci questo sacrificio… a cosa poteva servire!!! Non sono mai riuscito a darmi una risposta.

Se penso poi ai familiari dei pazienti che senza alcun insegnamento si vedono costretti a gestire questo “pacco” 24 ore su 24 (sì, avete letto bene, ho scritto pacco perché di pacco ingombrante si tratta),         allora mi vengono i brividi e il mio umore precipita…precipitevolissimevolmente.

I nostri amici medici ce la stanno mettendo tutta per farci vivere una vita migliore ma a volte non basta. I medicinali la fanno da padrona e così siamo in balia di essi; un farmaco che funziona viene smentito da un’ altro che non funziona mettendo in crisi la nostra stabilità. Perciò, quando siamo insieme, ci incoraggiamo a vicenda cercando di non stare mai soli per non dare spazio alla malattia.

Al momento stiamo tentando di portare in scena la commedia “Giulietta e Romeo 40 anni dopo”, rielaborata in tono scherzoso dal nostro amico Franco Enna e, nonostante le varie difficoltà, penso che alla fine riusciremo a fare un buon lavoro.

Salvatore Faedda

L’eredità di Salvatore Faedda

Dopo la morte di mamma l’avvocato ha chiamato tutti noi perché doveva leggere il testamento.
Siamo cinque figli: Salvatore, Giovanni, Annalisa, Piero e Antonello. A Giovanni, Annalisa e Antonello mamma non ha lasciato niente mentre a me e a Piero….il morbo di Parkinson.
Io pensavo che “Parkinson” fosse la marca di una penna stilografica ma l’ho capito dopo che Piero ha fatto le visite sanitarie e gli hanno detto che si trattava di un regalo di mamma.
Intanto, sotto sotto, indagavo perché tanti miei disturbi erano uguali a quelli di Piero. Infatti, quando andavo al bar con gli amici, non prendevo mai nulla perché mi tremava la mano ed io mi vergognavo.
A casa mi chiedevano il perché del mio malumore: io alzavo le spalle e dicevo che non avevo nulla ma…le lacrime scendevano copiose.
Un giorno Piero mi dice: “ti prenoto una visita con Dott. Paulus che è molto bravo”. Così con mia moglie andiamo all’appuntamento e lui, dopo aver confermato la patologia con un modo di fare molto rassicurante mi dice: “iniziamo la lotta…sei d’accordo?” Ho iniziato la terapia ed i risultati si sono visti subito. Ora entro al bar con più tranquillità perché la mano non trema più ed anche perché sono decisamente più allegro….tranne qualche volta.
Ogni tanto mi chiedo: con Piero ci somigliamo moltissimo, siamo precisi a babbo (che è morto a 94 anni ed era sano come un pesce),  mentre gli altri tre fratelli somigliano a mamma e allora…come si spiega questo incrocio???.
Ora che ne ho la possibilità voglio dire al dottore che quando sono di malumore reagisco scrivendo tutto quello che mi passa per la testa. Ho anche la fortuna di suonare qualche strumento musicale che mi fa cambiare l’umore perché la musica mi fa compagnia.

Speriamo che la scienza riesca a trovare una soluzione più che soddisfacente…soprattutto per i nostri figli.

Prima di chiudere questo argomento voglio raccontare un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Sono andato in clinica oculistica, presso la stecca  bianca, per una visita di controllo. Dopo che sono entrato nell’ambulatorio il medico mi ha fatto un’intervista e, dopo avermi fatto sedere davanti ad uno strano apparecchio, mi ha fatto appoggiare la fronte ed il mento. Così di punto in bianco ha iniziato a dirmi a gran voce: “stia fermo…stia fermo…guardi che la mando fuori…ha capito???” Allora la tremarella aumentava ancora di più e lui: “vada fuori così impara”.
Ho avuto una crisi di pianto e mi sono rinchiuso in bagno finchè non mi è passato. Lui, comunque, è stato di parola perchè alle due mi ha detto: “venga dentro e mi raccomando…!!!”
Non l’ho nemmeno guardato, ricordo solo che era alto e magro e, se mi avesse ancora minacciato, l’avrei preso a schiaffi.

     Salvatore Faedda

Marumori (Malumore) di Salvatore Faedda


Candu soggu di marumòri
d'ugna tantu fozzu un pinsamentu:
la vida nosthra e piena di durori
e si vi sthai attentu anda cumenti lu ventu;
Si è maestrhali zischemmu di tappazzi
e candu è scirocco lu casthu suppusthemmu.

Da giòbani cridimmu chi la vida è longa
ma bastha una rumadia chi diventa costha.
Allora pensu a ru ventu e a l'amighi chi si z'ha pusthaddu.
Eu zeschu di tinimmi bassu bassu
ipirendi chi lu ventu no sia di terra
e mi daghia campà un althru pogu....arumancu!!!

Arribì a cabidannu c'un pogu di bonamori
e tuttu l'annu sia d'alligria pa ri maraddi
e li duttori aggiani pogu trabagliu
e di pobari no vi ni siani più.
Salvatore Faedda
Quando sono di malumore
ogni tanto mi metto a pensare:
la nostra vita è piena di dolori
e, se stai attento va come il vento.
Se è maestrale cerchiamo di coprirci
ma se è scirocco allora sopportiamo il caldo.

Da giovani la vita ci sembra lunga
ma basta un raffreddore perché ci sembra corta.
Allora penso al vento e agli amici che s' ha portato via.
Io cerco di stare basso basso
sperando che il vento non sia di terra
e mi lasci vivere... ancora un altro poco.

Arrivare, almeno, a capodanno con un po' di buonumore
e che tutto l'anno sia sereno per gli ammalati
e i medici abbiano poco lavoro
e i poveri...non esistano più.
Salvatore Faedda

 

La fisioterapista di Francesco Simula

Formalmente pacata e misurata in realtà autorevole senza voler mai essere autoritaria se non quando certe situazioni “impongono” lo scontro diretto. E in questi casi Lei mette in funzione un “sesto senso professionale” che Le fa affrontare e “vincere” lo scontro, che in realtà si risolve a favore del malato, pur con evidente sofferenza dello stesso. In Lei l’autorevolezza diventa forza di volontà da trasmettere ai pazienti, quelli che talvolta si lasciano andare. “Pensate all’esercizio che dovete fare. Pensateci bene. Eseguitelo prima con la mente”. Questo è l’invito a trasferire il messaggio al cervello che lo converte in imperativo alla volontà la quale spinge a trasformare le rigidità in movimento, quasi sempre doloroso, ma gradualmente efficace e operativo. Talvolta sembra di voler trasmettere una carica propulsiva tale da far pensare ad un input “miracolistico” che  effettivamente colpisce nel segno e smuove le volontà di chi deve eseguire i “comandi” ma prova un dolore “profondo” che impedisce al P. di schiodarsi dalla sedia. A questo punto arriva al culmine un sottile gioco psicologico fra due volontà una negativa, che cerca di mantenere disperatamente la staticità, e l’altra positiva che propone con convinzione e persistenza un imperativo categorico:   “Alzati e cammina”. Già praticato 2000 anni fa. E spesso funziona.

Tutto questo accade mentre Franco fa i suoi commenti acidi: “Per forza funziona, quella è un sergente di ferro”. Intanto ci pensa Oscar ad allentare la tensione  con qualche sua battuta estemporanea. Ma Pinuccia con la sua solita arguta ironia lo richiama:” Zitto tu, Gazzosa”.

Madonna Capuleti di Francesco Simula

Madonna Capuleti entra in scena con l’austero ed elegante portamento consono al rango di una Prima Donna di un Grande Casato di Verona.

Il suo incedere altero e solenne maschera le interferenze doloranti del tremore accentuato della mano destra che sembra ricerchi disperatamente un appiglio robusto cui aggrapparsi per sentirsi solida e ferma. Come quando -Istitutrice al Canopoleno- faceva da colonna stabile e punto di riferimento sicuro per decine di alunni, che allora avevano bisogno di Lei e a Lei si affidavano con la massima fiducia. Allora Lei ha imparato a capire le sofferenze che oggi deve quotidianamente affrontare in prima persona. Allora era Lei che guidava la “baracca”, oggi,  alcune limitazioni personali Le fanno cercare aiuti esterni ogniqualvolta “salta” l’indispensabile equilibrio fisico. Ma anche in questi casi, come un “deus ex machina”, dal nulla compare Gianni che è il paziente e onnipresente “tutore” di una moglie i cui tratti personali,appaiono affabili e miti; i suoi occhi grandi ed espressivi rimangono sempre intenti a seguire la successione dei tragici eventi teatrali sino al momento in cui deve piangere la morte di Giulietta sino a  morirne pure Lei.

Madonna Capuleti e la figlia Giulietta, appaiono abbinate quasi intenzionalmente, assomigliano moltissimo fra loro: Graziella e Maria Luisa sembrano veramente madre e figlia anche nella realtà .

La nutrice di Francesco Simula

“Rita, figlia mia, guarda che cosa mi sta capitando: non riesco a dar da mangiare, col cucchiaio, a tuo figlio, mio diletto nipotino. Mi trema la mano e mi cade il cibo dal cucchiaio. Che cosa strana! Che cosa mi sta succedendo?”

“Mamma, è da un po’ di tempo che ti osservo; anche io ho notato che non solo ti trema la mano ma ti trema anche il collo. Secondo me occorre che ti sottoponga quanto prima a una visita specialistica”.

Questa è stata l’esplosione del male che oggi mi aggredisce e tormenta nell’intera persona e a tratti mi costringe a muovermi con le stampelle.

A un certo punto della mia vita ho scoperto traumaticamente che non ero più la nonna di sempre, la mamma di sempre, la donna di sempre.

Ero, però, ancora giovane. La mia vita non poteva finire lì, scossa da quei tremori terribili che affliggono il corpo e lo spirito sino a prostrarti in maniera defatigante e talvolta umiliante. E allora è iniziata -come per tutti i sofferenti di P. – una guerra di “resistenza” a tutto campo che non finirà mai, che si riproporrà tutti i giorni con sempre nuove tattiche e rinnovati assalti e contromisure.

A questo punto scopro il teatro. Come possibile opportunità per arginare le difficoltà attraverso la riconquista quotidiana dei movimenti storpiati dal male, della memoria, della parola, dei gesti. E nel teatro ritrovo una mia nuova dimensione.

Intanto qualcuno mi osserva, mi studia, mi fotografa, mi rappresenta.

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Un bellissimo caschetto di capelli biondi, la recitazione garbata e diligente,la raffinata eleganza del portamento, l’accuratezza della persona,  come coraggiosa reazione e rivendicazione di vitalità contro la malattia, non lasciano minimamente intravvedere le insidie che – a scadenze crudeli- il male le tende quando la costringe a usare le stampelle perchè la camminata diventa incerta, traballante, insicura e rischia di farla cadere rovinosamente da un momento all’altro. Pronuncia le sue battute con dolcezza cui -in qualche momento di crisi- si sovrappone un’interferenza, un black out, come generati da un improvviso temporale.

Poi riprende la sua recitazione con la grazia di sempre e con tono dolce e suadente sussurra:”Giulietta, agnellina mia, andiamo che è l’ora”.

Nel mio giardino un merlo diffonde tutt’intorno un dolcissimo canto in perfetta armonia con la recitazione di Adelaide.

Romeo-Oscar di Francesco Simula

 Sono le quattro del mattino di una mattina piovosa ed umida di novembre.

Ancora mi  rotolo sotto le coperte calde del letto per cercare di ricuperare in poche ore le forze esaurite il giorno prima, quando si sente una voce decisa ma anch’essa stanca,che con tono perentorio sollecita:”Oscar, sono già le quattro, alziamoci in fretta e partiamo subito, altrimenti non ce la facciamo ad arrivare a Cagliari entro le otto. Il cementificio non aspetta noi, chi arriva prima carica prima e chi arriva tardi rischia di non riuscire a fare il carico completo mettendo in forse l’intera giornata di lavoro.

Così quella mattina e così tutte le altre giornate lavorative dei 365 giorni dell’anno. Quella vita era dura, lo confesso, ma mi piaceva. Mi piaceva guidare il camion da giovanotto forte e volitivo (avevo 14 anni) soprattutto perché …non avevo ancora preso la patente. E quando con mio padre di lontano vedevamo la polizia stradale, fermavamo il camion a una certa distanza,mascheravamo qualche improvviso inconveniente alla macchina e dopo qualche minuto riprendevamo il viaggio invertendo i ruoli con mio padre: lui al volante e io in cuccetta a riposare.

I sabati e le domeniche -rigorosamente di riposo- non ho mai pensato di trascorrerle a letto, manco per sogno! Lucidavo la mia bicicletta Dacono e via con gli amici a pedalare con passione facendo piccoli strappi in punti del percorso già stabiliti per mettere alla prova le nostre abilità. Si rientrava per pranzo ancora una volta stanchi ma soddisfatti. E così per oltre 30 anni.

Sino a quando non arrivò il Prof. Parkinson: per un verso come medico che aveva scoperto un morbo ancora quasi sconosciuto, per l’altro come appassionato ricercatore che scoprì le cause sconosciute del disturbo neurologico e cominciò a praticare le prime cure che servissero almeno ad attutire i sintomi più gravi. Nonostante i notevoli progressi della ricerca nel campo della farmacologia neurologica, il morbo continua a rimanere ancora progressivo e degenerativo.

Io mi trovai intrappolato dal male nella maniera peggiore: ero quasi completamente bloccato nei movimenti, mi si era ridotto notevolmente l’uso della parola.Dopo anni di permanenza negli ospedali e di specifiche cure riabilitative, cominciai a intravvedere qualche leggero barlume in fondo al tunnel. Cominciai a frequentare qualche vecchia conoscenza ma ciò che mi offrì nuovi orizzonti esistenziali ed umani fu la frequenza dell’Associazione Parkinson dove ho avuto modo di conoscere tante nuove persone, più o meno gravi di me, ma tutte ricche di grande umanità. Nell’Associazione ho scoperto il Teatro che mi aiuta molto a tenere i miei movimenti più coordinati e controllati e a esercitare uno sforzo continuo per ridurre l’impaccio nell’espressione vocale. Devo riuscire a superare questo limite; devo riuscire a dire lentamente e chiaramente a Giulietta:”Il manto della notte mi nasconde. Ma se tu non mi ami, lascia che mi trovino, meglio che il loro odio tolga la mia vita…”

“Mille volte cattiva notte, se il tuo sole più non riluce”

“Amor mio, dimmi tu: devo partire e vivere o restare e morire”?                                                                                                           

Giulietta aiutami tu a dirti nel miglior modo possibile i sentimenti che provo nel profondo della mia anima

Giulietta di Francesco Simula

teatro1Entro nell’ampio salone e vedo che Giulietta recita con grande trasporto e convinzione la parte che le è stata assegnata dal regista.

L’aspetto fisico di Giulietta attrice è verosimilmente confrontabile con la Giulietta creata da Shakespeare come figura ideale, esile, col fisico da adolescente, bellissima.

L’ovale del viso assomiglia molto a qualcuna delle attrici vere e proprie che hanno interpretato Giulietta.

Nel salone continuano le prove della rappresentazione teatrale e la “nostra” Giulietta recita indirizzando dolci parole al suo Romeo in un modo tutto personale: questa recitazione si accompagna a una danza leggerissima e leggiadra che fa pensare al volo lieve e veloce di una libellula che, quasi impercettibile, si libra nel cielo primaverile.

Attratto da questa singolare rappresentazione mi avvicino alla ballerina recitante e le dico con stupore e ammirazione: “Ma quanto è bella “l’invenzione” di questo singolare abbinamento tra ballo e recitazione”. La bella Giulietta del nostro teatro arresta per un attimo la sua “danza”, e come se riferisse una cosa normale e ormai nota dice: “Non posso stare ferma. Il mio male non me lo consente”. La risposta è una di quelle che ti colpiscono direttamente al cuore e fanno cambiare immediatamente il ritmo del respiro. Poi inghiottisci un pò di nulla che come un grosso magone ti blocca e poi ancora un pò sino a ritrovare il normale respiro.

Realizzo che il teatro è la manifestazione di stati d’animo, di sentimenti, di situazioni rappresentati attraverso le parole e i gesti.

L’acqua brucia

Bere acqua è importante

imageDurante le visite chiedo spesso se le persone bevono abbastanza acqua e nella maggior parte dei casi la risposta è negativa, spesso perché riferiscono di non sentire sete, a volte perché l’assunzione di acqua creerebbe problemi non meglio precisati quali restringimento dell’esofago oppure bruciore gastrico. Vero è che le persone anziane possono avvertire di meno la sete e di conseguenza bere di meno; che l’assunzione normale di acqua possa comportare disagi o addirittura dolori sarebbe da chiarire meglio e forse non da ascrivere proprio all’acqua piuttosto che a qualche problema del primo tratto digerente.

Il corpo umano è costituito per circa il 70% di acqua e siccome giornalmente si perde una certa quantità d’acqua per i processi chimici che avvengono nel nostro organismo, per la traspirazione e sudorazione, il respiro, urine e feci, l’acqua va costantemente reintegrata.

A volte, però, le persone non assumono le giuste quantità di acqua. E per quanto riguardano persone anziane e chi deve prendere farmaci, in particolare, per il sistema nervoso, il fatto che non viene garantita una corretta idratazione può comportare delle complicazioni.

Ma perché proprio per una persona con una malattia neurologica l’acqua viene considerata alla pari di una medicina?

L’acqua è necessaria per diversi motivi:

  1. L’acqua rende il sangue più fluido.

Innanzitutto, un cervello che soffre per una malattia neurologica va nutrito bene ed il nutrimento per funzionare bene, per difendersi, e per riparare, arriva logicamente con il sangue. Per arrivare in testa, il sangue viene ci viene pompato contro gravità, cioè dal basso, dal cuore, verso l’alto in testa, e quindi con una certa difficoltà. Se il sangue, per giunta, non è ben idratato rimane più vischioso ed arriva con più difficoltà a destinazione.

  1. L’acqua nutre

Tramite il sangue il cervello viene fornito, oltre di nutrienti, anche di ossigeno, importantissimo per lo svolgimento delle sue funzioni, motorie e mentali. Inoltre, tramite il sangue vengono trasportati anche i farmaci al cervello.

  1. L’acqua sciacqua e depura

Con il metabolismo, ovvero con la trasformazione dei nutrienti in energia ed in mattoni (non dimentichiamo che il cervello è un organo vivo, plastico, si adatta, si trasforma, cresce e si ripara), si formano anche prodotti di scarto che vengono eliminati con il sangue; la stessa cosa capita ai residui dei farmaci che vanno eliminati. Se il sangue è più limpido e più fresco, questo lavoro di ‘risciacquo’ funziona ovviamente molto meglio.

Queste tre funzioni essenziali del sangue, trasportare, nutrire e depurare, sono rese tanto meglio quanto e più fluido e ricco di acqua è il sangue. Al contrario, con il sangue vischioso tali funzioni rallentano, diventano più difficoltose, e possono condurre alla sofferenza del tessuto nervoso; se quello poi è già impegnato nella lotta contro una malattia, allora il cervello soffrirà ancora di più e la malattia si peggiora.

In conclusione, è importante bere acqua, e meglio berne tanta. Quanta? Non esiste una regola fissa, ognuno possiede il proprio fabbisogno giornaliero di acqua che per una persona di media statura si aggira intorno a 1,5-2 litri al giorno, quantità che varia con l’attività fisica e durante l’estate. Non tutte le persone riescono a bere un bicchiere d’acqua in una volta, ma questo non è necessario: basta bere piccoli sorsi tante volte durante la giornata, meglio entro il pomeriggio, senza bere la sera e la notte, specialmente per chi deve alzarsi di notte per andare in bagno. Penso che l’acqua sia l’espediente migliore, più semplice e meno costoso per aiutare l’organismo per rimanere sano e soprattutto per affiancare efficacemente le cure mediche nel trattamento delle malattie.

Kai Paulus